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Autore: Mari Lace    29/07/2020    4 recensioni
Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prim’ancora che i corpi si vedano. Generalmente, essi avvengono quando arriviamo a un limite, quando abbiamo bisogno di morire e rinascere emotivamente. {Prompt fornito da Rosmary}
Poche ore lo allontanano dal ritorno a Hogwarts, a quella che non è più Hogwarts. Hogwarts era spensierata sicurezza, qualcosa che non ha più potuto provare da quando ha ricevuto il Marchio. Non sa quale forza lo guidi, cauto, ai sotterranei, né quale gli faccia raggiungere la porta e poggiare il palmo sul legno freddo – forse la stessa che l’ha portato da Mirtilla Malcontenta l’anno prima.
«Nessuno?» mormora una voce, come in sogno – è lei, più roca ma meno flebile dell’ultima volta.
(...)
Il silenzio si propaga ancora, mettendolo a disagio.
«Perché…» inizia, di nuovo. «Perché sei qui? Accanto a me?»
«Eri solo» spiega lei, con semplicità. La sua voce è chiara, ma Draco riconosce il tono sognante della prigioniera. «Ho pensato che avresti preferito non esserlo, in questo momento».
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Draco Malfoy, Luna Lovegood | Coppie: Draco/Luna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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«Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prim’ancora che i corpi si vedano. Generalmente, essi avvengono quando arriviamo a un limite, quando abbiamo bisogno di morire e rinascere emotivamente.»



 nessuno, qualcuno – Draco



I

 


Devi volerlo, Draco.

Le parole di Bellatrix gli rimbombano nelle orecchie. «Crucio!» grida, e Rowle si contorce.

Draco non vuole che soffra, ma se il prezzo per non subire la collera di Lord Voldemort dev’essere quello allora può volerlo. Sotto lo sguardo del mago oscuro ripete la maledizione ancora tre volte, prima di essere lasciato libero di andare.

Si allontana dalla sala a passi regolari, accelerando solo dopo aver svoltato nel corridoio. È al sicuro nella sua stanza che finalmente si permette di accasciarsi a terra e vomita, riversando sul pavimento lucido tutto lo schifo provato nell’ultima ora.

Non è così che doveva andare. Non capisce – suo padre era solito parlargli degli onori derivanti dall’essere un Mangiamorte, un fedele di Lord Voldemort; accennava spesso alle grandiose ricompense che sarebbero loro spettate. Da quando ha il Marchio Nero impresso sul braccio, Draco non ha visto nulla di tutto ciò. Al simbolo sono seguiti soltanto un compito ingiusto, preoccupazioni e dolore – gli costa ammetterlo, sa cosa succederebbe se quel pensiero pericoloso gli sfuggisse, ma non trova giusto né sensato che gli ordini siano impartiti con minacce di morte. I Serpeverde hanno pochi amici, ma a questi sanno essere estremamente leali. Lord Voldemort non ha amici, solo subordinati.

Draco getta la bacchetta a terra – l’ha stretta per tutto quel tempo, incapace di rilassare il pugno – e si osserva le mani con disgusto. Odia ciò che è diventato, cosa ha dovuto fare – odia Lord Voldemort. Odia avere questi pensieri, che suo padre troverebbe da debole e sua zia da traditore.

Odia tutto, Draco – specialmente la sua incapacità di cambiarlo.

 

Ha contato impaziente i giorni che l’allontanavano dal primo settembre, come se Hogwarts fosse un luogo in cui fuggire. Ma quando torna nella scuola che ha tradito insieme al suo preside, Draco comprende che nulla è come prima.

A Hogwarts non c’è Voldemort, ma ci sono i Carrow a insegnare maledizioni antiche e fin troppo pericolose – i Carrow a far sì che siano loro a punire gli studenti ribelli, esercitando maledizioni senza perdono.

Mentre crucia Neville Paciock, Draco capisce che non lo vuole. Inizia, di nuovo, a contare i giorni: l’idea di tornare a casa a Natale è terrore e conforto allo stesso tempo.

Se ha fortuna, Voldemort non sarà lì.

Se ha fortuna, potrà prendere una boccata d’aria prima di riprendere la discesa.

Nel mentre, stringe i denti e copre le orecchie – di fronte all’orrore dei Serpeverde più piccoli distoglie lo sguardo.

 

Il binario 9¾ è ormai in vista quando avverte scoppi e urla. Stringe i pugni e conficca le unghie, ma non spia fuori dallo scompartimento – vieta a Pansy di farlo con un cenno brusco del capo. Preferisce non sapere, se non vi è costretto.

Si affretta a raggiungere sua madre non appena la scorge in mezzo alla folla. La vede emettere un sospiro di sollievo nel vederlo illeso; non tutti i genitori presenti possono dire lo stesso dei figli. Non parlano, smaterializzandosi rapidi nei pressi di Villa Malfoy.

L’atmosfera non è cambiata dall’ultima volta che c’è stato, anzi se possibile gli sembra più cupa e opprimente – forse è solo lui a sentirsi così. Si chiede se possa ancora chiamarla casa.

Il Signore Oscuro è ancora lì, tetra presenza che solo raramente si degna di apparire più del tempo necessario a impartire un ordine. Draco ne sarebbe sollevato, se non vivesse nel timore di vederlo palesarsi con qualche compito per lui. Il risultato è che trascorre quasi tutto il suo tempo in camera, chino su libri di cui non riesce a trattenere i concetti – stremato, sempre.

 

Sta dosando i fiori di valeriana quando il primo urlo squarcia il silenzio. «Evanesco» mormora, facendo svanire la pozione ormai rovinata. Inspira a fondo, desiderando isolarsi, ma la voce tagliente di Voldemort arriva fin troppo chiara da una stanza vicina. Draco si chiede se sia una coincidenza. È chiaramente alterato; comprende presto che sta interrogando Olivander.

Draco prega che finisca presto, ma non è accontentato. Al terzo crucio che sente esce d’istinto, dirigendosi ai sotterranei – vuoti, senza il fabbricante di bacchette ad abitarli. O così spera.

Richiude la porta dietro di sé e s’accascia di lato, rigettando il poco cibo che quella mattina si è forzato a ingerire.

«Signor Olivander?»

La debole voce che lo raggiunge lo fa trasalire. Non doveva esserci nessuno.

Lentamente, si rialza e raggiunge la porta in legno spesso.

«Chi sei?» arriva ancora la voce, che deve aver capito se non altro chi non è.

L’ha già sentita, ne è sicuro, ma non riesce a ricollegarla a un volto. Forse perché è fievole come dubita sia mai stata prima, forse perché non è qualcuno con cui ha parlato molto – come potrebbe, d’altra parte? Si trova nelle prigioni, non al tavolo dei Mangiamorte.

Deglutisce, inghiottendo la domanda che vorrebbe rivoltarle. «Nessuno».

«Oh». Draco attende secondi che nel terrore sembrano ore, ma chiunque sia dall’altra parte della porta non aggiunge altro.

«Perché sei qui?» chiede allora, lo sguardo fisso sull’entrata.

«Mi hanno presa dall’Espresso di Hogwarts» risponde la voce dopo qualche secondo. «Spero che mio padre stia bene… Non avevo mai parlato con nessuno, sai?»

Draco non risponde. Come ha fatto a non capirlo prima? Ha sentito i rumori sul treno, ovviamente hanno portato l’obiettivo da loro.

«Com’è?» domanda ancora la voce.

«Cosa?» Draco fissa la porta con un confuso misto di sentimenti. Si chiede chi stia parlando con lui, ma non vuole davvero saperlo. Sapere significherebbe dare un altro volto al senso di colpa.

«Essere nessuno».

Non capisce se lo stia prendendo in giro o sia semplicemente pazza. Forse è colpa della prigionia.

«Se fossi nessuno non potrebbero usarmi contro mio padre» prosegue la voce con un tono sognante. «Però forse non mi importerebbe, allora. Deve sentirsi molto solo, chi è nessuno».

Un rumore lo fa sussultare. Draco decide di aver ascoltato abbastanza assurdità e scivola circospetto fuori dai sotterranei, lontano dalla voce – esce nel cortile. È vestito troppo leggero per il freddo che lo investe appena mette piede fuori, ma non gli importa. Non rientrerà finché non sarà certo che la tortura a Olivander sia finita.

 

Voldemort passa sempre meno tempo alla Villa, ma il senso di oppressione avvinto al petto di Draco non fa altrettanto. I giorni di vacanza scorrono lenti, ciononostante quando finiscono gli sembra che non siano durati più di un battito.

Poche ore lo allontanano dal ritorno a Hogwarts, a quella che non è più Hogwarts. Hogwarts era spensierata sicurezza, qualcosa che non ha più potuto provare da quando ha ricevuto il Marchio. Non sa quale forza lo guidi, cauto, ai sotterranei, né quale gli faccia raggiungere la porta e poggiare il palmo sul legno freddo – forse la stessa che l’ha portato da Mirtilla Malcontenta l’anno prima.

«Nessuno?» mormora una voce, come in sogno – è lei, più roca ma meno flebile dell’ultima volta.

«Ho paura» le confida, irrazionalmente. Non sa cosa sta facendo. «Ho paura perché non sono nessuno. Vorrei esserlo» mormora.

Per un po’ gli risponde solo il silenzio. «Puoi farmi uscire?»

Draco trasalisce, ritraendosi d’istinto. Che cosa gli è venuto in mente? Scendere lì è stata un’idea stupida, parlarle una sciocchezza. Cosa si aspettava da una prigioniera?

Si volta, ma la voce lo raggiunge di nuovo. «Immagino di no. Dovevo chiederlo, però».

«Potrei, ma ho troppa paura per farlo».

Dopo quell’ultima confessione se ne va, domandandosi se la voce ora l’odierà – la capirebbe.
  
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