«Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prim’ancora che i corpi si vedano. Generalmente, essi avvengono quando arriviamo a un limite, quando abbiamo bisogno di morire e rinascere emotivamente.»
I
Devi volerlo,
Draco.
Le parole di
Bellatrix gli
rimbombano nelle orecchie. «Crucio!»
grida, e Rowle si contorce.
Draco non
vuole che
soffra, ma se il prezzo per non subire la collera di Lord Voldemort
dev’essere
quello allora può volerlo. Sotto lo
sguardo del mago oscuro ripete la
maledizione ancora tre volte, prima di essere lasciato libero di andare.
Si allontana
dalla sala a passi
regolari, accelerando solo dopo aver svoltato nel corridoio.
È al sicuro nella
sua stanza che finalmente si permette di accasciarsi a terra e vomita,
riversando
sul pavimento lucido tutto lo schifo provato
nell’ultima ora.
Non è
così che doveva andare. Non
capisce – suo padre era solito parlargli degli onori
derivanti
dall’essere un Mangiamorte, un fedele di Lord Voldemort;
accennava spesso alle
grandiose ricompense che sarebbero loro spettate. Da quando ha il
Marchio Nero
impresso sul braccio, Draco non ha visto nulla di
tutto ciò. Al simbolo
sono seguiti soltanto un compito ingiusto, preoccupazioni e dolore
– gli costa
ammetterlo, sa cosa succederebbe se quel pensiero pericoloso
gli sfuggisse,
ma non trova giusto né sensato che gli ordini siano
impartiti con minacce di
morte. I Serpeverde hanno pochi amici, ma a questi
sanno essere
estremamente leali. Lord Voldemort non ha amici, solo subordinati.
Draco getta la
bacchetta a terra
– l’ha stretta per tutto quel tempo,
incapace di rilassare il pugno – e
si osserva le mani con disgusto. Odia ciò che è
diventato, cosa ha dovuto fare –
odia Lord Voldemort. Odia avere questi pensieri, che
suo padre troverebbe
da debole e sua zia da traditore.
Odia tutto,
Draco – specialmente
la sua incapacità di cambiarlo.
Ha contato
impaziente i giorni che
l’allontanavano dal primo settembre, come se Hogwarts fosse
un luogo in cui fuggire.
Ma quando torna nella scuola che ha tradito insieme
al suo preside, Draco
comprende che nulla è come prima.
A Hogwarts non
c’è Voldemort, ma
ci sono i Carrow a insegnare maledizioni antiche e fin troppo
pericolose – i
Carrow a far sì che siano loro a punire
gli studenti ribelli,
esercitando maledizioni senza perdono.
Mentre crucia
Neville Paciock,
Draco capisce che non lo vuole. Inizia, di nuovo, a
contare i giorni:
l’idea di tornare a casa a Natale è terrore e
conforto allo stesso tempo.
Se ha fortuna,
Voldemort non
sarà lì.
Se ha fortuna,
potrà prendere
una boccata d’aria prima di riprendere la discesa.
Nel mentre,
stringe i denti e
copre le orecchie – di fronte all’orrore dei
Serpeverde più piccoli distoglie
lo sguardo.
Il binario 9¾
è ormai in vista quando avverte scoppi e
urla. Stringe i pugni e conficca le unghie, ma non
spia fuori dallo
scompartimento – vieta a Pansy di farlo con un cenno brusco
del capo.
Preferisce non sapere, se non vi è costretto.
Si
affretta a raggiungere sua madre non appena la scorge in mezzo alla
folla. La
vede emettere un sospiro di sollievo nel vederlo illeso; non tutti i
genitori
presenti possono dire lo stesso dei figli. Non parlano,
smaterializzandosi
rapidi nei pressi di Villa Malfoy.
L’atmosfera
non è cambiata dall’ultima volta che
c’è stato, anzi se possibile gli sembra
più cupa e opprimente – forse
è solo lui a sentirsi così. Si chiede
se possa ancora chiamarla casa.
Il
Signore Oscuro è ancora lì, tetra presenza che
solo raramente si degna di
apparire più del tempo necessario a impartire un ordine.
Draco ne sarebbe
sollevato, se non vivesse nel timore di vederlo palesarsi con qualche
compito
per lui. Il risultato è che trascorre quasi tutto il suo
tempo in camera, chino
su libri di cui non riesce a trattenere i concetti – stremato,
sempre.
Sta dosando i
fiori di valeriana quando il primo
urlo squarcia il silenzio. «Evanesco»
mormora, facendo svanire la
pozione ormai rovinata. Inspira a fondo, desiderando isolarsi, ma la
voce
tagliente di Voldemort arriva fin troppo chiara da una stanza vicina.
Draco si
chiede se sia una coincidenza. È chiaramente alterato;
comprende presto che sta
interrogando Olivander.
Draco prega che
finisca presto, ma non è
accontentato. Al terzo crucio che sente esce
d’istinto, dirigendosi ai
sotterranei – vuoti, senza il fabbricante
di bacchette ad abitarli. O
così spera.
Richiude la
porta dietro di sé e s’accascia di
lato, rigettando il poco cibo che quella mattina si è
forzato a ingerire.
«Signor
Olivander?»
La debole voce
che lo raggiunge lo fa
trasalire. Non doveva esserci nessuno.
Lentamente, si
rialza e raggiunge la porta in
legno spesso.
«Chi
sei?» arriva ancora la voce, che deve aver
capito se non altro chi non è.
L’ha
già sentita, ne è sicuro, ma non riesce a
ricollegarla a un volto. Forse perché è fievole
come dubita sia mai stata
prima, forse perché non è qualcuno con cui ha
parlato molto – come potrebbe,
d’altra parte? Si trova nelle prigioni, non al tavolo dei
Mangiamorte.
Deglutisce,
inghiottendo la domanda che vorrebbe
rivoltarle. «Nessuno».
«Oh».
Draco attende secondi che nel terrore
sembrano ore, ma chiunque sia dall’altra parte della porta
non aggiunge altro.
«Perché
sei qui?» chiede allora, lo sguardo
fisso sull’entrata.
«Mi
hanno presa dall’Espresso di Hogwarts»
risponde la voce dopo qualche secondo. «Spero che mio padre
stia bene… Non
avevo mai parlato con nessuno, sai?»
Draco non
risponde. Come ha fatto a non capirlo
prima? Ha sentito i rumori sul treno, ovviamente
hanno portato l’obiettivo
da loro.
«Com’è?»
domanda ancora la voce.
«Cosa?»
Draco fissa la porta con un confuso
misto di sentimenti. Si chiede chi stia parlando con lui, ma non
vuole
davvero saperlo. Sapere significherebbe dare un altro volto al senso di
colpa.
«Essere
nessuno».
Non capisce se
lo stia prendendo in giro o sia
semplicemente pazza. Forse è colpa della
prigionia.
«Se
fossi nessuno non potrebbero usarmi contro
mio padre» prosegue la voce con un tono sognante.
«Però forse non mi
importerebbe, allora. Deve sentirsi molto solo, chi è
nessuno».
Un rumore lo fa
sussultare. Draco decide di aver
ascoltato abbastanza assurdità e scivola circospetto fuori
dai sotterranei, lontano
dalla voce – esce nel cortile. È vestito troppo
leggero per il freddo che lo
investe appena mette piede fuori, ma non gli importa. Non
rientrerà finché non
sarà certo che la tortura a Olivander sia finita.
Voldemort
passa sempre meno tempo alla Villa, ma il senso di oppressione avvinto
al petto
di Draco non fa altrettanto. I giorni di vacanza scorrono lenti,
ciononostante quando
finiscono gli sembra che non siano durati più di un battito.
Poche
ore lo allontanano dal ritorno a Hogwarts, a quella che non
è più Hogwarts.
Hogwarts era spensierata sicurezza, qualcosa che non ha più
potuto provare da
quando ha ricevuto il Marchio. Non sa quale forza lo guidi, cauto, ai
sotterranei, né quale gli faccia raggiungere la porta e
poggiare il palmo sul
legno freddo – forse la stessa che l’ha
portato da Mirtilla Malcontenta
l’anno prima.
«Nessuno?»
mormora una voce, come in sogno – è lei,
più roca ma meno flebile
dell’ultima volta.
«Ho
paura» le confida, irrazionalmente. Non sa cosa sta facendo.
«Ho paura perché
non sono nessuno. Vorrei esserlo» mormora.
Per
un po’ gli risponde solo il silenzio. «Puoi farmi
uscire?»
Draco
trasalisce, ritraendosi d’istinto. Che cosa gli è
venuto in mente? Scendere lì
è stata un’idea stupida, parlarle
una sciocchezza. Cosa si aspettava da
una prigioniera?
Si
volta, ma la voce lo raggiunge di nuovo. «Immagino di no.
Dovevo chiederlo,
però».
«Potrei,
ma ho troppa paura per farlo».