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Autore: Jordan Hemingway    30/07/2020    2 recensioni
(Cassandra/Apollo, Sci-fi&MagicAU)
Cassandra è un soldato, allevata per unirsi alle schiere delle onnipotenti Dominazioni Olimpiche, fino a quando non osa alzare la mano verso la magia contenuta nel cuore delle stelle. Qual è il prezzo da pagare per un potere tanto grande da cambiare l'universo?
Prima classificata al contest "Favole di Oggi" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP
Genere: Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Apollo, Cassandra
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Guardatevi dall’alto delle stelle

Mi è addosso di nuovo lo sforzo feroce di predire il vero, a raffiche, scosse.
Ecco le note di inizio, assurde note.
Eschilo, Agamennone


Le stelle.
Ho sempre pensato che fosse la mia natura inseguirle per catturarne il potere e carpire i loro segreti. Anche ora, guardando l’universo che si estende intorno alla mia nave, non riesco a fare a meno di catalogare quello che vedo, classificando ogni punto luminoso per potenza, intensità e per la quantità di energia con la quale potrei alimentare la mia magia.
Il sibilare delle porte scorrevoli mi avvisa che non sono più solo nella sala comandi.
“Hai deciso la rotta?” Mi chiede Athena. Il suo tono è irritato: è impaziente di partire.
“Non ancora.”
“Perché?” Si affianca a me. “Stai solo ritardando la partenza della flotta. Zeus non approverà.”
“Lascia che aspetti; il risultato della guerra non cambierà per così poco.”
I primi coloni umani, ingannati dal nostro aspetto, ci credevano immuni da ogni sentimento: si sono ricreduti in fretta.
Athena emette un suono rabbioso: so che non è d’accordo, per lei la strategia è una scienza che si basa su calcoli precisi. Vorrebbe partire subito e raggiungere il fronte per frenare l’avanzata della ribellione, per schiacciare Elena e Paride e le loro truppe.
Io però voglio continuare a guardare le stelle ancora per un poco.
“Credi di risolvere qualcosa restando indietro?” Ora Athena mi sta scrutando con quel suo sguardo terso per il quale è famosa tra umani e non umani. “Sai che non avresti potuto fare nulla.”
Sono parole rischiose da pronunciare e da ascoltare.
“La Prova ha regole ben precise. Non ho mai avuto intenzione di intervenire.”
Ci misuriamo in silenzio, io e Athena: è una battaglia che nessuno di noi vuole combattere, non adesso.
“Potrai avere ingannato Zeus e gli altri,” replica lei alla fine, “ma non puoi ingannare me.”
“Non credo tu possa capire.”
“Al contrario, Apollo,” mi risponde, uscendo, “è proprio perché capisco che non ho fatto nulla. Finora.”
Torno a guardare fuori dalla nave.
Osservare le stelle è come tornare indietro nel tempo: alcune sono così distanti che la loro luce impiega anni ad arrivare fino a me.
Vorrei poter riavvolgere il tempo percorrendo il cammino di quella luce.
Chiudo gli occhi.


Stavano attraversando una tempesta magnetica e tutto quello a cui riusciva a pensare era che il suo raggio schermante era rimasto in un armadio all’Accademia, assieme all’uniforme, quindi se la navetta si fosse schiantata da qualche parte nel deserto di lei sarebbero rimaste solo le ossa, sbiancate dalle radiazioni del sole.
Se Eleno ed Ettore lo avessero scoperto l’avrebbero spedita a calci dal Capitano più vicino: dimenticare il proprio raggio schermante lì, su Lykaios, significava mettere in pericolo non solo se stessi ma anche tutta la propria squadra.
Era stata la prima lezione che avevano avuto, subito prima di atterrare sul pianeta: un Capitano aveva spiegato a tutti loro che sebbene il sole di Lykaios sembrasse meno luminoso di quello della maggior parte dei sistemi colonizzati, emetteva delle radiazioni così potenti da permettere a una sola forma di vita di sopravvivere.
Una specie che aveva il potere di trasformare in vita quei raggi mortali.
Per chiarire il concetto aveva abbassato le calotte esterne della sala comandi: Lykaios era davanti a loro, enorme e dorato, in orbita attorno a una stella di dimensioni modeste. Alcune reclute si erano subito avvicinate ai pannelli di visione, come bambini in visita a un acquario; il Capitano aveva premuto un pulsante, riducendo di pochissimo l’intensità dello scudo schermante: subito le reclute erano saltate indietro, alcuni con le mani coperte di vesciche bluastre.
“Le radiazioni sono il vero pericolo. Non la luce, non le tempeste magnetiche: il campo radioattivo rende Lykaios inabitabile per chiunque. Tranne che per chi ci è nato.”
Non aveva avuto bisogno di dare ulteriori spiegazioni.
Eppure, anni dopo, eccola lì, senza raggio e senza tuta, nel mezzo della tempesta magnetica peggiore che si fosse vista da parecchio tempo.
“Hai paura di quello che potrebbe succedere?” La voce proveniva allo stesso tempo da un punto alle sue spalle e da dentro la sua mente.
Scosse la testa. “No.”
Era la verità, in fin dei conti: non aveva paura della tempesta, o della Prova che la stava aspettando proprio al suo centro.
Accanto a lei ora c’era un uomo – almeno, quello era l’aspetto che aveva deciso di assumere – che fissava le spirali di sabbia e luce che si intrecciavano nel cielo attorno alla navetta.
“Quando sarà tutto finito potremo andarcene da questo pianeta.” La sua voce era melodiosa ma fredda, distaccata. “Andremo a Espero. Lì avranno bisogno del potere che stai per ottenere.”
“Lo dici come se fossi sicuro che passerò la Prova.”
“Lo dico perché lo so.” Apollo si girò a guardarla. “Ti ho vista di fronte all’Assemblea, forte e con il mondo ai tuoi piedi, allungare le mani per reclamare il dono che hai guadagnato.” Le posò le mani sulle spalle, sorridendo. “Tu sei una mia creatura: non aver paura di quello che potresti diventare.”
Era esattamente quello di cui aveva paura, pensò Cassandra, senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi.
Di quello e di Apollo stesso, ma lui non lo sapeva ancora.
Un’ironia crudele, se si considerava che tutto quello che aveva desiderato un tempo era affrontare la Prova con lui accanto.


“Cassandra!” Eleno le batté una mano sulla spalla. “Tocca a te.”
La ragazza si riscosse e abbassò gli occhi: il sole di Lykaios era interessante da osservare attraverso i filtri schermanti, ma mai quanto l’esame che stava per affrontare.
L’arena era stata costruita all’aperto, per permettere a Reclute e Allievi di sperimentare sulla propria uniforme il clima del pianeta. Gli scudi solari erano alzati tutt’intorno, ma Cassandra era certa che se anche uno solo avesse perso intensità, tutti loro si sarebbero trovati nei guai nonostante il tessuto schermante delle loro divise.
Avanzò tranquilla, il casco ben abbassato sulla sua testa. Aveva già scelto la sua arma: un arpione dal manico abbastanza lungo da permetterle di tenere l’avversario a distanza ma non così tanto da ostacolare i suoi movimenti.
Achille era già lì, ai margini dell’arena; stava soppesando due teaser sonici con aria pensosa ma si interruppe per lanciarle un ghigno cameratesco. “Pronta a perdere?”
“Pronta a vincere, volevi dire?”
“Ti piacerebbe.” Il ragazzo scosse la testa e si decise per il più pesante dei due teaser. “Quando mai sei riuscita a battermi?”
“Beh, la scorsa volta, se tu non avessi…”
“Allievi: in posizione.” Il Capitano controllò il timer inserito nel suo braccio bionico. “Trenta secondi.”
Entrambi si portarono al centro dell’arena.
Cassandra espirò lentamente attraverso il casco: era vero, non era mai riuscita a battere Achille in un esame. Era in buona compagnia: pochi erano in grado di affrontare l’allievo modello dell’Accademia.
Ma forse questa volta sarebbe stato diverso.
Al suono del timer saltò in alto, schivando il colpo del teaser di Achille, e usando l’arpione si portò sopra una delle rocce dalla superficie irregolare che costellavano l’arena. Da lì tentò un colpo di lama sonica contro Achille, ma l’altro era già sparito.
I punti vincenti di Achille, oltre alla forza fisica, erano la strategia e la costanza: quando decideva di vincere si impegnava fino a che non riusciva a portare a casa la vittoria. Imitava le mosse degli avversari, spiazzandoli e oltrepassando le loro difese, per poi impegnarli in un corpo a corpo dove lui aveva la meglio.
Cassandra scivolò tra le rocce: di solito evitava di cercare uno scontro diretto, ma aveva bisogno di trovarsi davanti a Achille per quello che voleva fare.
Fece appena in tempo a rotolare a terra: il raggio del teaser passò sopra di lei mentre Achille, senza perdere nemmeno un istante, la raggiungeva evitando i colpi del suo arpione e puntava di nuovo l’arma verso la sua testa.
Perfetto.
L’arpione si conficcò nella terra nera e arida, il manico rivolto verso il sole allo zenit. La mano sinistra di Cassandra rimase sull’arma mentre posava la destra sul suolo a palmo in su.
Sentì l’arpione arroventarsi velocemente e il calore trasmettersi alla mano e al resto del corpo, fino a fluire nella destra e scaricare il grosso dell’energia a terra, il tutto in pochi istanti.
La ragazza alzò la destra davanti a sé, afferrando il piede di Achille e spingendo quel che rimaneva dell’energia che era fluita in lei.
Achille, che aveva già alzato di nuovo il teaser, si bloccò, irrigidendo tutto il corpo. Cassandra ne approfittò per estrarre l’arpione, usarlo per far cadere l’avversario e puntare la lama sonica alla sua gola. Avrebbe volentieri aggiunto un colpo o due, ma non voleva esagerare davanti ai Capitani Istruttori.
“Fine dell’incontro.” Il Capitano alzò il braccio per assegnare la vittoria a Cassandra.
Con ogni probabilità quello significava aver passato l’esame con il massimo dei voti: la ragazza si concesse un sogghigno all’interno del casco. Accanto a lei Achille si stava rialzando, incespicando sulla gamba. “Che cosa… Che cosa mi hai fatto?” Chiese in tono d’accusa.
Lei si strinse nelle spalle. “Sono stata più veloce, ecco che cosa ho fatto.”
Achille però non accennava a muoversi. “La mia gamba: è stata come una scossa elettrica. Come hai fatto?”
“Sicuro non fosse un crampo?”
“Allievi, spostatevi dal campo.” Il Capitano indicò loro l’esterno dell’arena.
Cassandra voltò le spalle ad Achille e se ne andò senza più badare alle sue domande.
Del resto, nemmeno lei sapeva come o cosa avesse fatto. Sapeva solo che durante un allenamento con Ettore ed Eleno si era accorta che le proprie armi sembravano raccogliere il calore del sole più velocemente del normale, e che il suo corpo sembrava reagire diventando un cavo elettrico e scaricando l’energia sulle rocce che toccava.
Impossibile ma utile, come aveva dimostrato lo scontro: non si era fidata a testare il fenomeno su quei due, ma Achille… Beh, poteva permettersi di perdere Achille, se la scarica fosse stata troppo forte.
Quando rientrò tra i ranghi del gruppo di Allievi fu accolta da una pacca sulla spalla – Ettore – e da un’espressione incredula – Eleno.
“Come hai fatto?” Il ragazzo scosse la testa. “Assurdo.”
“Avevi scommesso qualcosa?” Sogghignò Cassandra. “Spero su di me.”
“No, ma se l’avessi saputo mi sarei giocato anche quello che non ho.”
Ridendo, Cassandra alzò la testa: si accorse allora di un’ombra luminosa che si stagliava contro il sole, lì sulle colline spezzate sotto le quali era stata scavata l’Accademia.
“Oggi abbiamo visite importanti,” commentò Ettore, seguendo il suo sguardo. “Gli dèi sono scesi tra noi.”
Cassandra non rispose, continuando a fissare la sagoma fino a che gli occhi iniziarono a bruciarle nonostante i filtri schermanti.
Quando li riaprì non c’era più nessuno sulle colline; ma lampi di luce simili a serpenti dorati continuarono a danzarle nelle palpebre anche dopo che furono di nuovo al sicuro dentro l’Accademia.

  
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