Anime & Manga > Fairy Tail
Segui la storia  |       
Autore: Ray Wings    05/08/2020    0 recensioni
Non c'era al mondo persona che non conoscesse Fairy Tail. La gilda simbolo di Magnolia vantava tra i suoi membri alcuni dei maghi migliori dell'intero continente. Ma ogni medaglia ha due facce e se Fairy Tail ne aveva una sublime, abbagliante, dall'altro lato portava solchi indelebili, segreti che mai sarebbero dovuti uscire da quelle mura. Fairy Tail era nata anche per quello: proteggere, curare, perché la felicità, talvolta, non è altro che una maschera di ferro fusa sulla carne.
--------------------------------------------------------
«Sai cosa significa il mio nome?»
«Conoscendo tuo padre, penso non sia qualcosa come "fiore di campo", vero?»
«Sai bene che non ha mai avuto tutto questo riguardo nei miei confronti. Priscilla... è un nome così freddo».
«Qual è il suo significato?»
«Prova a pensare a qual è il mio significato»
«Che ne dici se invece io ti chiamassi Pricchan?»
Una risata candida e timida, gli occhi adornati di una dolce malinconia, imbrattata di un amore che neppure il tormento di quegli anni era stato in grado di sradicare.
«Sembra il verso di un animaletto».
~ Priscilla deriva dal latino Priscus il cui significato è: "antico" ~
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luxus Dreher, Mistgun, Nuovo personaggio, Wendy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dissolvenza






C'era solo un modo per porre fine a degli immortali come loro, ancora legati allo spirito e all'anima del loro creatore. Zeus era lì, osservava e vegliava sui suoi figli, ma non faceva la sua mossa, affiancato da un'altrettanta silenziosa e giudiziosa Athena. Così come Ivan aveva da sempre minacciato il suo spirito, la sua esistenza, così come Ivan aveva insegnato lei il primo sentimento che avesse mai imparato, quello della paura, lei ora poteva insegnarlo a loro. Uccidendo Zeus... loro sarebbero caduti come burattini senza vita.
Ombre su di lei, spalancò gli occhi sorpresa e si voltò a guardarsi le spalle. Ebe e Eris sbucarono dalla nebbia che Dike aveva fatto avvicinare silenziosamente alle sue spalle e si prepararono a colpirla. Un soffio di vento, poté schivarle, ma questo la spinse a sporgersi verso Ares alle sue spalle che trovò finalmente l'occasione per colpirla. La scaraventò via, facendola rotolare, e Ebe e Eris caricarono nuovamente, ad armi spianate. Con un urlo Erza tornò alla carica, piena zeppa di ferite, ma ancora forte e determinata. Intercettò la lama di Eris, mentre Bisca e Alzack riuscirono a sparare contro Ebe. Ares, ora libero e di nuovo carico, tornò a puntare Priscilla ma un fulmine lo colpì in pieno trascinandolo al suolo per almeno un paio di metri. Laxus emerse da esso, ora di nuovo in piedi, e lo spinse via. Efesto strisciò all'interno della sua lava fino a lei e saltò fuori appena in tempo per travolgerla, ustionarla e bruciarla col calore del proprio corpo, ma l'urlo di Natsu anticipò la sua mossa e riuscì a salvarla, trascinando via il proprio nemico. Persefone lanciò contro di lei i propri spettri, ma Bickslow prese possesso di un paio di loro e li usò per rivoltarsi contro i suoi compagni.
«Ti aiuto!» gridò Fried, incidendo delle rune al suolo che avrebbero distrutto tutti gli spettri che fossero finiti al suo interno. Hermes corse verso di lei ma Gray ghiacciò il terreno, lo fece scivolare e Jet poté finalmente prenderlo. I soldati di fango di Ilizia tentarono anche loro il proprio attacco ma Levy, Cana e Lucy riuscirono a distruggerne un po'. Gajeel colpì la chitarra di Dioniso e la distrusse prima che avesse potuto usarla per far loro esplodere le orecchie dal frastuono che era in grado di produrre, un suono acuto e terribile in grado di distruggere persino i neuroni. Wendy usò la propria magia curativa per contrastare l'effetto della magia dell’immortale che colpiva l'equilibrio e Romeo diede al ragazzino il colpo di grazia colpendolo con il proprio fuoco. Lluvia riuscì a prendere il controllo dell'umidità della nebbia di Dike e così manipolarla per allontanarla, combatté contro di lei corpo a corpo, nebbia contro acqua, alla pari ma comunque abbastanza forti entrambi da restare impegnate. Apollo e Artemide diedero il loro contributo lanciando frecce, ma i proiettili di Bisca e Alzack le neutralizzavano tutte. Eirene, Eunomia e Nemesi, ciascuna di loro provò a modo suo a lanciarsi furiose contro Priscilla ma vennero come le altre intercettate e bloccate, impegnate in una lotta furiosa contro una gilda che colpivano sempre più duramente ma che non sembrava aver intenzione di cedere nemmeno di fronte alla morte stessa. 
«Pricchan!» chiamò Laxus, tornando a tirar pugni furiosi contro l'uomo più forte che avesse incontrato fino a quel momento. Prima Ares, poi Laxus, ciascuno di loro restava ferito e colpito, atterrito, si rialzava, colpiva di nuovo, sempre più furioso, sempre più feroce, facendo vibrare l'aria e il terreno. Priscilla si alzò da terra e cominciò a correre verso il suo ultimo e unico obiettivo. Zeus.
«Fermatela! Athena!» gridò Ares, guardando la ragazza correre indisturbata verso il loro creatore, in mezzo a lotte che non sembravano turbarla nemmeno un po'. Ciascuno di loro dava il proprio contributo per proteggerla, aprirle la strada, e Zeus era sempre più vicino.
«È l'ultimo avvertimento, Ares! Andatevene adesso!» ruggì Priscilla avvolgendo il suo intero corpo di vento che l'avrebbe protetta e avrebbe caricato il suo colpo di una forza necessaria a uccidere. 
«Athena!» gridò ancora Ares, prima che Laxus gli tirasse un colpo di testa in grado di destabilizzarlo. 
Con un urlo Priscilla ingrossò il vento presente sul braccio. «Vi spazzerò via tutti e due!» gridò preparandosi a colpire. Un passo dopo l'altro, finalmente a pochi centimetri dal suo bersaglio, il tempo era come rallentato. Zeus alzò di un solo centimetro da terra il bastone che usava per camminare e lo sbatte al suolo, con un tocco secco e deciso... e Priscilla cadde in avanti. Non un alito di vento le accarezzava più la pelle, né un briciolo di energia le permise di muovere anche solo un dito. Zeus la tenne sollevata da terra con un braccio, sorreggendola come fosse stata una bambola senza vita, e non si scompose minimamente.
«Pricchan!» gridò Laxus, terrorizzato nel vederla in quelle condizioni.
«Priscilla-nee!» gli fece eco Wendy, già con le lacrime agli occhi.
Dioniso, di fronte a lei, sghignazzò orgoglioso e soddisfatto prima di dirle: «Nessuno può avvicinarsi a Padre Zeus, lui risucchia ogni cosa. Magia, energia, luce... la vita stessa. Se ne impadronisce, ciucciandola via dagli altri. Come credi che possa tenersi ancora in vita e in forma nonostante la fatica di dare un'anima a ben quindici figli?»
«Risucchia...» mormorò Wendy, cercando di comprendere appieno quell'informazione.
«Risucchia questo allora!» ruggì Natsu, furioso, prima di gonfiare la propria pancia e lanciare contro Zeus e Athena il suo Ruggito del Drago. La palla di fuoco dalle dimensioni imponenti raggiunse rapidamente Zeus, ma Athena mosse una mano e un enorme libro comparve davanti a loro. Il colpo di fuoco di Natsu colpì le pagine aperte e vi entrò, come se stesse attraversando un portale magico, e ne venne risucchiato. 
«Natsu, vai ancora!» incalzò Laxus tirando ad Ares l'ennesimo pugno per allontanarlo. Si voltò subito dopo e in un istante gonfiò anche la propria di pancia, lanciando addosso a Zeus il proprio ruggito di fulmini. Natsu, da un'altra angolazione ripeté l'attacco e Gajeel, da un'altra ancora, non si tirò indietro. Ruggito del Drago di Fuoco, del Fulmine, del Ferro, del Cielo con Wendy, e poi i proiettili di Bisca e Alzack, il fumo di Wakaba, l'ombra di Macao, le carte di Cana, il ghiaccio di Gray e l'acqua di Lluvia. Un attacco combinato a distanza, da parte di tutti i membri della gilda, anche a costo di voltare le spalle al proprio nemico e dar ai membri di Olympos un vantaggio per colpirli. Decine di libri si aprirono intorno a Zeus e Athena e assorbirono con facilità ciascuno di quegli attacchi, lasciando intaccati i due al centro se non per una nube di fumo e polvere che la potenza di Fairy Tail aveva scatenato su di loro. Intoccati, nonostante avessero ricevuto su di loro la scarica magica di una gilda intera, più di tutti quei due dimostravano di meritare il ruolo di Master e assistente. Ma proprio da quel fumo che ora occludeva loro la vista una piccola saetta bianca sbucò a una velocità incredibile e imprevista, afferrò Priscilla per la maglia e la trascinò via, in volo. Priscila riuscì ad aprire gli occhi, sentendo l'energia tornarle piano piano man mano che si allontanava da Zeus, e curiosa di vedersi sollevata da terra spostò pigramente lo sguardo a colei che la teneva per la maglia con le sue piccole e tremanti zampe bianche.
«Charle» mormorò, vedendola in lacrime.
«Non azzardarti a morire qui, stupida ragazzina!» la rimproverò, tirando su col naso. Priscilla non ebbe nemmeno la forza di rispondere, si sentiva come se si fosse appena svegliata da un infinito sonno e dovesse ancora riprendere piena coscienza di sé. Abbassò lo sguardo al suolo, guardando le due gilde ancora impegnate in quell'estenuante combattimento dove Fairy Tail dava fondo a tutta la sua disperazione mentre Olympos, per quanto venisse colpita, riusciva sempre a rialzarsi come se avesse appena cominciato. Ogni attacco, ogni colpo, ogni speranza sfumava via di fronte all'ennesima ferita che si rimarginava e a un Master inavvicinabile e intoccabile. Si corrucciò, addolorata, quando vide che quell'ultima mossa che aveva permesso a Charle di aprirsi una breccia e venirla a salvare era costato così tanto. I membri di Fairy Tail, per sparare quell'attacco all'unisono, avevano voltato le spalle ai loro avversari e questo aveva permesso di dar loro il colpo decisivo. Caddero a terra, distrutti, feriti, disperati, sfiancati e probabilmente privi di ogni speranza. Riuscì a intravedere, nel pigro ondeggiare delle sue braccia, il proprio simbolo di Fairy Tail stampato sul palmo della mano e ripensò al suo significato.
"Il palmo della mano destra è la prima cosa che si porge a coloro che si vuole aiutare" aprì la mano e l'allungò, delicata e affaticata, verso terra, verso i membri di Fairy Tail, come se avesse voluto afferrarli. "Il simbolo di Fairy Tail puoi stringerlo delicatamente tra le dita, proteggerlo, curarlo" e delicatamente strinse le dita, in quell'azione simbolica, portandosi poi quella stessa mano al petto, all'altezza del cuore. Dove avrebbe portato per sempre ciascuno di loro. 
Charle cedette improvvisamente, le sue ali scomparvero prima che avessero potuto raggiungere una distanza di sicurezza, ed entrambe cominciarono a cadere verso terra.
«Quell'uomo ha una magia... assurda» commentò Charle, ora priva di forza e energia. Solo passargli accanto, per prendere Priscilla e poi allontanarsi, era bastato per risucchiare la totalità della sua magia ed energia nonostante gli fosse stata accanto solo per un brevissimo istante. 
«Charle!» chiamò preoccupata Priscilla, prendendola al volo e stringendola al petto mentre entrambe cadevano verso terra. Si corrucciò e un improvviso soffio di vento riuscì a sorprenderle dal basso, facendole galleggiare per qualche istante e poi atterrare delicatamente sui propri piedi. Strinse la gatta, che ora respirava faticosamente, al petto. 
«Priscilla» ansimò lei, sforzando un sorriso. «Possiamo... ancora vincere, vero?» chiese, in un ultimo guizzo di speranza e desiderio. Intorno a loro, con urla di dolore, uno a uno, tutti i suoi compagni cadevano per mano di un nemico che era praticamente invincibile. Lacrime, urla, speranze che non volevano cedere nemmeno di fronte all'ennesima ferita. Eppure almeno la metà di loro, ora, non riusciva più nemmeno ad aprire gli occhi. 
«Sì» strinse i denti Priscilla. La fronte si corrucciò, ma lo sguardo, benché invaso di lacrime, era di una sicurezza indiscutibile. «Possiamo ancora vincere, Charle».
E lo credeva davvero. 
Poggiò delicatamente Charle a terra e fece un paio di passi avanti, distanziandola appena ma restando frapposta tra lei e i nemici, per proteggerla. Fissò intensamente Zeus e Athena, con uno sguardo infuocato di rabbia e ora determinazione.
L'avrebbe fatto. Non c'era altra scelta.
Sapeva che quella mossa avrebbe potuto farli vincere, ne era certa, soprattutto se Zeus era un risucchiatore come aveva appena spiegato. Quella era la sua unica debolezza, poteva sfruttarla al massimo, poteva vincere certamente. Eppure... non riusciva a smettere di tremare. 
Athena aveva il potere della lettura. I libri erano la sua arma, ma la sua incredibile capacità risiedeva nella lettura. Poteva leggere qualsiasi cosa, decine, centinaia di libri anche in lingue sconosciute e perdute da tempo, ma soprattutto poteva leggere le persone. Passato, presente, futuro, i pensieri e le intenzioni, chiunque era come un libro da scoprire e da leggere fino in fondo. E parole uscirono dalla testa di Priscilla, parole che lei poté leggere con chiarezza. Spalancò gli occhi e per la prima volta da quando l'avevano incontrata abbandonò l'espressione superiore e concentrata che aveva in un solo istante.
«Stupida, se userai quella magia non potrai più tornare indietro!» ruggì, lasciandosi sfuggire uno sguardo panico dal viso. Una voce, una frase, che non riuscì  a non attirare l'attenzione dei presenti. Chi per il significato di quelle parole, chi perché sorpreso e spaventato di vedere proprio su Athena un'espressione terrorizzata come quella. Che stava succedendo?
«Se la cosa ti spaventa tanto allora significa che ho ragione... posso uccidervi con questa ultima mossa» disse Priscilla abbozzando un sorriso, benché stesse ancora tremando come una foglia. Athena digrignò i denti e non esitò a chiamare a raccolta alcuni dei suoi libri, che lanciò violentemente contro di lei. Priscilla saltò e volò, schivando i loro colpi. Erano ottimi per difendersi, come avevano visto, ma in attacco erano alquanto carenti. Erano lenti e imprecisi, schivarli era una passeggiata soprattutto per una maga del vento come lei. 
«Il tuo master ti ha proibito categoricamente di usarla, ricordi?!» ruggì ancora Athena, furiosa, leggendo nel suo passato qualcosa a cui avrebbe potuto aggrapparsi per fermarla.
«Il... master?» mormorò Wendy, in ginocchio per l'ennesimo colpo andato a vuoto e che aveva permesso a Dioniso di colpirla. 
«Una mossa che il master le ha proibito di usare...» mormorò Lucy, stesa al suo fianco, ormai stremata. 
«Credi che questo mi fermerà? Sono pronta a tutto per salvare la mia gilda, anche rinunciare al mio corpo!» gridò lei, prima di spazzare via quei fastidiosi libri con un colpo di vento. 
«Cosa...?» mormorò Laxus, in ginocchio di fronte a Ares che lo teneva per la maglia. Aveva preso pugni in faccia fino a quel momento, ma di fronte a quelle parole entrambi avevano per un istante abbandonato il loro istinto belligerante. 
«Cosa significa...?» insisté lui, pallido in viso.
«L'aria è instabile, le molecole si disperdono, ti sparpaglierai per tutto il mondo e per te sarà impossibile tornare indietro. Non potrai più ricomporti! Che razza di vittoria è quella in cui non sarai qui?! Ti stai sacrificando per una gilda che non rivedrai mai più!» ruggì Athena ma lei restò irremovibile. Nonostante le guance umide di lacrime, sul volto di Priscilla nacque un sorriso. L'ultimo sorriso. Era quello il ricordo che era intenzionata a lasciare di sé nei membri della sua famiglia. Una Priscilla sorridente, felice di averli a fianco. Divaricò appena le gambe e incrociò le braccia a forma di X tra loro sopra la sua testa, stringendo i pugni. 
«A-aspetta un attimo...» mormorò Laxus, che ancora non capiva di che razza di mossa fosse ma non gli importava. Gli bastavano quelle parole per comprendere che non avrebbe voluto mai nemmeno scoprirlo. «Un attimo solo... Pricchan!» balbettò, spingendo via Ares con una mano e cominciando a gattonare verso di lei. 
«Ragazzi» disse lei con un tono inquietantemente amorevole e sereno. «L'aria che vi circonda, che respirate, di cui vivete...» un singhiozzò la interruppe, ma non smise di sorridere. «Anche se non potrete vedermi... sarò sempre con voi» tremò. Evergreen si portò le mani alle labbra, mentre una lacrima le scese dal viso, ma non fu la sola di cui si udì lamenti e singhiozzi. Ares scattò, rapido come una faina, anche senza l'ordine di Zeus. Il volto panico, disperato e furioso. Superò Laxus, tanto ferito da non essere nemmeno in grado di alzarsi in piedi, e corse a pugno teso verso Priscilla. Non disse una parola ma saltò e spinse il pugno in avanti a piena forza, pronto a colpirla con tutta la violenza che aveva dentro. Ma Priscilla, un attimo prima di essere colpita, allargò le braccia sopra di lei, formando un semicerchio le portò rapidamente in orizzontale. Spalancò le mani, assumendo una forma come di un crocefisso e infine urlò il nome di quella terribile mossa che persino suo nonno le aveva sempre proibito di utilizzare.
«Dissolvenza!»
Il pugno di Ares colpì il vuoto, attraversando solo qualche immagine residua di una Priscilla che come farina si sgretolava  e si disperdeva nell'aria circostante. 
«P...» la voce di Wendy, di fronte a una scena tanto assurda che sicuramente aveva iniziato a pensare fosse solo frutto di un incubo. Pallida, gli occhi vitrei, le spalle abbandonate a se stesse. «Priscilla-nee?» chiamò con un filo di voce, come se da un momento a un altro lei fosse potuta apparire da qualche parte e risponderle: «Sono qui». Ma niente di ciò accadde, solo il vuoto e un inquietante silenzio rotto dal rumore di un vento delicato e caldo che accarezzava loro la pelle, in un soffio lamentoso.
«Pricchan!» l'urlo disperato di Laxus fece tremare quello stesso vento da cui erano circondati. Una voce imponente, una voce straziata, una voce strappata dal supplizio e dal rancore di non essere riuscito a essere tanto forte da impedirle quell'ultimo folle gesto. Tremò e tentò di gattonare in avanti, per raggiungere il punto dove lei era scomparsa, ma le ferite, il dolore e la disperazione  gli obnubilavano la testa. Arrancò e non riuscì che a strisciare. Intorno a lui, per qualche strano maleficio, il mondo intero sembrava come congelato. Non un fiato respirava, solo lamenti da chi era più emotivo, sussurri di incredulità, il vuoto che era crollato sulle loro teste. Persino i membri di Olympos si erano paralizzati, confusi, spaventati, chiedendosi probabilmente cosa sarebbe successo a ciascuno di loro. 
«Ares?» la voce di Eris, un sibilo, mentre lei avanzava di un passo verso il suo compagno immobile. Una goccia di sudore freddo le scivolò giù dalla tempia e pallida, come se la vita l'avesse già abbandonata da un pezzo, allungò una mano verso di lui. «Ehy... Ares... fa' qualcosa, no?»
«Noi... non possiamo morire, giusto? Ares, è vero?» chiese anche Ebe con la stessa voce rotta dal terrore, ma a rispondere a quel quesito fu lo stesso Zeus. Un lamento gutturale, si portò straziato una mano tremante al petto. Perse la presa sul proprio bastone e si accasciò, in ginocchio, respirando faticosamente ad ampie boccate. Athena al suo fianco lo guardò, senza muovere un dito, non facendo che tremare. Si interrogava, interrogava le sue infinite conoscenze, su un modo per riuscire a difendersi da tutto quello, ma non c'era risposta. Priscilla era diventata l'aria stessa, era penetrata nei tessuti di loro padre, ogni respiro era un accesso libero per lei all'interno del suo corpo e da lì lo stava distruggendo. L'unico modo per impedirle di proseguire era privare padre Zeus della stessa aria che lo circondava, ma anche quello voleva dire ucciderlo. 
«Padre Zeus!» gridò Dike, terrorizzata.
«Padre!» gli fece eco Eirene e insieme a Eunomia, Efesto, Dioniso e Hermes, lo circondarono. Cercarono di tenerlo sollevato, lo guardavano e lo studiavano, ma nessuna risposta arrivava alla loro mente. Athena, al suo fianco, fece un passo indietro. Si portò le mani al volto e negò debolmente con la testa, fissando suo padre che ai suoi piedi cadeva a terra. L’anziano tossì, sputò sangue, mentre le molecole di Priscilla dentro di lui distruggevano ogni organo e chiudevano ogni vena.
«Athena!» chiamò in lacrime Ebe. «Che facciamo?» 
«Ares!» chiamò Eris, puntando all'unico punto di riferimento che avesse, ma lui continuava a restare immobile. Spalle abbandonate, testa china in avanti, gli occhi non erano più rossi. Aveva perso ogni istinto combattivo.
«Ares... ti prego» singhiozzò Afrodite, ora inginocchiata a terra.
«Padre Zeus!» l'urlo disperato di Dike, che tenendolo tra le braccia, lo sentì spirare l'ultima volta. «Padre Zeus!» chiamò ancora e un lieve lamento nacque tra di loro, sempre più forte. Dioniso cadde in ginocchio, in lacrime, Hermes subito dopo lo imitò. Ebe, Dike, Nemesi, Persefone... Eunomia prese tra le braccia i due gemelli e li strinse entrambi forti al petto, Ilizia si avvicinò a Eris, ora seduta per terra, e le mise una semplice mano sulla spalla. Afrodite cominciò a singhiozzare, coprendosi il volto con le mani, Efesto si lasciò cadere steso a terra, stanco per la battaglia, decise di dedicare quegli ultimi istanti di vita che gli rimanevano per ammirare il cielo. 
«Athena l'aveva detto» mormorò Eris, abbandonata si appoggiava alla sua spada conficcata a terra, ormai rassegnata. «Averla come nemica è stato un errore». 
«Eunomia-nee» mormorò Apollo, confuso, ancora troppo piccolo per comprendere. «Perché piangete tutti?»
«Hanno vinto loro, Eunomia-nee?» chiese Artemide, altrettanto confusa. 
«Vinto» mormorò Ares e lentamente spostò gli occhi di fianco a sé. Respirando faticosamente, più per il dolore che per la stanchezza, Laxus si era trascinato fino a lì. Dalla gola serrata continuavano a uscire lamenti mentre una guancia si inumidiva di una lacrima che persino un uomo orgoglioso e virile come lui non era riuscito a trattenere. Si aggrappò, con le dita tremanti e rigide, all'unica cosa che restava di Priscilla... i suoi vestiti, abbandonati a terra. Singhiozzando e lamentandosi, se li avvicinò al viso e ci affondò il volto, chiudendo gli occhi. Poteva ancora sentire il suo odore, non solo su di essi, ma tutto intorno a sé. Poteva sentire la sua voce chiamarlo, in quel leggero soffio di vento che gli fischiava nelle orecchie. Poteva sentirla ridere, divertita, in un eco caotico dei loro compagni di gilda mentre si azzuffavano. Non voleva alzare gli occhi, non voleva alzarsi da terra e rendersi conto che tutto ciò che aveva sempre avuto in un solo istante l'aveva perso. Era stato lui a voltarle le spalle per ben due volte, a prendere le distanze, era stato sempre lui quello che decideva di andarsene perché dentro sé sapeva, egoisticamente, che quando voleva tornare indietro l'avrebbe sempre ritrovata. L’aveva sempre data per scontata, convinto che lei sarebbe sempre stata lì per lui. Una casa allegra, una casa accogliente, il calore di un sorriso, di un abbraccio, di una parola gentile... sapeva che mai avrebbe perso tutto quello e appoggiarsi a quella realtà l'aveva da sempre spinto a temporeggiare, a voltarsi dall'altra parte, a non guardare. Adagiato a una quotidiana presenza, al desiderio di lasciare tutto com'era, era rimasto immobile anche quando la realtà andava ben oltre, sempre più avanti, e solo ora che sentiva di averla persa per sempre si rendeva conto di quanto fosse stato sciocco. La sua presenza, costante ed eterna, l'aveva da sempre rassicurato così tanto. Ma ora... quando avrebbe voluto tornare a casa, dove sarebbe andato? Quale posto era degno di chiamarsi casa, se a riceverlo non c'erano i suoi sorrisi? Persino quando l'aveva allontanata, all'alba dei suoi diciotto anni, aveva avuto bisogno di lei. Era stata una presenza fissa, eterna, a cui si era sempre appoggiato. Tutto ciò di cui aveva davvero avuto bisogno. E ciò che faceva più male... era che non glielo aveva mai detto. Che non le aveva mai risposto, che aveva sempre eliminato dai ricordi un bacio che lei gli aveva coraggiosamente rubato o il sussurro di una supplica che da sempre gli rivolgeva quando pensava che lui non potesse sentirla. Lei lo amava e lui aveva sempre fatto finta che non fosse vero, di non vederlo, per paura di quello che poi ne sarebbe stato di loro. Convinto, stupidamente, che se l'avesse negato tutto sarebbe rimasto immutato per l'eternità e lei avrebbe per sempre condito ogni suo ricordo con quel suo candore primaverile. Come se non fosse mai potuta sparire, come se avessero potuto entrambi vivere per sempre nella semplicità di quella felicità genuina e quotidiana. 
Ma ora... non restavano che degli abiti vuoti e un'aria tanto dolce e tiepida a tormentarlo, perché sapeva che quelle erano le sue carezze, i suoi abbracci, i suoi sussurri d'amore, ma lui non poteva più sentirli. Ormai lui non avrebbe più potuto sentirla sussurrare nella notte, speranzosa di non essere sentita, di tenerla sempre con sé. 
«C'è davvero un vincitore?» mormorò Ares, guardando Laxus a terra che tremava e piangeva nascosto negli abiti abbandonati di Priscilla. Il vento gli scompigliò i capelli, facendo svolazzare il lembo dei suoi pantaloni, e lui alzò il naso verso il cielo, socchiudendo gli occhi. Ne assaporò il tocco e un amaro sorriso infine gli adornò il volto.
«Adesso riesco a capirlo» mormorò, prima di aggiungere in uno sforzo improvviso: «Priscilla...». Il dolore gli accecò la vista, poté sentirlo all'altezza del petto che parve stritolargli il cuore. La vista si oscurò, la mente si annebbiò, i muscoli persero improvvisamente tutta la loro forza. Cadde in ginocchio e respirando affannosamente si portò una mano al petto. Vide con la coda dell'occhio metà dei suoi compagni già stesi a terra, immobili, mentre altri stavano subendo la sua stessa sorte. Padre Zeus era morto, i suoi organi collassati per mano di Priscilla che sfruttando l'aria era penetrata dentro lui e l'aveva distrutto dall'interno. La magia difensiva di Athena era stata inutile, ogni magia era inutile, persino il suo risucchio non l'avrebbe salvato ma anzi aveva accellerato il processo risucchiando dentro sé sempre più molecole magiche di una Priscilla ormai dissolta e dispersa per l'intero mondo. E con la morte della loro unica fonte di vita, anche loro, uno dopo l'altro, esaurivano la scorta di vita che gli restava e cadevano a terra. Olympos stava morendo, la gilda degli immortali era stata uccisa e con quell'ultimo atto, solo in quei brevi attimi, avevano finalmente vissuto e l'avevano fatto liberi. Solo pochi istanti, brevi minuti, eppure anche se per così poco loro erano stati liberi e avevano compreso cosa significasse vivere in un mondo come quello. Avevano compreso la vita... attraverso il sentimento della paura.
«Ares» fu l'ultimo respiro di Eris, stesa a terra vicino alla sua spada, con la mano allungata verso il fratello maggiore. Una preghiera, una supplica, che lui colse appieno. Lo stava pregando di salvarla, i suoi occhi spalancati, anche se ora vuoti, erano umidi di lacrime. Sua sorella, nell'ultimo istante, aveva rivolto a lui la sua unica speranza perché sapeva, sentiva, che lui poteva salvarli. Ingenuamente, lo credeva. Ares si era sempre occupato di tutti loro, fin dalla loro nascita, Eris era certa che poteva farlo ancora. Ma quella certezza, lui lo sapeva, era mal riposta.  Non poteva salvarla, non poteva salvare nessuno di loro. Tutti i suoi fratelli, che tanto aveva desiderato avere a fianco, di cui si era occupato con tutto l'impegno che aveva avuto fin dal primo giorno della loro vita, tutti i fratelli che quando avevano bisogno sapevano che potevano chiamare il suo nome... tutti loro, ora, giacevano a terra senza vita. E la colpa era solo sua.
Ares cadde a terra, primo della sua generazione, ultimo nella sua cessazione, seguito dalla prima lacrima che fosse mai stato in grado di versare. 
Così moriva la gilda degli immortali.
Così iniziava a vivere Olympos.
Dioniso fu il primo a tirare un grosso respiro, come se fosse appena riemerso da una terribile apnea. Hermes tossì e poco dopo anche lui riprese a respirare, Ilizia dopo di lui e poi Ebe, Eunomia, Eirene, Afrodite, i gemelli ed Eris. Uno a uno, chi prima e chi dopo, tornava a respirare e a riaprire gli occhi. Confusi, increduli, neanche avevano la forza di chiedere cosa stesse accadendo e se magari Athena o Ares fossero stati in grado di fare qualcosa. Si guardavano attorno, constatando che anche gli altri fratelli uno a uno si tiravano nuovamente su, in ginocchio, seduti, tornando a respirare e vivere. 
Wendy, pochi passi da Dioniso, infine crollò a terra e venne sostenuta da Cana vicino a lei. Sudata fradicia, ormai priva di forze, si lasciò andare a un meritato riposo ansimando un soddisfatto: «Ci sono riuscita... appena in tempo».
«Wendy... stai bene?» si avvicinò Happy, preoccupato, mettendole una zampa amichevole su un ginocchio. Lei annuì, nonostante non avesse nemmeno le forze di tenersi in piedi. «Da quando Priscilla-nee mi ha detto che la mia magia forse avrebbe potuto liberarla e darle la vita, insieme a Polushka-san abbiamo studiato molto su questo aspetto. Non ero sicura di poterlo fare, ma visto che in alternativa sarebbero morti... ci ho voluto provare» spiegò. «È stato molto più difficile del previsto» ammise, per giustificare la sua stanchezza.
I membri di Olympos, sentita la spiegazione di Wendy, cominciarono a lanciarsi silenziosi sguardi di vario tipo. Chi sorpreso, chi ancora confuso, chi cominciava invece a manifestare la prima vergogna. Il nemico, coloro che avevano insultato e cercato di uccidere fino a un attimo prima, proprio quello stesso nemico aveva loro salvato la vita. 
«Però...» mormorò poi Wendy, spostando gli occhi poco più avanti. Nonostante tutto quello che era successo, nonostante Zeus fosse stato sconfitto e Olympos liberata, nonostante fossero quasi morti... nonostante tutto quello che stava ancora accadendo, Laxus non si era mosso nemmeno per alzare gli occhi e guardarsi attorno. Ancora accasciato a terra, i muscoli tesi, i lamenti che ancora gli uscivano dalla gola, versava lacrime su quegli abiti che ancora stringeva tra le dita tanto che avrebbe potuto strapparli. «Non sono riuscita a riportarla indietro» mormorò Wendy, abbassando lo sguardo per nascondere un singhiozzo. «Ho usato tutto il mio potere per salvare i membri di Olympos, non ho forza di cercarla. A quest'ora sarà sparpagliata per tutto il continente» singhiozzò ancora, portandosi poi le mani al volto e lamentando un supplichevole: «Priscilla-nee».
E per quanto anche i più duri cercassero di restare calmi, persino membri del calibro di Elfman o Gray non riuscirono a trattenere una lacrima. Levy si strinse contro il petto di Gajeel, soffocando su di lui i propri lamenti, Lucy stesa a terra non trovò la forza di alzarsi e Lluvia, stringendosi in se stessa, si asciugava inutilmente una guancia. 
«È colpa nostra» la voce rotta di Dioniso diede un suono a ciò che macerava dentro i petti di tutti i suoi compagni. Abbassavano lo sguardo, lacerati dai sensi di colpa, ma solo lui aveva avuto il coraggio di esprimere a parole ciò che realmente sentivano. Hermes, che era un'anima pura e spontanea come lui, lo seguì poco dopo mettendosi a piangere e tirando su col naso. 
«Mi dispiace tanto essermela preso con voi» singhiozzò il rosso.
«Non pensavamo fosse sbagliato» singhiozzò Dioniso, vicino a lui.
«Non volevamo che Onee-san morisse o soffrisse» insisté Hermes. «Volevamo solo che restasse con noi».
«Non sapevamo cosa volevamo» mormorò Eris, tirandosi su con le braccia a mettendosi a sedere. «Facevamo solo quello che ci veniva detto».
«Ci siamo legati molto a Priscilla perché lei, a differenza nostra, era riuscita a liberarsi e sembrava sapere perfettamente cosa significasse stare al mondo. Abbiamo insistito per averla con noi» disse Ilizia, vicino all'amica. «Athena ha fatto in modo di convincere Padre Zeus che lei fosse necessaria».
«Desideravate che vi insegnaste, che vi aiutaste... ed è quello che ha fatto» la voce di Makarov, seppur rotta dalla stanchezza, arrivò non troppo lontana da loro.
«Master!» chiamò Lisanna, sorpresa e felice di vederlo sveglio. Al suo fianco sedeva Apollo, con in mano una fiala vuota e uno sguardo colpevole, mentre Afrodite dietro di lui gli accarezzava la testa sussurrandogli quanto fosse stato bravo a conservare l'antidoto. 
«Athena ha detto di portarlo» confessò Apollo e pian piano la matassa sembrava sbrigliarsi. Erano perfetti soldatini, macchine progettate per uccidere, obbedienti avrebbero seguito il loro master fino all'inferno, ma dentro loro già da tempo aveva cominciato a macerare il bruciante desiderio di avere qualcosa di più di un semplice percorso precostruito da seguire. Il bruciante desiderio di camminare con i propri piedi, verso luoghi diversi da quelli che gli erano stati ordinati. Il desiderio di libertà, di vita e amore, che Athena aveva silenziosamente accudito di nascosto. Costretta a seguire suo padre, aveva nell'ombra cercato di portare i propri fratelli sempre più vicini alla realizzazione di quel sogno di cui forse erano persino inconsapevoli. Uccidere delle persone non era mai stato la loro reale indole, per questo Athena aveva spinto Apollo a portare con sé l'antidoto che avrebbe potuto salvare il loro master. 
Makarov sospirò, cercando di nascondere in quel gesto di rassegnazione e fatica il dolore di scoprire che la sua amata nipote gli aveva disobbedito, usando una mossa che l'avrebbe condannata per sempre. 
«Priscilla porge sempre la mano destra verso chi chiede aiuto. È qualcosa contro cui non posso combattere» mormorò. «Ha provato a stimolare i vostri sentimenti, perché è da essi che nasce la magia, ma eravate troppo accecati da vostro padre per ascoltarla. Perciò si è aggrappata al sentimento primordiale, quello che ha provato anche lei prima di tutti gli altri... la paura. Ha cercato di insegnarvi il significato della vita, ha stimolato il vostro cuore e con l'aiuto della magia di Wendy è riuscita infine a liberarvi, salvando al contempo anche la sua amata gilda. Di fronte all'aspettativa di poter salvare tutti quanti, il sacrificio del suo corpo era ciò che le interessava meno. È questo il prezzo... che ora dobbiamo pagare» terminò Makarov, lanciando uno sguardo straziato al nipote che ancora inginocchiato a terra, con la testa poggiata al suolo, sembrava non si sarebbe mai ripreso. 
«Ares!» la voce imperativa di Athena si alzò insieme a lei, mentre tornava ad assumere una posa piena di orgoglio e superiorità. L'uomo a terra, che seduto guardava silenzioso ciò che gli stava accadendo intorno, si voltò curioso verso la sorella ma non proferì parola. «Terminiamo ciò che abbiamo iniziato» ordinò, lasciando persino Ares stesso sorpreso. Dopo tutto quello che era successo, dopo tutto ciò che avevano passato, proprio lei non si arrendeva?
«Uccidili» continuò Athena. «Uccidi Fairy Tail».
«Aspetta...» mormorò Ilizia, sconvolta.
«Athena, solo...» fece un passo avanti Afrodite, ma uno spettro le nacque da sotto i piedi e la bloccò. Persefone prese timidamente forma da esso e alzando le mani sussurrò con la sua solita sottile e timida voce: «Aspettate, per favore. Solo un attimo... per favore» si strinse nelle spalle, vergognandosi probabilmente di quell'atto di coraggio che era stato parlare a voce alta e mettersi contro i suoi stessi fratelli. Ma proprio quello fece capire che c'era qualcosa sotto... e li convinse a stare semplicemente a guardare.
Ares si alzò in piedi e si sgranchì il collo, si schioccò le dita, e si avvicinò infine a Laxus. Si fermò a un passo da lui e alzando il mento sogghignò.
«Patetico» disse e sentire anche solo la sua voce ebbe un primo effetto. Piccole scosse elettriche cominciarono a schioccare intorno ai muscoli di Laxus. «Si è sacrificata per cercare di ucciderci e guarda... siamo ancora tutti qua. Inutile e patetico. Cosa sperava di ottenere? Sperava che bastasse questo a spingerci a cambiare idea? Spaventarci, credeva sarebbe bastato per cominciare a provare ridicoli sentimenti e magari convincerci a lasciarvi in pace... debole e patetica. Vi ucciderò, e lo farò mentre lei non potrà fare niente per fermarci, sotto al suo sguardo» sghignazzò e guardò dall'alto al basso Laxus che reagiva alla sua provocazione esattamente come aveva sperato. Alzò finalmente gli occhi da terra, accecati da una rabbia folle, tanto che i denti serrati avrebbero potuto rompersi da quanto erano stretti dalla mascella. Avrebbe persino cominciato a sbavare come un cane rabbioso da un momento all'altro, probabilmente l'avrebbe fatto davvero. E l'elettricità intorno al suo corpo aumentava di scariche e intensità. 
«Guarda un po'» sogghignò Ares, sempre più provocatorio, e sorrise malignamente. «Tante belle parole, biondino, eppure non sei ancora riuscito a proteggerla come promesso. Tu sei anche più patetico di lei».
Con un urlo furioso Laxus si sollevò da terra e tirò ad Ares un cazzotto avvolto dal proprio potere dei fulmini. Ares riuscì a pararlo, anche se dovette indietreggiare di un paio di passi e questo gli costò una bella bruciatura sul braccio sinistro. Parò un altro colpo e contrattaccò, riprendendo così con lui la lotta esattamente da dove avevano lasciato... con un’unica differenza: Ares non aveva gli occhi rossi, ma scuri. Il suo intento non era uccidere, né tanto meno combattere. 
«Sei la sua condanna, non è ciò che ti ho già detto? E non sei nemmeno riuscito a sentire da subito che la Priscilla che ti ha riaccompagnato a casa non era lei» insisté Ares e più parlava, più l'elettricità intorno a Laxus aumentava, segno della sua rabbia che cresceva, del suo potere che veniva sprigionato nonostante fosse al limite già da tempo. «Pretendi di amarla, ma ti fai fregare così sotto al naso. Tante belle parole, solo tante belle parole e poi non sei che una delusione, una palla al piede! E ora vi uccideremo...» continuò, tirandogli una testata. «Così tutti i suoi sforzi saranno stati vani» ridacchiò e in un ultimo accecante atto di follia Laxus urlò di rabbia, si caricò con la restante elettricità che aveva in corpo e tirò ad Ares un potente pugno in pieno viso. Lui non provò nemmeno a difendersi. Venne lanciato via di qualche metro e restò seduto a terra, massaggiandosi il volto colpito, e guardando ciò che stava accadendo. Non aveva idea del perché Athena gli avesse chiesto di continuare, aveva intuito che doveva aver a che fare con Laxus visto che aveva indicato lui, ma si fidava di sua sorella e anche se non sapeva cosa nascondeva l'aveva assecondata. Fu una sorpresa anche per lui quando vide una sagoma azzurra prendere sempre più forma proprio davanti a Laxus, in ginocchio di nuovo per la fatica, ma ancora avvolto dall'elettricità per la rabbia accecante di cui non riusciva a liberarsi. Un pulviscolo azzurro si radunava sempre più, si accumulava di fronte a lui, fino a prendere una sembianza vagamente umana . E più i fulmini di Laxus schioccavano più rapidamente il pulviscolo riusciva a radunarsi e condensarsi. Quando Laxus si accorse della figura che aveva di fronte, Priscilla era ormai quasi del tutto riformata. Aggrappata al suo collo, stretta come se avesse paura di sparire di nuovo, ansimava per la fatica ed era madida di sudore. Terminò finalmente di ricomporsi e si abbandonò sulla sua spalla, senza avere persino le forze di tenersi sulle ginocchia. Laxus dovette afferrarla a stringersela contro per evitare che cadesse a terra. La nebbia di Dike li avvolse immediatamente e quando lei vi emerse si affrettò a poggiare sulle spalle nude della ragazza la giacca di Laxus, raccolta da terra non troppo lontano. Si allontanò poi lentamente, a testa bassa, lasciando ai due il loro spazio e sottolineando così la sua intenzione di non interferire se non per coprirla. 
«Grazie... Athena...» ansimò Priscilla con un filo di voce, troppo stanca persino per restare sveglia. Quella era stata la magia più sfiancante e straziante che avesse mai provato prima di allora, sentire il proprio corpo andare in frantumi aveva toccato un livello nella scala del dolore che mai prima di allora aveva anche solo sfiorato. Ma più di tutti era stato quasi impossibile riuscire a ricomporsi. Il vento, ribelle e irrequieto, l'aveva in poco tempo sparpagliata ovunque. Una parte di lei era rimasta lì, ad occuparsi di Zeus, ma il resto di sé era subito stato pronto ad allontanarsi e raggiungere luoghi infinitamente più lontani. Si era arresa al destino nell'istante in cui aveva deciso di usare quella magia, quando l'aveva attuata l'aveva fatto con la consapevolezza che quello sarebbe stato il loro ultimo addio, ma poi qualcosa di incredibile era successo e a quell'effimera speranza si era aggrappata disperatamente.
«Persefone mi ha detto che ha visto la tua anima lottare con tutte le tue forze per restare aggrappata a lui» disse Athena, abbandonando la sua posa colma di superiorità e avvicinandosi al resto dei suoi compagni. Artemide le corse in contro e lei si inginocchiò per prenderla in braccio a stringerla, rassicurarla. «Era l'elettricità dunque, come avevo intuito. L'elettricità della sua magia ha creato un campo elettromagnetico che si è rivelato particolarmente attrattivo nei confronti delle tue molecole. Hai usato ciò che restava della tua magia per aumentare questa forza attrattiva e restare almeno nei paraggi, ma bisognava che questa aumentasse per permettere a tutte le parti di te di radunarsi nuovamente e permetterti di ricomporti definitivamente. Probabilmente la forza attrattiva è dovuta al fatto che tu sei stata creata su misura per quella magia. Ares non è delicato, ma sapevo che avrebbe saputo toccare i tasti giusti per stimolare quell'uomo a dare fondo a tutto ciò che aveva e permetterti di riuscire nel tuo disperato intento».
«E io che speravo che tu volessi che lo uccidessi davvero» ridacchiò maligno Ares, benché fosse ormai palese che stesse solo scherzando per stuzzicare Laxus, cosa che ancora non aveva smesso di divertirlo. 
«Spero così di aver ripagato il nostro debito» confessò Athena, stringendo la piccola Artemide al petto. «Non vi chiediamo di perdonarci, ma spero che almeno così non ci riserverete rancore» aggiunse e tolse dai capelli della bambina dei pulviscoli causati dal combattimento di poco prima. Parole forti, colme di una vergogna che tutti provavano e di cui lei si era fatta portavoce. Sapevano che niente avrebbe potuto perdonare quel loro attacco insensato, avevano messo a repentaglio troppe vite, non gli interessava nemmeno la redenzione. Ma era giusto che loro potessero andare avanti con le loro vite senza ripercussioni, dimenticandoli se necessario. Mirajane, finalmente sveglia, si avvicinò a lei a passi lenti e delicati. Le si inginocchiò di fronte e diede una tenera carezza alla testa di Artemide, sorridendo amorevole ad Athena.
«È sempre difficile occuparsi di tutti, vero? Però è divertente poterli avere attorno, anche se ogni tanto esagerano» disse con una leggerezza che la colpì profondamente. Non c'era traccia di odio né tantomeno di rancore in quegli occhi. 
«Accidenti, piccoletto, sei veramente un fulmine!» esclamò Jet, avvicinandosi a Hermes e guardandolo con le braccia conserte e un allegro sorriso in volto. 
«Hai tenuto a bada da solo due Dragon Slayer e sei così giovane. Mi fai quasi invidia, lo sai?» disse Droy, inginocchiandosi di fronte a Dioniso. 
«Ci riusciva solo perché ci faceva venire il mal di mare!» ruggì Gajeel, offeso del fatto che lui e Wendy fossero stati messi alle strette da un moccioso come quello. Dioniso tirò su col naso e guardò con uno strano fascino il pacchetto di patatine da cui Droy si stava abbuffando -e chissà dove da dove aveva preso. «Cosa sono?» chiese timido, ma affascinato. Era stato l'unico che dopo la cena che avevano fatto insieme a Priscilla e i membri di Fairy Tail era rimasto veramente affascinato dal sapore del cibo. Almeno la metà di loro aveva finto, solo per sembrare simpatici verso Priscilla, ma lui aveva scoperto un vero e proprio paradiso terrestre. Il cibo era vita!
«Patatine! Vuoi assaggiare?» chiese Droy porgendogli il pacchetto e Dioniso annuendo timidamente allungò una mano, prese una manciata di patatine e iniziò ad abbuffarsi selvaggiamente. 
«Ehy, piano! Così le finisci!» sussultò Droy, contrariato dal fatto che un atto di gentilezza si fosse tramutato in un vero e proprio furto.
«E così hai bisogno di trasformarti in altre donne per sedurre un uomo?» chiese Evergreen provocatoria verso Afrodite, che in tutta risposta si trasformò in lei... ma senza vestiti. «Posso fare anche tante altre cose» disse Afrodite, per niente timida della sua nudità -anche perché era quella di Evergreen. Elfman lanciò un urlo nel vederla per poi diventare tutto rosso e assumere un'espressione per niente innocente. Evergreen, quella vera, reagì cominciando a colpire l'uomo con tutta la furia e la vergogna che aveva addosso. Bickslow scoppiò a ridere di fronte a quella scena, senza risparmiarsi nel tornare a sottolineare come tra i due ci fosse del tenero sicuramente, e anche lui si beccò qualche insulto dall'amica. Nascosta dietro Fried, che ora raggiungeva il compagno, sbucò la timida faccia di Persefone che lanciò lunghi e intensi sguardi a Bickslow, perfettamente visibile nonostante avesse cercato di nascondersi dietro l'amico. Non appena Bickslow la vide provò ancora a salutarla, visto che la prima volta era andata male, ma lei ancora reagì lanciando piccoli urletti di imbarazzo e si rannicchiò maggiormente dietro Fried decisa a restare lì tutto il giorno. Erza si sedette vicino a Eris, che si voltò dall'altro lato apparentemente astiosa e per niente intenzionata a socializzare, ma poi lei le mostrò una delle sue spade e il fascino della lama attirò l'attenzione dell'immortale tanto da farle dimenticare tutti i rancori. Efesto e Natsu iniziarono a scherzare tra loro senza neanche il bisogno di sforzarsi, cominciando una sfida a chi dei due fosse stato in grado di raggiungere temperature più elevate. Chiesero a Lucy di fare da giudice ma la ragazza si rifiutò categoricamente. Cana si avvicinò a Nemesi, Lisanna al piccolo Apollo e al Master che ancora aveva bisogno di riposare e riprendersi dagli effetti del veleno, Lluvia a Dike, Ebe e Ilizia e infine anche Eirene... tutti, senza bisogno di chiederlo apertamente, vennero coinvolti in qualche discorso o gioco come fosse una normale rimpatriata tra amici, come se non ci fosse stato tra loro nessuno scontro mortale fino a poco prima. 
E Priscilla, finalmente salva e a casa, poté piano piano riprendere le forze tra le braccia dell'uomo che inconsapevolmente le aveva salvato la vita. Lo sentì, che ancora tremava, scosso da quanto era successo poco prima. Nascondeva il volto sul suo collo, la stringeva tanto da farle male, si copriva con i suoi capelli come se si vergognasse, e in quell'antro tanto familiare poté sfogare del tutto la propria frustrazione e la propria felicità, mentre non poco lontano da loro il resto della sua famiglia riempiva quel luogo, che fino a poco prima era stato avvolto dalla morte, di gioia e vita. 
«Laxus...» mormorò Priscilla con quel poco di voce che aveva. Quella voce... sentire quella voce pronunciare il suo nome, aveva temuto che non sarebbe più accaduto. La strinse ancora di più, lasciando che un lamento gli uscisse dalla gola, e questo la intenerì immensamente. Era la prima volta in tutta la sua vita che lo vedeva così debole, così fragile. E per quanto desiderasse proteggerlo, evitare che potesse sprofondare nella vergogna per aver fatto scappare un lato di sé come quello, sentirlo così aggrappato a lei, sentirlo così disperato per lei, le portava al petto un'intesa gioia egoista. 
"Se io morissi... almeno in quell'occasione, verseresti una lacrima?"
«Laxus, stai piangendo... per me?» chiese amorevole e riuscì ad alzare una mano per potergli accarezzare la nuca. Sapeva che il suo orgoglio l'avrebbe portato a rispondere in un certo modo, perciò si preparò a sentirlo sbraitare o brontolare, accennando un sorriso divertito di fronte a quell'evenienza. Ma si sorprese molto quando invece Laxus reagì stringendola ancora di più e con voce lamentosa le disse, imperativo: «Non azzardarti mai più a morire senza di me».
"Perché sai, io penso che se tu morissi... sì, io credo che vorrei morire insieme a te".
Il cuore prese a batterle nel petto tanto forte che faticò a tenere sotto controllo il respiro. Era sciocco e forse era colpa dei suoi sentimenti, ma quelle semplici parole ebbero lo stesso effetto che avrebbe potuto avere una vera dichiarazione d'amore. Li legava, li legava indissolubilmente, li rendeva una cosa sola, li costringeva a stringere le dita le une nelle altre e non lasciarsi mai più andare. Il suo desiderio più grande, il suo sogno di averlo per sempre accanto a sé, era esattamente lì. Tra le sue dita... ed era lui stesso che glielo stava offrendo. 
«Ok...» mormorò lei, con le guance arrossate per l'emozione. «Va bene» balbettò non sapendo come altro rispondere,  e semplicemente si beò della dolce sensazione di poterlo stringere a sé in tutta quella bontà e in tutto quell'amore che aveva solo per lei. 
«Onee-san!» l'urlo simultaneo sia di Apollo che Artemide fu la freccia che ruppe definitivamente quella bolla in cui si erano rifugiati. Si voltarono entrambi a guardare i due bambini che gli correvano incontro, rincorsi da Lucy e Evergreen che imploravano loro di fermarsi e lasciarli stare. Inutilmente. 
Apollo e Artemide saltarono tra le braccia di Priscilla e l'abbracciarono, scoppiando in lacrime e chiedendole scusa per non essere stati bravi. La loro interruzione permise a Laxus di staccare la testa da quell'oblio in cui sembrava caduto, tornare alla normalità e anche ripulirsi il viso dalle lacrime che aveva smesso solo allora di versare. Tornare normale... in un certo senso gli fu grato. Gli permise di ricomporsi.
Priscilla strinse entrambi i bambini, accarezzò loro le teste e li rassicurò, amorevolmente. Nessuno di loro, nessuno di Fairy Tail, portava rancore nei loro confronti. Sapevano benissimo cosa significava avere un padre manipolatore e viscido. 
Li consolò per un po', per poi spostare infine lo sguardo sull'unico, di tutta la gilda Olympos, che ancora non avesse accennato nemmeno a un sorriso o a una parola amichevole. Ares se ne stava da solo, ancora seduto a terra dopo l'ultimo colpo subito da Laxus, a pochi metri da loro. Con lo sguardo torvo, silenzioso, non faceva che guardare la sua famiglia che stringeva amicizia con coloro che avevano tentato di uccidere fino a quel momento. Non c'era bisogno certo di conoscerlo bene per capire e leggere sul suo volto che tra tutti lui fosse quello più turbato. In fondo era stato il capostipite di quella generazione, era stato lui l'inizio di ogni cosa, era stato lui a crescerli, a guidarli e infine era stato lui a vederli morire fino all'ultimo. Quella lacrima che aveva versato un istante prima del suo ultimo respiro non poteva dimenticarla. Priscilla si alzò da terra, coprendosi con il cappotto di Laxus, e si avvicinò a lui. Benché potesse comunque vederla e sapesse perfettamente di averla a fianco non le rivolse minimamente la sua attenzione. 
«Quel pugno...» disse Priscilla, anche se ancora non ebbe da parte sua un minimo di considerazione. «Quello che hai cercato di darmi quando ho fatto la dissolvenza... non me l'hai dato per impedirmi di uccidervi, vero?» ma lui ancora non rispose. «Volevi impedirmi di sparire per sempre, non è così?» insisté ma ancora nessuna risposta. Lei sorrise, capendo che quel silenzio, quel mutismo frustrato, era solo la conferma di quanto lei stesse dicendo.
Non era molto diverso da Laxus, in fondo.
«Le cose che mi hai detto erano vere, nonostante tutto» continuò, volgendo lo sguardo alle proprie rispettive gilde che in quel momento ridevano e scherzavano. «Lo so bene, anche se vuoi farmi credere che erano tutta una finzione. Eri sincero. Ti senti un'ombra, una distorsione, senti che è tutto sbagliato... ti sei sentito solo così tanto che quando Athena ed Efesto sono venuti al mondo hai iniziato a dubitare del reale significato che avesse la tua vita. Ti importava solo proteggerli e crescerli... e proprio per questo hai continuato ad assecondare i desideri di Padre Zeus, purché lui avesse continuato a darti dei fratelli. Questa guerra non ti è mai interessata... avevi solo bisogno di avere qualcosa da chiamare casa. È la stessa cosa che provavano tutti i tuoi fratelli, ma loro ne erano inconsapevoli a differenza tua. Perché tu sei il più forte... e sapendo che a te si sono sempre appoggiati, sentendo sulle tue spalle la responsabilità di tutte le loro vite, hai lottato fino alla fine contro le tue volontà sperando così di proteggerli» disse lei e Ares, che fino a quel momento era stato in silenzio, assorto, apparentemente arrabbiato, si sciolse in un sorriso. «Adesso lo capisci, Ares?» chiese ancora lei, dolcemente. «La forza del legame, il calore dell'amore, il desiderio di salvare una vita...»
«Comincio a capirlo» confessò Ares, prima di abbozzare un sorriso divertito. «Sei una pazza spericolata. Ti sei spinta a tanto solo per darci una lezione».
«In realtà ho pensato veramente che sarebbe stata la fine per me! E non avevo idea che vi sareste salvati, ho solo pregato che Wendy ci riuscisse e tutto andasse per il meglio. Che fortuna, eh?» ridacchiò e Ares sbarrò gli occhi, sussultando con un: «Stai scherzando, vero?!».
Sospirò, ignorando quanto appena successo, e tornò a guardare i membri delle due gilde che familiarizzavano amichevolmente tra loro. Assunse un'aria meno orgogliosa, più debole e preoccupata, svelando così il suo reale animo.
«Che ne sarà ora di noi?» chiese. «Non abbiamo più né una guida né un posto dove andare, non sappiamo più nemmeno chi e cosa siamo».
«Ma che stai dicendo?» ridacchiò Priscilla, voltandosi e guardando Ares con un enorme sorriso. «Non è cambiato assolutamente niente. Avete una casa non troppo lontana da qui, lo scopo di diventare una gilda ufficiale, avete un nome e un'identità, potete usare il vostro incredibile potenziale per fare del bene e potete cominciare ad esplorare il mondo... le vostre vite sono appena iniziate, ci sono così tante cose da fare e scoprire. Ma soprattutto...» e si voltò, per poi porgergli una mano e aiutarlo ad alzarsi da terra. Un simbolico gesto di amicizia, di fraternità, ma soprattutto di sostegno. Tutti i suoi fratelli si erano rialzati, ora doveva farlo anche lui. Soprattutto lui. «Loro hanno ancora una guida» gli sorrise, facendogli capire che fosse lui il soggetto della sua frase. Era stato il primo a nascere, era quello con maggiore esperienza, era stato lui a desiderarli e soprattutto era stato lui a crescerli. Eris ed Ebe erano diventate forti grazie ai suoi allenamenti, Dioniso ed Hermes avevano la testa sulle spalle grazie ai suoi rimproveri, Athena si rivolgeva sempre a lui per primo quando aveva bisogno di un confronto e qualcuno di affidabile a cui dare qualche incarico, era lui che tirava fuori dai guai Efesto, era lui che si occupava della crescita dei gemelli, era lui che aiutava, che indicava, che spiegava, che teneva tutti sotto controllo... era lui che guidava. 
«Non sono tanto diverso da loro» sorrise Ares, divertito, ma nonostante l'apparente rifiuto non disdegnò la sua mano. L'afferrò e si rialzò, aiutato. «Sarebbe meglio se a guidarci fosse qualcuno che ha già percorso questi passi» le disse, senza lasciar andare la sua mano.
«Ancora ci provi» inarcò un sopracciglio lei, divertita.
«Non ho proprio speranze di convincerti a venire con noi, vero?» ridacchiò lui, arrendevole. 
«Ares» sospirò lei, intenerita da quella sua titubanza che dimostrava solo la sua fragilità. Aveva paura di quello che sarebbe successo, una simile responsabilità lo terrorizzava, ma era pronto a prendersela per amore della sua famiglia. «Hanno chiamato te» sottolineò Priscilla e fu proprio quell'affermazione a dissolvere ogni suo dubbio. Un istante prima di morire, di fronte alla novità di quel terrore, con il loro ultimo respiro loro avevano chiamato il nome di Ares. Non di Priscilla e nemmeno Padre Zeus... loro avevano bisogno solo di Ares. 
«Ho capito» sospirò e sorrise. Era pronto, pronto ad affrontare quella nuova vita e soprattutto pronto a farlo insieme alla sua famiglia, le persone che più amava al mondo... perché adesso sapeva bene cosa significasse amare. 
«Forse è meglio così» aggiunse poi, alzando le spalle e abbozzando un sorriso malandrino. «Se fossi venuta con noi mi sarebbe toccato avere intorno quel fulminato biondastro e certo non ho voglia di vedere ancora il suo brutto muso» provocò ed ebbe effetto, visto che Laxus reagì ingrugnendosi e lanciandogli occhiatacce furiose. L'antipatia sicuramente era ricambiata. Potevano essere entrati in pace, ogni ostilità era cessata, ma non cambiava la situazione tra loro... quel tizio gli dava sui nervi. E la cosa era sicuramente reciproca. 
«Ciò non toglie che ci mancherai, piccoletta» aggiunse poi suadente, guardando Priscilla. Fece un passo verso di lei, usò la mano che ancora stringeva per tirarla più vicino a sé e sfruttando la sua forza a suo vantaggio e l'effetto sorpresa la prese per la nuca e se la portò al volto. Le proprie labbra intrappolarono le sue con una tale rapidità che lei riuscì a comprendere che quello si trattava di un bacio solo qualche secondo dopo, quando addirittura lui stava già allontanandosi soddisfatto del furto. Aprì gli occhi guardandola divertito, ma pochi istanti dopo volse lo sguardo a colui che veramente gli interessava stuzzicare. Sogghignando lanciò a Laxus, alle spalle di Priscilla, l'occhiata più maligna che avesse sfoderato fino a quel momento facendo ben intuire che quel gesto aveva forse più l'intenzione di provocarlo e punzecchiarlo ancora piuttosto che dimostrare i propri sentimenti verso Priscilla. Una risatina diabolica gli uscì dalla gola quando lo vide livido in volto, a pugni stretti, la mascella serrata, tanto furioso che tremava dalla voglia di scattare in avanti e ammazzarlo di botte. 
Priscilla restò ancora paralizzata qualche secondo, persa in chissà quale mondo incantato, con le guance leggermente arrossate... e poi urlò. Si voltò di spalle e si portò le dita alle labbra profanate, piagnucolò e tremolò come una foglia, agitata e sconvolta come poche volte lo era stata. 
«Come hai potuto?!» pianse, piena di vergogna. «Quello era il mio primo bacio... me l'hai rubato così» sibilò, sotto shock, e la fronte di Laxus si corrucciò ancora di più mentre alla sua mente  esplodeva come una bomba l'immagine della loro prima nottata a Crocus dove lei ubriaca l'aveva baciato un attimo prima di addormentarsi. 
«Non è esattamente così» sussurrò, imbarazzato e ora altrettanto agitato di fronte a quella confessione: se Ares era arrivato dopo di lui e lei sosteneva di non aver mai baciato nessun altro prima, allora il famigerato primo bacio l'aveva dato proprio a lui... e ne diventava consapevole solo in quel momento. Era come un masso che gli cadeva sulle spalle.
«Il primo, eh?» si leccò le labbra Ares, e sempre più divertito e provocante si accostò a lei, per sussurrarle. «Se vuoi posso regalarti altri primi momenti altrettanto emozionanti, sai?»
Priscilla rabbrividì e la faccia le prese letteralmente fuoco di fronte a quella che era una vera e propria proposta sessuale senza troppi veli. Si coprì il volto completamente rosso con le dita tremanti e lanciò un altro urlo pieno di imbarazzo e vergogna, quando Laxus intervenne mandando al diavolo ogni cenno di orgoglio. Strinse Priscilla al petto, protettivo, e sporgendosi da un lato piantò violentemente la propria fronte contro quella di Ares. 
«Che intenzioni avresti, sentiamo un po', stupida montagna?» ruggì furioso, spingendo Ares con la fronte per dimostrare la propria forza.
«Hai i criceti nel cervello, fulminato? C'è bisogno che sia più esplicito di così perché altrimenti non ci arrivi?» ringhiò Ares con altrettanta furia, respingendo Laxus dal suo lato. 
«Non azzardarti più nemmeno a guardarla» ricambiò ancora Laxus, contrastando la sua forza e tornando a spingerlo lontano con la sola forza della testa. 
«Qual è il tuo problema? Sei suo fratello, mica il suo ragazzo, no?» una palese provocazione, visto che ormai era ovvio persino ai loro occhi cosa ci fosse tra quei due. Laxus continuò a rispondere e Ares rispondeva a sua volta, spingendosi a vicenda con solo la fronte, tanto da farsele diventare rosse per lo sforzo a cui erano sottoposte. E nel frattempo Priscilla, stretta nell’abbraccio protettivo di Laxus, continuava a lamentarsi e cercare riparo all’interno delle sue stesse mani, nascondendo il volto color peperone.
«Che succede tra quei due?» chiese Evergreen, notandoli pochi secondi dopo.
«Hanno capito che abbiamo finito di lottare?» si sporse Lucy, curiosa.
«Santo cielo» sospirò invece Afrodite. 
«Quando Ares si fissa con qualcuno non c'è verso di tenerlo» disse Eris, avvicinandosi alla sorella. 
«Ha odiato il biondino dal primo istante in cui l'ha visto» annuì Afrodite. «È come un bimbo, farà sempre i capricci per potergli tirare due cazzotti».
«Forse è il caso di andarcene» disse Athena avvicinandosi alle due sorelle e i due gemelli sembrarono essere della sua stessa idea, visto che si avvicinarono ad Ares per chiamarlo. Lo strattonarono per il pantalone per attirare le sua attenzione e sbadigliando e stropicciandosi un occhio chiesero, pigramente: «Ares... possiamo andare a casa, ora?»
A casa... 
Ares sorrise e finalmente lasciò in pace Laxus e Priscilla, ammorbidendosi di fronte alla tenera richiesta del piccolo della famiglia. Un semplice gesto, una frase innocente, ma che gli riportava alla mente e al cuore quanto sarebbe successo da lì in poi. Le parole di Priscilla... loro avevano ancora una casa, un luogo dove tornare, una vita da vivere e lo facevano aggrappandosi a lui. Apollo e Artemide si erano avvicinati a lui, per chiedere il permesso di poter tornare, per quanto sembrasse banale lo riportava con i piedi nelle proprie scarpe. Avrebbe preso sulle spalle ciascuno di loro e li avrebbe guidati, come aveva sempre fatto e forse anche con più amore di prima. Ares sarebbe stato il secondo Master di Olympos e avrebbe accettato quel ruolo con responsabilità e orgoglio. 
Si piegò e prese in braccio entrambi. Questo permise ai due bambini di appoggiarsi alle sue spalle e poter cominciare a riposare. Eris, Afrodite, Athena e poi anche Efesto, Dike, Dioniso e tutti gli altri pian piano gli si avvicinarono, lo circondarono e volgevano a lui i loro sguardi speranzosi. L'avrebbero seguito ovunque e sempre, qualsiasi cosa avesse deciso di fare.
«Sì» annuì verso il piccolo Apollo, per poi guardare tutti gli altri. «Torniamo a casa».
Inaspettatamente ci fu gioia nella loro voce, mentre esultavano e cominciavano a progettare come avrebbero impiegato il resto della giornata. Alcuni volevano provare a dormire, Dioniso voleva andare a comprare del cibo in paese, Eris e Ilizia progettavano di andare ad esplorare le montagne a nord, Athena avrebbe liberato lo studio... per riempirlo con libri nuovi. Si incamminarono, parlando tra loro, felici, quando Efesto si avvicinò ad Ares che guardava ancora immobile il resto della sua famiglia che lo precedeva. 
«Che facciamo con lui?» chiese con voce bassa, volgendo uno sguardo al cadavere di Padre Zeus. Ares lo guardò qualche istante, pensieroso, per poi spostare lo sguardo su Priscilla. Era stata lei a ucciderlo, e probabilmente era anche la prima volta che uccideva qualcuno, ma nonostante tutto non c'era rimorso nei suoi occhi. Senza Padre Zeus Olympos avrebbe potuto vivere realmente la sua vita e non riusciva a pentirsi di una cosa come quella. Lei aveva donato a quelle persone speranza e futuro. 
«Ai membri di una gilda ufficiale non è permesso uccidere nessuno, nemmeno se questo si trattasse di un nemico» disse, ricordando anche a lei la regola a cui avrebbe dovuto sottostare. Se il Concilio avesse scoperto ciò che era successo con ogni probabilità l'avrebbe arrestata. Priscilla non tentennò, dimostrando di essere pronta a prendersi persino una responsabilità come quella. 
«Ma una gilda oscura non è costretta a sottostare alle stesse regole» aggiunse poi Ares, voltandosi verso Efesto che semplicemente annuì, comprendendo. Si avvicinò al corpo di Zeus, lo raccolse da terra e si incamminò portandoselo via. 
«Non vi permetteranno mai di diventare una gilda ufficiale se vi prenderete la responsabilità di un omicidio! Ares, aspetta...» disse Priscilla, facendo un passo verso di lui. «Sono pronta a prendermi la mia responsabilità, non fate sciocchezze!»
«No, non è vero che sei pronta» sogghignò Ares, lanciando uno sguardo a Laxus e poi al resto di Fairy Tail. «Devi restare qui, con loro. Per noi non farà molta differenza, ci odiavano già prima».
«Ma...» insisté lei, ma Ares la interruppe: «Vedila come una forma di ringraziamento. Il nostro modo di ricambiare il favore. Ti dobbiamo la vita... Pricchan» quel soprannome. 
Proprio quel pomeriggio, all'ingresso del bosco, Ares aveva rifiutato categoricamente di chiamarla in quel modo. Era il soprannome che le aveva dato la sua famiglia, che le avevano dato gli umani, non si sarebbe mai abbassato a pronunciarlo perché lei non era come loro. O almeno questo aveva sostenuto, fino alla fine non aveva fatto che ripetere ostinato che lei appartenesse a Olympos e non agli umani, ma ora con quel semplice soprannome ammetteva di voler fare un passo indietro. Priscilla non era Priscilla e basta, Priscilla apparteneva agli umani, era come loro... e per questo meritava di restare lì. Era questo che quel semplice soprannome stava a significare. Lei non era Priscilla l'immortale, lei era Pricchan... Pricchan e basta. Maga di Fairy Tail, sorella di un umano, forse umana lei stessa anche se con qualche potenziale in più. Non avrebbe mai permesso che un loro errore le avrebbe negato tutto quello. E lei, di fronte a quell'atto di ammissione, di coraggio e soprattutto di gentilezza non potè che chinare la testa e accettare le loro condizioni.
«Grazie» mormorò semplicemente, tornando di fianco a Laxus che, nonostante tutto, non aveva ancora smesso di essere così protettivo e possessivo nei suoi confronti da voler togliere il braccio dalle sue spalle. Se la strinse vicino e guardò infine anche Ares, con i gemelli in braccio, e Efesto che teneva il corpo di Zeus allontanarsi e seguire il resto della loro famiglia.
«A presto» sussurrò ancora Priscilla, abbozzando un sorriso malinconico nel vederli andar via. 
«Tornate a trovarci!» urlò Lucy per prima, alzando una mano per salutarli, e subito la seguirono anche il resto di Fairy Tail urlando saluti, sbracciandosi, augurando loro il meglio per il futuro. Apollo e Artemide furono i primi a ricambiare, allungandosi oltre le spalle di Ares per alzare le mani e salutare gioiosi. Davanti a loro anche il resto di Olympos si voltarono per salutarli, alzando una mano, saltando dall'allegria come nel caso di Dioniso e Hermes o semplicemente gridando con felicità una promessa che avrebbero volentieri mantenuto.
«A presto!»


   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Fairy Tail / Vai alla pagina dell'autore: Ray Wings