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Autore: Marti Lestrange    31/07/2020    9 recensioni
Quando la tranquillità della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts viene spezzata da una misteriosa sparizione, l’Auror del Dipartimento Investigativo Teddy Lupin è mandato sul posto a cercare risposte. Ma, mentre l’uomo insegue la verità, le domande aumentano. Lo sfuggente gruppetto capeggiato da Albus Potter e Scorpius Malfoy nasconde qualcosa, un segreto celato tra amici e cugini, e in cui anche l’irreprensibile James Potter è rimasto invischiato. Chi crollerà per primo? Chi finirà per cedere sotto il peso della verità?
[ dal testo: ❝ La notte in cui successe era una notte strana. Su Hogwarts e i suoi prati era sceso il buio, quel buio fitto e pregno di spettri delle notti d’inverno, cariche di presagi e nuvole ammassate come mostri in cieli di piombo e carbone. ❞ ]
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Teddy Lupin | Coppie: Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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A farlo apposta non ci sarei riuscita.
Proprio oggi, 31 luglio, pubblico questo capitolo di “Death in the Night”,
e be’, chi leggerà, capirà:
buon compleanno, Harry Potter, e grazie di tutto ♥︎

 


 

PARTE TERZA

 

10.

CAPITOLO DIECI

 

 

Quel giorno su Hogwarts splendeva un bel sole, cosa rara a fine gennaio, e che aveva radicalmente cambiato l’umore degli studenti intenti a prepararsi per il fine settimana. Una gita al villaggio di Hogsmeade era sempre ben accolta, anche se si sarebbe dovuta svolgere in mezzo ad una tormenta o una tempesta di pioggia e vento, non c’era condizione atmosferica capace di fermare i ragazzi. Era però certo, e assolutamente comprovato, che svegliarsi col sole era il giusto presupposto per una giornata eccezionale. 

Albus Potter si svegliò malamente, ma quando realizzò che avrebbe passato un’intera giornata con Cassandra Zabini, ad Hogsmeade, solo loro due, il suo umore migliorò in modo drastico. Indossò un paio di jeans e una felpa e afferrò il giubbotto pesante, pronto per scendere a colazione. 

«Che fai, rimani a letto?» esclamò rivolto a Scorpius, ancora avvolto nelle coperte, il ciuffo di capelli biondi che spuntava da sotto il cuscino.

Il suo amico bofonchiò leggermente e si girò a guardarlo, gli occhi socchiusi e cisposi di sonno. «Mh, cosa ci fai già sveglio, tu?»

«Il mattino ha l’argento in bocca, amico mio.»

«L’oro, Al. L’oro in bocca.»

«Sai che non sopporto quando mi chiami Al.»

«Sì, certo», rispose Scorpius girandosi dall’altra parte e facendogli un gestaccio. 

«Io scendo, ci vediamo in giro.»

Scorpius non lo degnò di una risposta e così Albus uscì dal dormitorio, diretto in Sala Grande. Non trovò Cassandra seduta al tavolo di Serpeverde e immaginò che fosse ancora nel suo dormitorio, e in generale c’era pochissima gente, seduta ai quattro lunghi tavoli delle case, forse perché era sabato e, nonostante la gita ad Hogsmeade, nessuno aveva voglia di alzarsi troppo presto. 

Avvicinandosi al suo tavolo, Albus notò però sua cugina Rose. Sedeva da sola, discosta da quei pochi Serpeverde che erano già scesi, e girò subito la testa nella sua direzione quando lo vide entrare. Gli fece cenno di avvicinarsi e Albus la raggiunse.

«Rose? Che ci fai già qui?»

«Potrei farti la stessa domanda, cugino.»

Albus scrollò le spalle.

«Non riuscivo a dormire e ho preferito scendere e aspettare qui Scorpius.»

«Potresti dover aspettare un bel po’, temo», disse lui servendosi di alcune fette di pane tostato croccante. «Mi ha appena mandato a quel paese e si è girato dall’altra parte. Avete fatto tardi, ieri sera, eh?»

Rose alzò gli occhi al cielo e Albus vide per un momento sua zia Hermione. «Non più del solito. E poi non sono affari tuoi.»

Albus ghignò addentando poi il suo toast spalmato di burro.

Rose posò la tazza di tè sul tavolo e gli si fece più vicina. Lui le lanciò un’occhiata in tralice. 

«Ce l’hai ancora?»

Albus la guardò negli occhi e lei gli restituì l’occhiata. 

«Non preoccuparti, non la troveranno.»

«Dove…?»

«È meglio che lo sappia solo io, Rose, credimi.»

«James ha dato di matto con Teddy, lo sapevi?»

Albus girò di scatto la testa, lasciando cadere il toast.

«Che ha fatto?»

«Lunedì scorso… Pensavo lo sapessi… Pensavo che Lily te lo avesse detto…»

«No, sono stato impegnato con lo studio, e Lily neanche l’ho vista… Te l’ha detto lei?»

E così, Rose gli raccontò ciò che Lily aveva sentito, e la sua successiva discussione con James, che poi aveva raccontato alla cugina.

«Non ha pensato di venire da me?»

Rose lo guardò con occhi accusatori. «Quando mai tu e Lily parlate?»

«Perché, voi due sì?»

«Si dà il caso di sì, parliamo, come due persone normali. Me l’ha detto solo ieri, non sa che fare perché James non le parla.»

Albus si grattò il mento, pensieroso.

«Chi è che non parla con chi?»

Sussultarono entrambi sulla panca e si voltarono. Cassandra Zabini era in piedi dietro di loro, le mani in tasca, e sorrideva. Il cuore di Albus fece un balzo fin in gola. 

«Cass», la salutò.

«Ciao, Cass», esclamò Rose, sorridendole. L’espressione turbata era scomparsa dal suo volto. 

«Come stai, Rose?»

«Non c’è male, grazie. Voi due siete pronti per Hogsmeade, giusto?»

Albus le lanciò un’occhiata interrogativa. «Scorpius», disse solo lei a mo’ di spiegazione.

«Se Albus ha finito di fare colazione, sì», rispose Cassandra sorridendogli. 

«Sì, certo, ma tu non mangi?»

«Ah, sì, prendo un toast al volo», e così dicendo si chinò sul piatto di Albus e i suoi capelli gli sfiorarono la spalla. Profumavano di buono. Afferrò il toast che Albus aveva lasciato cadere poco prima e lo addentò con disinvoltura, sotto lo sguardo furbo di Rose, che si godeva lo spettacolo. Avrebbe sicuramente raccontato tutto a Scorpius. Dannata Rose. 

Gli cacciò una pedata da sotto il tavolo e Albus sobbalzò. Si alzò in piedi e si scrollò di dosso le briciole. 

«Parlerò io con James», disse solo alla cugina.

Lei annuì. «D’accordo. Dovresti parlare anche con Lily.»

«Una cosa per volta, okay?»

Rose gli sorrise. «Divertitevi, voi due.»

«Grazie, Rosie», rispose Cassandra sorridendole con calore.

Albus bofonchiò un saluto e lui e Cassandra si incamminarono. Giunti nella Sala d’Ingresso, trovarono il vecchio Gazza davanti al portone di quercia, con la solita cartellina dove spulciava i nomi degli studenti autorizzati a lasciare il castello. Albus e Cassandra attesero con pazienza dietro un gruppetto di vocianti ed eccitatissimi Tarrorosso del secondo anno. Albus ebbe modo di lanciare qualche occhiata a Cassandra, intabarrata in un cappotto nero. Notò che aveva messo il lucida-labbra. Deglutì: era bella oltre ogni dire.

«Potter, vogliamo stare qui a guardarci tutto il giorno?» gracchiò Gazza, e lui tornò alla realtà. Fece qualche passo avanti mentre il custode cercava il nome suo e di Cassandra sul foglio. Li spuntò e poi tornò a guardarli male. Più che altro, guardava male lui

«Ti tengo d’occhio, Potter», sputò. 

«… sì, sì, certo, da prima che nascessi», concluse Albus alzando gli occhi al cielo e seguendo Cassandra fuori, nel sole. Sentì Gazza imprecare e bofonchiare tra sé e sé, ma non ci bado più: aveva davanti a sé un’intera giornata con la ragazza che gli piaceva, pensò che niente e nessuno avrebbe potuto rovinargliela. 

 

 

«Mangiamo qualcosa per pranzo?» chiese Albus.

«Tu hai sempre fame, Potter?» rise Cassandra.

Avevano passato la mattinata in giro per il villaggio ed ora erano carichi di borse e sacchetti di tutti gli acquisti che avevano fatto. Si erano fermati da Scrivenshaft, dove entrambi avevano fatto scorta di piume nuove e Cassandra aveva acquistato un nuovo quaderno rilegato in pelle che gli aveva raccontato di usare come una specie di diario («Ci sono anche io, nel tuo diario, Zabini?», gli aveva chiesto lui. Lei gli aveva sorriso, enigmatica come sempre. «Forse», aveva risposto dandogli la schiena per andare a pagare, e Albus aveva sentito lo stomaco fare le capriole); da lì, avevano fatto tappa ai Tiri Vispi Weasley1, dove Cassandra aveva sopportato con pazienza che lui facesse la spesa dei soliti scherzi (Caccabombe, Detonatori Abbindolanti, Orecchie Oblunghe) e si aggiornasse sulle ultime novità proposte dal negozio di scherzi più famoso della Gran Bretagna (suo zio Ron, alto e ben piazzato, lo aveva salutato strizzandolo in un abbraccio stritolante, e sussurrandogli sottovoce di fare buon uso della merce acquistata, prima di rimettergli in mano i soldi e tornare a servire altri clienti, tra le sonore proteste di Albus). La mattinata era trascorsa in un baleno e dovevano ancora andare da Mielandia. 

«Prendiamoci qualcosa da mangiare al volo ai Tre Manici di Scopa, possiamo mangiarlo fuori, che ne dici?» propose Cassandra, che aveva indossato un paio di occhialoni da sole scuri per proteggersi dai raggi solari di quella giornata invernale stranamente tiepida.

E così comprarono due sandwich con pollo e maionese e due bottiglie di Burrobirra (Albus aveva insistito per pagare tutto lui, nonostante Cassandra avesse protestato a gran voce) e mangiarono seduti fuori dal locale, su una panchina di legno, al sole. Si sbottonarono i cappotti e allentarono i giri delle sciarpe e mangiarono di gusto, affamati dopo i giri di quella mattina. 

«È simpatico, tuo zio», disse Cassandra girandosi verso di lui e incrociando le gambe sulla panchina.

«È un mito, zio Ron», asserì Albus inghiottendo un boccone del suo panino. «Ha fatto l’Auror, per un po’, ma poi si è accorto che non faceva per lui e ha raggiunto zio George al negozio, è grazie a lui se sono riusciti ad espandersi qui a Hogsmeade e a rilevare Zonko1

Era bello parlare con Cassandra. Lei lo stava ad ascoltare e sembrava sempre trovare interessantissimo ciò che lui aveva da raccontarle, era paziente e gli faceva domande intelligenti, ma, più di tutto, lui riusciva a non sentirsi giudicato, e costantemente sotto esame, quand’era con lei. E anche Cassandra sembrava riuscire a parlare con lui senza filtri, chiacchierava a ruota libera di tutto un po’, dalla scuola alle lezioni, dalle sue amiche e compagne al suo ruolo di Prefetto, dal campionato di Quidditch (che amava seguire, era una tifosa accanita, e non perdeva un incontro del campionato scolastico) al Club di Dibattito2 di cui era presidentessa («Un giorno diventerò Ministro della Magia, proprio come tua zia Hermione», aveva asserito, seria e sicura di sé, e Albus non aveva dubbi che ci sarebbe riuscita). L’unica cosa che non nominava mai era la sua famiglia. Citava spesso suo fratello Roland e i due sembravano andare molto d’accordo, ma non parlava spesso dei suoi genitori, e Albus pensava anche di sapere perché: Blaise Zabini e Alhena Lestrange non erano propriamente da considerarsi parte integrante dell’élite magica, avevano appoggiato Lord Voldemort durante la II Guerra Magica (e le loro famiglie erano dalla sua parte anche durante la I Guerra) e avevano pagato il fio del loro silenzio in termini di esclusione sociale e perdita di prestigio, e ormai si facevano vedere poco in giro, vivevano di rendita nella loro magione e Cassandra e Roland portavano il peso di un cognome ingombrante e un’eredità oscura. Albus non le faceva domande, ben lungi dal voler rivangare ricordi dolorosi. Si era più volte chiesto come sarebbe potuto apparire, al mondo, il loro rapporto: un Potter e una Zabini, insieme, magari addirittura come una coppia. Era quasi sicuro che la sua, di famiglia, dopo aver accettato la sua amicizia con un Malfoy (e aver accolto quest’ultimo alla Tana come fidanzato di Rose), non avrebbe sollevato obiezioni all’idea. Avrebbe voluto chiedere a Cassandra, ma non voleva dare nulla per scontato e darle l’idea di metterle pressione con progetti folli e scenari ipotetici che poi magari non si sarebbero mai realizzati.

«Magari un giorno me lo farai conoscere meglio, allora», disse Cassandra. «Lui e qualcun altro…», aggiunse visto che Albus la guardava stranito, riemergendo in modo brusco dalle sue fantasticherie, che lo vedevano protagonista, seduto sul divano di casa, davanti a Harry e Ginny, a raccontare loro che voleva sposare Cassandra Zabini. 

Aveva presentato Cassandra allo zio Ron come una sua compagna di classe, ovviamente, e Ron gli aveva stretto la spalle e fatto l’occhiolino. Ormai l’uomo ci era abituato, da quando aveva raccomandato a sua figlia Rose di battere Scorpius Malfoy in tutti i campi possibili e immaginabili e poi, qualche anno dopo, quella stessa figlia gli aveva detto che ci usciva, con Malfoy. Era stato un brutto colpo, per lui, all’inizio, anche se non avrebbe mai detto e fatto nulla per deludere e ferire la sua Rosie, ma aveva finito per voler bene a Scorpius, ché nessuno avrebbe mai potuto fare altrimenti.

«Sì, magari», rispose solo lui sorridendole, mentre entrambi continuavano a mangiare i loro sandwich. 

 

 

«…la vuoi finire di importunare la barista?»

Roger voltò la testa e ghignò. Teddy gli si avvicinò e gli assestò una pacca ben calibrata - voleva fargli male e voleva che se lo ricordasse nelle ore successive - sulla spalla. Il suo amico sobbalzò sullo sgabello e lo spintonò leggermente.

Prudence alzò gli occhi al cielo e agitò la bacchetta all’indirizzo di alcuni bicchieri di Burrobirra, e questi cominciarono ad auto-lavarsi con spugna e sapone. A Teddy sembrò di sentirla borbottare una cosa come «uomini», e non in tono particolarmente lusinghiero.

«Sono un cliente come gli altri», rispose Roger sollevando il suo bicchiere e agitandoglielo sotto il naso. 

«Sì, sì, continua a ripetertelo», sghignazzò Teddy. «Prudence, mi siedo e aspetto una persona, se non ti dispiace.»

«Affatto, Teddy, vuoi qualcosa mentre aspetti?» rispose lei sorridendogli. 

«Una Burrobirra, dài, giusto per scaldarmi.»

«Te la porto subito.»

«A che ora arriva?» gli chiese Roger.

«A momenti, credo», rispose Teddy arruffandosi i capelli già perennemente spettinati - quel giorno erano di un legger color rosa pallido. 

Il suo partner annuì e gli indicò la sala alle sue spalle. «Conviene che ti siedi, allora.»

«Ci vediamo a cena?»

«Forse. Ma potrei avere da fare, dopo», aggiunse alzando le sopracciglia e ghignando di nuovo.

«Uff, tieniti i tuoi misteri, Stranamore», replicò Teddy agitando una mano e andando a cercare un posto a sedere un po’ tranquillo e appartato. Scoprì che non ce n’era rimasto neanche uno, ahimè, e sedette ad un tavolo centrale.

Era da una settimana che Roger si comportava in modo strano, quasi come un bambino che non volesse farsi beccare con le mani nel barattolo dei Calderotti. Usciva a orari strani, talvolta anche dopo la mezzanotte, Teddy lo udiva scalpicciare dalla sua stanza, anche se l’altro faceva di tutto per non farsi sentire, ma aveva la grazia di un Erumpent, quando ci si metteva; passava più tempo del dovuto ai Tre Manici di Scopa, e Teddy sperava che non lo trascorresse tutto a bere Firewhisky o un giorno o l’altro sarebbe finito a gambe all’aria; rientrava a casa o al castello con i capelli arruffati (e Roger non aveva mai i capelli arruffati e in disordine) e il viso arrossato e gli occhi luccicanti.

«Ecco qui.» Prudence interruppe i suoi rimuginìi e gli posò davanti il suo bicchiere di Burrobirra. 

«…Prudence», si ritrovò a richiamarla.

Lei si girò a metà strada e tornò sui suoi passi. 

«Roger», iniziò lui, «che cos’ha? Lo vedo strano…»

Il viso di Prudence si aprì in un sorrisetto. Da quando in qua Prudence King faceva sorrisetti? 

«Non saprei…» rispose lei piegando le labbra e sollevando le sopracciglia. «Dovresti chiederlo a lui, forse?»

Teddy annuì. «Forse hai ragione.»

Lei si strinse nelle spalle, ma continuò a sorridere a quel modo, anche quando tornò dietro il bancone, e anche quando lanciò un’occhiata a Roger. 

Teddy sbarrò gli occhi. Come aveva fatto ad essere così stupido? Come? Se ci fosse stata Victoire lo avrebbe preso in giro «perché è il tuo collega, ed è un amico, amore, come diavolo hai fatto a non capire che è successo qualcosa con Prudence?» Era successo qualcosa con Prudence, ecco cosa. Ecco il perché dei misteri, dei sotterfugi, dell’aria svagata… Ora si spiegava tutto. Be’, doveva ammettere che la cosa si era protratta davvero per le lunghe, era ora che quei due si muovessero. 

Un brusio indistinto lo fece riscuotere e capì subito cos’era successo. Harry Potter aveva appena varcato l’ingresso del locale. Erano passati anni - tanti anni - dal 1998, ma il suo padrino sapeva ancora come far girare le teste e sciogliere le lingue, quando entrava in un posto, anche se si trattava dei Tre Manici di Scopa. Si chiese come facesse a sopportarlo, ma il suo sorriso aperto e benevolo quando lo intravide lì seduto gli fece capire che non se ne curava. Non più, almeno. 

Teddy alzò una mano a mo’ di saluto ed Harry intercettò Prudence, molto probabilmente per farsi portare qualcosa da bere, e poi lo raggiunse. 

«Ciao, Teddy», salutò. 

«Harry», rispose lui alzandosi in piedi. 

Si abbracciarono strettamente e Harry gli diede due pacche paterne sulla schiena, per poi sfilarsi il mantello e prendere posto di fronte a lui. 

«Aspetti da tanto?»

«No, affatto, e poi ho ingannato bene l’attesa», e sollevò il suo bicchiere. 

Harry ridacchiò. Il tempo sembrava essersi come fermato, per il suo padrino: aveva qualche capello grigio qua e là («che lo rendevano solo più interessante», come amava dire sempre Dominique) nella chioma scura, qualche ruga d’espressione intorno agli occhi e alla bocca, e una nuova montatura, ma per il resto, era sempre l’Harry Potter della sua infanzia. 

«Intanto che aspettiamo da bere», iniziò quindi l’uomo, «come stai, tu?»

Teddy scrollò le spalle. «Non c’è male. Victoire è stata qui, lo scorso fine-settimana. Mi ha fatto una sorpresa.»

Harry annuì e sorrise. «Lo so. In realtà lo sapevamo tutti», aggiunse davanti allo stupore di Teddy. «In settimana è venuta a cena alla Tana, l’ha invitata Molly. Molly di Percy», specificò. Ormai Molly era solo nonna Molly, mentre Molly di Percy era Molly II. Troppe Molly, pensava sempre Teddy. «Si festeggiava il compleanno di Molly di Percy, appunto, e Molly ha pensato di organizzare qualcosa alla Tana, sai, solo tra noi…»

Teddy annuì. «Ho inviato un gufo di auguri a Molly, mi è dispiaciuto non esserci…»

«E quindi in pratica Molly di Percy ha invitato Victoire, come ti dicevo, e lei non era sicura di esserci, perché forse era di turno, e sai com’è fatta, ma alla fine si è liberata ed è arrivata all’ultimo minuto ma è arrivata. E ci ha raccontato della sorpresa.»

Ovviamente, Victoire gli aveva raccontato tutto (tranne che tutti sapessero del suo diabolico piano), ma Teddy lasciò parlare Harry, gli piaceva starlo ad ascoltare - proprio come quando era un bambino. 

«Insomma, vi siete fatti beffe di me, ho capito.»

Harry rise, mentre Prudence arrivava a portargli un bicchiere di Burrobirra. Harry ringraziò e la donna scivolò via. Roger era sparito, e Teddy si chiese se avesse visto Harry entrare, ma probabilmente no. Meglio così, o lo avrebbe preso in ostaggio. 

«È stato divertente, sì, lo ammetto.»

Entrambi risero e bevvero dai loro bicchieri. 

«Invece tu come stai? Ginny tutto bene?»

«Tutto benissimo, ti manda i suoi saluti, tra l’altro…»

«Ah, già, scusati con lei per averti rapito proprio durante il fine-settimana.»

«Non preoccuparti, te l’ho chiesto io, no? E poi aveva da lavorare ad un articolo, e quando sono uscito si era chiusa nello studio a scrivere come una forsennata. Non sentirà la mia mancanza.»

«Il lavoro? Come va in ufficio?»

Harry alzò gli occhi al cielo. «Stiamo gestendo una piccola crisi interna che spero non giunga alle orecchie della stampa. Per ora non è successo, altrimenti la cara, vecchia Rita non avrebbe perso occasione per buttarcisi.»

«C’è un inizio di crisi diplomatica con il Ministero francese riguardo un incidente con alcuni Kappa3 avvenuto nel Canale della Manica», spiegò Harry abbassando la voce e chinandosi verso di lui. 

«Che ci fanno i Kappa nel Canale della Manica?» soffiò Teddy.

«Questo lo stiamo appurando, secondo l’Ufficio per la Regolazione e il Controllo delle Creature Magiche sono stati importati illegalmente dal Giappone», rispose l’altro. «Sta di fatto che il mago assalito è francese, e i francesi sostengono che la responsabilità sia nostra, quando dovrebbero sapere benissimo che la Gran Bretagna non è tra i paesi firmatari della Convenzione sulle Acque Oceaniche4 - che rende i singoli paesi perseguibili per incidenti o reati commessi in mare - quindi di conseguenza la responsabilità ricade sulla Confederazione Internazionale dei Maghi, non su di noi. È un casino, lo so, ma dura lex, sed lex5.»  

Teddy annuì. «Sì, io credo che anche la Gran Bretagna dovrebbe adeguarsi alla Convenzione, ma hai ragione, la legge è la legge, anche quando è confusa.»

«Sai bene quanto Hermione e io ci stiamo battendo per firmare la Convenzione e abrogare invece il Decreto sulla Regolamentazione delle Acque Oceaniche6 del 1589 da… be’… da sempre, ma alcuni, tra i quali Eva Chapman, fanno una strenua opposizione. Non c’è verso di schiodarli.»

«Credo che quella donna sia peggio di uno Schiopodo in culo», commentò Teddy alzando gli occhi al cielo e bevendo un sorso di Burrobirra.

Harry rise. «Duro ma giusto.»

«Quindi state facendo straordinari, eh?»

«Eh, sì, tuo zio Perce sta facendo i salti mortali per far arrivare qui i rappresentanti del Ministero francese, e Kingsley7 da Ginevra continua a mandare gufi, dice di risolvere questa faccenda o sarà costretto a intervenire con la Confederazione, come prevederebbe il Decreto. Be’, Hermione è andata fin là, e ha incontrato il Ministro Mathieu8, il meeting è durato qualcosa come dieci ore. Si dovranno incontrare di nuovo a Londra, spero per prendere una decisione definitiva, questa volta.»

«E in ufficio le cose non vanno certo meglio, la Chapman cerca di attaccare briga, quando può, e l’altro giorno per poco non ha litigato con Hermione durante l’ultima seduta, insomma, un inferno. Stiamo facendo di tutto per tenere il Profeta all’oscuro».

«Strano che non sia ancora andata a spifferare tutto alla Skeeter…»

«Ah, credo che non manchi molto, ahimè.»

Teddy annuì. Conosceva il suo superiore, se c’era qualcosa che Eva Chapman potesse fare per screditare e mettere in cattiva luce Harry Potter ed Hermione Granger, allora era sicuro che l’avrebbe fatta. 

«Ho saputo che avete avuto da discutere, qualche giorno fa, tu e Rita.»

«Sì, si è sfogata con un bell’articolo contro di me, credo che per un po’ se ne starà tranquilla.»

«E il caso? Come procede?»

Eccoci qui, pensò Teddy. Eccoci arrivati al vero motivo di quell’incontro. Non che dubitasse delle buone intenzioni del suo padrino sull’informarsi su di lui, e su come stesse, e nel raccontargli i suoi problemi, però era sicuro che sarebbero arrivati a parlare del caso, nonostante Teddy avesse sperato fino all’ultimo che Harry non lo tirasse fuori. Speranze vane.

«Procede e non procede», rispose lui, intenzionato a mantenersi sul vago come aveva stabilito insieme a Roger. E così gli raccontò brevemente cos’avevano scoperto in seguito al rapporto della Magi-Autopsia, ai loro sospetti in merito ad un ipotetico studente del Settimo Anno come unico possibile responsabile di una Trasfigurazione Umana, e del clima che si respirava nel villaggio e nel castello. 

«I coniugi Jenkins sono stati al Ministero», disse Harry sistemandosi gli occhiali sul naso.

«Al Ministero?» esclamò Teddy. «A fare che cosa?»

«Sono stati a parlare con la Chapman», spiegò Harry. «Ero indeciso se dirtelo o meno, non vorrei complicare le cose…»

«Perché io e Roger non ne siamo stati informati?»

«Credo che neanche Hestia lo sappia. Qualcuno ha informato me, ma in via del tutto confidenziale. Sto cercando di capire cosa si siano detti, lunedì andrò a parlare con l’assistente di Eva. Voglio andare al fondo di questa faccenda e capire come mai Hestia non ne sia stata informata, visto che voi vi state occupando del caso.»

«Vorrei saperlo anche io, sì», borbottò Teddy. La situazione si stava complicando, se i genitori avevano ripreso a fare pressioni sul Ministero… Non ci voleva. 

«I miei figli come stanno? Non li sento tanto quanto vorrei, e oggi in realtà non sanno neanche che sarei venuto, tecnicamente è una sorpresa…»

«Stanno bene, stanno bene», rispose Teddy bofonchiando e finendo di trangugiare la sua Burrobirra. Evitò gli occhi di Harry. «Sono sicuro che sarà una bella sorpresa, per loro.»

«Sì, è strano che non li abbia già visti», commentò consultando l’orologio che portava al polso, lo stesso orologio che Teddy lo vedeva indossare praticamente da sempre, e che appariva più usato e vecchio che mai. Poi si girò per guardarsi intorno nel locale, e Teddy notò Roger che lo salutava, appollaiato sul suo sgabello. Harry ricambiò e poi tornò a guardare Teddy.

«Tornando un attimo ai ragazzi, mi farebbe piacere se li tenessi d’occhio, Teddy», disse. «James e Albus non hanno più scritto a casa, con Albus ci siamo abituati, ma Jamie mi preoccupa. Solo Lily ci fa stare tranquilli.»

Teddy annuì e si sentì male all’idea di continuare a mentirgli. «Li terrò d’occhio, non devi preoccuparti.»

 

 

«Dài, entriamo a bere qualcosa», propose Cassandra davanti ai Tre Manici di Scopa.

Avevano passato la prima parte del pomeriggio da Mielandia: era pienissimo di gente e ci avevano messo una vita per guardare tutto - comprese le novità - e per scegliere cosa comprare, e avevano fatto una coda paurosa. Ne erano riemersi solo dopo due ore, accaldati ma felici, con i sacchetti pieni di dolci. Ne avevano mangiato qualcuno lungo la strada, ridendo, e commentando le facce di Pucey e Rosier, fermi in coda poco dietro di loro, intenti a guardare in modo cattivo i ragazzini più piccoli, con il risultato che sembravano entrambi preda di un forte mal di pancia. 

Albus acconsentì con entusiasmo alla proposta di Cassandra e cominciò a gustarsi una Burrobirra ancora prima di entrare. Quella giornata si stava rivelando magnifica e desiderò di trascorrere con Cass ancora tante altre giornate come quella. Si fermò sulla porta, la mano destra sulla maniglia, mentre il caldo all’interno del locale lo investiva in piena faccia. Il brusio era altissimo, come sempre durante i fine settimana, e i tavoli erano quasi tutti pieni. Proprio lì, seduto quasi al centro della sala, c’era l’ultima persona che avrebbe desiderato incontrare, in quel momento, e in quei giorni: suo padre. Il mantello poggiato sullo schienale della sedia, parlava fittamente con Teddy Lupin, sedutogli di fronte, chinati l’uno verso l’altro come a non voler farsi sentire dagli altri avventori. Albus si sentì mancare la terra sotto i piedi. Lo stomaco gli si accartocciò, il cuore prese a martellargli nelle tempie e nel petto, forte e potente come mille tamburi, e la vista gli si annebbiò. Teddy aveva convocato Harry per parlargli del caso, per parlargli dei suoi sospetti, per parlargli di loro. Di lui. Proprio lui, che fino a pochi giorni prima aveva conservato la bacchetta di Jenkins nel suo baule ai piedi del letto, e che quella stessa bacchetta l’aveva nascosta in profondità in una stanza affollata di altri oggetti, solo perché nessuno potesse ritrovarla - potesse trovarla in suo possesso; proprio lui che aveva odiato Jenkins, e quindi era forse il primo dell’elenco “sospettati” dell’Auror Lupin; proprio lui che era sempre così scostante, e distaccato, e intriso di rabbia e oscurità. Proprio lui che era sempre così dubbio.

Si sentì mancare l’aria, oltre che la terra, mentre sentiva Cassandra che gli metteva una mano sul braccio e, con voce ovattata, faceva il suo nome. Girò sui tacchi quasi incespicando, lasciando la porta aperta, allontanandosi da lì, da quel posto, da suo padre. Voleva solo correre via, lontano. Lasciò cadere le borse, senza neanche badarci. Si passò una mano sul viso e prese a camminare a passo sostenuto lungo la via, ma ben presto si mise a correre. La gente intorno a lui era solo una macchia sfocata e indistinta, mentre i volti che incrociava avevano un che di grottesco, quasi animalesco, e facevano il suo nome, lo spintonavano, gli tiravano i vestiti. Si ritrovò non sapeva neanche come al limitare del villaggio, e da lì si vedeva la Stamberga Strillante e il Platano Picchiatore. Si appoggiò ad uno steccato di legno umido, nascondendo il viso tra le braccia, cercando di regolarizzare il respiro. 

Gli era venuto un altro attacco di panico, ma questa volta non c’era il pavimento freddo del bagno del suo dormitorio ad accoglierlo, c’era solo la nuda e cruda terra invernale. Rialzò la testa e cercò di inspirare l’aria fresca che ora gli sferzava il viso, ma senza risultato: sentiva la gola restringersi sempre di più, e il cuore non accennava a rallentare, e gli tremavano le mani. 

«Albus!»

Si girò, e forse con un po’ troppa foga, perché gli girò immediatamente la testa. Cassandra gli si stava avvicinando, carica di buste, il viso scomposto dalla paura e dalla preoccupazione. 

«Va’ via, Cass», mugugnò lui dandole le spalle e riappoggiandosi con le braccia alla staccionata.

«Albus?» insistette lei. Poggiò a terra le borse e gli si affiancò, cercando di guardarlo in faccia, ma lui non voleva che lei lo vedesse così - vulnerabile, disorientato, spezzato. «Albus, che cos’hai?»

«Non ho niente, ti ho detto di andartene.» Voleva solo che lei lo lasciasse solo, ed era pronto a ferirla solo per vederla dargli le spalle e allontanarsi da lui - solo per leggere la delusione sul suo volto, ché era bravo solo a fare quello, a deludere, deludere, deludere

«Smettila di dire cazzate, non me ne vado», replicò lei con voce ferma. «Tu non stai bene.»

Allungò una mano a toccargli il braccio e lì Albus si sentì crollare, dall’interno e all’esterno. Sentì il viso incresparsi come quando era bambino e piangeva perché Hugo gli aveva rubato qualche giocattolo e lui lo voleva solo per sé. Si lasciò scivolare lungo la staccionata, scompostamente, facendosi male alla schiena, ma in quel momento non gli importava, non gli interessava di farsi male, anzi, forse provare dolore era la prova che gli serviva per capire che era ancora vivo. 

«Albus.» Ora nella voce di Cassandra c’era un vivo allarme, una paura sussurrata, una preoccupazione che la spinse ad accovacciarsi accanto a lui sull’erba e a stringergli il braccio, di nuovo e ancora, forse per capire se era ancora intatto o se si sarebbe disintegrato lì di fronte a lei. «Albus», ripetè, teneramente, la voce bassa e lieve. «Cosa c’è? Cos’è successo?»

Allungò una mano a toccargli i capelli e scese sulla fronte sudata, in un gesto talmente intimo e tenero che Albus credette di potersi spezzare già solo per quello. Nessuno lo aveva mai più accarezzato così, mentre lui continuava a singhiozzare e a cercare di respirare, il petto scosso. Non era mai stato così male come quel giorno. 

«Non…» cominciò, la voce roca. «Non posso…»

«Non puoi dirmelo?»

Scosse la testa. Lei continuava ad accarezzargli la fronte. 

«Tu non puoi… Non posso coinvolgerti…»

Si passò una mano sul viso e sentì le pulsazioni accelerare nuovamente. Cazzo

«Albus, hei», disse quindi Cassandra mettendosi in ginocchio di fronte a lui e cercando i suoi occhi. «Albus, guardami.»

Lui alzò a fatica la testa. Voleva guardarla ma allo stesso tempo non voleva guardarla, ché gli faceva bene e male insieme, come un dolce veleno, lento e mortifero ma bello. 

«Non puoi dirmelo, non importa», continuò. «Voglio solo che tu stia bene, okay? Okay

Lui scosse nuovamente la testa. Non era okay, non stava bene per niente, e niente sarebbe andato apposto, non più. È tutta colpa tua, Albus. È solo colpa tua, ricordatelo. Era tutta colpa sua. 

Non la vide avvicinarsi, perché aveva di nuovo chiuso gli occhi, come a voler scacciare via il mondo intorno. La sentì solo quando lei poggiò le labbra sulle sue, prima premendo con lievità, quasi a non volergli fare del male, e poi cercandolo con ferma intenzione. Si staccarono, e Albus si sentì accaldato e ancora più confuso, ma nello sguardo di Cassandra non c’era confusione, solo fermezza. 

«Voglio solo che tu sia bene», ripetè lei con dolcezza. 

Albus l’attirò a sé e fu lui a cercare le sue labbra, questa volta. Le cercò disperatamente, con foga e urgenza, ché costituivano per lui l’unica àncora di salvezza in quel mare in tempesta. E continuarono a baciarsi ancora, e ancora, allacciando le membra e regolarizzando i respiri, là dove tutto era crollato - ma, in qualche modo, Cassandra lo aveva ricostruito.

 


 

Note:

1. Tiri Vispi Weasley: facendo riferimento alla mezza intenzione di Fred e George di espandersi a Hogsmeade rilevando Zonko, ho pensato che George fosse riuscito nell’intento di aprire una seconda sede dei Tiri Vispi grazie all’aiuto di Ron. 
2. Club di Dibattito: ovviamente è una mia invenzione. 
3. Kappa: “I kappa sono creature acquatiche diffuse in Giappone, anche se Severus Piton afferma che sono più comuni in Mongolia. Hanno l'aspetto di scimmie ricoperte di squame, e abitano stagni e fiumi. Sulla sommità delle loro teste vi è una depressione che le creature riempiono d'acqua, fonte delle loro energie. Si nutrono di sangue umano e per ottenerlo non si fanno scrupoli a strangolare le ignare vittime che attraversano le loro zone” [fonte: wikipedia].
4. Convenzione sulle Acque Oceaniche: di mia invenzione. 
5. Dura lex, sed lex: “La legge è dura, ma è la legge”.
6. Decreto sulla Regolamentazione delle Acque Oceaniche: di mia invenzione.
7. Kingsley: è ovviamente Kingsley Shacklebolt; dopo aver rinunciato alla carica di Ministro, non sappiamo quale sia la sua sorte, e ho quindi pensato di metterlo a capo della Confederazione Internazionale dei Maghi come Supremo Pezzo Grosso; ho collocato la sede della Confederazione a Ginevra.
8. Ministro Mathieu: personaggio di mia invenzione; il cognome rimanda a (Emmanuel) Macron, Presidente della Repubblica francese.

 

Eccoci arrivati al primo capitolo a due cifre, all’inizio della terza (e penso ultima) parte di questa storia; la bomba è quasi scoppiata e, da qui, assisteremo ad un progressivo, e sempre più veloce, tracollo per i nostri ragazzi, infatti il nostro Albus si gode una mezza giornata di relax e gioia in compagnia di Cassandra, ma crolla quando vede suo padre Harry (ancora buon compleanno, Harry!), seduto ai Tre Manici di Scopa con Teddy, e mille paure lo assalgono; meno male che c’è Cassandra a consolarlo e a cercare di farlo stare meglio; spero che la parte con Harry vi sia piaciuta, mi sono divertita ad inserire un Harry adulto nella mia storia, e soprattutto a farlo  interagire con Teddy. Per chi volesse approfondire i trascorsi tra Roger e Prudence, vi lascio qui il link ad Azzurro nell’azzurro che ho scritto su di loro.

 

Tenetevi forte perché nel prossimo capitolo torneremo al Ministero per una toccata e fuga (non voglio dirvi altro), qualcuno abbasserà finalmente le difese (chissà se indovinate di chi sto parlando) e, nel finale, scoppierà un’altra bomba, e sarà proprio bella grossa 👀 

 

Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando, sono sempre curiosa di leggere le vostre teorie e di sapere cosa pensate dei personaggi e delle varie dinamiche!

 

Alla prossima settimana, Marti

   
 
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