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Autore: Manto    01/08/2020    2 recensioni
❤ Terza classificata al contest “Favole di Oggi” indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP
(Nella mia mente doveva essere una Ranpoe più esplicita, ma gli elementi ci sono tutti.)
In una notte silente, un incidente sconvolge Yokohama e porta alla luce un doloroso segreto: le ombre iniziano ad addensarsi su una strada che conduce fino all'America e la morte sorride ancora, senza sapere di essere inseguita dall'unica persona che possa ridare speranza agli abbandonati.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akiko Yosano, Doppo Kunikida, Edgar Allan Poe, Ranpo Edogawa, Yukichi Fukuzawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II ♦ … L’Anima Mia Perché Non Si Smarrisse

 

 

Richmond, Virginia.
Villa degli Allan.

 

Quella casa era sempre uguale: vuota, solitaria e in qualche modo lontana dal resto della realtà, come congelata nel momento in cui le aveva dato le spalle per unirsi alla Gilda. Da una parte, non poteva che ringraziare la sua immobilità — gli regalava un accenno di menzogna, e se avesse potuto lui se la sarebbe presa intera; dall’altra, ogni istante che passava lo rendeva consapevole del perché tra quelle pareti si fosse sempre sentito un estraneo, un irrisolvibile mistero con un cuore che chiedeva affetto.
Il fatto che gli Allan non lo avessero mai visto e trattato come un altro figlio — solamente più sfortunato e ombroso —, le continue discussioni con i fratelli adottivi e il silenzio raramente spezzato erano mere conseguenze della colpa che era la sua vera eredità, il marchio impresso con le proprie azioni.
Ma la villa aveva avuto anche malinconia di lui, o non lo avrebbe riaccolto: invece ogni pietra che la componeva aveva cercato lo sguardo del giovane per poi riaprirgli le braccia, mentre John Allan, dal piano superiore della medesima struttura, non aveva fatto altro che osservarlo avanzare sul viale d’accesso, troppo distante per guardarlo davvero. Nei due giorni che aveva già passato lì non era comparso davanti a lui nemmeno per sbaglio; Poe era re e fantasma in un regno di penombra e assenza, dove niente che fosse esterno alla villa resisteva per molto.
Il muoversi irrequieto di Karl e il suo saltare in braccio all’amico per osservarne il volto o fargli il solletico erano l’unico mutamento che coinvolgeva l’ambiente, una pallida rimanenza dei giorni di sole durati troppo a lungo per non far male.
Ma era quello il suo posto: la solitudine, la lontananza, l’impossibilità di uscire dal labirinto di pensieri e perdonarsi. Per tanto, tantissimo tempo l’oblio di quanto aveva fatto lo aveva allontanato dalla responsabilità, ma alla fine la verità era ritornata a galla; e non rimanevano che pochi istanti da passare nella casa dov’era cresciuto solo ma protetto, un ultimo attimo di respiro e una preparazione al dopo, prima che John lo mettesse alla porta e il suo futuro divenisse puro vuoto.
Non avrebbe implorato l’uomo, ma accettato ogni sua decisione: aveva già avuto molto senza averne diritto, non era così che vivevano i mostri.
Che cosa poteva aspettarsi? Aveva compiuto un crimine e questi non era ancora stato espiato, non poteva pretendere di dimenticare di nuovo: la sua ombra gridava, lei che riposava sotto la fredda terra faceva lo stesso, e dopo aver corso a lungo era arrivato il momento di raggiungere la meta finale, lasciando andare tutto il resto.
Solamente una domanda attendeva risposta: dove lei fosse sepolta per causa sua, dove si trovasse quella che sarebbe divenuta l’ultima casa.
Dopo di questo, ciò che la vita e la morte avrebbero deciso.
«Perdonami, Karl: a John sei sempre piaciuto, quindi di certo acconsentirà a tenerti con sé. Non puoi venire con me, non lo posso permettere… ma tu te la caverai.»
In risposta, il procione gli morse un dito e saltò a terra; poi gli si riavvicinò e si appoggiò contro il fianco, guardandolo come se gli rimproverasse ogni parola.
Donandogli un triste sorriso, Edgar prese in braccio il caro amico e affondò il viso nel suo pelo, per poi rannicchiarsi sul pavimento dell’andito e chiudere gli occhi. Presto le stelle sarebbero giunte a fargli da coperta e compagnia, e dopo qualche settimana la luna sarebbe cresciuta nuovamente; forse sarebbe riuscito a vederla, con niente sopra di sé se non il cielo, e a salutare anche lei.

Un addio, già… molti non li hai neppure detti. Continua a non pensare a chi hai lasciato indietro, non cedere: ormai non ha più senso.
Era tutto come sei anni prima, quando a causa di un fallimento il mondo era crollato e poi risorto su nuove basi; ma a differenza di allora, non sarebbe giunta quella forza che gli aveva consentito di superare il buio — a differenza di allora, si era ritirato dalla realtà per proteggere, non per proteggersi. Nessuna energia, nessun spirito di rivalsa: contro chi si doveva battere? Le colpe andavano accettate e purificate, non ci si opponeva a esse; si seguivano fino a quando queste non ne avrebbero avuto abbastanza.
Era già stato un errore ritornare alla villa e credere di potervi trovare un estremo alito di pace: ma quello sarebbe stato l’ultimo, e poi…
… E poi, finalmente avrebbe reso giustizia, ristabilendo l’equilibrio che aveva spezzato anni prima.
In quello stesso attimo, il placido pomeriggio aveva già disperso molte delle sue energie, e il vento che giunse si prese tutte quelle che rimanevano.
Alle orecchie di Poe giunse il suono di un lieve respiro, come se per un secondo qualcuno gli fosse stato accanto; ma niente e nessuno incontrò il suo sguardo grigio[1] quando sollevò le palpebre, passando da un fantasma all’altro.
Tutt’intorno s’inseguivano suoni smorzati, echi e richiami più frequenti di quelli che aveva udito nelle ore precedenti; forse John Allan stava venendo a chiarire le cose, forse voleva dargli solamente uno sguardo di pena prima di condensare la loro disconnessione in poche frasi, forse…
I rumori divennero più nitidi e si rivelarono passi veloci e leggeri, molto diversi da quelli dell’uomo; Edgar alzò appena il capo per capire che cosa stesse accadendo, e dopo alcuni momenti la porta d’ingresso venne scossa da un sonoro bussare.
Il ragazzo rimase immobile, senza rispondere, e dall’esterno provenne una voce squillante che gli fece correre un brivido lungo tutta la schiena. «Mi aspettavo che andasse così… chiedo permesso ai signori ed entro!»
L’uscio si spalancò dietro all’eco di tali parole, inondando tutta la villa di aria fresca.
«… Non pensavo tu fossi in grado di ridurti così. Cos’è tutto questo buio? Dico, come fai anche solo a pensare di respirare, chiuso qua dentro?»
Poe si portò una mano davanti agli occhi, colpito in pieno dal sole ruggente che aveva riempito l’andito. A qualche passo al di qua della soglia, ritto in mezzo alla luce, si ergeva una figura smilza che avanzava fino a lui. «Te la stai passando veramente male, e per cosa? Prova ad alzarti, avanti, lo so che sei più forte di così.»
Il giovane si mise in ginocchio appena prima che una mano gli si avvicinasse per allontanargli i capelli dal viso, ritraendosi come scottato quando dita altrui gli toccarono la fronte. «Le tue occhiaie sono ancora più scure! Se non riesci a dormire bene nell’oscurità, prova a utilizzare una luce artificiale[2]. Con me funziona!»
Edgar prese un grosso respiro. Ogni parte del suo corpo tremava, lo percepiva, e non poteva farci niente. «Ra… Ranpo-kun», sussurrò agli occhi che lo osservavano con una nota di disappunto.
«E chi, se no? Almeno mi hai riconosciuto, anche se faccio fatica a fare lo stesso con te… Oh, ciao Karl, stai bene? Lo so, il tuo padrone ha fatto una sciocchezza ed eccoci qui, ma un modo per fargliela pagare si trova…»
«Ranpo-kun…»
«Per esempio potremmo prenderlo per i capelli e trascinarlo per la città fino a quando non si decide a camminare con le proprie gambe e ci chiede scusa, e…»
«Hey.»
«Pensa se gli portiamo via tutti i suoi preziosi volumi e lo lasciamo gridare un po’ mentre minacciamo di bruciarli, quindi…»
«Dimmi perché sei qui.»
Edogawa smise di interessarsi a Karl e si voltò verso l’amico, guardandolo con gli occhi sbarrati per la sorpresa. «Mi pare ovvio: sono venuto per riportarti in Giappone, a casa. Sei diventato stupido, forse?»

Lo vorrei; forse le cose andrebbero meglio. «Ti ringrazio per lo sforzo e mi dispiace, ma non tornerò in Giappone. Ora lascia la villa, per favore; non saresti dovuto nemmeno entrare.»
«Da quando usi questo tono verso gli altri? Andiamo nel parco, il sole ti farà bene.»
«Io non vado da nessuna parte; sei tu quello che se ne andrà.» La voce di Poe si faceva più agitata a mano a mano che i secondi passavano, così come lo sguardo di Ranpo si assottigliava e acquistava vivida luce. «Non hai pensato nemmeno per un istante che potessi venire da te? Davvero?», disse questi dopo un pesante silenzio.
Edgar abbassò il capo. Per qualche attimo ci aveva pensato, lo aveva sperato e quasi sentito; ma… ma ormai può bastare. Quel tempo è finito.
«Sei pallido.»
«Ti prego, vattene.»
Senza rispondere né ubbidire, Edogawa si avvicinò di più, e a quel punto Poe balzò in piedi. Karl gli saltò sulle spalle mentre retrocedeva, gli occhi stravolti da una paura che poteva sfociare in pazzia, mentre la testa si popolava di troppi pensieri e voci.

Che cosa vuole fare?
Non sperare più.
Devi pagare.
Devi chiedere scusa.
Mandalo via.
Non puoi permetterti di cedere.
Non…

«Non scappare più.»
«Lasciami solo!»
Ranpo avanzò verso di lui.
«Stammi lontano, Ranpo-kun
Nessuno lo ascoltò.
«Ho detto di… di… LASCIARMI SOLO! TUTTI QUANTI, ANDATEVENE VIA!» Prendendosi la testa tra le mani, Poe crollò in ginocchio sul pavimento e chiuse gli occhi con tale forza da non essere più sicuro di poterli riaprire. Il mondo tacque, dalle persone a ciò che udiva nella mente, e solamente allora gli parve di poter riprendere a respirare. Quando ritrovò la forza di sollevare le palpebre, Ranpo gli era seduto davanti ma a una distanza tale da permettergli di ascoltare senza opprimerlo, in attesa.
Tutto, nel detective, era silenzio: non era il suo turno per parlare. Gli stava dando la possibilità di liberare i tremiti che si erano presi la veglia e il sonno, e anche se niente sarebbe cambiato perché il passato non poteva disfarsi come i desideri avrebbero voluto, il giovane era venuto per ascoltare — era così, no?
«Mi devi una risposta», lo incitò poi Ranpo, «è da ore che l’attendo. Mi hai lasciato davanti a un palazzo in fiamme, sei scappato senza nemmeno salutarmi; per quanto sia arrabbiato, potrei perdonarti… al prezzo di una storia. Ci siamo solamente noi, io e te, e ciò che ti tormenta.»
Arrendendosi, Edgar si sedette a propria volta e sospirò. Con sua sorpresa, iniziare a raccontare non fu così difficile. «Lo so che sai già ogni cosa che dirò, quindi mi chiedo perché tu voglia ascoltarmi. Conosci il motivo per cui l’incendio che ci ha quasi ucciso mi ha spaventato talmente tanto da lasciare Yokohama: ha risvegliato una realtà che mi porto dentro da tempo.» Una breve pausa. «Quando abitavo qui la vedevo sempre: chiamala ombra, sensazione o come vuoi, ma quella era sempre presente, in tutto ciò che mi circondava. Rimaneva tacita negli sguardi degli Allan o scivolava in qualche discorso che sfuggiva a tavola, si addormentava nel mio letto per svegliarsi insieme a me, s’intrufolava dietro ai mobili e tra i quadri per corrermi davanti quando il vento faceva danzare il fuoco dei camini e io vedevo qualcosa, in esso, che non riuscivo a trattenere — è per il tuo bene, sussurrava.
Quando iniziai a scrivere e la mia abilità si manifestò, quella presenza cambiò mondo per infilarsi nei primi racconti che creai: storie dove membri di una famiglia svaniscono, persone care non ritornano più ed è tutta colpa di chi è loro vicino, rimorsi e accuse che hanno radici antiche, discese nell’animo di un inconsapevole criminale… lavori che ho sempre considerato come primi passi di uno scrittore che sa esprimere le proprie capacità solo costruendo misteri e rompicapi, ma senza vedervi la verità che declamavano con disperazione. La definii una sensibilità anormale, un diverso modo di leggere la realtà e cercarla; ed era unicamente cecità.
Intanto, il silenzio degli Allan continuava a tenermi lontano dal mio passato, gli scontri tra noi non scalfivano la superficie sotto il quale esso riposava: probabilmente questo era il loro modo di volermi bene.
La mia vita avrebbe potuto svolgersi così per sempre, inconsapevole e ignara di cosa portasse nelle radici; ma l’incendio a Yokohama ha messo a nudo ogni singolo atto della tragedia che ho portato sulla mia famiglia naturale.
Non ricordo nemmeno quanti anni avessi in quel momento, ma ero tanto piccolo da non trattenere molti ricordi; eppure ciò che accadde in quelle ore… ecco, ora lo vedo bene davanti a me.» Un secondo silenzio; il ragazzo strinse appena i denti e Ranpo rimase immobile, senza forzare né le parole né la tenebra che le accompagnava.
«Era una notte così tranquilla da sembrare irreale: i miei — nostri — genitori erano ancora intenti a discutere faccende da adulti, mentre io, mio fratello e mia sorella ci eravamo rintanati nel loro letto, a contare le stelle e leggerci qualcosa a vicenda mentre attendevamo il sonno. Io fui l’ultimo a prendere in mano il libro che avevamo scelto; e mentre la mia voce inseguiva le lettere, il tempo iniziò a correre più veloce, così che neanche mi accorsi che gli altri dormivano da parecchi minuti.
Lessi per forse due ore, incantato e desideroso di non fermarmi; ma anche per me c’era in attesa la pace, che calò improvvisa e prima che ebbi il tempo di sistemarmi.
Successe questo: mi addormentai di colpo e con ancora il lume stretto tra le dita. Sì, a causa di un piccolo guasto elettrico era ormai da una settimana che al piano superiore non andava più alcuna luce e dovevamo orientarci nel buio con delle candele.
Papà ci aveva raccomandato di non portarle nel letto con noi, ma quella volta disubbidii per poter leggere più chiaramente… e ciò scatenò quanto accadde dopo.
Il lume, infatti, seguì il mio corpo e si rovesciò: la fiamma non ci mise che pochi attimi a scivolare su lenzuola e coperte, iniziando a crearci una trappola mortale.
Fu nostra madre a scoprire il disastro, allarmata dal fumo che invadeva la stanza e fuggiva nel corridoio: le sue urla penetrarono l’incoscienza fino a farmi svegliare e comprendere con orrore che il letto stava andando a fuoco.
Mio fratello fu lesto a buttarsi a terra e a lasciare la stanza; la mia sorellina, invece… lei non si mosse. Prima che mamma mi gridasse di correre fuori, la vidi sollevare quel corpicino da bambola e scuoterlo, ripetendo il nome della sua bambina come una nenia.
Nostro padre mi prese in braccio mentre ero impietrito a fissare l’immobilità di Rosalie, mi salvò coprendomi il viso e portandomi fuori dalla casa: le fiamme avevano raggiunto anche il piano inferiore e rosseggiavano attraverso le imposte delle finestre, la via era tutta in allarme.
Un buio caritatevole calò su di me, impedendomi di vedere e sentire oltre; ma la colpa si era ormai impressa nel cuore, così che quando mi riebbi sentii la mia stessa voce chiamare Rosalie. Ero in una macchina che non riconobbi insieme al resto della famiglia; o quasi, perché di mia sorella non c’era traccia.
Quando chiesi dove fosse, mamma abbassò lo sguardo per fissarmi e contrasse la bocca in una smorfia di dolore. Non parlare più di lei, ordinò, per nessuna ragione. È andata.
Dato che persi nuovamente conoscenza, il resto mi venne riferito dagli Allan: il mattino dopo tali eventi, nello studio di John giunse una chiamata anonima che lo informava della presenza di un bambino nelle vecchie scuderie della villa.
Lui le raggiunse e trovò me: ero avvolto in una coperta con appuntata sopra una lettera da parte dei nostri genitori, i quali pregavano il loro amico di prendermi in casa sua e dicevano di avermi abbandonato a causa di un “incidente che nessuno deve sapere”.
Come biasimare la loro azione? Rosalie era morta per colpa mia, avevo rischiato di mandare anche il resto della famiglia nella tomba e la nostra casa era bruciata completamente; mamma e papà erano rimasti senza mezzi e non potevano più occuparsi di noi, era normale che mi avessero lasciato indietro — pur implorando gli Allan di prendersi cura di me.
Dopo tali eventi e passati altri due giorni, mi risvegliai in quella che per anni sarebbe stata la mia camera; ero affamato, triste e incapace di ricordare cosa fosse successo tre notti prima. Il dolore e il rimorso si erano talmente espansi che la lucidità, per salvarmi, aveva imprigionato l’incidente, il fuoco e il corpo di mia sorella lontano dalla coscienza, lasciandoli echeggiare solamente in idee passeggere e invenzioni letterarie.
Gli Allan, che pur dovettero venire a conoscenza di quanto successo, mi spiegarono che da quel momento avrei vissuto con loro per via della povertà dei nostri genitori, che li aveva costretti ad abbandonarci presso famiglie in grado di poterci dare un futuro; io accettai la mia sorte e loro non mi chiesero mai nulla dei Poe, né osai farlo io.
Come ho detto, se non fosse stato per l’incendio di Yokohama forse sarei arrivato fino alla morte senza conoscere il mio segreto; ora che ne sono consapevole, però, non riesco a sottrarmi al senso di colpa, a pensare che se solamente avessi dato retta a nostro padre e fatto attenzione con quel lume, Rosalie sarebbe ancora in vita e io avrei vissuto… diversamente. Il pensiero di ciò che ho fatto non mi lascia in pace, so che non riuscirei a resistere per molto con tale peso; la morte avrebbe dovuto prendere me, dovevo essere io a pagare per il mio errore.
La più innocente tra noi ha avuto la sorte peggiore: nessun altro può darle giustizia, se non il colpevole stesso… anche se questi ha paura e non vorrebbe che finisse così.»
Edgar tacque, esausto: aveva espresso il suo tormento e dato voce al caos che si agitava nell’anima, la storia poteva definirsi conclusa. Che cosa doveva aggiungere, quando nemmeno lui sapeva ciò che sarebbe accaduto da lì in poi?
Serioso, Ranpo annuì. «Sì, è così.»
L’altro rispose a sua volta con un assenso. «Sono un mostro, sì… la morte conosce già il mio nome.»
Edogawa guardò l’amico per un altro attimo, poi abbassò il capo come se stesse pensando; quindi accennò un sorriso che via via si allargò nel volto.
«Ranpo-kun…?», lo chiamò Poe, fissandolo, ma l’amico si espresse prima di lui. «Non hai capito nulla, Poe-kun: non ti stavo dando ragione, ma parlando a me stesso.

Ero sicuro che tu credessi a questa versione della storia.»
Edgar si sporse verso il detective, confuso. «Che cosa… che cosa stai dicendo?»
Balzando in piedi, Ranpo iniziò a stirarsi le braccia senza perdere il sorriso. «Aaaaah! È un bel pavimento, sì, ma preferisco il parco! Però questa è casa tua — di John Allan, scusa. Beh, finché non ti caccia definitivamente è anche tua —, quindi mi adatto all’altrui volere. Non credo che il tuo padre adottivo si sia preoccupato di renderti la permanenza piacevole, così evito di chiederti dove siano le cucine… e, da bravo ospite, ti dono io qualcosa.»
Poe non seppe come rispondere allo sguardo smeraldino che luccicava poco lontano da sé, quindi attese.
Da parte sua, Edogawa iniziò a girovagare per l’andito e a curiosare tra quello che presentava, per poi iniziare: «Questa villa è quasi bella quanto quella che ti sei fatto costruire a Yokohama, e che io preferisco: là c’è ancora più spazio e tanta luce, è raffinata ed elegante, oltre che silenziosa. Ma anche il silenzio sa parlare, se gli si domanda a modo ti può rivelare tutto ciò che trattiene, e nel tuo caso non ha fatto eccezione, quando gli ho chiesto che cosa fosse successo nell’incendio.
Mi ha detto che nella tua casa ci sono alcuni oggetti che portano il nome di John Allan, ma senza essere seguiti da un Poe; e mi ha fatto capire che porti due cognomi diversi, non uno doppio. Mi ha detto che sei partito per non tornare, perché tra quelle mura non è rimasto niente da cui non ti separeresti mai; e che una persona che teme le grandi altezze ha preso un aereo, perché spinto da una motivazione più forte della paura.
Chiaramente tu sei stato turbato dall’incendio per una causa profonda — qualcosa vissuto durante l’infanzia o la prima giovinezza, per esempio, magari legato a uno dei due cognomi che porti: sono vari i motivi che spingono una persona ad abbandonare un luogo tanto in fretta, ma quelli famigliari sono tra i più importanti.
Quando ho dedotto questo, si è posto il problema di dove tu fossi andato: se a Boston o Richmond, le due città in cui hai dei legami fin da piccolo… e la soluzione è stata raggiungere entrambe e ascoltarle.
La tua casa di Boston mi ha confermato quello che avevo già intuito e tu stesso mi hai raccontato: l’incendio di Yokohama ha fatto riaffiorare il ricordo dell’incidente in cui tu e la tua famiglia avete perso ogni cosa. Ora l’edificio è completamente abbandonato perché la vicenda non gli ha portato di certo fortuna, quindi tutto ciò che il fuoco ha risparmiato è rimasto al suo posto, così come è stato lasciato; ed è per questo che ora ti posso raccontare la vera storia su cosa accadde quella notte.» Piantandosi ben davanti a Poe, Edogawa gli puntò un dito contro con fare teatrale e sorrise di nuovo. «Signorino Poe, stia tranquillo: non la considero uno stupido nonostante la banalità di un mistero che mistero non è mai stato, perché, se lei potesse ritornare alla sua vecchia dimora e avere il coraggio di entrarvi, certamente giungerebbe alle mie stesse conclusioni.
Concorderai con me che dopo aver incendiato il letto dei tuoi genitori, le fiamme avrebbero dovuto allargarsi al resto della camera e, in seguito, all’intera struttura: mi hai detto di aver visto il fuoco attraverso le imposte delle finestre del piano inferiore, e infatti questo risulta devastato… ma né le scale che collegano i due piani, il corridoio a cui giungono e la camera da letto dei bambini, antistante a quella dei coniugi Poe, sono così danneggiate.
Avrebbe dovuto essere il contrario: il piano superiore distrutto e quello inferiore o completamente bruciato anch’esso, o in maniera parziale. Perché, invece, la situazione si mostra così? Perché quella notte fu più movimentata di quanto tu possa immaginare e ci fu una tremenda coincidenza.»
Ranpo fece una piccola pausa, il tempo necessario per frugare nelle tasche dei pantaloni e porgere, infine, un piccolo involto a Poe. «I tuoi genitori erano degli attori, e anche parecchio famosi: a Boston ci sono vari teatri che riportano targhe con i nomi di David Poe Jr. e di sua moglie Elizabeth, e i libri che li citano non sono in numero minore.
Tanta gente se li ricorda ancora, così come parla della loro ultima comparsa sulle scene: una tragedia che aveva smosso gli animi e portato molti alla commozione, infiammando la città per vari giorni, ma che non era stata pensata per attirare minacce o pericoli. Si dice, però, che spesso le doti artistiche e il genio di chi le mostra sappiano anticipare i tempi o penetrare a fondo la realtà e svelare, anche inconsapevolmente, quello che non si dovrebbe: ed ecco che un’innocente battuta o dialogo assume una luce sinistra, uno sguardo o un’intonazione particolare si carica di un significato completamente opposto a quello originario, e a un uomo carico di ombre si ghiaccia il sangue nelle vene per il terrore che improvvisamente tutti sappiano quanto doveva rimanere nascosto.
Nell’ultimo spettacolo, il teatro era gremito delle più alte autorità della città; tra queste vi era una persona del genere, pericolosa e dai mille volti e segreti, potente.
Elizabeth, per pura fatalità, pronunciò una frase davanti a tale figura, guardandola con un sorriso; e mentre il pubblico rumoreggiava d’entusiasmo e si apriva in applausi per la bravura della donna, nell’animo di chi le stava innanzi si scatenava l’inferno. Come aveva fatto, quell’attrice, a sapere? Chi l’aveva informata, chi le aveva detto di esporre la verità all’intera città? E di certo anche suo marito ne era al corrente!
Quindi, nel giro di un attimo i coniugi Poe divennero persone scomode, che dovevano essere eliminate a ogni costo per coprire i segreti di qualcuno più in alto di loro; e quale momento migliore per aggredirle, se non durante la notte?»
Edgar spalancò gli occhi, mentre il fiato gli si mozzava in gola via via che comprendeva dove Ranpo volesse giungere.
«Parliamo un attimo delle finestre del piano inferiore: sono tutte danneggiate e le imposte sono rovinate, di certo il fuoco fece un ottimo lavoro con loro… ma in due casi restarono delle tracce parecchio interessanti: ho trovato frammenti di vetro vicino alla parete opposta alle finestre, come se fossero stati proiettati dall’esterno verso l’interno a causa dell’impatto con qualcosa di pesante. Non conosco i gusti artistici dei tuoi genitori, ma dubito che si tenessero come soprammobile una grossa pietra; è più facile che questa aprì la via, rompendo i vetri e spalancando le imposte, a qualcosa di ben più pericoloso… una bottiglia incendiaria potrebbe essere un’idea, il che porta direttamente a un’altra evidenza: la tua famiglia venne attaccata.
Ecco la coincidenza che ti ha dannato fino a ora: la stessa notte in cui il letto prese fuoco, non tanto tempo dopo qualcuno venne mandato a uccidere i Poe.
Le fiamme che divampavano al piano inferiore non erano le stesse che divoravano la camera dei tuoi genitori, ma le aveva portate una mano molto più spietata.
Già in allarme per quello che avevi causato, i Poe riuscirono a salvare te e gli altri da entrambi i pericoli; una volta abbandonata la casa, però, i problemi non finirono. Ci fu una seconda aggressione, al quale tuo padre rispose; e mentre Elizabeth scappava con i figli, David si macchiò di omicidio.
Nessuno sapeva che la vittima di tale gesto era stata mandata per portare la morte; agli occhi degli ignari testimoni, quindi, tuo padre era impazzito per l’incendio della propria casa e aveva ucciso un innocente. In poco tempo l’uomo si trovò contro due figure: chi voleva la sua testa e la polizia di Boston, entrambe sulle sue tracce.
Dopo essersi riuniti, marito e moglie presero una decisione sofferta: separarsi dai propri bambini affidandoli a delle famiglie che potessero proteggerli, e solamente allora accettare quello che il destino avrebbe scelto per loro.
Ricercati dalla polizia e braccati dagli assassini, i Poe non sapevano da chi dovessero guardarsi le spalle, ma solamente che qualcuno voleva la loro rovina: era allora necessario dividervi e nascondervi fino a quando la situazione non fosse mutata, in un modo o nell’altro. Perciò cambiarono stato e, nel tuo caso, ti portarono dagli Allan, commettendo pure una violazione di domicilio pur di porti sotto la loro protezione.»
«I miei genitori non mi hanno abbandonato per quello che ho causato, dunque, ma per salvarmi», sussurrò Poe appena Ranpo fece una pausa. Rimase un attimo come trasognato, quindi il volto si coprì nuovamente di un’ombra. «Però ciò non cambia il fatto che abbia causato la morte di Rosalie, e—»
«Baam, errore! Grosso sbaglio pensarlo!» Facendo sobbalzare l’amico, Edogawa gli si avvicinò e gli prese di mano l’involto che gli aveva consegnato, aprendolo per lui e mostrandogli ciò che conteneva.
Edgar rimase immobile, quindi dilatò gli occhi nella sorpresa e afferrò l’oggetto con dita tremanti: un elegante fermaglio a forma di rosa, che sul lato interno portava inciso un nome: Rosalie Mackenzie Poe.
«Questo l’ho trovato a Boston, poco oltre la porta della vostra casa: era appoggiato al suolo e spiccava in mezzo alla desolazione come un faro nella notte.
Trovare il numero dei Mackenzie non è stato difficile, né cercare una scusa per chiedere di Rosalie; ha una voce dolce e ride spesso, è piacevole da ascoltare.»
«Ma… ma quindi…»
«Ma quindi devi perdonarti, Poe-kun; smetterla di darti la colpa per qualcosa che non hai fatto e ascoltare l’ultima parte del racconto.
Rosalie non è morta nell’incendio: ci ho parlato per quasi un’ora mentre venivo qui! E mi ha raccontato che cosa successe mentre tu eri incosciente.
Fu la prima a essere affidata, proprio ai Mackenzie; ed ecco perché non era in macchina con voi quando tu ti svegliasti. Anche a lei venne detto di non nominare più i suoi fratelli, di fare come se non fossero mai esistiti: dovevate proteggervi a vicenda ed evitare che chi inseguiva i coniugi Poe arrivasse anche a voi.
Potevate essere prede ed esche perfette, ma con il vostro silenzio e la protezione delle famiglie adottive non sarebbe accaduto nulla. “L’incidente di cui nessuno deve parlare” è l’attacco alla vostra casa, non la morte di Rosalie.» Ranpo emise uno sbuffo, quindi si sedette a terra. «È dura parlare tanto a lungo con lo stomaco vuoto! Anche se è stato sorprendentemente facile risolvere il mistero, mi sento esausto.»
Edgar non rispose subito, ma prima si rigirò tra le mani il fermaglio di Rosalie. «Queste notizie su ciò che accadde davvero quella notte… tutto ciò che mi hai detto… sarei riuscito a scoprirlo anche io, vero?»
«Certo che sì: per molte cose è bastato fare una piccola ricerca in rete, tra giornali e archivi, anche se il grosso del lavoro lo ha fatto Kuniki—»
«Quindi avrei potuto farcela da solo.»
«Ovvio, a patto di risvegliare quei ricordi assopiti. Lo hai detto tu stesso: la mente ha attivato un meccanismo di rimozione per proteggerti dalla follia che il dolore avrebbe causato, e tutto per una colpa che non ha mai visto la luce: il mistero era dentro di te, non fuori.
Sapevo che eri stato accecato da una falsa certezza e che la fatalità aveva voluto unire due eventi che non sarebbero mai dovuti andare insieme, ed ero determinato a mostrare la verità a una persona capace di fronteggiare un palazzo in fiamme per salvare delle vite, donando speranza ad altri e perdendo la propria… e a dirgli che la sua adorata sorellina lo sta attendendo a non tanta distanza da qui, viva e non dentro una fossa.» Edogawa si alzò nuovamente in piedi e andò alla porta, guardò il sole che scendeva verso le cime degli alberi e poi si girò e rivolse all’amico con tono posato. «Pensavi di ucciderti su una tomba vuota, espiare la colpa morendo d’inedia; una fine insensata.
Tu non porti la morte, Poe-kun; tu non distruggi, crei. Qualunque cosa tu faccia, questa dà la vita: alle tue storie, al mondo che ti circonda, a chi t’incontra.  Non dimenticarlo mai, è il tuo vero dono.
Le nostre colpe, i nostri errori non ci devono annientare: è solamente vivendo che ci possiamo redimere, è insieme agli altri che impariamo a perdonarci. Tu vali più di un rimorso, non sei mai stato quella voce che ti chiamava mostro: intelligenza e cuore ti proteggeranno sempre, e se ciò non bastasse…» Un largo sorriso, contenente ogni bellezza, tutto per Edgar. «… hai un amico in me.» Senza dare tempo all’altro di replicare, Ranpo corse fuori. «Da qui in poi tocca a te: alzati e vai a trovare Rosalie, poi cercate insieme la vostra famiglia, intrecciate le vite l’uno con l’altra e recuperate gli anni perduti; per voi nessuna storia buia all’orizzonte… meritate ben altro.»
Silenzioso, discreto, fu solo un bagliore quello che scivolò lungo una guancia di Poe, la cortina dei capelli che impediva di scorgere quante scintille fossero pronte a liberarsi.
«Ah, però non credere che mi dimenticherò del modo in cui te ne sei andato! Non si trattano così i propri rivali! E per questo…»
«Ranpo-san
Edogawa si voltò verso il cancello della villa, stupito; al di là di esso, Kunikida si sbracciava per avere la sua attenzione, visibilmente stremato.
«Oh, Kunikida! Sei qui, finalmente!»
«Dopo essere rimasto due ore in un ingorgo! … Come hai fatto ad arrivare prima di me? Hai preso anche l’autobus sbagliato!»
«Ho convinto il conducente a cambiare percorso e a portarmi qui.»
«Convinto?»
«Sì, minacciando di rivelare a tutti i passeggeri, tra cui la moglie, delle sue tre amanti.»
«Ma… ma non è questo il modo di comportarsi!»
«Non ho fatto del male a nessuno! E poi avevo già perso troppo tempo!»

Mentre la sempre più assurda discussione risuonava ovunque, Edgar si alzò e uscì dalla villa, si avvicinò ai due detective e li superò. Tutto ciò che lo circondava stava riprendendo colore, caricandosi di luce e riflettendola ovunque.
Per un tempo infinito si era tormentato, coscientemente e non, e aveva sofferto, incapace di scappare dalla gabbia del trauma; si era creduto finito, mentre era stato solo vittima di uno spettro. Sembrava destinato a cadere… e invece si stava rialzando ancora, questa volta senza dolore.
Il nero velo dell’annientamento scivolava via da lui mentre un lento tramonto gli scaldava il volto e le lacrime si fermarono ancor prima di cadere, per lasciar spazio unicamente al sorriso. I pensieri si trasformavano, non era più il tempo di trattenersi nei freddi abbracci del vuoto: c’era qualcuno che lo aspettava al di là della paura.
Era questo ciò che lo chiamava; ed era la vita che, legandolo a doppio filo con il soffio della morte, lo aveva cambiato ancora, insegnandogli la dura lezione della solitudine e la sottile arte del perdono — specialmente verso sé stesso.
Ma non era più solo, non così lontano da casa; questa era venuta da lui per prenderlo per mano e risvegliare la sua anima, per scacciare da lei tutti i demoni e condurlo là dove i sogni potevano abitare. La tempesta era passata grazie alla mente più geniale che avesse mai incontrato e alla grande persona che tramite essa proteggeva i tristi e gli abbandonati: da Ranpo aveva imparato ancora una volta, nuovamente il detective gli aveva cambiato l’esistenza in meglio, strappandolo al baratro.
«Grazie, Ranpo-kun», mormorò con tutto sé stesso mentre si fermava sui gradini davanti all’ingresso e chiudeva gli occhi sotto la benedizione del cielo, lasciando che Karl gli abbandonasse la spalla per rannicchiarsi nel suo grembo e trovare la quiete insieme a lui, «per merito tuo, la mezzanotte è ormai lontana… amico mio.»

 

 

 

 

 

C’era pace nel cielo, e così sulla terra.
Era ormai sera quando Edgar raggiunse la casa che sorgeva vicino a un ampio prato ricolmo di fiori e profumi, là dove il viola della volta celeste si fondeva con il verdeggiante mare ai suoi piedi. Il vento correva senza gridare e lo guidava avanti, un altro passo ancora, mentre il cuore aumentava i battiti.
La dimora era completamente illuminata, chi l’abitava era già tra le sue stanze; e come se fosse stata evocata, un’esile figura chiara come un’alba apparve sulla porta a guardare la luna, per poi abbassare il capo.
Lui la vide bloccarsi un attimo, quindi muoversi e avanzare verso la sua direzione, e il ragazzo strinse a sé Karl mentre accelerava il passo e quella iniziava a correre.

Sempre più lontano dal buio.
«Edgar, sei tu… Edgar!»
«Rosalie… Rose! Sorellina!»
La bella Rosalie era più piccola di lui e gli arrivava appena al mento con la testa, tuttavia quasi lo gettò al suolo quando gli saltò tra le braccia.
Edgar la strinse immediatamente a sé con ogni forza che aveva, senza lasciare che nemmeno una stella si frapponesse tra loro, e la udì ridere così come gli aveva detto Ranpo: con dolcezza, con il trasporto che lui ricordava. Ed era tutto così perfetto, delicato, giusto per entrambi.
«Santo cielo… non sei cambiato affatto, neanche in tutti questi anni! Sempre magro e con i capelli troppo lunghi! E che carino il tuo piccolo amico!», disse lei mentre gli riempiva il viso di baci e gli scostava i capelli per ammirargli quegli occhi uguali ai suoi, per poi stringerlo ancora.
«Io… io ti chiedo scusa, Rose», mormorò il ragazzo mentre affondava il volto nella chioma della sorella, «non pensavo che ti avrei mai più rivisto, non in questa vita. Sei sempre stata così vicina a me… e io ero ignaro di tutto.»
«Io invece sapevo che un giorno ti avrei rincontrato», rispose la giovane, «ho lasciato indietro il mio fermaglio apposta. È stato il primo regalo della signora Mackenzie, e quando me lo ha dato mi ha detto: Ti guiderà da loro, bambina… un giorno ti riunirà alla tua famiglia. Mi ha già riportato te… è un ottimo inizio.»
Edgar non disse più nulla; chiuse gli occhi e si lasciò cadere in ginocchio, senza staccarsi da quel corpo tanto chiamato e pianto.
«Ben ritornato, fratellone», mormorò lei mentre si metteva nella stessa posizione del ragazzo e questi le appoggiava la testa sul cuore, «ti stavo aspettando.»
Era la sera; ed era il tempo delle lacrime mai versate, delle preghiere esaudite e promesse mantenute, di curarsi a vicenda e camminare insieme.
«Stai bene, Ed?»
«Sì.» Un sorriso, sul volto l’espressione che racchiudeva la serenità di una vita ritrovata; era la sera, ma, sotto la sorveglianza di due verdi gemme che osservavano tutto con discrezione, il buio non sarebbe calato. «Ora sì.»

 

 

 

 

 

NOTE

 

[1] Più precisamente, la sfumatura sarebbe “lavanda grigia”. Nelle immagini Poe viene presentato spesso con gli occhi grigi, ma al buio questi risultano viola.

 

[2] Nella pagina wikia che tratta il personaggio di Ranpo, viene detto che questi non riesce a dormire se è buio pesto.

 

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

 

Non è stato affatto facile scrivere questa storia, inutile dire il contrario: rendere non dico alla perfezione, ma almeno in maniera coerente al canon due personaggi che amo visceralmente (esatte parole della mia anima gemella: “Penso potresti sederti in poltrona a vedere un’intera serie TV su di loro e non stancarti”) e a cui tengo veramente tanto.
Piccola confessione: la fic è il risultato dell’amarezza nata da varie discussioni in giro per il web, dove si dice che Ranpo non sia capace di provare dei sentimenti e sia solamente un egoista e borioso, e che, con tutto quello che Poe ha fatto per lui, almeno nei confronti di questi dovrebbe mostrare un po’ di riconoscenza.
Personalmente mi trovo molto in disaccordo con tale affermazione: Edogawa può reputarsi il più grande detective del mondo, non mostrare spesso le sue emozioni o farlo solo quando è al limite (come nell’avventura con Yosano all’interno del romanzo di Edgar), ma lui tiene alle persone (anche a chi ha appena incontrato, come Oda) e le salva anche: lo ha fatto con Fukuzawa (nella light novel), con una giovanissima Akiko, con lo stesso Poe quando gli ha confessato tutta la sua ammirazione per l’unica persona tanto valida e intelligente da non dargli facile gioco… e questi sono solo alcuni esempi. Ranpo avrebbe la possibilità di rovinare le vite di tutti scoprendo e rivelando segreti e debolezze, giocando con gli uni e le altre senza ritegno; ma non lo fa, perché il suo grande genio non è mai staccato dal cuore né non sa riconoscere, o dare, gentilezza e speranza.
A mio parere, quindi, se si supera un’analisi tristemente superficiale e incompleta del personaggio e si prosegue con l’opera si vede come questo ragazzo sia un dono per tutti; e riguardo al fatto che Poe sia un tesoro altrettanto prezioso e meriti solo coccole, infinito amore e ammirazione, non penso ci siano dubbi (no, non ho una crush pazzesca per lui, che cosa ve lo fa pensare ♥).
Detto ciò, fremevo dalla voglia d’inserire riferimenti biografici al vero Edgar Allan Poe, l’autore che mi ha accompagnato per tutta l’adolescenza e che avrà sempre un posto speciale nel mio cuore (anche se ho iniziato a leggere BSD perché mi avevano riferito che ci fosse Lovecraft e non sapevo affatto della presenza di Edgar, quindi SORPRESA!); il pacchetto che ho scelto per il contest mi ha dato l’opportunità per farlo, anche se con delle variazioni: è infatti vero che lui non si trovò mai in sintonia con gli Allan ed ebbe grossi scontri con John, mentre è inventato che i coniugi Poe siano ancora vivi quando Edgar è adulto, perché morirono nei primi anni di vita dei figli, i quali furono davvero separati l’uno dall’altro e crebbero in famiglie differenti.
Il titolo dei capitoli compone un unico verso facente parte della poesia Inno, del nostro caro Poe; quello della storia riprende il testo di Blinding Lights, di Weeknd, perché non riesco affatto a tenere la musica lontana da qualsiasi cosa faccia, mai.
Sperando di non avervi tediato, scusandomi per l’angolo autore lungo quasi quanto la fic e ringraziando Flos Ignis per avermi permesso di scrivere su questo splendido duo, vi porgo un saluto e un abbraccio *^*

 

Manto

   
 
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