Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Gaia Bessie    10/08/2020    5 recensioni
Non lacrimava di gelosia, la mente di Rodolphus, o di una frattura nell’amor proprio, non s’era persa nella dipendenza generata dal volgare incontro tra due corpi, ma s’era macchiata di delusione intestina nell’apprendere che il Signore Oscuro era umano quasi quanto lui. Ch’era schiavo dello sterile attrito tra pelle e pelle, dell’atto sporco e insensato con cui le anime si consumavano come cerini: non s’era sorpreso, di sapere ch’avesse una predilezione particolare per sua moglie, ma sorprendente era stato apprendere che tale predilezione era volgare e corrotta come quella degli uomini normali.
[Quinta classificata al contest "Il colore del peccato" indetto da Laila Dahl sul forum di EFP]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Paciock, Bellatrix Lestrange, Rodolphus Lestrange | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Rodolphus/Bellatrix
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Dopo la II guerra magica/Pace
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ad Azkaban l’aria e il cielo sono la medesima essenza, pesante e grigiastra, che s’insinua negli ingranaggi della mente, corrompendoli: se è vero che la sanità mentale è un orologio dalle lancette rigide e inflessibili, allora, Azkaban era quel piombo fuso che li scioglieva, deformandoli, interrompendo quell’eterno girovagare dei minuti sul quadrante. Rodolphus Lestrange s’era bruciato mani e braccia per impedire che la propria sanità mentale divenisse solamente l’ennesima sostanza sciolta, dove ogni componente diveniva indistinguibile e inutile, s’era aggrappato a ogni ingranaggio con il pensiero e la volontà. E, per questo, non era scivolato via come acqua di scolo.
Sua moglie, se fosse sopravvissuta, sarebbe morta nel buio pesto della mancanza di comprensione e, allora, probabilmente non le si sarebbe spezzato il cuore, di fronte all’assenza soffocante di Colui che Rodolphus non nomina mai, nemmeno nei propri pensieri. Forse avrebbe pianto, si sarebbe strappata via i capelli e, allora, lui si sarebbe dovuto rinchiudere tra i ticchettii della propria mente, cercando un angolo di sole dove, Bellatrix Black, non potesse più entrare.
Era un cielo stellato, quel luogo meraviglioso dove s’erano perse le riflessioni, le recriminazioni, contro sua moglie: lì, il sesso, forse perfino l’amore, se mai era stato in grado di comprendere cosa fosse, non c’era più posto. Un giorno sarebbe morto lì, sotto quel cielo indaco, cullato dal rumore degli ingranaggi che lentamente si quietavano.
Un giorno, si sarebbero quietate, in quegli angoli più oscuri dei suoi pensieri, le urla di sua moglie nell’apprendere che, Colui che non avrebbe mai più nominato, nemmeno al sicuro nelle ombre della propria mente, era sparito in una nuvola di cenere. E lui avrebbe perfino potuto dimenticare che, al sicuro nella sua mente, Bellatrix aveva gridato fino a lacerarsi la trachea.
Sarebbe stato solamente silenzio, quando i Dissennatori si sarebbero portati via anche gli ultimi strascichi di sua moglie, e finalmente Rodolphus avrebbe trovato uno spazio più ampio dove rimanere, da solo, nella propria mente.
E, guardando il cielo violaceo e trapuntato di stelle, un pensiero solamente l’avrebbe trafitto, forse più un ricordo che un gioco della sua mente, ma non avrebbe saputo discernerlo con certezza nemmeno lui.
Gli occhi di Alice Longbottom che, sebbene fossero banalmente castani, la sua mente aveva scolorato nel medesimo indaco del suo cielo.
 
 
Il vagabondo delle stelle
 
Se riuscire a dimenticare è segno di sanità mentale, il ricordare senza posa è ossessione e follia.
(Jack London, Il vagabondo delle stelle)

 
Che cosa di male puoi augurare a un avaro se non di vivere a lungo.
(Publilio Siro)
 
Rodolphus Lestrange, nel corso della propria vita, era sempre stato dipinto da tutti come una persona dai desideri, di qualunque tipo essi fossero, moderati: aveva sempre avuto sogni ridotti, come se qualcuno li avesse ritagliati, nessun’ambizione folle o smodata, nessun entusiasmo giovanile. Finché, in un giorno ch’aveva preso fuoco nella sequela quieta e ignifuga dei suoi simili, aveva scoperto che, quel delizioso castello di carte che aveva modellato dai suoi diciassette anni in poi, s’era sciolto sotto una colata di piombo.
C’era stato un momento, un punto precisissimo in quella linea continua ch’era stata la sua esistenza, in cui Rodolphus s’era ritrovato con in mano solamente un pugno di carta bruciata e una brutta ustione sul palmo: quando aveva scoperto che la vita perfetta che aveva disegnato, fatta di sublime sofferenza, fedeltà, ideali, era in realtà macchiata a morte da qualcosa di disgustosamente umano. Quando aveva scelto di seguire il Signore Oscuro, Rodolphus l’aveva fatto per il desiderio di divenire come lui, così compostamente disinteressato da tutti quei piaceri terreni, così al di sopra di quei violenti bisogni che, invece, avevano finito per piegare anche lui.
Lord Voldemort aveva scoperto la chiave di volta per la vita eterna e, come Rodolphus aveva sospettato da anni, essa risiedeva nell’assenza di desiderio, nello spogliarsi dalle lacere e imperfette vesti immortali, per dedicarsi a un bene superiore. Per anni, l’aveva silenziosamente ammirato, quasi venerato, era stato il lume che l’aveva riscaldato quand’era finito ad Azkaban, incapace di rassegnarsi che una persona così lontana dagli effimeri errori umani potesse davvero morire, avrebbe vagato per tutto il Mondo Magico, pur di trovare conferma nel fatto che potesse essere ancora vivo.
Ma, già allora, in quel vento freddo che tagliava la faccia come il grido disperato di sua moglie, quand’aveva scoperto che il Signore Oscuro era sparito, qualcosa in Rodolphus s’era incrinato: una parte di sé, che cercava ancora di tenere insieme quel castello di perfezione che da anni erigeva, piangeva come un neonato messo di fronte all’assenza della mamma.
Non lacrimava di gelosia, la mente di Rodolphus, o di una frattura nell’amor proprio, non s’era persa nella dipendenza generata dal volgare incontro tra due corpi, ma s’era macchiata di delusione intestina nell’apprendere che il Signore Oscuro era umano quasi quanto lui. Ch’era schiavo dello sterile attrito tra pelle e pelle, dell’atto sporco e insensato con cui le anime si consumavano come cerini: non s’era sorpreso, di sapere ch’avesse una predilezione particolare per sua moglie, ma sorprendente era stato apprendere che tale predilezione era volgare e corrotta come quella degli uomini normali.
Era pericoloso, quel pensiero, che se colto da Bellatrix o dal suo Signore avrebbe potuto costargli la vita, se essa avesse davvero avuto un valore, ai loro occhi, o forse l’avrebbero lasciato vivere nella vergogna di non aver offerto lui stesso l’unico dono – che non era oro, o i preziosi gioielli della famiglia Lestrange – cui Lord Voldemort avesse mai anelato. Sua moglie.
Rodolphus era certo, in maniera totalizzante e annichilente, che, se qualcuno s’era impegnato per fuorviare l’Oscuro Signore dal suo percorso di ascesi verso l’immortalità, quel qualcuno sicuramente era stato sua moglie, Bellatrix.
Se Voldemort, e in misura minore lo stesso Rodolphus, s’erano votati all’impervio cammino del distanziamento dagli affari – inferiori – terreni, lei, Bellatrix, era tutta disgustosamente umana. C’era qualcosa di corrotto e sbagliato, in quel sangue che s’agitava in lei come una marina in tempesta, che subito le colorava gli zigomi sporgenti quando Lui le mostrava approvazione, o biasimo. Era strano e insensato, quel pensiero che chiunque avrebbe potuto leggerle in fronte, quando il suo Signore le rivolgeva anche solamente uno sguardo.
In qualche modo che lui stesso faticava a spiegarsi, lui temeva Bellatrix: la temeva per la sua comprensione, forse anche per la sua abilità nelle arti magiche ma, ancora di più Rodolphus la temeva nel suo essere donna. Per quel modo, sudicio e volgare, in cui avrebbe potuto trainare nel fango anche l’uomo più integerrimo. Perché aveva fianchi sufficientemente rotondi da poterli afferrare con le mani, e capelli ricci e indomabili come una qualche divinità pagana, avrebbe potuto traviare chiunque.
Forse, perfino lui.
Finché, in quel giorno che odorava di zucchero bruciato, non aveva corrotto anche l’Oscuro Signore, segnando la fine delle speranze di Rodolphus che, un Dio in cui credere, non l’aveva più trovato. Il giorno in cui aveva scoperto che Lord Voldemort poteva macchiarsi e sporcarsi in un contatto sterile e grossolano come poteva esserlo il sesso, in quel momento, s’era spaccato l’idolo che con la propria doratura aveva rischiarato i cieli nella mente di Rodolphus, dipingendoli di un delicato indaco.
Non era per l’onta, per la macchia indelebile sul proprio onore, né per il pensiero che sua moglie s’era lasciata toccare da qualcun altro. La consapevolezza che l’annichiliva, come Ardemonio inestinguibile, era che Bellatrix fosse stata in grado di insozzare anche l'uomo più virtuoso che conoscesse, ch’era riuscita a tirare giù, tra i mortali, l’Oscuro Signore, costringendolo a riscoprire piaceri peccaminosi che l’avrebbero distolto dall’immortalità, rendendolo solamente l’ennesimo uomo nudo tra coperte stropicciate.
Nel momento esatto in cui la consapevolezza di quel che accadeva, da chissà quanto, davanti ai suoi occhi aveva raggiunto Rodolphus, mai egli aveva pensato qualcosa di talmente folle e sconsiderato come che Lord Voldemort potesse amarla. Il loro era solamente l’ennesimo sordido incontro tra seme e uovo, un volgare intrecciarsi di corpi che mai avrebbe potuto essere definito amore.
Amore era quello che lui aveva provato per l’idea di ciò che l’Oscuro Signore intendeva fare, la sua dedizione alla causa Purosangue, amore era come aveva impiegato ogni sua energia, fisica e mentale, nel sostenerlo nella battaglia contro l’Ordine della Fenice. Avrebbe potuto perdonare, Rodolphus, l’avergli portato via la moglie, ma non sarebbe mai riuscito a giustificare quella sua manchevolezza, nella sfera del trascendentale, quella macchia nella leggenda della divinità di Lord Voldemort.
Quel giorno, aveva cominciato la collezione.
 
***
 
I frammenti di stella erano rari, e un qualunque Pozionista sarebbe stato disposto a vendere ogni goccia del proprio sangue, pur di riuscire a vederne uno, anche da lontano. Rodolphus Lestrange aveva cominciato ad andare a caccia di stelle in quel giorno in cui il suo mondo s’era spezzato, quando perfino Lord Voldemort si era reso colpevole del crimine peggiore di tutti: l’essere umano.
Non avrebbe potuto abbandonarlo, Rodolphus, ma quella terribile consapevolezza l’aveva spinto a isolarsi nei luoghi più bui della propria mente, dove la rabbia che quella scoperta gli aveva causato riluceva tra le comete che falciavano il cielo. Era stato lì dentro che anche lui aveva scoperto il proprio peccato, quell’appendice superflua che lo rendeva così disgustosamente imperfetto: se per il Signore Oscuro era stata la lussuria, per lui era quella brama per il bello, per l’intangibile. Per i frammenti di stella sepolti nella terra nuda e sporca, dove brillavano come diamanti.
Bisognava tirarsi su le maniche delle vesti da Mago, per raccoglierle dopo una pioggia di stelle cadenti, e insozzarsi le braccia fin quasi ai gomiti per scavare nel fango, a mani nude, perché le stelle erano così fragili da potersi rompere anche solamente dopo un leggerissimo colpo di dita.
Sua moglie non aveva apprezzato mai, la tenacia con cui aveva costruito la sua collezione, senza farne parola con nessuno, quasi come se soltanto la consapevolezza avrebbe potuto sciuparla: così, Bellatrix aveva inghiottito un bolo di disgusto e rassegnazione, e non ne aveva fatto parola con nessuno, delle fughe notturne di Rodolphus quando in cielo v’erano le stelle cadenti.
Come lucciole sfarfallanti lo illuminavano, dipingendogli i connotati di una luce calda e dolciastra, mielosa, che non gli apparteneva. Nessuno l’aveva mai visto in quel modo, rischiarato dalla gioia di averne trovata un’altra, sepolta tra le nodose radici di un olmo, con il terriccio che gli s’era infiltrato sotto le unghie, sporcandole. Nessuno s’era mai accorto della cura con cui, tornato a casa, riponeva il proprio tesoro in un vecchio cofanetto abbandonato da sua moglie, su un letto di cupo velluto verde, per poi nasconderlo in un vano segreto dell’armadio. Nessuno.
Tranne lui. Il Signore Oscuro sapeva, forse perché afferrava i pensieri di Bellatrix come fossero ciocche di capelli, durante l’amplesso, se non erano state le parole, a tradirlo. Ma, era la dolce convinzione con cui Rodolphus si rassicurava, forse Lord Voldemort comprendeva: sicuramente era conscio di cosa fosse un vizioso attaccamento verso qualcosa, o qualcuno, e allora gli avrebbe perdonato quel suo sciocco vagabondare tra le braccia della notte.
Il Signore Oscuro era capace di comprendere la dolcezza con cui Rodolphus si preoccupava delle proprie stelle, l’avidità con cui le celava al mondo, come avrebbe potuto fare con un’amante, se solamente gli fosse interessato quel mondo di sensazioni approssimative come quelle umane, come se non avesse aspirato alla totale ascesi.
«Qualcuno dovrà occuparsi dei Longbottom» sibilò Lord Voldemort, costringendo Rodolphus a destarsi dai propri pensieri. «Mi hanno sfidato una volta di troppo».
Immediatamente, Bellatrix annuì in maniera vistosa, attirando su di sé lo sguardo del Signore Oscuro. «Ha ragione, come sempre, mio Signore» disse, con fare adorante. «Mandi me».
Voldemort soppesò la richiesta, forse domandandosi se valesse la pena di accontentare la volubile Bellatrix.
«E sia» concesse. «Alice e Frank Longbottom hanno sfoltito le nostre schiere, è arrivato il momento di mettere un punto alla questione».
I Mangiamorte guardavano il loro Signore, aspettando ch’egli nominasse chi si sarebbe occupato di mettere a tacere i coniugi Longbottom, insieme a Bellatrix, la quale sicuramente avrebbe rivendicato il comando della missione.
Il Signore Oscuro fece scorrere lo sguardo tra i suoi adepti, come un’ondata di gelo capace di congelar loro il sangue.
«Crouch» disse, infine, con aria annoiata. «E i due Lestrange».
Rodolphus cercò lo sguardo di suo fratello Rabastan, ma il giovane era occupato in una fitta discussione, che ne tradiva l’emozione, con il ragazzino, il figlio di Crouch. Ma il Signore Oscuro non aveva terminato di parlare.
«Rodolphus» lo richiamò, così che tutti i Mangiamorte s’ammutolirono e tornarono a rivolgere a Lord Voldemort la propria attenzione. «Affido a te il comando».
Ci fu un secondo di silenzio, dove l’unico suono fu solamente quello del respiro dei Mangiamorte, prima che la sala fosse spaccata in un milione di frammenti dall’urlo di Bellatrix.
«Mio Signore» mugolò la donna, il volto contratto dal disappunto. «Voi date troppo credito a mio marito, lui… non è in grado di svolgere un compito talmente importante».
Ogni vena, ogni suo arto, perfino i capelli scomposti e spettinati sembravano urlare scegliete me, ma Lord Voldemort la guardò, scontento. «Osi sfidare una mia decisione, Bellatrix?» domandò, freddamente. «Osi davvero opporti alle mie parole?».
Lei scosse il capo, freneticamente, e si prostrò ai piedi del suo Signore. «Mai» mormorò, baciandogli la veste. «Ma pensavo che avreste onorato me, con la vostra scelta».
«Tuo marito avrà il comando» ripeté l’Oscuro Signore, come se la Mangiamorte faticasse a comprendere le sue parole. «Magari così imparerai ad occupare il tuo posto di moglie».
Bellatrix si morse la lingua, nel sentire quelle parole, ma guardò Rodolphus, seduto rigidamente dall’altro capo del tavolo, e annuì senza convinzione.
«Attaccherete tra due settimane» concluse il Signore Oscuro. «Dopo che mi sarò occupato della famiglia Potter».
 
***
 
Quando arrivò la notizia che Lord Voldemort era sparito, perduto, che non era più niente, Rodolphus s’era chiuso in camera, ad ammirare il nuovo tesoro ch’aveva raccolto quella notte. Un frammento quasi perfetto, solamente un po’ sbocconcellato dalla terra e dal fango, che gli riluceva tra le mani come una piccola personalissima benedizione.
Quel giorno, Rabastan, sull’orlo della crisi finanziaria a causa di uno o due vizietti di troppo, gli aveva domandato se avesse potuto vendere una delle sue stelle, per rimanere a galla e non doversi dare alla macchia. Quella domanda, cui aveva risposto con immenso disdegno, ancora gli bruciava la mente come la peggiore delle offese.
Rabastan l’aveva guardato con superiorità, domandandogli cosa se ne sarebbe fatto, di quelle stelle che valevano milioni di galeoni, quando sarebbe morto. Lui avrebbe voluto rispondergli a tono, dicendogli che le persone come lui – e il Signore Oscuro – non morivano facilmente, perché la virtù preserva chi virtù conserva, e lui l’aveva custodita come il più raro dei tesori. Ma suo fratello s’era Smaterializzato in  una nube di malcontento, lasciandolo solo a rimirare il frutto della sua ennesima scampagnata notturna.
Non era rimasto solo a lungo. Sua moglie era entrata nella camera da letto sbattendo la porta, con la stessa durezza ch’era del suo respiro affannato, che le contorceva il petto in sinistri sussulti. Bellatrix aveva i capelli scarmigliati, come se avesse passato ore a tirarseli, cercando di strappar via ogni ciocca superflua.
«Come puoi startene qui…» sibilò, avvicinandosi a grandi passi. «Come un grosso e inutile gatto acciambellato sul letto».
Rodolphus sbuffò, in un moto d’insofferenza, riponendo al suo posto la collezione, proteggendola con un incanto di protezione. «Cosa dovrei fare?» domandò. «Te l’hanno detto tutti, Bellatrix, è finita. Dobbiamo trovare una scusa, una spiegazione, per quando il Ministero verrà a prenderci».
«Tu non troverai proprio un bel niente» sibilò la donna. «Lui non è morto, le persone grandi come lui non muoiono mai».
Aveva lo sguardo di una folle, lucido e febbrile, mentre convulsamente si toccava i capelli, tirandone le ciocche crespe e secche. Parlava con una sicurezza che, suo marito, non sarebbe mai riuscito a provare: Rodolphus non le disse che lui, a differenza di lei, era certo che il Signore Oscuro potesse morire. Che s’era macchiato e abbassato al livello della feccia, lacerando e stracciando il proprio cammino verso l’immortalità.
Guardò sua moglie, stancamente, mordendosi la lingua per non dirle che l’unica responsabile della caduta di Lord Voldemort era lei. Non il neonato Harry Potter, né i Longbottom, l’Ordine della Fenice o Silente stesso. Lei.
«Vuoi davvero rinunciare a tutto questo?» domandò Rodolphus, abbracciando con lo sguardo la camera da letto. «Per finire rinchiusa ad Azkaban?».
«Ci ricompenserà» rispose Bellatrix, strattonandosi con violenza una ciocca di capelli. «Ci riconoscerà come gli unici che gli sono rimasti fedeli, Rodolphus, noi dobbiamo cercarlo».
«Ci premierà» mormorò lui, conformandosi al ragionamento della moglie. «Potremo chiedergli tutto quello che vogliamo».
Nelle ombre buie della sua mente, Rodolphus già s’immaginava cosa avrebbe potuto domandare, al Signore Oscuro, qualora egli fosse stato in grado perfino di resuscitare. S’immaginava sacchi interi di stelle, intere e a frammenti, che gli avrebbero rischiarato perfino le notti più buie all’interno delle sue stesse fantasie.
«Eseguiremo i suoi ordini» comandò Bellatrix. «Ci occuperemo dei Longbottom. E, poi, lo cercheremo. Sarò dannata, se non riuscirò a trovarlo da nessuna parte».
Rodolphus la sentí a malapena e nemmeno s’accorse che, tra le mani, sua moglie stringeva vittoriosa una ciocca dei suoi stessi capelli.
 
***
 
Barty Crouch junior s’era occupato del piano, sebbene l’Oscuro Signore avesse lasciato a Rodolphus, l’incombenza di farlo: lui aveva ceduto il comando con sollievo, troppo occupato a mettere in salvo la sua collezione, dove il Ministero non sarebbe mai riuscito a trovarla. Non avrebbero mai saputo che aveva qualcosa di più caro della propria causa, e con più valore di quel che attribuiva al Marchio Nero.
Non era stato difficile, attirare i coniugi Longbottom vicino casa Crouch, con il pretesto che il padre del giovane Mangiamorte volesse conferire con loro: ma, a conferire con il padre di Barty, non c’erano mai arrivati. Rabastan e Bellatrix li avevano Schiantati alle spalle, per poi Smaterializzarsi a villa Lestrange.
Lì, Rodolphus aveva visto per la prima volta quella coppia che aveva tanto scontentato il Signore Oscuro. La sua prima impressione fu che fossero – entrambi – piuttosto ordinari. Frank Longbottom, perfino da svenuto, aveva un’aria fiera e orgogliosa, con i capelli scuri un po’ troppo lunghi e un completo da Mago verde bottiglia.
«Svegliali» comandò Bellatrix, eccitata come una bambina. «Scopriremo subito se sanno qualcosa».
Rodolphus lanciò un silenzioso Innerva, destando i coniugi Longbottom: se Frank apparve sgomentato, nel trovarsi circondato da pareti scure, come scuri erano gli abiti dei quattro Mangiamorte, sua moglie puntò i suoi occhi, di un delicato castano dorato, su Bellatrix e la bocca le si contorse in una smorfia piena di disgusto.
«Ben svegliati» tuonò Rabastan, con una risata tremendamente simile a quella della cognata. «Spero che il soggiorno sia di vostro gusto».
«Lestrange» lo salutò Frank Longbottom. Alle orecchie di Rodolphus, sembrò disgustosamente rassegnato.
Da coloro che avevano messo in difficoltà lo stesso Oscuro Signore, si sarebbe aspettato rabbia, insensata, contro di loro. Invece Frank Longbottom era calmo della calma dei condannati a morte, mentre sua moglie si torceva le mani, al posto di sciogliersi in un fiume di lacrime.
«Vedo che hai portato con te tua cognata e tuo fratello» continuò Longbottom, guardandosi attorno. «Crouch».
Barty si sciolse in una risata isterica, sentendosi chiamare. «Oh, andiamo» disse, con boria. «Come se mio padre non avesse esternato i suoi sospetti».
«Me ne aveva parlato» commentò Frank, prudentemente. «Gli ho sempre detto che si sbagliava, che era di suo figlio, che stava parlando».
Qualcosa si contrasse, nel volto di Barty, una ruga sulla fronte ch’aveva il nome e il volto di sua madre, ma durò solamente per una manciata di secondi. Rodolphus non pensò nemmeno per un attimo che sua moglie non se ne fosse resa conto, perché sul viso di Bellatrix era inciso un divertimento sadico che le sfigurava i lineamenti.
«Vuoi tornare da paparino, Barty?» domandò quindi, ridendo. Rodolphus riusciva a intravedere il punto della testa da cui s’era cavata via almeno una o due ciocche di capelli, come se strapparle via potesse contribuire a far tornare indietro Lord Voldemort.
«Taci, Bellatrix» rispose Crouch, serafico. «Il Signore Oscuro si fidava di me, non vedo perché non possa farlo anche tu».
La moglie di Rodolphus ringhiò, scoprendo i denti e, per la prima volta da quando la conosceva, no, da quando aveva scoperto ch’aveva macchiato l’onore di Lord Voldemort in persona, lui pensò distintamente che doveva esser impazzita. Che qualcosa nella sua testa aveva smesso di funzionare e, allora, ciò che avrebbe dovuto esserle chiaro s’offuscava come un astro dietro una nube di fumo.
S’era graffiata le braccia da sola, in lunghe strisciate rosate che s’infrangevano sull’uniformità dell’epidermide, deformandola. Una ciocca di capelli era impigliata tra le sue dita, in pericolo, avrebbe potuto essere strappata da un momento all’altro.
Poi, inaspettatamente, Bellatrix sorrise e s’illuminò di una pacifica soddisfazione, probabilmente pensando a come il Signore Oscuro s’era fidato di lei, più che di Crouch.
«Bene» disse, calma. «Mostrami la tua fedeltà alla causa, allora».
Indicò con la testa Frank Longbottom, in un gesto lento e misurato come una condanna a morte: la maledizione Cruciatus scagliata da Barty Crouch jr fu di una potenza devastante. Contorse Longbottom come fosse fatto di plastica, facendogli battere i denti così forte che, uno di essi, si ruppe in un lago di frammenti d’osso e sangue.
«Pensate a lei» sibilò Bellatrix, senza nemmeno dedicare un’occhiata al marito e al cognato. «Non dovrebbe essere un problema per te, Rodolphus, è solo una donna».
Bellatrix dedicava solamente disprezzo al proprio genere, come il disprezzo ch’aveva ricevuto dagli altri Mangiamorte, prima che Lord Voldemort l’eleggesse a sua favorita.
«Non posso rimanere qui?» sibilò Rabastan, più interessato a Frank Longbottom che all’esile Alice. «Le cose si fanno interessanti».
Bellatrix annuì, ma sembrò quasi che non lo stesse ascoltando. Fissò i propri occhi scuri, velati di follia, sul marito. Vai, gli sillabò, con un sorriso che inquietantemente le incideva il volto.
Rodolphus chinò il capo, in silenzio. Per un orribile momento, una parte di sé pensò che Bellatrix se la meritava, la morte del Signore Oscuro. Se la meritava ed era una sua responsabilità.
 
***
 
Alice Longbottom, sebbene si fosse macchiata della colpa d’esser madre, non portava nel suo corpo i segni della maternità: nonostante il viso rotondo, era esile quanto Bellatrix, che s’era smagrita di una magrezza agitata e nevrotica, ed emanava un’aura di irritante calma. Non c’era tremore, nelle sue mani, né vi era incertezza o paura nelle sue iridi castano chiaro.
Rodolphus sospirò, rigirandosi la bacchetta tra le mani, con fare pensieroso: sua moglie l’aveva legato a quella esistenza noiosamente banale, quella di Alice Longbottom, ch’avrebbe dovuto spezzare come un ramoscello. Ne aveva la forza, questo era certo, ma che senso avrebbe avuto, poi, uccidere o torturare i due Longbottom. Rodolphus lo percepiva con chiarezza, che nessuna Cruciatus, né i capelli strappati di Bellatrix, né, alla fine, le preghiere sarebbero riuscite a far risorgere l’Oscuro Signore.
«Un pozionista» borbottò la Longbottom, serrando i denti. «Non sapevo che Voldemort cercasse esperti di pozioni».
Rodolphus sobbalzò, sotto il peso di lei che aveva pronunciato quel nome, e la guardò con una rinnovata curiosità. «Un pozionista?» domandò, perplesso. «Hai poco spirito deduttivo, per essere un Auror».
«Hai della polvere di stelle sulla camicia» osservò Alice, indicandola con un cenno del capo. «La usano solamente i pozionisti».
«Non lo sono» rispose lui, laconico. «E dovresti rispondere alle mie domande, piuttosto che fare supposizioni».
«Allora sei uno di loro, un collezionista» commentò lei, ignorandolo. «Pensavo non esistesse qualcuno di così avaro, al mondo».
«Il Signore Oscuro» la interruppe Rodolphus, secco. «Voi dell’Ordine sapete che fine ha fatto».
«Lo sapete anche voi» rispose Alice, dolcemente. «Se non è morto, è sparito, e se non è sparito, comunque nessuno sa dire dove sia finito».
Rodolphus pensò che era un Dio crudele, l’Oscuro Signore: con che fede poteva continuare a servirlo, se non dava segno di essere ancora vivo, se non rispondeva alle grida disperate di Bellatrix, alla cieca fiducia di Rabastan e Crouch. Come fai a sapere che il tuo Dio esiste, se ignora le preghiere?
«Fareste meglio a dimenticarvi di lui» concluse la donna, placidamente. «E implorare perdono, come ha già fatto Malfoy».
«Non ne guadagnerei niente» rispose Rodolphus, atono. «Il Ministero toglie, quando il Signore Oscuro dà».
«Vi prenderanno, Lestrange» disse Alice, masticando con astio quelle parole. «Ma, se trovi un modo per farci andare via di qui, parlerò in tuo favore. Forse riuscirò a salvare te e la tua collezione».
«Non ho bisogno dell’aiuto di due Auror» sibilò lui, piccato. «Il Signore Oscuro tornerà e, quando scoprirà che gli sono rimasto fedele, mi ricompenserà».
«Ti auguro di vivere per sempre, allora» rispose Alice, calma. «Perché dubito fortemente che Voldemort tornerà mai da voi».
L’aria gli uscì dal naso come un sibilo, mentre prendeva la bacchetta e pronunciava una parola, cruda e dolorosa, che gl’incise la lingua come un frammento di vetro.
«Crucio».
 
***
 
Avendo visto gli arti di Alice Longbottom contorsi, come se non le appartenessero più, la bocca sottile divenire una cicatrice sul volto tondo, le mani che convulsamente s’appigliavano alle ciocche cortissime di capelli, avendola vista così, Rodolphus aveva pensato che, il sesso e la tortura, non erano due mondi così lontani.
Perché lo sguardo che lei gli lanciava, ogni volta che sospendeva la tortura, lasciandola riprendere fiato, era lo stesso che, negli angoli più bui della sua mente, la sua fantasia aveva attribuito a sua moglie Bellatrix, immaginandosela sotto il suo Signore. Probabilmente perché, e rendersene conto era stato quasi liberatorio, era il corpo a essere al centro di due attività così inutilmente volgari, era il corpo a contorcersi, preda di inutili spasmi.
Era stato un corpo a causare la caduta di Lord Voldemort, che s’era disfatto dell’aria di immortalità cui s’era vestito, ed era stato un corpo a segnare la psiche di Rodolphus: Alice Longbottom non possedeva la bellezza violenta di Bellatrix, o la grazia algida dell’altra sorella Black, ma, quando i suoi occhi s’infransero in una lacrima, Rodolphus ne scoprì un pallido riflesso indaco, che cozzava con il colore ligneo dell’iride.
«Dimmi dov’è» sibilò, abbassando la bacchetta. «Io lo so, che stai nascondendo qualcosa».
Ma lei lo guardò, e aveva gli occhi liquidi come acqua, che si sarebbero potuti sciogliere in un improvviso scroscio di pioggia. Non era ancora riuscito a piegarla, sebbene sua moglie l’avesse incitato a usare ogni metodo umanamente noto.
L’aveva spinto a usare ogni incantesimo recondito e oscuro che Rodolphus conoscesse e, velatamente, gli aveva suggerito anche una via alternativa che, se solamente il Signore Oscuro l’avesse sentita, avrebbe scatenato la forza del proprio disappunto su Bellatrix. Se Rodolphus l’avesse stuprata, Alice Longbottom, se l’avesse spezzata in un’intrusione forzata e innaturale, lei comunque non avrebbe detto una parola.
Quello segnato, per sempre, sarebbe stato solamente lui. Eppure, nel vederla contorcersi sotto il peso dei suoi incantesimi, gli occhi velati di Alice Longbottom sembravano invitarlo a violarla nel peggior modo possibile.
«Io non ti dirò mai niente» mormorò Alice, stremata. «So proteggere anche io le cose di valore».
Ma, guardandola in viso, era chiaro ed evidente che Alice non fosse in grado di preservare per sé la cosa più di valore che le fosse rimasta: la sanità mentale. Chissà di cosa era costituita, poi, la mente dell’Auror, se di vetro frangibile o d’acciaio, se sarebbe bastata una leggera pressione delle dita, su quella pelle bianchissima, per impedirle di comprendere il mondo circonstante.
Chissà con cosa erano legati, i frammenti della sua psiche, con che colla erano tenuti assieme, per evitare che Alice Longbottom precipitasse in un universo fatto di deliri e zone d’ombra. Cosa avrebbe dovuto fare, Rodolphus, per infrangere quei legami, che tanto erano cari a lei, per portarla nello stesso mondo da dove lui proveniva.
«Tuo marito si è rifiutato così tanto che, adesso, è solamente un guscio vuoto» osservò lui, annoiato. «Perché non cerchi di salvarti?».
Lei lo guardò e le scappò un sorriso che, sfrontatamente, le illuminò il volto. «Perché io non ho intenzione di vivere per sempre» rispose. «Non tengo così tanto a qualcosa da volerla sorvegliare per sempre».
Rodolphus pensò che non poteva essere vero, che doveva esserci qualcosa, un difetto fatale annidato nella testa bionda, che doveva costringerla a parlare. Che ognuno, perfino il Signore Oscuro, possedeva qualcosa di talmente caro e umano da avere il potere di condizionarne le scelte.
«Tuo figlio» tentò Rodolphus, secco. «Tuo marito».
«Non ho paura di lasciare mio figlio in un mondo che ho contribuito a rendere sicuro» tossì Alice, con determinazione. «Con una famiglia che lo ama. Io e Frank staremo bene».
A lui si contrasse il viso in una smorfia di disapprovazione. «Se non parli» disse, calmo. «Morirai. O impazzirai anche tu».
Alice Longbottom lo guardò e, nei suoi occhi castani, s’era ormai sedimentata una scia indaco del cielo notturno di Rodolphus. Sorrise, come se stesse spiegando un concetto ostico a un bambino un po’ tardo, e scosse il capo.
«Solo gli avari vogliono vivere per sempre» disse, dolcemente. «Perché hanno troppa paura di lasciarsi alle spalle le cose che amano».
Rodolphus strinse la bacchetta, e i denti, preparandosi a lanciarle addosso l’ennesima maledizione Cruciatus. Ma lei socchiuse gli occhi, come fosse stanca, preparandosi a sentir le ossa che si scioglievano sotto il fuoco del dolore.
«Solo i puri possono vivere per sempre» la corresse Rodolphus, secco. «E io lo sono».
Alice non disse una parola, ma un sorriso ironico le sfregiava il volto come una ferita, che mantenne anche sotto gli spasmi della tortura. Aveva lo sguardo fisso in un punto che coincideva inquietamente con il cavallo dei pantaloni di Rodolphus, che si stringeva a ogni contorsione e a ogni urlo di dolore che gli attraversava la mente.
 
***
 
Sua moglie s’era fatta impaziente, bramava la pazzia di Alice Longbottom come, a suo tempo, aveva bramato le attenzioni del Signore Oscuro: come se, in qualche modo, un tributo di follia le fosse dovuto, lei che s’era resa folle nella sua venerazione verso Colui che era scomparso nel nulla. Bellatrix l’aveva guardata con disprezzo, l’Auror accovacciata sul pavimento, con schifo, quasi, sicuramente senza alcuna pietà.
«Ti avevo detto di farla parlare» sibilò al marito, scontenta. «Deve sapere cosa è successo al nostro Signore».
Rodolphus chinò il capo, ma non disse una parola: silenziosamente, una parte di lui sperava che Bellatrix s’assumesse l’incombenza di torturare, o perfino ammazzare, Alice Longbottom, togliendolo da quello spiacevole impiccio. Permettendogli, in un certo senso, d’elevarsi nuovamente allo status di uomo dai desideri moderati, quasi assenti, che avrebbe potuto facilmente ambire all’immortalità.
«Non parla» disse, quindi, laconicamente. «Magari, vuoi fare tu un tentativo».
Bellatrix non si tirò indietro, scagliando una potentissima Cruciatus sull’Auror: Rodolphus pensò, non senza un velo di stupore, che Alice Longbottom era composta pure nel dolore. Lui, e sua moglie, ch’era fatta della sua stessa sostanza, avrebbero gridato fino a stracciarsi la trachea, morendo in un glorioso lago di sangue.
«Se tu fossi furba» commentò Bellatrix, rigirandosi la bacchetta tra le dita ossute. «Diresti a noi tutto quello di cui sei a conoscenza, prima di impazzire come il tuo adorato maritino».
«Posso dirtelo quante volte vuoi» sussurrò Alice, a fatica. «Voldemort è morto. Malocchio Moody vi starà già cercando».
Bellatrix rise, sfiorando il viso dell’Auror con la bacchetta. «Morto» disse. «Come se le persone come lui fossero in grado di morire. Crucio!».
Nonostante le urla di dolore, il sangue che macchiò le labbra di Alice, che s’era morsa la lingua nel tentativo di contenere quel dolore dentro di sé, Bellatrix non sembrava soddisfatta.
«Potresti sempre piangere» commentò, con scherno. «Mi fermerei. È sempre straziante, vedere una donna che piange».
Lo disse come se lei non lo fosse mai stata, una donna con desideri da donna, che non s’arrendeva di fronte all’evidenza più assoluta e incontrovertibile. Che il Signore Oscuro era sparito, lasciandole l’ingrato compito di cercarlo in ogni angolo o ripiegatura dell’esistenza, senza trovarlo.
Alice Longbottom rise, in un suono orribile e raschiato che sembrò risucchiarle tutte le forze. «Impazzirò, piuttosto che piangere di fronte a te» sibilò. «Non mi farai mai piangere».
Bellatrix rise come una bambina.
«No?» domandò, con un sorriso amabile. «Mi mancano le armi per farlo, dici?».
Lanciò uno sguardo a Rodolphus che, in un secondo, gli congelò speranze e sangue nelle vene.
 
***
 
Nonostante avesse passato due giorni senza mangiare, bevendo dell’acqua quando Rodolphus s’era sentito sufficientemente misericordioso per concedergliela, Alice Longbottom era morbida, non aveva ossa sporgenti come Bellatrix, ch’era tutta una sporgenza, che ti tagliava anche con un singolo respiro. Aveva la pelle delicata come un foglio di pergamena, così che appena la sfiorò, essa si arrossò sotto il marchio bruciante delle sue dita.
In lontananza, come fosse immerso sott’acqua, Rodolphus sentiva sua moglie ridere istericamente, forse di soddisfazione, forse di malinconia. Una parte di lui si domandava se il Signore Oscuro la prendesse così, Bellatrix, un po’ costringendola e un po’ ignorandone i bisogni, e se gli fosse piaciuto almeno un quinto di quanto doveva piacere a lei, almeno la metà di quanto, in quel momento, ne sentiva la mancanza.
«Immagino le piacerà» mormorò Bellatrix, forse a Rabastan o forse a  Crouch. «Visto che non dice una parola».
Rodolphus non disse una parola ma, quando guardò il viso di Alice Longbottom, gli parve d’intravedere l’anima di una lacrima, che s’infrangeva nell’iride, annacquandola in un indaco scolorato.
 
***
 
«Rodolphus Lestrange» la voce del Ministro della Magia era chiara e limpida, lo riscosse da quel buio mondo di sogni in cui s’era immerso. «Ha ben chiari quali sono i suoi diritti?».
Lui rise, facendo sibilare l’aria tra i denti, fino a farsi lacrimare gli occhi. «Ministro Granger» disse. «Ho ben chiaro di non avere alcun diritto».
La donna, in un elegante completo da Strega bordeaux lo fulminò con un’occhiataccia, ma non si scompose. «È a conoscenza dei capi d’accusa a suo carico?» domandò, calma. «Che essi sono stati sottoposti al Wizengamot ed è stato dichiarato colpevole di tutte le accuse?».
Lui non rispose: nel silenzio opprimente della sua mente, Bellatrix urlava, che le persone come lui non muoiono mai.
«Lei è stato giudicato colpevole di omicidio, tortura» elencò Hermione Granger, con voce monotona. Per un momento, Rodolphus smise di ascoltare, perdendosi in quel quieto ritmo di sillabe che si susseguivano.
«E dello stupro di Alice Longbottom» concluse il Ministro. «La decisione del Wizengamot è stata condannarlo al Bacio dei Dissennatori. Vuole aggiungere qualcosa?».
Ma Rodolphus rise, come se lo spirito di sua moglie avesse preso possesso del suo corpo, costringendolo a strapparsi ciocche di capelli fino a farsi sanguinare il cuoio capelluto.
«Io non morirò mai» disse, tra lacrime d’ilarità. «Le persone come me non muoiono».
Hermione Granger scosse il capo, facendo cenno a due Auror dietro di sé. Rodolphus chinò il capo, scosso dalle proprie risate.
Io non morirò mai, si disse: il cofanetto con la sua collezione era ancora al sicuro a Villa Lestrange. Le persone come me non  muoiono.
Aveva gli occhi indaco, Hermione Granger, o era solamente l’ennesimo gioco di luci della sua mente?

 
Buonasera e grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui. Che dire? Questa storia è decisamente fuori dalla mia confort-zone: chi mi conosce sa che sono almeno 6/7 anni che scrivo solo sulla generazione Harry (principalmente su Draco) e sulla nuova generazione. Non scherzo, credo siano passati almeno sette anni dalla mia ultima fic sulla old generation, quindi questa storia è stato un volermi mettere i bastoni tra le ruote da sola. Spero comunque sia stata una lettura piacevole (?).
Lascio alcune necessarie spiegazioni:

- Il titolo è ripreso dall'omonimo libro di London che, seppur di argomento totalmente diverso da quello che tratto io, presentava una bella similitudine con il tema dell'avarizia, che mi ero scelta per il contest.

- La storia delle stelle me la sono inventata di sana pianta, spero che sia credibile.

- Idem con patate per la storia dello stupro. E per la caratterizzazione un po' creepy di Rodolphus. 

- Anche che Voldemort avesse organizzato la cattura dei Longbottom, è stata una mia idea, spero non fallimentare.

Grazie ancora

Gaia

 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Gaia Bessie