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Autore: Ryo13    30/07/2020    5 recensioni
David è perseguitato da un incubo che si presenta alla sua mente con una costanza sconcertante. Questo gli crea problemi sul lavoro: il manager Rogers è sempre sul chi va là per rimproveralo pubblicamente della sua svogliatezza. L'unica che lo comprende e sostiene sembra essere la segretaria di quest'ultimo.
❈❈❈ Terza classificata al contest “Non ci resta che sognare” indetto da Soul_Shine e Sabriel_Little Storm sul forum di EFP❈❈❈
Genere: Angst, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Your mind plays on you'
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Copertina: digital art di Michał Mozolewski
 

L’incubo di Mad David 

Il plico di fogli picchiò sulla scrivania facendolo sussultare.
All’estremità del fascicolo, la mano del signor Rogers era serrata in un pugno, un paio di vene spiccavano sul dorso.  
«Morrison», sbraitò sputacchiando dalla cima dei baffi, «svegliati una buona volta!»
David fissò lo sguardo sul grumo di saliva raccolto sulla punta delle labbra viola. Un brivido di ripugnanza lo scosse. Sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma il ronzio alle orecchie gli confondeva la mente, lasciandolo intorpidito.
Un movimento ai margini del suo campo visivo gli disse che non erano soli. «Signor Rogers, forse David non si sente bene...» 
Una mano fresca gli scostò i capelli dal viso. Una goccia di sudore gli solcò la guancia, strisciando sul collo. «Ѐ congestionato, gli sta capitando qualcosa.»
«Macché», farfugliò Rogers, «è solo la vergogna di essere stato colto un’altra volta in fallo. Sono settimane che si addormenta sempre a occhi aperti. Non è la prima volta che lo riprendo!» Abbandonò il plico di carte ormai sgualcito e si passò una mano tra i capelli radi. «E continua a commettere stupidi errori che rallentano il mio lavoro.»
«Signor Morrison… David… sono Roberta, mi sente?» La stoffa inamidata di un fazzoletto gli sfiorò la pelle rovente, trascinando via con sé l’umidità. David riconobbe la segretaria del suo manager. Rughe di preoccupazione le segnavano la fronte.
«Io...» sussurrò. «Io...»
«Mi dica, che succede?» Gli afferrò la giacca all’altezza della spalla. 
«Soffoco.» Portò una mano al nodo della cravatta, ma non aveva abbastanza forza nelle dita per scioglierlo.
«Aspetti, faccio io.» Gli scostò le mani con un movimento privo di grazia. Sciolse il nodo e i primi bottoni della camicia. David si abbandonò sullo schienale della sedia, la testa gettata indietro. Prendeva rapidi respiri  ansimanti, tastandosi la gola.
«Va  meglio?» soffiò la domanda a pochi centimetri dalla sua guancia.
I polmoni tornarono a distendersi. «Mh.»
Rogers sbuffò richiamando l’attenzione su di sé. Roberta aprì la bocca, ma la tagliò con un movimento della mano. Fissò David per un istante e marciò via, borbottando con un ringhio “stupido attacco di panico”.
«Le prendo un bicchiere d’acqua.» La donna si allontanò in un fruscio di seta.
David strinse le palpebre: i ricordi dell’incubo erano come bagliori di luce. Il nodo stretto al collo, le vene grosse, il sangue al cervello. “Uccidi”, una voce vibrava. “Uccidi se non vuoi essere ucciso”. Il peso di una mano spettrale gli grattò la base del cranio. Piegò il capo di lato. «Ma che cazzo...»
Un bicchiere colmo d’acqua gli comparve davanti. «Ecco, beva.» La voce di Roberta dolce e carezzevole lo riportò al presente.
Afferrò il bicchiere e bevve. Un silenzio teso si estese tra loro.
«Tutto bene?», chiese ancora.
David fece cenno di sì.
«Un altro sogno?»
Sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco la vista. Ricordava di averle raccontato dei suoi incubi la settimana scorsa. Ma non aveva detto nulla di specifico: non era qualcosa che poteva descrivere. Annuì.
Roberta piegò le ginocchia, si mise alla sua altezza. «Penso che dovrebbe parlarne con qualcuno.» Aveva in mano la sua cravatta. Il pugno che stringeva la stoffa poggiava sulla gamba, al confine con l’orlo della gonna.
David allungò un dito, sfiorò le calze e le percorse premendo con forza. Le sottili maglie si allargarono grattandogli la pelle.

✯✯✯

La dottoressa Rivas sfogliava i propri appunti seduta sulla poltrona in tessuto damasco viola. Il riflesso abbacinante della luce della lampada lo costringeva a stringere le palpebre. David combatteva il leggero fastidio fissando lo sguardo sulle gambe della dottoressa, ricoperte da sottili collant fumè.
Quella sera, l'indumento gli dava una strana sensazione: un solletico ai margini del pensiero cosciente. Immaginò di far scorrere un dito attorno al ginocchio, di sentire sul polpastrello la ruvidezza del nylon e di scendere fino alle caviglie per trascinare sotto l’unghia le strette maglie. Magari strapparle.
Gabriela Rivas tossicchiò, alzando gli occhi dagli appunti. «Bene, David. Dunque gli incubi sono ricominciati.»
David scrollò le spalle, si portò le dita sotto il mento in un riflesso condizionato.
Ci fu una pausa. Lui non sembrava intenzionato a cominciare la conversazione. «Ѐ sempre il solito, immagino?»
«Sì.»
«Me lo descriva.»
David sbuffò, scrollando la testa e afferrandosela. «Lo conosce già. Perché devo raccontarlo un’altra volta?»
Lei non rispose. Restò in attesa.
«Mi trovavo in ufficio», si arrese finalmente. «Rogers era di nuovo arrabbiato con me. Mi urlava addosso ma non potevo rispondere perché mi sentivo soffocare.»
«Cosa la faceva sentire così?»
Corrugò la fronte. «Che intende dire?»
«Perché stava soffocando?» Gabriela gettò i capelli dietro la spalla. Agitò la penna tra le dita, picchiando ritmicamente il foglio.
«Io...» balbettò. «Io avevo la gola chiusa. Non respiravo.»
«Sì, ma cosa le impediva di respirare?»
David si agitò sullo stretto divanetto. «Era… era la cravatta.»
La dottoressa scrisse qualcosa sul foglio con aria pensierosa. «Me ne parli.»
Fece una smorfia nello sforzo di ricordare i dettagli. «Non la vedevo, sentivo la sua consistenza. Ho… ho visto che era blu e rossa quando la teneva in mano Roberta.»
«Era lei ad averla?» 
«Sì, mi ha aiutato a sfilarla.»
Silenzio. «Non aveva mai sognato che Roberta le togliesse la cravatta.»
David si accigliò. Guardò il pavimento. «Sì, io… l’avevo fatto, mi sembra.»
«Non me ne aveva mai parlato.» Scorse i fogli con la fronte corrugata. Sfarfallò ancora con le dita. 
«Era vestita come lei», disse accennando al suo abito. «Gonna al ginocchio e le calze color carne. Aveva i capelli legati in una coda.»
Gabriela si immobilizzò. Inspirò bruscamente. «David, io non porto le calze.» 
L’uomo aprì la bocca, ma lei lo interruppe. «Va bene. Torniamo alla cravatta. Cosa stava dicendo?»
Perplesso, deglutì un paio di volte. Leggeri picchi sulla carta: la dottoressa attendeva. 
«Ecco… mi soffocava, ma… quando Roberta me l’ha tolta io…»
«Cosa ha fatto, David?»
«Io l’ho avvolta attorno al collo di Rogers.» Contrasse le dita. «L’ho stretta e ho tirato forte. Ho tirato anche se le mani mi facevano male. Anche se Roberta si è messa a urlare… non potevo smettere.»
«Perché crede di averlo fatto?» Gabriela parlava con un tono sicuro e privo di inflessioni, privo di giudizi.
David si sfregò la nuca sudata e si fissò la punta delle scarpe. «Perché mi faceva impazzire. Mi faceva impazzire che mi sputacchiasse addosso ogni volta che mi si avvicinava; che ammorbasse l’aria col tanfo del suo sudore.» Si immobilizzò. «Doveva smettere di parlare.»
Il silenzio si prolungò più a lungo del normale.
«E Roberta?»
David trasalì. «Roberta?» Strinse i pugni fino a far sbiancare le dita.
«Anche lei doveva smettere di urlare?»
«Non capisco», ansimò turbato.
«Come finisce il suo sogno, David?» lo incalzò Gabriela.
«Non me lo ricordo.»
«Chiuda gli occhi e si concentri. Cosa vede davanti a sé?»
David obbedì. «Stringo il nodo. Rogers ha il volto viola. Boccheggia in cerca d’aria.»
Gabriela si tese sulla poltrona, sporgendo il busto in avanti. «Mi descriva il suo viso», disse abbassando il tono della voce.
Corrugò la fronte come se fosse difficile ricordare. Si afferrò i capelli e cominciò a tremare. «Ha i bulbi oculari sporgenti. Lacrima. Perché devo descrivere tutto questo?!» sbraitò scattando come una molla dalla sedia.
La donna si irrigidì, ma non tradì nessun'altra emozione. «Si calmi, David. Respiri. Si rimetta seduto.» Ordini concisi, offerti col solito tono.
David ansimò, credette di perdere il controllo. Aprì e chiuse le dita più volte. Lentamente si rimise a sedere.
Gabriela riprese: «Voglio che mi descriva i lineamenti del viso».
«Ha la schiuma alla bocca. La saliva è raccolta sulla punta del labbro. Annaspa e si agita, mi arrivano delle goccioline sul dorso delle mani. Stringo di più la presa perché non lo tollero, solo che…»
«Cosa la ferma?»
«Soffoco», sussurrò. «Più stringo la presa, e più sono io a soffocare. Fino a che muoio.»
Silenzio.
«Ѐ morto, David?»
Lui guardò la dottoressa confuso. 
«Lei è morto?»
«Sì. Io… sì. Sono morto.»
«E Rogers?» Si sporse di nuovo. «Lo ha lasciato andare?»
«Mi ha preso la faccia.» Chinò il capo, nascondendo il volto tra i palmi. «Ride. Ha preso le mie sembianze: ha la mia faccia.»
Gabriela abbandonò gli appunti sul tavolino. Si alzò e attraversò la stanza. Pose una mano sulla spalla dell’uomo e gli porse un oggetto piatto.
«Si guardi», disse. «Che cosa vede?»
Reggendolo su un palmo ancora tremante, David si accorse che si trattava di uno specchio. Aveva paura. Non avrebbe voluto guardare, ma una curiosità morbosa lo spingeva a farlo. Occhi incavati e opachi ricambiarono il suo sguardo. Il mento a punta, sovrastato da baffi bagnati, era pallido e sudato. Le labbra violacee vibravano con forza, man mano che il respiro diventava affannoso. 
«Ѐ Rogers! Ѐ Rogers!» urlò in preda al panico. Lanciò lo specchio che si infranse sulla parete, scoppiando in centinaia di frammenti. Si afferrò i ciuffi di capelli sopra le orecchie, tirandoli. Erano unti, sfibrati. Gli pizzicavano le dita come piccole punture di spillo. Non tollerava di toccarli. Le mani schizzarono via. Le sfegò convulsamente sul divano per cancellare quella sensazione. Ma era penetrata nella pelle, si era attaccata alle ossa. Le orecchie ronzavano per la forza del sangue pompato a mille. Un fruscio attutito e il corpo che picchiava sul pavimento. Si strofinò sul tappeto sputando bava.
Gabriela aveva lanciato l’allarme: attese immobile l’arrivo degli inservienti perché il protocollo stabiliva che non si poteva avvicinare al paziente in quello stato.
La porta dello studio si spalancò. Corsero dentro due uomini robusti e un altro medico. Si inginocchiarono afferrando David alle spalle e bloccandolo alle ginocchia. L’uomo col camice cercò un punto scoperto dove inserire l’ago. In pochi secondi urla e movimenti febbrili si quietarono.
Con una tranquillità frutto della pratica, il medico si raddrizzò. «Gabriela, stai bene?»
La donna annuì, facendosi aria sul viso accaldato. «Oggi non è andata bene.» 
«Già.» Si rivolse agli inservienti. «Riportatelo nella sua stanza.» Quando uscirono si concentrò di nuovo sulla collega. «Cosa è successo?»
Gabriela prese un profondo respiro. Fece un cenno verso i frammenti. «Terapia cognitiva. Siamo arrivati alla parte con lo specchio. Ha visto le sembianze di David Morrison e questo gli ha scatenato una crisi di panico.»
«Ѐ ancora convinto di chiamarsi col nome della sua vittima?»
Gabriela scrollò le spalle. «Se non lo chiamo ‘David’ non mi risponde.»
L’uomo si avvicinò al tavolino. Prese il giornale, sfogliandolo accigliato. L’articolo dal titolo “L’ultima vittima di Mad David” spiccava sulla pagina accanto alla foto di un Rogers apparentemente calmo e composto. «Forse era troppo presto per ricominciare, dopo la notizia…» 
Gabriela non rispose. Si ravviò i capelli dietro le spalle e aggiustò la gonna sulle gambe. «Ha parlato di Roberta», disse di punto in bianco. Recuperò gli appunti della seduta e li porse al collega. «Ha ricordato che ha tolto la cravatta a David.» Si interruppe un attimo. «Credo l’abbia sognata nelle vesti della salvatrice. Forse per il rimorso di ciò che ha fatto.»
«Ѐ possibile», convenne l’uomo. «Se le sue allucinazioni nascono dall’orrore per i crimini che ha commesso, è normale che rifiuti di averla strangolata per impedirle di soccorrere Morrison.»
Gabriela sospirò, gettando un occhio sull’articolo del giorno prima. «Mi dispiace così tanto che non ce l’abbia fatta… Da quando lavoro al caso di Rogers e ho saputo che ha strangolato quella povera donna coi suoi collant, ho smesso di mettere i miei durante le sedute.» Rabbrividì.
L’uomo le sfiorò una spalla. «Forse è il caso che ti prenda un permesso. Non avrei dovuto lasciarti stare sola con lui.»
«No. Ѐ il mio lavoro», disse decisa. «E poi io resisterei in coma abbastanza da svegliarmi alla fine, mi conosci.»
Gli angoli della bocca si stirarono in un sorriso riluttante. «E questo cos’è? Black humor da psichiatri?»
Gli diede una pacca sulla schiena. «Può darsi.»
«Rogers dormirà per un pezzo. Ti prendi un permesso, ho deciso.» Tese un dito «E non protestare. Riprenderemo la terapia tra qualche giorno. Nel frattempo basterà monitorarlo, non va da nessuna parte.»

✯✯✯

David sbatté le palpebre, sussultando. Ansimò con forza: non riusciva a tirare aria dentro i polmoni. La voce, spezzata, era un rantolo di sofferenza.
«David! Tutto bene?» Roberta si precipitò in suo soccorso. David allungò una mano, artigliò le calze di nylon.
«Maledizione, Morrison! Non dormire tutto il giorno!» urlò Rogers paonazzo. 
Qualcosa si ruppe dentro l’uomo. I tratti di Rogers si confusero, scivolarono come onde d’acqua rivelando iridi celesti; folti capelli scuri gli incorniciavano il viso, piccole rughe ai lati degli occhi. Via i baffi, via gli odiosi grumi di saliva in bocca: era un uomo giovane quello che lo fissava colmo di rabbia. Una furia omicida gli brillava nello sguardo.
David era intrappolato in un corpo goffo, appiccicato di sudore. Le dita grassocce tremavano assalite dalla sensazione di essere punte da mille spilli. I baffi umidi gli pizzicavano il viso. Dalla punta del labbro gli colava un rivolo di bava.
Avrebbe voluto vomitare, ma soffocava.

 

FINE




 

Note:

Ho letto che era obbligatorio specificare il contenuto del pacchetto. Nel mio il sogno di soffocare si poteva interpretare come malattia mentale ed è sostanzialmente il tema del racconto che ho scritto. Non ho usato specificatamente le parole “malattia mentale” ma non credo che intendeste questo, vero? Solo che dovevamo inserirlo nel tema, se ho compreso bene.
Grazie per questo contest!
 
   
 
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