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Autore: Enchalott    03/08/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Yfrenn-ammri
 
“Ho visto Yerde volare in direzione nord” disse Eudiya, sedendosi accanto alla figlia maggiore sul divanetto ornato di morbidi cuscini in damasco “Dionissa, chi stai tentando di raggiungere con un messaggero alato?”.
La principessa sospirò, sbirciando fuori dalla finestra come se lo strik partito da qualche ora potesse essere già di ritorno. Appoggiò la schiena alla seta ciclamino.
“Rei, mamma” rispose con la tristezza diffusa sul volto “Il mio Kalah non può toccarlo ed è impossibile affidare a Màrsali l’ambasceria. Lui non è più a Jarlath”.
La regina annuì, comprensiva, lanciando a sua volta un’occhiata angosciata al cielo rannuvolato. Anche le comunicazioni con Stelio si erano interrotte all’improvviso e il cuore le pulsava nelle vene potenti onde di gelido terrore.
“Vuoi parlargli della bambina?” domandò con dolcezza.
“Sì…” confermò la veggente con un filo di voce, posando le mani sull’ombelico “Dopo l’attacco che abbiamo subito, la mia certezza di riabbracciarlo si è incrinata. Continuo a sperare, ma desidero che lui sappia che sto per mettere al mondo sua figlia… manca così poco… voglio che scelga un nome, che pensi a lei e che abbia una ragione per tornare qui anche se io, forse…”.
“Il nome lo deciderete insieme, Dionissa!” esclamò Eudiya “Non ti scoraggiare! È solo grazie a te se i Daimar non hanno osato valicare le nostre mura l’altra notte! Li hai tenuti indietro con il tuo dono, essi lo temono! Questo non può che essere un segno positivo, un ulteriore motivo di fiducia!”.
La veggente scosse la testa con un sorriso amaro.
“Non sarò in grado di reggere a lungo, mamma. Il miracolo cui hai assistito è merito della piccola. Il Kalah viene da lei, non da me. Io non faccio altro che convogliarlo… Anthos non ha ritirato lo sbarramento che mi ha imposto. Inoltre, non sono guarita dalla mia malattia. Con le tenebre tanto prossime, sento che essa sta acquisendo forza, che mi sta piegando. Quando la mia creatura nascerà, se mai vedrà la luce…”.
“Ti prego, non dirlo neppure per scherzo!” intimò la regina, abbracciandola forte “Nonostante lui… nonostante quel demonio infame che ha sposato tua sorella e che non ti lascia libera, tu abbraccerai tua figlia insieme con l’uomo che ami!”.
Dionissa sapeva che, anche se la madre aveva cancellato il simbolo bianco dalla sua fronte come richiesto da Adara, le sue opinioni sul reggente di Iomhar non erano affatto mutate. Invece, per quanto la riguardava, era certa che negli occhi del giovane sovrano ci fosse qualcosa di diverso, di ancora più misterioso e radicato di prima.
“Mamma…” mormorò “Ho l’assurda convinzione che Anthos, adesso, non lo stia più facendo per pura, crudele soddisfazione o per velleità personale. C’è qualcosa che non vuole che io veda… sono davvero persuasa che sia fondamentale non indagare in merito. Se anche possedessi il Kalah in pienezza, starei alle sue volontà”.
“Le tue deduzioni non sono mai irragionevoli, tesoro” ammise suo malgrado Eudiya, aggrottando la fronte “Conto che tu abbia ragione anche in questo caso. Per qualche recondita ragione sia tu sia Adara riponete una strana aspettativa in quell’uomo. Per quanto mi concerne, invece, resta soltanto uno spietato assassino”.
“È vero” ammise la ragazza “Ma non è per via di un incantesimo che ho rivisto la mia impressione su Anthos… non so dire altro. Così vale anche per mia sorella. Lei, però, è giunta molto prima alle mie conclusioni. Se gli rimane vicino, è perché intravede di lui molto di più e in un ambito che evidentemente non necessita di poteri”.
La regina annuì, ma rimase sulle proprie posizioni: il sovrano del Nord era un mostro privo di qualunque umanità.
I tamburi oltre le mura della capitale ripresero a suonare con una cadenza luttuosa. Le due donne rabbrividirono, osservando il sole iniziare la sua parabola discendente.
 
 
Il Medaglione del Nord giaceva sul pavimento. Le tre Gemme incastonate nell’oro bianco luccicavano superbe, rispedendo al soffitto i riflessi sfaccettati delle braci languenti nel camino.
Anthos riposava supino tra le pellicce color avorio del talamo, in uno stato fisico a metà tra il sonno e la vigilanza, come se stesse presentendo l’incipienza di un pericolo e rifiutasse di abbandonarsi appieno al ristoro notturno.
Teneva Adara tra le braccia; i lunghi capelli castani di lei spiccavano sul suo petto nudo, mentre dormiva appoggiata al suo cuore. La percepiva nel dormiveglia attraverso il respiro regolare che le usciva dalle labbra, attraverso la lieve pressione del suo corpo, attraverso l’amore puro che fluttuava intorno a lui come un’aura meravigliosa e avvolgente.
Nella quiete dell’abbraccio, Anthos si guardava dentro con chiarezza, certo della direzione: le pulsazioni del suo sangue incrementavano, regalandogli una mai sperimentata serenità insieme con una sofferenza tagliente come una lama. Forse era quella sensazione infelice a non consentirgli il sonno completo, in sostituzione all’incubo che invece lo aveva lasciato in pace da quando faceva l’amore con lei.
Non aveva idea se sarebbe tornato dalla donna che lo cingeva con tanta dolcezza. Probabilmente no. Lui e Ishkur si sarebbero annientati a vicenda. Se anche fosse sopravvissuto, un altro terribile confine si sarebbe poi innalzato tra lui e Adara. Ostacoli ripetuti e rinnovati, che lo facevano ribollire intimamente, strappandogli la serenità che lo lambiva quando era con lei.
Il suo io profondo si ribellò e il reggente dovette compiere uno sforzo per tenerlo a bada. Lasciò che il calore della ragazza lo placasse, come era sempre accaduto, persino quando non era nelle sue più lontane intenzioni legarsi tanto profondamente a colei che gli aveva giurato amore eterno. La strinse più forte.
Alla prima luce si sarebbe alzato e avrebbe dato le spalle a Leu-Mòr, senza voltarsi… poiché se avesse scrutato nello sguardo di sua moglie non sarebbe più stato in grado di compiere quanto si era preposto. Ma non in quel momento. In quell’istante desiderava soltanto cullarsi nell’amore di lei, nella limpidezza dei suoi sentimenti.
Si abbandonò al sonno, bramando che l’alba del nuovo giorno non sorgesse mai.
 
Venne a notte fonda, come una brezza indesiderata, portatrice di un’essenza infausta. Attraversò la Torre senza destare le sue difese, come una piega maligna nello spazio-tempo di quel mondo: un salto e non un attacco, che sfuggì al vegliare di ogni sentinella umana e non.
Giunse dove voleva arrivare, violando le leggi degli uomini e degli dei, calando sulla stanza nuziale con un velo impalpabile che ne celava l’estraneità e gli intenti.
Anthos la percepì come un refolo di vento innocente e i suoi sensi non reagirono con la consueta prontezza. Il Medaglione baluginò inutilmente un allarme invisibile e inascoltato dal pavimento di pietra e fu subito messo a tacere dal nulla che lo avvolse.
La principessa si mosse tra le braccia del marito, scostandosi da lui e fu soltanto quella sensazione di lontananza che lo svegliò del tutto.
Anthos aprì gli occhi e si sollevò dal talamo con una strana sensazione cucita addosso. Il buio era eccessivo persino per Leu-Mòr. Era palpabile.
“Adara…”.
Lei non rispose e appoggiò i piedi a terra, senza preoccuparsi di indossare nulla. Il principe la seguì con lo sguardo, trascinato nella sgradevole sensazione di non riuscire a staccarsi da un sogno invadente. Eppure, era assolutamente desto.
“Adara?” ripeté con maggiore convinzione.
La ragazza non si voltò al richiamo e si diresse lentamente verso la finestra della camera. I tizzoni del fuoco quasi estinto illuminarono il suo corpo nudo e attraente.
Anthos sondò velocemente il circostante e percepì la dissonanza. Attivò i suoi poteri, opponendosi strenuamente all’invasione, ma era come se non ci fosse alcunché fuori posto. Si spostò velocemente sulla sponda opposta del letto in preda all’inquietudine.
“Adara!” esclamò, attingendo con vigore al proprio io interiore.
Lei spalancò le ante di pesante legno e il gelido vento del Nord irruppe nell’ambiente, facendo schioccare le tende e arrossando le braci in un ultimo ansito di vita. Non reagì, continuò ad avanzare verso il balconcino a picco sulla fortezza.
“Cosa fai?!” gridò il reggente, balzando giù dal letto e precipitandosi nella sua direzione con un gelo ustionante nell’anima “Adara! Fermati!”.
Era come se la principessa non potesse sentirlo, come se una presenza estranea la stesse trascinando fuori dal quel luogo protetto e familiare, controllandone la volontà. Si arrampicò sulla ringhiera del poggiolo prima che lui potesse raggiungerla, perché qualcosa lo rallentò con voluto calcolo. I capelli bruni di lei ondeggiarono, sconvolti dalla corrente ascensionale della Torre, mentre rimaneva pericolosamente in equilibrio sul parapetto di roccia.
“No!” proruppe il reggente, muovendosi in avanti con tutte le sue forze “No!!”.
Adara si lanciò nel vuoto.
Anthos, improvvisamente libero, emise un grido straziante, raggiungendo con un millesimo di ritardo il punto da cui lei si era gettata. Fissò immobile il baratro nero e smisurato sottostante. Urlò ancora di dolore lancinante e di rabbia impotente, fendendo la notte come se fosse viva. Leu-Mòr si dimenò specularmente, come una creatura ferita a morte. Una voragine spaccò a metà la pianura gelata oltre la fortezza, fino alla foresta di Taavin e tutta Iomhar fu percorsa da un terremoto spaventoso, che rivoltò la terra fino al suo confine estremo.
Le iridi dorate del reggente scintillarono di fiamme, alla stregua di un inferno incarnato in uno sguardo. Le nuvole che offuscavano il cielo abbrunarono, furono attraversate da lampi violenti e si riversarono al suolo in irrefrenabile grandine. Il principe percepì sulla pelle nuda le folate dell’aria impazzita, che possedeva un odore diverso, corrotto, malvagio. La assaggiò con la punta della lingua, avvertendone il sapore buio e inconfondibile. Il vento del Nord mugghiò, sibilando impetuoso tra i millenari bastioni di pietra, sferzandogli le membra.
Anthos osservò l’abisso oscuro che aveva inghiottito la sua sposa, ansimando di furia incontenibile. Fuori di sé come mai lo era stato.
Saltò a sua volta.
Attraversò la tenebra nella quale il vuoto pareva avere uno spessore, si lasciò cadere in quel luogo che non apparteneva alla realtà concreta, ma che lui era in grado di focalizzare, di sentir respirare. Scese sempre più addentro quel cono di oscurità, che sapeva possedere un fondo, stabilito nel nulla da chi lo aveva creato.
Il suo sangue bruciava di odio e di rivalsa, intoccabile dall’essenza ammorbante che impregnava gli artigli d’ombra di chi bramava afferrarlo. Irriconoscibile, mimetizzato in quel regno di male assoluto, una spaccatura ingiuriosa spalancata nel creato.
Sfiorò il suolo, posandosi a terra come una creatura alata, vestito degli abiti bianchi che aveva materializzato su di sé nella discesa infinita verso il nucleo del negativo. Unica macchia chiara nel buio ancestrale che lo attanagliava.
La cercò con lo sguardo, quello interiore, che oltrepassava le possibilità umane.
“Adara…” sussurrò, scorgendo la figura nuda della ragazza, adagiata a terra poco distante.
La raggiunse, prendendola tra le braccia e avvolgendola tra le pieghe immacolate del mantello. La sollevò, per evitarle qualsiasi contatto con quel luogo maledetto.
“Adara…” pronunciò ancora, con la voce impregnata di angustiata sofferenza.
Lei non rispose e continuò a giacere immobile, priva di sensi. Respirava appena, la fragile vita appesa a un filo trasparente.
Anthos la strinse a sé, sfiorandole inutilmente le labbra con le proprie, emanando onde di dolore, rivolgendo gli occhi verso l’alto per individuare l’uscita. Non c’era un attimo da perdere, se non si fosse allontanato subito da lì, lei…
“Non posso credere che sia stato così facile” sancì il Nemico con scherno, mostrandosi nel suo aspetto concreto al di fuori dell’ombra compatta.
“Ishkur…” ringhiò Anthos, mentre il suo potere immane sorgeva dall’io profondo.
“Piano… piano…” rise la divinità, palesemente trionfante, indicando la donna abbandonata contro il suo petto “Non vorrai ucciderla all’istante, vero? Se non erro, ti sei precipitato qui per salvarla… sei davvero patetico!”.
L’intensità dell’energia del principe calò, ma non si spense.
“Se non sei il vigliacco che credo, mi seguirai fuori da questo foro putrido e mi affronterai in un duello alla pari!”.
“Mh, fammi pensare” lo schernì il sedicente Nulla “Io credo che tu abbia più di un problema di ordine primario, reggente. Non hai voce in capitolo né sul dove né sul come né tantomeno sul quando, per esempio. Suppongo tu sappia dove ci troviamo”.
Anthos serrò le labbra e il suo sguardo si fece ancora più incandescente.
Yfrenn-ammri” rispose, vibrando di collera “La tua lurida tana… un buco adatto a te a quanto colgo e che, per quanto mi crei repulsione, non temo affatto. Ti farò ingoiare la burbanza che ti ha spinto a schiuderlo ai piedi del mio castello!”.
“Oh, sicuramente! Sono a tua disposizione!” lo canzonò Ishkur con un inchino insolente “Tu potrai non fare una piega a fronte dei poteri del pozzo, ma la donna che abbracci con tanto calore non può sopravvivere al suo interno. Anzi, forse è già troppo tardi. La sostanza che risiede quaggiù è ormai penetrata nella sua anima e non esiste rimedio per la fine lenta e ingloriosa che elargisce. Ne sei al corrente, no? Il tempo scorre, Anthos di Iomhar! Puoi restare qui a trastullarti con me o uscire in fretta e controllare se tua moglie è ancora viva”.
“E appena io volgerò le spalle tu ti darai da fare, erkun-lug…” sferzò il principe “Nobile e leale come sempre”.
Il Nemico digrignò i denti, furente, oltraggiato dal termine arcaico che alludeva a un essere privo di poteri e di virtù.
“Ti farò pagare anche questa insolenza, miserabile!” sputò “Uno stolto tuo pari non dovrebbe neppure ardire di parlare! Pessima idea quella di lasciare da parte il Medaglione per goderti appieno la ragazzina! E dire che sapevi che saresti stato individuabile senza il sigillo al collo! Faccio ancora fatica a capacitarmi del fatto che tu sia stato tanto stupido! Non è da te! È forse un tentato suicidio oppure una sfacciata sfida nei miei riguardi? Parla!”.
Anthos sentì i secondi scorrergli sull’epidermide e il corpo di Adara divenire sempre più freddo, i battiti del suo cuore rallentare. Strinse le palpebre, radunando le proprie risorse per tentare il tutto per tutto. Doveva tornare indietro. Subito.
“Come fai a scorgere un paradiso nell’inferno che stai creando, Ishkur?” domandò, senza rispondere alla richiesta del rivale.
Il dio del Nulla trasecolò, esplodendo d’ira repressa.
“Tu… proprio tu ti permetti di fare la morale a me?!” ruggì “Quale rettitudine puoi vantare nel corso della tua infima esistenza?! Quante vite innocenti hai sacrificato al tuo volere!? Quante volte hai tentato a piegare il futuro a tuo vantaggio? Tu, che sei un baluardo di menzogna ed egoismo, osi pronunciare per me termini di condanna?”.
“Li pronuncio per entrambi” replicò il principe, fermo.
Ishkur eruppe in una risata sguaiata.
“Pensi che io mi beva il tuo discorsetto contrito!? Dovuto a cosa, poi? Al ridicolo fatto che una giovane mortale abbia perso la testa per te? O tu per lei? Mi sono preoccupato inutilmente che tu non offrissi un punto debole da attaccare… eppure avrei dovuto rendermene immediatamente conto. Non sei cambiato, dopotutto” ghignò, feroce “A saperlo non avrei ostacolato il cammino della principessa, anzi, te ne avrei fatto dono anni fa… in fondo, si tratta di mia sorella! Una buffa coincidenza, invero!”.
Anthos aggrottò la fronte, acuto. Si tratta, non si trattava.
Alzò le spalle, recitando la propria parte con la convinzione di andare a segno.
“Come vedi non mi sto affannando per uscire da qui, nonostante il fetore ributtante che emani” affermò incolore “Che questa donna conti qualcosa per me è una tua infondata deduzione… senza di lei dovrò rinunciare alla rapida reggenza del Sud, ma vorrà dire che la otterrò in un altro modo. Però aspetta… non è che ti agiti tanto perché Adara è importante per te, invece?”.
“Ridicolo!” sbottò il Nemico “Colpire lei per danneggiare te è stata un’enorme soddisfazione! Il giusto risarcimento per tutte le volte in cui è riuscita a sfuggirmi per causa tua o del cane Aethalas che la segue! È bastato piegare la contingenza della realtà per escluderti da essa, come solo gli dei realizzano, e penetrare nei suoi sogni. Era convinta di seguire Shion, di salvarlo… mi fa quasi pena nella sua ingenuità!”.
Il principe fremette di rabbia, ma si trattenne. Ecco come aveva fatto a costringerla a saltare, ecco perché lei non aveva potuto udirlo, perché non era riuscito a fermarla… Perché Leuhan era rimasto inerte! Il maledetto aveva usato i sentimenti di Adara, le sue speranze, la sua dolcezza…!
“Come avresti fatto a proiettare l’immagine di suo fratello nella sua mente, di grazia?” sogghignò, arrogante “Da quando ti sei completamente fuso con Yfrenn-ammri, non puoi più usare i sortilegi come quando ti facevi chiamare Urien… e nessun deamhan vanta la possibilità di entrare nel mondo onirico. A loro non serve, corrompono l’anima con le parole, non con i sogni. In quanto divinità, poi, sei grottescamente senza poteri…”.
Ishkur gli lanciò addosso una scarica maligna, ma Anthos lo respinse, ammantandosi della propria energia e preservando Adara dal colpo mortale.
“Fammi indovinare…” continuò, caustico “Hai usato un mezzo che qualsiasi idiota può sfruttare… l’incanto dell’acqua, per esempio!”.
Il Nemico sibilò un pesante insulto e si preparò nuovamente ad attaccare.
“Il che significa” continuò il reggente, mordace “Che non sei riuscito ad annullare completamente l’esistenza di Shion e che hai attivato la visione usando il suo aspetto… o meglio, il tuo. Che fallito che sei, Ishkur!”.
“Fai silenzio, maledetto!!” ruggì questi “Accusi me di incapacità quando sono riuscito a trascinarti esattamente dove auspicavo! A farti davvero male! Avverto la tua essenza gridare di tormento, i deamhan che mi servono si stanno abbeverando alla fonte del tuo disonorevole dolore umano e grazie ad esso divengono sempre più forti! Se ti avessi ucciso senza strapparti prima lei, non sarebbe stato altrettanto appagante! Ora guardala esalare l’ultimo respiro, inerme nonostante la tua vantata superiorità! Prova a riportarla in vita con i tuoi poteri! Neppure se ti umiliassi all’infinito davanti a Reshkigal in persona potresti riaverla! Soffri, Anthos di Iomhar, soffri in eterno!! Ti concederò il tempo di annegare negli spasmi e poi ti verrò a cercare per assestarti il colpo di grazia!”.
Il principe fu sul punto di cedere. Le parole andarono a segno, affilate, ma resistette. Lei non sarebbe morta, l’avrebbe salvata, era ancora possibile… doveva andare.
“Stai proiettando su di me quello che provi tu” asserì, asettico “Riesco a percepire chiaramente la vulnerabilità del cuore mortale di Shion. Essa è anche la tua, non puoi scansarla finché non ti libererai di lui. Tuttavia, se tu lo facessi, il Diadema che indossi non ti risponderebbe più. Una fastidiosa impasse, a ben vedere”.
Le iridi scarlatte di Ishkur risplendettero di odio. Concentrò le proprie facoltà, alimentate dalla forza primordiale di Yfrenn-ammri, e si preparò a scagliarsi contro l’avversario. Il gioiello del Sud balenò nella tenebra, bieco e letale.
Qualcosa di simile al rimorso gli inferse una stilettata improvvisa e imprevista. L’immagine lontana e nebbiosa di un rimpianto, il petalo candido di un fiore che volteggiava al suolo, lo distolse dall’attacco.
Anthos individuò l’attimo di stasi e ne approfittò immediatamente: traslò fuori dal pozzo delle ombre, materializzandosi sulla cima inviolata di Leu-Mòr con sua moglie tra le braccia. La voragine di oscurità si richiuse poco dopo, risucchiando tutto ciò che stagnava nei pressi, con un guizzo di rancore percettibile.
 
Si inginocchiò a terra, sostenendo la principessa con delicatezza, stringendola contro di sé, mentre gli abiti che indossava si volatilizzavano in cenere: le trasmise il proprio calore corporeo attraverso un contatto di pelle e di cuore. Si espanse, avvolgendola e sondandola con il proprio potere, cacciando fuori da lei l’essenza velenosa e scura che l’aveva contaminata, purificando la sua anima e il suo corpo con la propria aura.
Le baciò le labbra, insufflando ossigeno e vita, le inoltrò le dita nella chioma sciolta, angosciato, attendendo un segnale di ripresa, una scintilla.
“Adara…” mormorò per svegliarla, per farle aprire gli occhi.
Il respiro di lei era lieve, quasi impercettibile. Rimase abbandonata, senza alcuna reazione, pallida come non lo era mai stata, a metà tra la fine e l’esistenza, senza poter raggiungere nessuna delle due.
Morte lenta e agonizzante, aveva stabilito il Nemico. Ora la vedeva, la sentiva.
Il reggente appoggiò la fronte alla sua, i capelli biondi gli scesero sulle spalle nude.
“Adara, non lasciarmi… torna da me…”.
Emanò una luce intensa, bianca come la neve del suo Regno, un globo di energia che lo circondava come un segnale. Puro, incontaminato, tanto incorrotto da farlo sussultare quando ne avvertì la natura.
“Hai giurato…” sussurrò, con l’anima che andava in pezzi e la speranza che diveniva sempre più flebile con il trascorrere dei minuti “Ascolta la mia voce…”.
Rimase a terra, cingendola con le braccia, stretto a lei nella disperazione, nel dolore più grande che avesse mai provato, per un tempo che apparve infinito.
Gli sembrò di non riuscire più a respirare, a riflettere, ad agire quando comprese che tutto era vano, che lei si sarebbe spenta inesorabilmente. Si ribellò alla contingenza, come aveva sempre fatto durante la sua esistenza, e fu quel rifiuto per l’obbligato a riscuoterlo dallo stordimento, dalla sofferenza.
La adagiò con riguardo sul giaciglio di pellicce dove si erano amati per la prima volta e innalzò nuovamente le difese della Torre, rendendole più stabili, sebbene sapesse con certezza che il dio del Nulla non lo avrebbe più attaccato fino a quando Adara non avesse esalato l’ultimo soffio vitale. Sarebbe stata una vendetta lenta e atroce, ma gli avrebbe regalato un vantaggio: quello di capire come risvegliare la ragazza. Non si sarebbe arreso. Nessun vincolo era mai riuscito a ostacolarlo, a renderlo un imbelle rinunciatario. Si levò in piedi.
Contemplò il suo Regno ferito, languente, e per la prima volta percepì nel sangue la comunione con quella terra maledetta.
“Ti salverò” giurò a se stesso “A qualunque costo”.
 
Narsas aveva avvertito distintamente la terrificante onda d’urto che aveva rivoltato la terra, ma non l’aveva affatto interpretata come un fenomeno naturale. Quella era energia pura, antica… solo il reggente di Iomhar era in grado di farla scaturire con tanta furia e, se vi era stato costretto, era certo accaduto qualcosa di grave.
Si era sentito accapponare la pelle e aveva immediatamente abbandonato la sua stanza per cercare Adara, con il cuore che batteva a mille, ignorando la spossatezza che lo comprimeva con frequenza sempre maggiore.
Aveva attraversato le stanze del palazzo reale di corsa, con l’arco a tracolla e il ritmo legnoso delle frecce dietro le spalle, pronto ad agire, ma la fortezza di Jarlath era risultata quasi deserta. Non aveva rinvenuto alcuna traccia né della principessa né di Anthos, fatto che l’aveva reso soltanto più inquieto.
Il principe era sempre riuscito a respingere gli attacchi del Traditore, ma non ad averne ragione definitiva, per quanto potesse essere assurdo. E, in ciascuna di quelle occasioni, Adara era stata in serio pericolo.
Si fermò difronte all’ingresso di Leu-Mòr, ansimando per lo sforzo. La porta di legno chiaro non cedette alla sua spinta e nessuno rispose ai suoi richiami successivi.
Aggrottò la fronte, sempre più angustiato, e riprese a muoversi velocemente attraverso i corridoi illuminati dalle fiaccole, pervaso da un pessimo presentimento.
L’arciere non possedeva doti sovrannaturali, ma aveva imparato a non sottovalutare il proprio intuito, soprattutto quando si trattava della donna di cui era innamorato.
Tra loro c’era un vincolo speciale e il legame che lo univa a lei bruciava nel suo intimo con una forza allarmante e acuminata.
Scese a precipizio le scale e attraversò il cortile della fortezza, per controllare se Illtyd fosse nelle stalle o se invece il reggente lo avesse condotto fuori, portando con sé la moglie in un’altra rischiosa sortita.
Dannazione!
Eppure si erano parlati qualche giorno prima e Anthos gli aveva comunicato giusto l’intenzione contraria: gli avrebbe affidato Adara in vista del suo scontro con Ishkur, lo avrebbe compiuto di nascosto da lei per tutelarla e lui avrebbe svolto il compito di trascinarla lontano da Jarlath, se si fosse reso necessario… solo per quel motivo si era ritirato in solitudine. Per riflettere su ciò che il principe gli aveva riferito, anche se non era stata una vera e propria rivelazione, per recuperare le forze e poter offrire il meglio di sé nei pochi giorni che gli restavano.
Quella mattina, il marchio degli Anskelisia aveva iniziato a perdere la sua tonalità ocra per virare a quella rosata che ne avrebbe preceduto la scomparsa.
L’Aethalas scacciò quell’immagine dalla mente e continuò a procedere rapido lungo il perimetro del bastione principale. Si accorse di essere senza fiato e dovette fermarsi per inalare l’ossigeno.
Gli si annebbiò la vista e fu costretto a sostenersi contro il possente muro di pietra.
Non ancora… non adesso… si disse stringendo i denti con ostinazione.
Fece per riprendere la corsa, ma cedette e si accasciò sul suolo bagnato, con la testa che gli girava e il cappuccio del mantello calato sulle spalle, zuppo di pioggia.
“Principe Narsas!”.
Un’invocazione lontana… o vicina, non riusciva a raccapezzarsi.
Il ragazzo cercò di mettere a fuoco la situazione. Nessuno lo chiamava così, bailye, tradotto nell’idioma di quella terra lontana. Forse era…
Màrsali gli fu accanto in un baleno e gli sollevò il copricapo sui capelli fradici, stringendogli le mani tra le sue con l’ansia negli occhi azzurri.
“Non… non sono bailye…” ansimò lui con fatica “Ma è una gioia insperata rivedervi in salute, Màrsali” aggiunse poi con un sorriso grato, serrando le dita con calore.
“Kesthar…” mormorò lei con un cenno, apprensiva.
Il guardiano delle prigioni lo aiutò a sollevarsi, accompagnandolo all’asciutto all’interno di una delle torri di guardia.
“Non dovreste pretendere troppo da voi stesso” lo rimproverò la veggente, bonaria.
“Potrei rinfacciarvi la stessa cosa” replicò l’arciere, altrettanto indulgente, mentre il custode celava un sorriso complice sotto la barba “La principessa era in pena per voi dopo quanto accaduto a Odhran… vi ha fatta cercare senza tregua per giorni, di nascosto dal reggente”.
“Sta bene!?” esclamò la ragazza, fremendo “Lei è…?”.
Narsas scosse la testa, teso come la corda del suo arco.
“Non lo so. La stavo cercando quando ci siamo incontrati” rispose “Quell’energia…”.
“Oh, dei misericordiosi!” gemette Màrsali, portandosi le mani al viso “Allora non sbagliavo! La mia visione è stata alquanto confusa, ma io temo… oh, è accaduto qualcosa di molto grave alla regina! Ho percepito lo spalancarsi di una soglia maligna, da cui fuoriusciva un atro buio, poco prima di quel terribile terremoto! E poi… poi mi si è riversato addosso un torrente di paura e di sofferenza, mi è sembrato di annegare in un abisso senza fine, dove le anime gridavano per il tormento… Adara era circondata da tutto questo e neppure il principe riusciva a raggiungerla!”.
Il guerriero del deserto impallidì ulteriormente.
“Non l’ho mai vista così sconvolta, credetemi” intervenne Kesthar con un tono di leggera disapprovazione “È voluta rientrare subito alla capitale senza pensare ai possibili rischi e senza attendere che la nostra ospite si ristabilisse”.
Narsas rivolse uno sguardo alla donna dai lunghi capelli rossi che, fino a quel momento, era rimasta in disparte ad attendere con misurata discrezione.
“Venite avanti, mia cara” la invitò Màrsali con gentilezza “Narsas è una delle persone con cui desideravate conferire”.
La guaritrice si avvicinò, osservando il giovane uomo seduto a terra sulla paglia. Gli occhi scuri di lui ricambiarono lo sguardo con fierezza e riservata curiosità. Tra i suoi capelli bruni splendeva la fascia rossa e oro dei capitribù nomadi e il pendente scarlatto al suo orecchio rifulgeva come una gemma; sebbene il suo volto provato non possedesse più l’incarnato caldo degli elestoryani, il suo aspetto era esattamente quello che Dare Yoon le aveva descritto… omettendo tuttavia che l’arciere era di un fascino abbagliante.
“Mi chiamo Dessri” disse con cortesia, accomodandosi accanto alla veggente “Sono un’amica di Dare Yoon”.
Il guerriero sgranò gli occhi, sorpreso.
“State scherzando?” proruppe.
Poi arrossì, realizzando di aver dato voce ai propri pensieri in modo troppo schietto.
“Scusate, ma per come lo conosco…” si giustificò, imbarazzato.
La donna trattenne a stento un sorriso e trasse dalla borsa che portava a tracolla un involto di panno. Lo spiegò, rivelando al suo interno il moncone di una spada spezzata poco sopra l’elsa.
Narsas trasalì nel riconoscere l’oggetto.
“Dare Yoon e il comandante Aska Rei stanno bene” riprese lei, prevenendo le ovvie richieste del ragazzo “Sono partiti molti giorni fa per Neirstrin e suppongo che a quest’ora i profughi di Taavin li abbiano raggiunti. Quando è arrivato al nostro campo, il vice capitano era ferito. Mi sono occupata per qualche giorno di lui, che ha voluto onorarmi con la sua amicizia. Ho portato con me la sua lama affinché non ci fossero legittimi dubbi sulle mie parole”.
L’arciere sorrise, illuminandosi.
“Se Dare Yoon vi ha concesso la sua sincera amicizia, fate conto di avere anche la mia. Vi ascolto con il cuore più sereno, sapendolo lontano da Jarlath”.
Dessri annuì, esponendo brevemente i fatti agghiaccianti di cui era stata testimone.
“È successo anche qui” rivelò Kesthar, meditabondo “Ma ogni dettaglio in più è fondamentale per contrastare i deamhan”.
“Dobbiamo parlare con la principessa!” esalò Màrsali “Dobbiamo trovarla!”.
Narsas alzò lo sguardo alle nuvole plumbee del Nord, irrequieto. Un’ondata di gelo gli strinse il cuore come un artiglio affilato.
   
 
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