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Autore: LeanhaunSidhe    08/08/2020    3 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Nel ghiaccio e nel fuoco tutto è iniziato. Nel ghiaccio e nel fuoco cambierà

❄️❄️❄️

Seleina aveva socchiuso il libro tenendo l’indice come segno. Aveva sospirato, prima di indossare nuovamente la maschera. Suo padre aveva preteso che trascorresse quei pochi giorni al mese in cui doveva convivere con il suo corpo umano al Grande Tempio, quale allieva di Aquarius.

Non era l’ingombro di quella copertura sul viso, che pure reputava inutile e sciocca. Neppure la permanenza forzata nel gineceo, così fastidiosa ora che si era abituata a dormire sotto le stelle, mai più in un letto. Per quanto ampie avessero potuto essere le pareti di un palazzo, costituivano sempre uno spazio troppo ristretto. Non c’erano il firmamento o le nubi per tetto. Le persone erano sempre troppo vicine, tutte ammassate. Aveva vissuto fino a poco prima con gli esseri umani. Eppure, in quei pochi giorni in cui ne condivideva ancora l’aspetto, la stare con loro diventava sempre più gravoso. Mal tollerava le apprendiste più fanatiche, che la sfidavano alla lotta provando a far leva sul suo scarso coraggio e senso dell’onore. Sopportava poco anche quelle più amichevoli, che cercavano ad ogni costo di instaurare un rapporto ed impicciarsi negli affari suoi. Soprattutto non riusciva ad accettare di dover chiamare qualcun altro maestro. Tale, per luei, restava solo Haldir. Il suo signore che non era riuscita a strappare al fuoco. Ogni volta che le insegnava Aquarius lo ringraziava col suo titolo. Lo fissava negli occhi da pari a pari, senza paura, con la sua maschera di porcellana bianca, senza espressione. Seleina aveva esplorato a fondo la sua anima, nei giorni in cui era una Dunedain. Ed era un’anima che non le bastava, da cui non voleva imparare. Aquarius era un uomo, retto, ligio alle regole, un perfetto paladino della dea. Qualcuno che non sarebbe mai riuscito ad abbracciare e comprendere neppure la milionesima parte del mistero che era Haldir e di cui lei, indissolubilmente, era ormai parte.

Per l’ennesima volta aveva risposto ad una compagna di addestramento che non era interessata ad un allenamento supplementare. Non aveva battuto ciglio mentre quella le dava della codarda. Aveva riabbassato il viso sul libro che si era portata dietro dal campo, che Taka le aveva prestato dalla sua raccolta personale, con un’occhiata poco convinta ed il ghigno di chi sapeva già tutto, pure troppo. Nessuno poteva permettersi di anche solo di sfiorare col pensiero quel manoscritto. Era lingua antica, dei figli di Haldir, vergata forse dal suo maestro in persona, l’unico: quello vero. Il gigante bianco nel suo lungo peregrinare aveva accumulato poche ricchezze ma tante conoscenze. Alcune la interessavano proprio. Era da quando Imuen aveva raccontato affranto di come si era spento il suo gemello che i conti non le erano mai tornati. Dal primo istante, quando era stato svelato che il gigante bianco aveva preteso di essere portato nella grotta dove era nato, gettandosi poi nella lava.

Durante il resoconto del gigante nero davanti all’assemblea di guerrieri ed anziani, Seleina non si era vergognata di non riuscire a trattenere le lacrime. Aveva scorto la stessa commozione silenziosa in Gona, mentre Imuen pronunciava la formula con cui lo eleggeva erede del gemello, suo pari. Lei però aveva posato lo sguardo sulle fiamme della pira che rischiarava il ristretto circolo di presenti, spargendo riflessi rossi che spezzavano le tenebre e coloravano le sembianze di tutti loro. Il sospetto si era materializzato nella sua mente immediatamente, dapprima come un sogno, poi come l’eco di una voce, un tarlo che non se ne sarebbe più andato dalla sua testa. Si era specchiata nelle iridi vacue di Taka ed al suo sorriso sardonico aveva compreso che anche la vegliarda aveva avuto il medesimo pensiero. Haldir si era gettato tra le fiamme per un motivo preciso. Il loro progenitore non avrebbe sacrificato l’ultimo alito vitale in maniera scenica, inutilmente. Tabe, accanto a lei, aveva dondolato il peso tra i talloni e le punte dei piedi, come una vela ancorata all’albero della nave quando il vento passa dalla bonaccia alla prima tempesta. Aveva intonato il ritmo di canzoni antiche, di genti magari umane, perse sul mare. E pure il suo occhio vivace le aveva confermato lo stesso proposito, vagando tra lei e la cecità di Taka. Lo spadaccino aveva mostrato le zanne scintillanti per un istante ed il suo essere ferino era apparso fugace, confuso dalla schiuma delle onde, prima di scivolare sul fondo del mare, ancora.

Dopo che l’assemblea si era sciolta, Taka aveva cercato Seleina. Le aveva messo la mano sulla spalla e condotta nel piccolo ambiente dove riposava e custodiva la sua biblioteca personale. Sicura, le aveva passato quel tomo, spiegandole poco e niente.

“Leggilo.”

Le aveva detto solamente. Senza chiederle se comprendeva la lingua, dando per scontato che ne sarebbe stata capace. Così, Seleina aveva iniziato ad apprendere delle anime del fuoco e ci si dedicava in ogni momento libero, che non fosse occupato dai noiosi allenamenti di Aquarius o dalla presenza imprescindibile di Zalaia.

Aveva inarcato un sopracciglio, dopo essersi sfilata la maschera. Solo una volta ribadì alla giunonica compagna di addestramento di allontanare le dita da quel libro ed allenarsi con chiunque altra avesse voluto.

Quella aveva riso sguaiatamente, sfiorandole sfacciata i capelli, con un chiaro intento di minaccia. La accusò di sentirsi superiore a loro, solo perché aveva l’attenzione del figlio di Cancer, che pendeva dalle sue labbra e le scaldava il letto di tanto in tanto. Puntava al monile con cui raccoglieva i capelli ed il giovane le aveva regalato in un momento di pausa.

Seleina aveva spalancato impercettibilmente le palpebre, prima di afferrare fulminea il fermaglio. Estratto dalla chioma, lo rivelò per il piccolo pugnale affilato che era e ne portò la punta alla giugulare dell’altra. Incurante allo stupore dell’avversaria, mentre un rivolo di sangue scendeva lungo il collo abbronzato.

“Quelli della mia casta combattono con qualunque arma. Uccidiamo silenziosi come spettri, spettri noi stessi. Così sono addestrate le guerriere dei giganti gemelli.”

Ormai, era umana e non lo era. La sua voce diveniva ringhio senza che lo volesse davvero. Più piccola, aveva liberato la ragazza più alta dalla minaccia dell’arma e l’aveva obbligata ad indietreggiare con due o tre fendenti del pugnale, prima di riporlo tra i capelli.

“Sono lenta ad usare il mio cosmo, è vero. Ma sono abbastanza veloce con le lame da aprirti il collo prima che tu abbia richiamato il tuo.”

Aveva poi ripreso il libro, ponendoselo in una tasca sotto al corpetto, prima di rivolgersi ancora a lei, che stava rallentando il respiro prima accelerato per via della sorpresa. Le aveva ribadito di restare lontana dalle sue cose e dalle sue questioni private. Fossero stati un libro o il suo rapporto con Zalaia. Seleina aveva raggiunto stizzita un punto più riparato fra gli alberi, lontana da chiunque, amico o nemico che fosse. Finalmente sola, aveva dato libero sfogo alle lacrime. Aveva troppe poche certezze in quel momento: una era di aver miseramente fallito nell’aiutare il suo signore, che le mancava terribilmente, l’altra di non doversi far vedere assolutamente in quello stato da Zalaia, che ci stava mettendo tutto il cuore per starle vicino e tirarle su il morale. Provò a tergersi le palpebre e rimettere quella stupida maschera, che almeno celasse le sue emozioni. Partita persa, le lacrime colavano anche sotto quel pezzo di vetro opaco, inutilmente. La sfilò ancora, arrendendosi al fatto che non sarebbe riuscita a calmarsi tanto presto. Lasciò scivolare la schiena al tronco di un albero, coprendosi la bocca con la mano. Doveva essere solo il vento a raccogliere i suoi singhiozzi.

❄️❄️❄️

Ogni volta che la osservava allenarsi nell’arena con gli allievi di Aquarius, Zalaia aveva l’impressione che quella non fosse affatto Seleina ma solo una persona che le somigliasse. Poi, però, ne aveva davanti le movenze, la grazia che stonava con i modi rudi degli altri allievi, addestrati per essere solo soldati. Loro due conservavano comunque la leggiadria dei Dunedain, anche quando affondavano in attacco. Nessuno avrebbe potuto privarli di quella caratteristica. Seleina, in particolare, non sfigurava in quell’aspetto, neppure se paragonata alle femmine più graziose del clan, addirittura quando quelle erano impegnate nella danza.

Ogni movimento di Seleina, esattamente come quelli di Tabe, era l’esprimersi di una nota insieme a molte altre, fino a creare una melodia. Puliti, armonici, perfetti. Lui stesso da cucciolo aveva preso un numero imprecisato di legnate da Taka per imparare quella leggerezza prima ancora di essere iniziato all’addestramento, quando nessuno immaginava minimamente chi avrebbe potuto diventare. Taka, però, aveva visto lontano e prima degli altri. Sapeva che prima di tentare di essere un guerriero, doveva diventare simile ad ogni Dunedain. Allora, lo aveva preso sotto la sua ala, con la scusa di badare a lui per permettere a sua madre di studiare gli antichi testi su cui poi era diventata la guaritrice portentosa che era. Gli aveva messo in mano il violino e. a forza di calci nel sedere, gli aveva raddrizzato la schiena. Lo rimproverava che doveva stare dritto, sentire la musica e liquefarsi con essa. Come i Dunedain quando ebbri si perdevano nella danza. Lo sapeva Taka che la battaglia, poi, per lui, sarebbe stata poco più in la. Mentre imparava a suonare ed evitare le sue punizioni, tra un salto, un calcio mancato ed uno sberleffo, Taka l’aveva plasmato agile e scattante, lontano dai limiti di un rozzo mezzo sangue. Quando era diventato davvero simile ad un Dunedain, gli aveva insegnato come sfuggire nei giorni mensili della debolezza, nascondendosi tra gli esseri umani, succhiandone la conoscenza, imparando quanto più poteva da loro, senza mai diventarne schiavo. Così, nessuno tra gli umani aveva idea di chi fosse davvero. Eppure, con molti scherzava, con alcuni trascorreva anche del tempo insieme.

Seleina, invece, era il contrario. Allontanava apertamente chiunque le arrivasse troppo vicino. Fosse stato un avversario che la infastidiva o una persona buona che cercava di difenderla. Aquarius era la stessa cosa.

Zalaia aveva teso le labbra. Attese che terminassero la lezione, prima di chiamarla e proporle di allenarsi con lui. Aveva visto Seleina spaesata, girare il viso a destra e manca per l’arena, come a chiedergli il perché del luogo, che avrebbero potuto allenarsi liberamente un paio di giorni dopo al campo. Alla sua insistenza, però, non aveva obiettato. Non rifiutava mai una sua richiesta, neppure quella di provare ad usare il cosmo, in quel duello contro di lui. Perché tutti gli umani del santuario dovevano comprendere quanto fosse bella e forte in realtà la sua donna. Così, senza concederle il tempo, aveva centrato subito la maschera, con un pugno intriso di cosmo.

I presenti, gelati per quanto quel gesto significasse nella loro società, si erano focalizzati sulla maschera che lasciava il viso, non sulla mano che rapidissima l’aveva raccolta prima che sfiorasse terra. In ginocchio, Seleina se l’era riposta sul viso senza che nessuno potesse scorgere le sue sembianze. Aveva promesso il cosmo a Zalaia e non si sarebbe tirata indietro. Si era alzata lentamente, procedendo di pochi passi verso di lui. Agli umani sembrava così leggera che quasi il piede non le sfiorava terra. Nonostante indossasse gli stessi identici abiti di tutte le apprendiste, un vento leggero avvolgeva solo lei e smuoveva la stoffa che le copriva il corpo. Al cenno della sua mano si era intensificato come una corrente fredda che aveva lasciato le sue dita in un manto bianco e scintillante. Il ghiaccio, ad ogni suo passo, si era allargato a coprire superfici via via più ampie, fino a tutta l’arena. Qualcuno starnutì, a sentire il ghiaccio sotto i piedi.

Zalaia, invece, sorrise dello stupore della gente di Grecia. Era esattamente quello l’effetto che voleva: che tutti potessero ammirarla per la guerriera che era davvero, come l’aveva conosciuta lui ed ogni componente del branco. Col cosmo, lei non avrebbe mai raggiunto il livello di un cavaliere d’oro come lui, era palese. Ma nessuno del grande tempio, neppure il più esperto e potente tra quei guerrieri, avrebbe mai potuto abbassare la guardia di fronte a lei. Davanti ad una mezzosangue come lui, fragile come gli umani, terribile come i Dunedain.

❄️❄️❄️

Quando Zalaia gli aveva rivelato la scarsa stima della principessina nei confronti di Aquarius, DeathMask non ci aveva creduto minimamente. Soprattutto quando il suo ragazzo aveva rincarato la dose, adducendo che avesse molta più considerazione di lui che non del francese. Li per li si era chiesto il motivo dello scherzo. Poi, fregandosene, aveva iniziato a litigare col figlio per un diverso motivo e lasciato correre. Vedendola però battersi all’arena, di fronte allo stupore dei presenti ed al divertimento manifesto di quel debosciato di suo figlio, iniziò a rivalutare quelle parole, rendendosi conto che, sotto sotto, non erano affatto prive di fondamento.

Erano già mesi che la ragazzina di Asgard passava quelle settimane ogni tanto al grande tempio e non c’era stato verso di migliorare neppure un poco col cosmo. Non era certamente dotata come il suo ragazzo ma certo qualcosa doveva saperla fare se aveva scalato in fretta la gerarchia dei Dunedain. Haldir tutto gli era sembrato, fuorché tipo da favoritismi.

Notando lo stile, la velocità, la tecnica con cui quella contrattaccava, la cosa fu palese a lui come a chiunque del suo grado. Quella non apprendeva le tecniche di Aquarius semplicemente perché non ne voleva sapere. Usava si il cosmo delle energie fredde e margini di miglioramento ce n’erano eccome. Se ne serviva però con il modo tipico dei Dunedain. C’erano i salti acrobatici ed imprevedibili dello spadaccino matto nel modo in cui evitava le botte di suo figlio e l’incedere misterioso ed affascinante di Haldir, nel mescolare ghiaccio e vento per ricavarne colpi efficaci. La ragazzina aveva fatto suoi i rudimenti base del cosmo, che qualunque cavaliere avrebbe potuto impartirle. Ma tecniche e colpi segreti, lei aveva i suoi e di quelli dei cavalieri d’Atena non ne voleva sentire.

Cancer si incuriosì. Quanto avrebbe sopportato Aquarius quella situazione? Istintivamente rise. Uno dei cavalieri più eroici e blasonati agli occhi della principessina era solo un ipocrita. Le sue opere, l’onore che suo padre gli accreditava, valevano nulla. Aveva osservato lo Scorpione pregare nel frattempo Zalaia di andarci piano. Gli ultimi due sganassoni che il suo ragazzo aveva rifilato alla principessina non erano certamente colpi adatti ad un avversario meno potente. Figurarsi la donna che si ama.

Ma Zalaia non risparmiava la forza quando era convinto del valore dell’opponente. Suo figlio fu obbligato a saltare via per evitare un getto freddo che aveva congelato l’aria in uno sfavillare di cristalli. Aveva i suoi stessi modi animaleschi. Ma aveva ottenuto più lui da quella ragazzina in dieci minuti di duello che Aquarius in tre mesi suonati di insegnamento. Zalaia voleva che ognuno vedesse, si rendesse conto, temesse. Forse che pure lo invidiasse, perché quella di cui stava dimostrando il valore era la sua donna, che gli apparteneva ed a cui apparteneva.

Per un po’, in effetti, lo invidiò persino lui: Zalaia riusciva comunque ad avere un rapporto strettissimo con la donna che si era scelto e che, di sicuro, non avrebbe mai dimenticato per via di un sigillo. A differenza sua, Zalaia non avrebbe mai amato la sua compagna a metà.

❄️❄️❄️

“Te ne vai di già?”

Mnemosine aveva sussultato nell’aria fresca della mattina, mentre le mani del cavaliere disegnavano il contorno delle sue spalle e le sue labbra le si posavano sulla nuca, scostati i capelli. Aveva reclinato appena la testa all’indietro, respirandone il profumo, prima di riprendere possesso di se stessa e ricordare che tutto quel tempo, lontano dal campo, non le era concesso.

“Ne abbiamo già parlato. Sono una delle poche guaritrici. Non posso sparire a lungo. La mia presenza è indispensabile.”

Cancer l’aveva avviluppata a se, nella morsa delle sue braccia serrate, prima di sfiorarle il collo con la punta del naso e sciogliere le mani, permettendole di alzarsi. Con pochi e fluidi gesti, Mnemosine aveva recuperato i vestiti sparsi, indossandoli. Lo aveva abbandonato mezzo nudo, sul letto sfatto. Nella mente, le raccomandazioni di Taka a non lasciarsi abbindolare da un uomo incostante come quello, che dimentica la donna che ama troppo presto e non è capace di legarsi per davvero a qualcuno. Zalaia aveva ripreso da lei. DeathMask, invece, era solo DeathMask. Lei era partita serva tra i Dunedain. Era arrivata ad essere una figura autorevole, quasi di comando. Cosa ne sarebbe stato di lei, dell’indipendenza ottenuta e degli sforzi compiuti, se avesse scelto di restare al fianco di quel guerriero mortale? Sarebbe tornata ad essere una serva. Nulla più. Ed era offensivo per lei stessa. Per quel che aveva sofferto Zalaia.

Mnemosine lo baciò a fior di labbra. Non voleva udire le sue frasi spezzate di disappunto. Lo baciò ancora, prima di sorridergli e dirigersi in cucina. Tra i pochi aspetti umani che non aveva mai dimenticato c’era l’aroma del caffè al mattino. Ne preparò due tazzine. Una per sé, l’altra per Cancer, che all’inizio restava sempre un po’ titubante, di spalle.

“Un giorno resterò più a lungo ma non oggi. Rientrano i guerrieri da una missione. Siamo vivi ed in pace. C’è tempo ora. Puoi anche venire tu da noi, qualche volta.”

DeathMask aveva accettato la tazzina apparentemente di malavoglia. Aveva biascicato qualcosa sul fatto che Zalaia sarebbe stato felicissimo di trascorrere del tempo con suo padre, a giocare alla famigliola perfetta, soprattutto alla presenza di altri Dunedain. Mnemosine, allora, aveva sbattuto le lunghe ciglia sopra gli smeraldi che aveva al posto degli occhi, prima di coprire la chioma sotto al velo.

“Se non mi ami a metà, dimostramelo. Resta tu da me, qualche volta”

Gli aveva ribattuto fiera, anche se, in realtà, lo stava quasi supplicando. Ci sperava e lo sapeva, che la sua preghiera sarebbe stata ascoltata.

❄️❄️❄️

Shion si recava spesso alla prima casa. Un po’ troppo se considerava i suoi impegni istituzionali. Tuttavia, la presenza dell’antico allievo e del nuovo Altare avevano per lui una apparenza di familiarità che era troppo dolce da evitare, troppo invitante. Amava prendere il the insieme a loro, farsi raccontare della vita di Rodorio dal più giovane. Difficilmente l’avrebbe ammesso ma per certi versi Kiki aveva l’irruenza della sua gioventù e lo divertiva averlo intorno, ora che aveva avuto modo di conoscerlo meglio.

“Come va la gamba?”

Gli aveva chiesto, in quel pomeriggio sonnacchioso di fine settembre.

Kiki ci aveva battuto la mano sopra, assicurando che fosse come nuovo, cicatrice a parte. La magia dei Dunedain era efficace a guarire le ferite, non ad abbellire il corpo. Poi, il discorso era virato sulla ragazzina di Asgard. Shion fu quasi sollevato di sapere che, al Grande Tempio, quella preferiva restarci il meno possibile. Un po’ perché si era accorto dei sentimenti di Mu per lei ed una sana lontananza era il modo migliore per togliersi certi pensieri dalla testa. Un po’ perché i pettegolezzi delle ancelle parlavano di un fidanzamento ufficiale col rampollo di Cancer e forse era meglio non diffonderle troppo presto certe voci per il benessere di qualcuno.

Aveva osservato Mu continuare a riparare un elmo tranquillo ed aveva chiesto se avevano notato qualcosa di strano sui loro nuovi e singolari alleati.

“Seleina è convinta che la fine che Haldir ha preteso per sé abbia delle ragioni particolari.”

Aveva espresso asciutto Mu, posando finalmente un elmo per iniziare a lavorare un nuovo pezzo della medesima corazza. Aveva esitato un attimo prima di selezionare lo strumento adatto con cui continuare il proprio lavoro, tra quanti erano posti sul banco da lavoro. Il manico del martello oscillò tra pollice ed indice, prima di essere afferrato saldamente da tutta la mano.

Shion aveva insistito nel farsi spiegare il senso della frase ma alla risposta ulteriore dell’allievo comprese che si trattava per lo più di supposizioni. Assottigliò lo sguardo e distese le labbra. Tra loro, Mu era certamente il più intuitivo.

“E’ tenace la ragazzina. Non si rassegna ancora alla morte del suo maestro.”

Mu, misurando lo spessore del metallo alla luce diretta della stanza, si concentrò poi sul suo interlocutore.

“Forse.”

Ammise, scuotendo il capo. Aveva parlato con Seleina ma certo non c’era la confidenza che si era permesso tempo addietro.

“E’ come se, in cuor suo, lei credesse che non sia mai morto davvero.”

Concluse, poggiando anche l’ultima parte dell’armatura, prima di cominciare a riporre tutto ed avviarsi per la cena.

“Tu cosa ne pensi?”

Si bloccò, alla curiosità di Shion. Sospirò un attimo, ammettendo che non ne aveva idea.

“Se i suoi figli saranno in pericolo, sicuramente, se vivo, in qualche modo Haldir si paleserà. Chissà, forse, allora, anche noi lo rincotreremo.”

Kiki si era grattato il naso, scettico. Si era accorto che, nonostante si vedessero poco e comunicassero meno, Mu e Seleina si comprendevano in una maniera talmente profonda che neppure lui stesso o Zalaia ci sarebbero mai riusciti. In ogni caso,se suo fratello aveva quel pensiero, forse non erano idee campate in aria. Rise. Gli avrebbe fatto piacere rivedere Haldir dopotutto, una volta ancora.


 


 

NOTE: è una conclusione che arriva forse troppo in fretta ma a breve non avrò più tempo. Se mai riuscirò a rivedere la storia, lo leggerete su Efp. Mi piacerebbe riuscire a pubblicare ogni tanto una one shot per riempire i molti punti Oscuri. Anche qui, non so il se e il quando. Avrei voluto dare più spazio ai personaggi del fandom ma, mano a mano, gli originali diventavano sempre più ingombranti. Per questo non so se eventuali lavori collegati a questa fic staranno sul fandom di Saint Seiya o meno. Nel caso, deciderò di volta in volta. Per ora, grazie a chi letto e soprattutto ha chi ha lasciato un parere, permettendomi davvero di comprendere come migliorare. Alla prossima :)

 

   
 
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