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Autore: BabaYagaIsBack    05/08/2020    0 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Chapter Thirty-two
§ Things left undone §
part two

 

"You say that I'm messing with your head
All 'cause I was making out with your friend
Love hurts whether it's right or wrong
I can't stop 'cause I'm having too much fun
You're on your knees
Begging, Please
Stay with me"

- What the Hell, Avril Lavigne

 

Conto i giorni che mancano agli esami sulle dita d'una mano, esattamente come i messaggi che sono riuscita a scambiare con Charlie nelle ultime ventiquattro ore.
Rientrando a casa dopo il weekend passato pigramente tra l'appartamento di Seth e l'incontro con Caroline, una notifica ha fatto la sua comparsa sul display, sovrastando il viso di quello che al momento è il mio ragazzo. All'inizio non gli ho dato alcuna importanza, mi sono levata le scarpe, ho appeso giacca e borsa all'attaccapanni all'ingresso, ho mugolato qualche saluto e ho oltrepassato la soglia della cucina. Mi sono diretta al frigorifero, aprendone lo sportello senza un reale motivo, perdendoci innanzi lunghissimi istanti; è stato lì che, tra un quesito e quello successivo, ho estratto dalla tasca posteriore dei jeans il telefonino, scoprendo la sorpresa.

Il suo nick svettava con incredibile prepotenza sul riquadro bianco e, sotto, in una font più piccina, "Sento la tua ansia da prestazione riempire anche l'aria di Bristol. Agitata, signorina Raven?".

Non so cosa sia stato più emozionante: se vedere il suo nome, oppure leggere quelle meravigliose frasi e rendermi conto che, a differenza mia, lui non ha smesso di pensarmi nemmeno per un momento, ricordandosi persino l'avvicinarsi degli esami - la data che con minuzia aveva persino appuntato sul calendario di casa propria.
Il cuore, nel leggere, mi è schizzato in gola. Con il suo palpitare tanto concitato ha minacciato di farmi sopraffare da una prima forma di Parkinson, tanto che per rispondere a Benton mi sono serviti diversi tentativi. Le dita non pigiavano mai sulla lettera giusta, così cancellavo veloce, finendo con l'eliminare parole intere e dover ricominciare da capo.

"Almeno ho trovato un modo per farti uscire allo scoperto, caro mio, o sbaglio?"
Ho visto la scritta "CharlieBoy sta scrivendo..." apparire e sparire per una manciata di volte, ritrovandomi involontariamente su delle montagne russe d'emozioni capaci di farmi dapprima contorcere lo stomaco e poi mozzarmi il fiato, ma alla fine l'ho visto rinunciare.
Una parte di me, nei secondi che hanno seguito il suo silenzio, si è sentita letteralmente soffocare. Guardavo la chat, lo schermo nel suo complesso, e la staticità con cui ricambiava le mie attenzioni pareva volermi ricordare quanto fossi ingenua, una stupida mocciosa che non ne voleva sapere di staccarsi dai brandelli di speranza a cui si era ostinatamente aggrappata nelle settimane.

Catherine poco dopo, del tutto inconsapevolmente, facendo il suo ingresso in cucina e afferrando la teiera ha cercato di lenire il dolore di quel nulla con una tisana e qualche chiacchiera, una conversazione che deve esserle apparsa incredibilmente pacata e piacevole a causa della mia totale incapacità di reagire - perché l'improvvisa scomparsa di Charlie mi aveva nuovamente privata di forze, sderenata. E mentre lei mi poneva domande a cui io rispondevo con poco interesse, il tempo è passato, lasciando che le lancette si rincorressero sulla plancia dell'orologio; ci sono volute due ore prima che un'altra notifica mi ridestasse dal torpore.

"Le tue abilità da stratega si stanno affinando allora... o non hai il coraggio di ammettere che sei nel panico e avresti bisogno d'aiuto?"
Impedire a un sorriso di tendermi le labbra è stato impossibile, ma celata dietro al un telefono ho provato a non dargliela vinta, un po' come ai vecchi tempi.
"In effetti se ci fosse Jace sarebbe tutto più semplice :P"

La conversazione è finita poco dopo, prima di cena. Con un'uscita fin troppo neutrale ha evitato che potessi chiedergli troppo, oppure che potessi dirgli qualcosa di sconveniente - magari citando Seth.

"Sì, hai ragione, è lui il genio della famiglia Raven. Quindi mi sa che ti toccherà studiare - e io non mi metterò tra te e i tuoi amati libri di scuola! Buon proseguimento, Jay".

All'inizio ho provato a comporre una controbattuta, un insieme di frasi o domande capace di trattenerlo a me ancora per un po', ma all'ennesimo fallimento ho lasciato cadere il cellulare accanto al sedere, sul divano, facendomi sfuggire di labbra un sonoro sospiro.
Papà mi ha fissata. Allontanando gli occhi dallo schermo del televisore, lì dove ha provato a seguire la strategia di gioco del Manchester United, si è soffermato su di me. Ho sentito il suo sguardo posarmisi in viso, indagare senza però proferir parola e, alla fine, rinunciare alla partita.

«Tutto okay?» ha chiesto, spostando il busto giusto di qualche grado.
Mi sono morsa la lingua. La consapevolezza che non sia il caso di parlare di simili argomenti con lui è molta, ma la voglia di sorreggermi sulle spalle di qualcuno più esperto e allenato è innegabile. Forse lui potrebbe spiegarmi quello che non so, o che semplicemente non comprendo. Potrebbe giudicarmi, certo, ammorbarmi con la solita paternale, ma ciò non toglie che nel suo soliloquio potrei trovare qualche spiegazione - così mi porto le mani al viso, coprendolo.
«No, però vorrei».
«Uhm...» mio padre abbassa il volume, quel tanto che basta per non ostacolare il suo udito, ma non a sufficienza per permettere a qualche altro membro della famiglia d'impicciarsi. Per qualche istante pare persino soppesare i propri pensieri, ma poi si riscuote e domanda: «E si tratta di scuola?»
Scuoto la testa.
«Le tue amiche?»
«Non proprio».
Forse sorride, forse semplicemente si è concesso una smorfia di dissenso. Con le dita ad oscurarmi la visuale mi vien difficile tradurre il suo grugnito, ma nonostante ciò mi costringo a non sbirciare - un po' temo la sua espressione.

«Quale dei tuoi uomini ha combinato casini, allora?»

Passo la lingua sulle labbra, trattenendo un sorriso. Papà arriva sempre al dunque, non come mamma.

«E se non fosse uno solo?»
«Beh, la cosa certo non mi aggrada, ma prima di giudicare sentiamo la tua versione dei fatti».

Lascio cadere le braccia lungo i fianchi, rassegnata all'idea di essermi nuovamente incastrata tra una situazione complicata e una scelta ancor più discutibile.
«La sola che puoi sentire, oltre la mia, è quella di Jace».
«E' per questo che vi parlate poco? Penso di non avervi visto così distanti dai tempi dell'asilo».

Beh, in quel periodo le uniche parole che uscivano dalla mia bocca erano: pappa, mamma, cacca. Dubito potessimo intrattenere conversazioni di chissà quale livello contenutistico - è stato l'avvento delle scuole primarie ad aiutarmi a conquistare il cuore di Jace.

In uno sbuffo annuisco: «In parte».
«Lo sai che a fine settimana sarà qui, vero?»
Storco le labbra, spostando lo sguardo altrove. Vorrei dire di no, cadere dalle nuvole scoprendomi sorpresa, ma non posso. Forse non l'avrò citato a sufficienza, oppure avrò fatto finta di non percepire lo scorrere del tempo, ma so benissimo che mio fratello si era organizzato per liberarsi di tutti gli esami prima dell'estate, in modo da tornare qui a Londra, a casa, da me; l'ho segnato su uno dei post-it attaccati all'armadio.

«Sì, lo so» brontolo con poca convinzione, quasi nascondendomi. Non so se sono pronta a rivederlo, ad affrontarlo a viso aperto. Non credo di poter contrastare la sua persona, le motivazioni che lo spingono ad allontanarmi da Seth - però arriverà a prescindere dai miei dubbi e dovrò prepararmi allo scontro.
Papà si sposta una ciocca brizzolata dalla fronte, fa un mezzo sorriso: «Magari stare insieme vi farà bene». 
«Finiremo con lo scannarci a vicenda» controbatto subito, ritrovandomi poi a mordere la lingua. Forse non era la cosa giusta da dire.
«Posso immaginare il motivo» fa una piccola pausa, lanciando un'occhiata vaga in direzione della tv: «però conosco entrambi e so che non potreste mai farvi del male. Quindi, se frequentare Seth è davvero qualcosa che ti rende felice, Jace lo capirà».

Ne è davvero così sicuro? Pensa davvero che tra quei due tornerà la pace? Io non ne sarei certa, anzi, non lo sono. Temo invece che le cose possano peggiorare, che la scissione tra di loro diventi così netta da non poter più essere sanata - e sarà per mano mia che la ferita diventerà mortale.

***

Quando la porta d'ingresso si è spalancata, rivelando il viso di mio fratello, il cuore mi è parso sul punto di un tracollo. Lo sentivo battere con così tanta foga da far male, eppure sono rimasta immobile a metà scala, stringendo il corrimano quasi volendolo frantumare. Per un attimo mi è parso di essere spettatrice di un film fin troppo coinvolgente, dove mi era possibile avvertire tutto come mio pur essendo altrove. Ho scrutato i movimenti di Jace, il modo in cui Liz gli si è stretta al collo e lui le ha lasciato una carezza sulla testa, salutandola con una dolcezza che sento corrodermi dentro. Ho aumentato la pressione sul corrimano nel vederlo depositare un bacio su quella fronte immensa, così simile alla mia e alla sua. Mi sono rivista nei panni di mia sorella, esattamente come avrebbe fatto una fan con l'attrice protagonista del lungometraggio e, a quel punto, la voce di mio fratello ha riempito l'androne, rimbalzando sui muri fino ad arrivarmi ai timpani - e lì mi ha schiaffeggiata, facendomi rinsavire.
Sussultando mi sono resa conto di far parte della scena che stava avendo luogo innanzi a me, così mi sono costretta a prendere parte al piano-sequenza e adempiere ai miei doveri sorridendo, anche se la gravità cerca in tutti i modi di piegarmi le labbra verso il basso e costringermi a mandare in fumo le riprese.

Dovrei muovere un passo e raggiungerli, così dice il copione, eppure non riesco né ad avanzare né a retrocedere. Sono una sorta di oggetto di scena che, se spostato, potrebbe rompersi malamente - così resto ferma, anche se dubito sia la scelta migliore.

Mamma gli va incontro, lo abbraccia stretto riempiendolo di domande a cui lui non riesce a stare dietro. Negli occhi di Catherine brilla la scintilla d'orgoglio che vedo sempre spegnersi quando si rivolge a me, ma non riesco a non biasimarla: lui è davvero la luce di questa casa - e quando finalmente i nostri sguardi s'incontrano mi pare essere investita dalla scia di un riflettore. Sono abbagliata e il panico da palcoscenico diventa inevitabile. Le mie gambe tremano, le sue sicuramente no. A differenza mia Jace sa sempre come comportarsi, come tenere a bada le ansie e le paure. Non ha bisogno del supporto, di spalle su cui sorreggersi: se vuole può affrontare qualsiasi sfida.

Faccia a faccia, seppur distanti, ci studiamo per qualche istante. Non ho idea di che fare né con quale battuta iniziare la mia parte, quindi resto in attesa di un qualche suggerimento esterno che pare non arrivare. Non ci sono aiuti, spifferi che da dietro le quinte o dalla crew si levano per incitarmi all'azione; sono sola con me stessa, i vuoti e il terrore.

Finché lui non improvvisa.

Mio fratello si divincola dalla presa di mamma, si fa strada tra i parenti e a due a due sale i gradini che ci separano, oscurando la mia visuale sulla famiglia, catturando tutta la mia attenzione e, infine, abbracciandomi tanto da volermi quasi inglobare nel suo petto - che ha il profumo di casa, delle notti trascorse nello stesso letto dopo un incubo; delle risate piene e calde, dei baci dolci sulla testa e delle promesse sempre mantenute.
Il mio corpo agisce da solo, gli si abbandona come una conchiglia nella corrente. Facendogli passare le braccia attorno alla vita mi ritrovo a cingerlo, a cedere all'affetto che provo per lui. Mi è mancato tanto, anche se ho cercato di convincermi fino all'ultimo che non fosse così. Ho voluto sprofondare nel disappunto, nella frustrazione data dal suo rifiuto nel sapermi con Seth, eppure tutto ciò non mi ha impedito di coltivare la nostalgia nei suoi confronti.

Gli occhi prendono a pizzicare mentre la gola si secca: i primi incapaci di trattenere le emozioni, la seconda troppo timida per ammetterle.

Jace sembra ondeggiare, cullarmi come se fossi ancora una bambina, poi si curva un po', affiancando la bocca al mio orecchio: «Mi sei mancata».

Ed io annuisco a ridosso del suo torace, incapace di rispondere.

Anche tu, JJ.

Restiamo stretti l'un l'altra come due innamorati separati per troppo tempo, poi Liz prende a gracchiare dalla base delle scale, mandando in frantumi ogni cosa: «Guarda che Jay è fidanzata!»

Puff!

Le luci si spengono, le telecamere interrompono la ripresa, il regista grida "stop" e improvvisamente veniamo nuovamente catapultati nella realtà.
Jace s'irrigidisce. Lo fanno dapprima le sue dita sulla mia spalla, i tricipiti, la mascella accanto al mio viso e infine il petto a cui sono schiacciata. Il calore che ho sentito si fa meno avvolgente e mi ritrovo persa, incapace di agire secondo una qualsivoglia azione logica. Resto ferma, lo sguardo grande di preoccupazione e le labbra schiuse, mentre le braccia si fanno meno convinte intorno al suo corpo.

Quando risponde, la sua espressione tradisce il tono con cui si rivolge a nostra sorella; ma lei non può vederlo. Non s'immagina con quanta durezza il suo sguardo verde bottiglia si preme sul mio viso, ferendomi al pari di schegge di vetro. Il fastidio è concreto, lo posso sentire addosso anche se non vorrei. Non ora, quantomeno.

«Sì, lo so. Ma dubito che Seth possa avere qualcosa da ridire».

Forse Morgenstern no, ma tu, Jace, hai sicuramente un motivo per farlo con lui.

 
   
 
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