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Autore: lightvmischief    31/07/2020    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 35

CALUM

«Quanto rumore che fanno i tuoi pensieri!» Lancio ad Elyse un’occhiataccia, dicendole che dovrebbe almeno provare a riposare se vuole rimettersi in piedi al più presto. 

Da quando Kayla è uscita di nuovo - circa un’ora fa -, ha deciso di prendere una sedia della cucina e piazzarsi davanti alla finestra e guardare l’andirivieni degli uccelli e il movimento delle foglie sugli alberi, nonchè il passaggio delle nuvole bianche e soffici per poi tornare grigie e pesanti di acqua. Mentre io dovrei assicurarmi che riposi, ma in realtà sono più dentro alla mia testa che presente in questa stanza.

A Margaret ho dato i giornali che abbiamo trovato in tabaccheria con la scusa di farla esercitare nella lettura, anche se in realtà volevo solo avere un po’ di tempo da solo.

Sono preoccupato. Per la mia famiglia, Wayne, Blaine… Sì, anche per Kayla. So che sa cavarsela benissimo da sola, me l’ha provato più e più volte. Ho paura che ogni volta che la vedo possa essere l’ultima, così come ho paura che lo sia anche per la mia famiglia.

Da quando Elyse ci ha detto che Travis è morto… Cavolo, non faccio altro che pensare a quanto sia improvvisa ed inaspettata la morte. Non che prima non lo sapessi, solo che mi sembrava un concetto un po’ più lontano. Sono passati anni da quando ho visto mio padre morire e il resto della mia famiglia è sempre rimasto con me. Certo, ce la siamo vista brutta un numero infinito di volte ma eravamo insieme ed insieme avremmo potuto fare tutto.

Il fatto che Travis se ne sia andato così e venirlo a scoprire d’improvviso è così ingiusto. Mi ha salvato sin dall’inizio, offrendo a me e alla mia famiglia rifugio al suo bar, e poi così tante altre volte e anche così semplici: dalla fame, alla sete. C’è sempre stato per me ed era diventato il mio secondo padre quando il mio se n’era andato davanti ai miei occhi. Avrei voluto essere lì io per lui per una volta, avrei voluto guardarlo negli occhi per ringraziarlo con tutto il mio cuore, abbracciarlo forte, dargli un addio dignitoso, aiutarlo come lui ha sempre fatto con me e con tutti quelli che incrociavano il suo cammino.

Non se lo meritava. Non si meritava nulla di ciò che ha dovuto affrontare, partendo da quella piaga di Jordan. Era il leader perfetto: empatico, forte, ragionevole e in grado di ascoltare ogni voce al suo fianco, dalla più piccola alla più grande.

E anche lui si è dovuto aggiungere alla lunga lista di persone che continueranno a vivere dentro di me.

E adesso ho paura che questo succeda a tutti gli altri.

«Dovresti andare a letto.» Elyse continua a darmi la schiena e guardare fuori dalla finestra, scrollando le spalle con nonchalance. Me la immagino alzare gli occhi al cielo.

«Sì, e tu dovresti preoccuparti un po’ di meno, ma nessuno dei due farà nessuna delle due cose» ribatte, facendo schioccare la lingua. 

«Come posso anche solo provarci?» Sto buttando fuori tutta la mia rabbia e frustrazione su di lei, anche se non ha niente a che fare con tutto ciò che è successo nelle ultime settimane. «Non so se la mia famiglia o i miei amici sono ancora vivi, dannazione, non so nemmeno dove siano! Tu sei malata, Kayla decide sempre di fare di testa sua giocando a fare l’eroina e Margaret! Margaret è rimasta senza amici della sua età, non so nemmeno come faccia a rimanere sana in tutta questa merda!»

«Adesso ti senti meglio?» mi chiede accondiscendente, mostrandomi il suo viso per la prima volta in un’ora, caratterizzato da un sopracciglio alzato, incrociando le braccia al petto.

«Cosa-?!» Alzo le braccia in aria, facendole ricadere ai miei lati pochi istanti dopo, prendendo un bel respiro profondo e sedendomi a peso morto sulla sedia. «… non lo so, forse.»

«Felice di aiutare» dice, facendomi l’occhiolino e ritornando di nuovo a guardare fuori dalla finestra.

Sento bussare alla porta e l’unica persona che potrebbe farlo è Kayla. Infatti, non appena mi avvicino alla porta per aprire, la sento inveire contro se stessa dall’altra parte e subito dopo un rumore sordo. 

Me la ritrovo davanti con gli occhi chiusi in un'espressione infastidita, lo zaino che le cade sul gomito destro, fradicia da testa a piedi e che emana un orribile odore, rispetto a quello interno vanigliato e fresco delle candele che si mescola all’odore di chiuso ed umidità.

Non faccio in tempo ad aprire bocca per chiederle cosa le sia successo che mi sorpassa, lanciando a terra il suo zaino - fradicio anche quello -, tira fuori un’altra cassetta di pronto soccorso, la appoggia sul tavolo e la apre con violenza.

«Posso chiederti cosa ti è successo?» le chiedo cauto, aspettandomi una sua sfuriata da un momento all’altro.

«Hai deciso di ammalarti anche tu!» sghignazza Elyse, sfociando in una risata fin troppo concitata. «Esperienza pessima, non la consiglierei-»

«Almeno è servito a qualcosa» dice dura Kayla tra sé e sé, ignorando sia me che Elyse. Mi lancia un tubetto che faccio appena in tempo a prendere, prima di finirmi tra gli occhi. «Tu dovresti essere a letto.» Kayla lancia un’occhiataccia sia alla ragazza seduta davanti alla finestra, sia a me che me ne sto in piedi come un palo senza capirci molto.

«Rilassati! Sto perfettamen-» Elyse prova ad alzarsi dalla sedia, ricadendoci sopra istanti dopo. Mi ero già lanciato verso di lei per prenderla.

«Mi dici cosa è successo o ti devo pregare in ginocchio?» domando stizzito a Kayla, il cui sguardo sembra indurirsi tanto quanto il suo stesso corpo.

«Sono salita su un’altra barca, il mio peso l’ha fatta sbilanciare, andando dritta sul fiume. La corda si è rotta. Mi sono dovuta buttare dentro per tornare a riva.»

«Beh, dovresti cambiarti adesso-»

«Oh, e volete sapere perchè questo cazzo di buco sembra una città fantasma? Perchè tutti i Morti sono finiti dentro al fiume! Quindi, non avvicinatevi al fiume per nessun cazzo di motivo!» sbotta, infuriata con l’intero universo, poi la vedo prendere di soppiatto qualcosa dalla cassetta di pronto soccorso sul tavolo e dirigersi in bagno a grandi falcate.

Aggrotto le sopracciglia, passandomi una mano frustrato sul viso. Prendo Elyse di peso, ignorando le sue proteste e la metto a letto nella stanza dove Margaret stava leggendo e da dove stava per uscire, dicendo che ci aveva sentiti discutere. La avviso che Kayla è tornata e le chiedo di rimanere per qualche minuto con Elyse, pregando quest’ultima di almeno provare a chiudere gli occhi per il suo dannato bene. Poi busso alla porta del bagno con delicatezza, aspettando che Kayla mi dia il permesso di entrare dall’altra parte.

«No» ribatte secca, anche se sento il suo tono di voce vacillare.

«Se non sei nuda, entro» la avviso risoluto, aspettando solo qualche minuto in una sua qualsiasi risposta che, ovviamente, non arriva. Allora apro la porta centimetro per centimetro, vedendola poi davanti allo specchio con ancora addosso i vestiti fradici.

Ha le mani sul lavandino e sta gocciolando sangue. «Fammi vedere.»

Mi lancia un’occhiata truce, togliendo bruscamente le mani dalla mia vista, facendo cadere due gocce cremisi sul pavimento azzurro. «Và via, Calum.»

Sul lavabo ha appoggiato un rotolo di garza e la sua bottiglia d’acqua che sta ormai terminando. Mi avvicino ancora a lei, guardandola in modo inquisitorio. Non sono qui per farle la paternale sui pericoli che ci sono o che debba stare più attenta: lei lo sa già e sa meglio di me cosa va e cosa non va fatto né rischiato là fuori, soprattutto quando si è da soli. Due anni per proprio conto sono terrificanti, ma devono averle insegnato più di quanto io possa soltanto immaginare. Voglio solo capire come si sono svolte le cose.

«Siamo tornati di nuovo a questo punto?» le chiedo, cominciando ad innervosirmi per il suo continuo chiudersi in se stessa, nonostante le abbia ormai mostrato più e più volte che sono sempre al suo lato pronto ad offrirle una spalla su cui piangere. 

Distoglie lo sguardo, riportandolo alla sua mano ferita e ricoprendolo dal primo strato di benda, arrotolandolo lentamente e con cautela al palmo e al dorso, non senza qualche smorfia che le balena sul viso per sparire immediatamente. Lei e il suo dannato orgoglio. Forse non si ricorda che l’ho assistita durante uno dei momenti più dolorosi della sua vita.

«È solo un graffio,» mormora, scuotendo la testa, «ho preso male una roccia, tutto qui» dice, ma la vedo deglutire nervosamente e chiudere gli occhi.

«Kayla» la richiamo sfinito. So che non mi sta dicendo tutto.

Seguono minuti di silenzio: finisce di bendarsi la mano e poi appoggia il palmo sano al lavandino, chinando la testa e il corpo. Scorgo delle gocce trasparenti toccare il lavabo e mescolarsi a quelle di sangue.

«In quei brevi istanti nel fiume in cui mi sono accorta che se non avessi fatto qualcosa sarei morta, ho pensato solo per un attimo di lasciarmi affogare, così avrei potuto rivederla un’ultima volta.» Alza il viso verso il soffitto, le lacrime che le scendono copiose dagli occhi e le braccia che le tremano dall’emozione. 

La sua rivelazione mi arriva come una pugnalata dritta al cuore. So che stava ancora soffrendo per la morte di Ebony, ma credevo che fosse riuscita a metabolizzarla meglio, o almeno mi sembrava così. Stava solo cercando di convincere se stessa che fosse così. E poi, io stesso non sarei stato in grado di accettare la sua di morte, non dopo tutto quello che ha fatto per noi, per me, e non dopo ciò che c'è stato tra noi. Mi avvicino a lei, stringendola forte tra le mie braccia mentre continua a singhiozzare e a lasciar uscire parte del dolore che prova dentro di sè.

«Andrà m-»

«Cazzate! Tu non hai idea cosa significhi perderli tutti quanti due volte!» Si divincola dall’abbraccio, accusandomi con un dito puntato verso il mio petto. «La prima volta credevo fosse devastante, non sapevo cosa mi aspettasse dopo!»

Apro la bocca per ribattere, ma la richiudo istanti dopo; ha ragione, io non ho idea di cosa stia passando e le mie parole sarebbero tutto fuorchè di conforto. Quindi sto zitto, permettendole di sfogarsi: alcune volte si vorrebbe solo avere qualcuno che ascolta.

Si sfrega le mani sul viso con frustrazione con il corpo ancora tremante. Prende qualche respiro tra i singhiozzi ravvicinati, provando a calmarsi anche se le lacrime non danno segno di volersi fermare. Allora si siede sulla tavola del water, abbracciando con le braccia il suo stesso corpo.

«Affrontare la perdita dei miei genitori era una cosa- è stato straziante, ma in qualche modo l’ho accettata. Ma affrontare la sua… non so se riuscirò a farcela.»

Il fatto che mi stia rivelando i suoi pensieri e le sue preoccupazioni più intime mi fa stringere il cuore. La morte di Ebony non solo l’ha sconvolta ad un livello molto più profondo, ma l’ha completamente spezzata. Come non farlo, del resto? Il loro legame profondo è stato visibile fin dal primo momento: è come se una parte della sua coscienza avesse deciso di abbandonarla improvvisamente. Mi sentirei perso anche io.

La preoccupazione e la disperazione che sto provando da quando Elyse ha detto che si sono dovuti separare per l’attacco improvviso dei Vaganti mi sta lacerando ogni giorno di più. Sono terrorizzato dall’idea di non rivederli più e il senso di colpa si sta insinuando dentro di me con ogni istante che passa, mentre continuo a ripensare alle diverse scelte che avrei potuto fare nel passato per cambiare il mio e il loro futuro. La risposta è impossibile, sicuramente un paradosso e non riesco a pentirmi del fatto di essere rimasto a prendermi cura di Kayla. 

Il fatto di non riuscire ad accettare l’idea che possano essere tutti morti è la cosa che fa andare avanti: la speranza che io possa trovarli di nuovo, proprio come Kayla ritrovò Ebony. Quante possibilità c’erano che riuscissero ad incontrarsi di nuovo? Pari a zero. Invece, le mie probabilità si alzano corrisposte dal fatto che noi ci stiamo cercando a vicenda.

«Voglio ringraziarti,» inizio, schiarendomi la voce, «per aver rischiato la vita per una causa che non ti riguarda.»

«Mi riguarda, eccome. Ho provato tante volte a rimanere distante, ma il risultato non mi ha portato da nessuna parte.» Alza lo sguardo su di me. «Mi hanno salvato la vita più di una volta, a partire da Wayne su quel tetto. Sono- siete brave persone; farei il secondo errore più grosso della mia vita a non aiutarvi.»

Le prendo la mano sana, stringendola nella mia e facendole un cenno di gratitudine nella sua direzione e rimaniamo così per qualche minuto, in completo silenzio, attingendo l’uno dalla forza dell’altra.

Cavolo, mi mancano terribilmente. Dal passare ogni giorno assieme a loro a non sapere nemmeno se sono ancora vivi e se stanno bene mi fa dolere il cuore. Con Wayne e Blaine ho condiviso praticamente ogni istante della mia vita da quando è iniziata l’Apocalisse: da quando ho visto Wayne il primo giorno al bar e mi ba accolto subito con un sorriso caloroso, a quando Blaine mi ha insegnato a sparare le bottiglie vuote del bar di Travis con proiettili di gomma.

Lasciare alle spalle Lynton è stato comunque doloroso: nonostante non sia morto terribilmente - grazie al cielo -, non l’avremmo più rivisto. Lui e la sua testa piena di idee geniali e di sogni irrealizzati ma ai quali non ha mai smesso di credere. Pensavo fosse un pazzo, un sognatore illuso ed ingenuo; in realtà è sempre stato il suo modo di affrontare la realtà ed andare avanti e ha funzionato.

«Dovresti sparare un altro razzo.» Kayla lascia andare la mia mano e si alza dal water, raccogliendo bende e bottiglia, ormai vuota, dal lavandino. «Siamo anche più in alto; c’è più possibilità che lo vedano adesso.»

«Sì… sì, hai ragione.» Mi schiarisco la voce un paio di volte, lanciandole un’ultima occhiata prima di uscire dal bagno per lasciarle i suoi spazi, anche sento subito la porta riaprirsi alle mie spalle.

«Dai la mia razione a Margaret» dice con sguardo afflitto, sapendo ormai troppo bene che se non troviamo cibo nelle prossime ore, moriremo di stenti. «Domani esco la mattina presto, ho solo bisogno di qualche goccio d’acqua.»

«Certo» le rispondo, sospirando rumorosamente. Non so cos’altro dirle. 

Torno in salotto con le spalle curve e prendo la pistola lanciarazzi. Apro la finestra e premo il grilletto, rimanendo poi a guardare il modo in cui raggiunge il cielo, lasciando dietro di sè una scia, quasi fosse una stella cadente e poi esplode in aria come fuochi d’artificio.

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