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Autore: Napee    13/08/2020    2 recensioni
La storia è composta da dieci fill, tutti appartenerti alla BokuAkaWeek2020 che si è conclusa da qualche giorno a questa parte.
***
Tratto dal day 7-illness:
“Dici che dovremmo chiamare un medico?” Chiese poi incerto Bokuto, cercando di nascondere la preoccupazione per la sua salute dietro ad una finta noncuranza.
“Potrei anche morire, no?!”
Akaashi ruotò gli occhi al cielo senza farsi vedere dal compagno e poi gli si rivolse sorridendo fintamente triste.
“È vero. Forse allora sarebbe meglio chiamare direttamente il prete affinché mi assista nelle cure.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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 Our Story 

 

 

#1 confession (608 parole)

 

Gli allenamenti erano finiti ormai da molte settimane e l’incombente arrivo degli esami aveva diminuito drasticamente il numero di occasioni per poterlo vedere.

Era strano non averlo intorno, quasi innaturale mentre nell’aria non riecheggiava il suo nome pronunciato con quella cantilena che aveva imparato a sopportare e poi ad adorare.

La sera tardava ad arrivare e il sole morente che si ostinava ad illuminare di rosso aranciato, sembrava non volergli concedere quel briciolo di intimità di cui invece sentiva il bisogno.

Il cellulare nella tasca pesava come un macigno dopo quell’ultima chiamata fatta. Inaspettata, inattesa e forse la più grande sciocchezza che avesse mai commesso.

“Akaashii!” La voce cantilenante e allegra di Bokuto infranse il muro di silenzio nervoso nel quale si era immerso. Era vestito da casa, con un paio di pantaloncini corti e una t shirt dismessa dai colori improbabili che forse un tempo erano stati più brillanti. Akaashi rendeva conto solo in quel momento che forse chiedere a Bokuto di uscire di casa e attenderlo proprio dinanzi all’ingresso non fosse proprio il luogo migliore per una confessione d’amore. Chiunque avrebbe potuto vederlo o sentirlo, soprattutto i suoi genitori che sicuramente erano in casa. E forse lo aveva disturbato proprio mentre studiava dato che gli esami erano alle porte.

“Bokuto-san, mi scuso se ti ho disturbato proprio adesso, a ridosso degli esami, e a quest’ora, ma...”

“Akaashiiii, non essere così formale!” Lo rimproverò l’altro bonariamente, inarcando un sopracciglio incuriosito dal suo modo così severo e contrito.

“Sembra che tu debba dirmi una cosa terribile! Oh no! Non dirmi che è così!”

“No, Bokuto-san, veramente-...”

“Lo sapevo, senza di me il club di pallavolo si è sciolto e nessuno vuole più giocare!” Trasse le sue conclusioni melodrammaticamente e Akahashi si ritrovò spettatore di un monologo egocentrico e disperato, ma davvero esilarante. Forse degno di un riconoscimento.

Un sorriso gli sbocciò sulle labbra con naturalità. Si era distrutto dentro nelle ore precedenti per la sua confessione, pensando alle parole da dire, se fosse opportuno o meno e, soprattutto, cosa avrebbe pensato di lui il diretto interessato. Perché se per Akaashi i propri sentimenti erano chiari come un faro nella notte, altrettanto non lo erano quelli dell’oggetto del suo interesse romantico. Bokuto non aveva mai mostrato interessi che non fossero strettamente inerenti o collegati alla pallavolo. Certo, ogni tanto se ne usciva con qualche complimento che lo faceva arrossire terribilmente o qualche frase fuori luogo dal retrogusto ambiguo, ma Akaashi non aveva mai voluto vedere che cosa ci fosse dietro per la paura di scoprire che forse non c’era proprio un bel niente. Bokuto era una persona diretta con un filtro a grani grandi come arance fra cervello e bocca. Quello che pensava, automaticamente gli usciva dalle labbra senza problemi e per questo lo invidiava tantissimo.

Era eccezionale la facilità con la quale comunicava i propri sentimenti, lasciava trasparire il proprio stato d’animo, senza la benché minima vergogna o un briciolo di timore.

E mentre Bokuto continuava a decantarsi come pilastro portante della pallavolo giapponese, Akaashi si rese conto che in quel momento avrebbe dovuto essere un po’ più come Bokuto e un po’ meno sé stesso se non voleva vanificare tutti gli sforzi fatti fino a quel momento.

Si avvicinò di un passo senza esitare, non si curò dello sguardo confuso che l’altro gli rivolse e si ostinò a non pensare alle sue guance sicuramente rosse mentre s’innalzava sulle punte per raggiungere le sue labbra e far cessare il suo monologo autocelebrativo.

Fu questione di pochi istanti, una carezza sulle labbra, il sapore di un sentimento che sbocciava in quel momento e Akaashi scappò via senza neanche salutare.

 

 

 

 

#2  moving in (465 parole)

 

Era stato un momento a sé stante, un frammento congelato nel tempo e mai più replicabile. Quel bacio, il suo primo bacio, era stato qualcosa di puramente istintivo e dettato dal più tenero dei batticuore. Era stato come il coronamento di un sogno, l’apice che il suo amore a senso unico potesse mai avere e che mai avrebbe avuto.

La realtà era piombata su di lui schiacciandolo insieme al suo tenero amore, gli esami erano stati crudeli e inflessibili e Bokuto era divenuto talmente pieno di impegni che Akaashi riusciva a stento ad intravederlo a scuola e scambiarsi un saluto distratto da lontano. E di questa fredda distanza, se ne rammaricava tanto, ma non riusciva a domandarsi se non fosse derivata da quel suo bacio di qualche settimana prima. Per quanto cercasse di ignorare quel dubbio scomodo, il tarlo nella testa lo logorava giorno dopo giorno dopo giorno e sentiva come se la distanza fra lui e Bokuto fosse non solo aumentata, ma divenuta incolmabile.

Quella mattina a scuola aveva appreso con gioia il superamento degli esami da parte di Bokuto, con voti dignitosi sebbene non eccellenti. Ma era felice per lui, incredibilmente soddisfatto per quel suo risultato personale che lo avrebbe fatto affacciare sul mondo del lavoro e su quello delle università.

Con i più buoni e sinceri propositi, Akaashi era salito fino al terzo piano, dove era collocata l’aula della classe di Bokuto e aveva timidamente chiesto ai suoi compagni sue notizie e dove lo avrebbe potuto trovare.

“Ma come, non hai saputo?” Trillò una ragazza dai capelli decolorati e dalle labbra tinte di un rosa acceso e appariscente.

“Bokuto-kun è stato selezionato da una squadra professionista di Kyoto. Si trasferisce lì domani, quindi non verrà più a scuola per questi ultimi giorni.”

La notizia lo aveva scombussolato e devastato. Era stata come una lieve pioggerellina fresca divenuta poi burrasca. Aveva fatto esondare fiumi, raso al suolo villaggi e fatto strage di innocenti nonché innumerevoli vittime, ma Akaashi mascherò tutto alla perfezione dietro una maschera di serietà. Ringraziò la ragazza e s’inchinò leggermente prima di tornarsene in classe con gli occhi rossi e tanta voglia di piangere.

Neppure a dirlo, le ultime ore del pomeriggio avevano portato con sé anche il bisogno inestimabile di solitudine. Akaashi era sempre stato uno studente modello, un secchione sempre attento e pronto, ma per quelle misere ultime ore dell’anno volle ribellarsi e seguire i suoi bisogni per una volta, così, senza pensarci troppo, infilò le cuffiette nelle orecchie e lasciò che il mondo attorno a sé si sciogliesse divenendo una melma i distinta di colori e suoni ovattati.

Se avesse potuto, avrebbe plasmato quella melma in un mondo diverso, un mondo tutto nuovo dove Bokuto non solo ricambiava il suo bacio, ma restava con lui per sempre.

 

 

 

 

#3 fist date (1377 parole)

 

Kyoto era una città fantastica, una metropoli che brulicava di vita e di gente sempre attiva e sempre in giro. Akahashi si era trasferito nella sede di Kyoto per lavoro per quelli che il suo capo aveva millantato come pochi giorni, massimo una settimana, ma che poi erano divenuti magicamente mesi.

Aveva dovuto trovarsi un posto dove stare, possibilmente vicino al lavoro, e abbandonare la comoda e confortevole camera d’hotel che aveva pagato per ben due settimane, ma che poi aveva dovuto salutare a malincuore se non voleva prosciugare le sue finanze. Ciò che rendeva Kyoto così bella però non era né il suo buco di appartamento con la caldaia capricciosa, né il lavoro dove i colleghi lo trattavano come l’ultimo arrivato, ma bensì Bokuto Koutaro.

Per caso, inaspettatamente e con sua immensa gioia, lo aveva incontrato alla stazione appena sceso dalla metropolitana, riconoscendolo fra mille grazie ai suoi capelli dritti sparati in aria e dannatamente caratteristici. Si erano ritrovati faccia a faccia, Akahashi con le guance ancora rosse al ricordo di quel bacio di più di un anno prima, e Bokuto con un sorriso bello, ampio e smagliante pieno di gioia.

Avevano iniziato a vedersi di quando in quando, riallacciando i rapporti pian pianino con non poco imbarazzo da parte di Akahashi. Sì, perché anche se erano passati un sacco di mesi da quel suo bacio-confessione, anche se non si erano più visti di persona ma solo sentiti di rado grazie al gruppo whatsapp del vecchio club, Akahashi restava fermo e convinto della sua cotta spudoratamente longeva e che quel bacio non aveva sortito altro effetto se non quello di far fuggire Bokuto a gambe levate.

E ogni volta che si vedevano, ogni volta che uscivano insieme passeggiando distrattamente per le vie di negozi o si fermavano in un ristorante a mangiare qualcosa, Akahashi sentiva dentro di sé che fosse solo tutto un enorme sbaglio. Non conosceva le intenzioni di Bokuto, non sapeva quasi niente dei suoi interessi (tranne della pallavolo) e tantomeno dei suoi gusti sessuali. Si sentiva un po’ meschino ad uscire con lui, perché per Akahashi quelle uscite erano qualcosa di più che una semplice rimpatriata fra vecchi compagni di squadra, ma poteva dire lo stesso di Bokuto?

Forse troppo preso dai pensieri, non si era accorto che l’altro aveva allungato le bacchette fino al suo piatto per rubargli da sotto al naso proprio il suo ultimo raviolo.

“Devi essere proprio preso se non te ne accorgi.” Commentò sornione ridendo sotto ai baffi giusto per rompere la bolla di pensieri nei quali Akahashi si era immerso.

“Come?” Domandò confuso il moro e l’altro rise di gusto rimettendogli il raviolo nel piatto.

“Sei distratto stasera, ma mi pare di capire che non sia per la mia strabiliante bellezza.” Constatò Bokuto e Akahashi si ritrovò a pensare che aveva proprio sbagliato in pieno. Se stava con la testa fra le nuvole, era proprio per colpa sua, per sua bellezza, per il suo carattere egocentrico e sopra alle righe ma anche tanto buffo e premuroso, per il suo fisico tonico forgiato da quell’anno di allenamento serrato e per quei bicipiti che tiravano sotto alla camicia in un modo davvero invitante.

“No, no... io... scusami, mi sto comportando da maleducato.” Si pentì con un lieve inchino Akahashi, domandandosi se fosse corretto continuare a vederlo così, nonostante i suoi sentimenti, e approfittando dell’amicizia che l’altro sembrava offrirgli.

Akahashi non era mai stato una persona troppo meschina. Egoista forse, ma non troppo da recare un torto a qualcuno e quella situazione con Bokuto stava diventando pericolosa. Non voleva approfittarsi di lui, della sua amicizia e del suo buon cuore ancora per molto, ma d’altro canto desiderava bearsi ancora della sua compagni, ammirarlo da vicino ancora e ancora e riottenere quel posto d’onore al suo fianco che aveva sempre avuto a scuola in quanto alzatore titolare.

Ma era giusto nei confronti di Bokuto? Per quanto ancora avrebbe potuto considerarsi un buon amico se ogni volta che gli arrivava un suo messaggio aveva il batticuore?

“Bokuto-san.” Lo chiamò serio, deciso e soprattutto sincero.

“Ti ricordi quando ti ho baciato?”

“Certo, era il mio primo bacio! Come potrei dimenticarlo?!”

Alahashi non riuscì ad impedirsi di stringersi nelle spalle e farsi più piccolo possibile. Le guance gli divennero scarlatte al ricordo di quel gesto di coraggio tanto impacciato.

“E-ecco... i miei sentimenti non sono cambiati da quel momento.” Esalò infine, sentendo subito dopo i polmoni farsi più leggeri, anche se si ostinava a tenere lo sguardo basso su quell’ultimo raviolo solitario nel piatto. Temeva, in cuor suo, che quella sincerità avrebbe finito per togliergli Bokuto in ogni caso e già riusciva a visualizzare, attraverso le palpebre chiuse -come chi si prepara a ricevere un colpo- l’espressione di Bokuto mutare da allegra e spensierata fino a disgustata.

“Usciamo insieme da quasi cinque mesi, mi stupirei del contrario!” Sghignazzò Bokuto e Akahashi spalancò gli occhi come se una vespa lo avesse appena punto.

“Come?” Domandò sorpreso. Forse era talmente nervoso che le sue orecchie gli avevano tirato un pessimo scherzo.

“Perché mi guardi con quella faccia? Sembra che ti abbia detto chissà che cosa!”

“Diciamo che è una notizia piuttosto sconvolgente.” Si schiarì la voce e poggiò i gomiti sul tavolo assumendo una posizione concentrata. Nervoso, cercò di sgomberare la mente e di prestare tutta la sua attenzione alle parole di Bokuto e di comprenderne a pieno il loro significato.

“Che cosa intendi con ‘uscire insieme’?” Domandò Akahashi e le guance di Bokuto assunsero una sfumatura rossastra davvero deliziosa.

“Bhe sai... non è che abbiamo definito proprio i confini, ma pensavo che dopo il terzo appuntamento potevamo definirci qualcosa in più che semplici amici.” Spiegò un po’ balbettante, con le guance rosse e grattandosi la nuca con fare nervoso.

Akahashi lo trovò adorabile come un bambino, ma si guardò bene dal confessarglielo.

“Ecco, forse ‘fidanzati’ è un po’ troppo... ci siamo baciati solo una volta e non siamo nemmeno andati a letto, quindi-...”

“Aspetta, Bokuto-san.” Lo interruppe Akahashi respirando quasi a fatica.

“Ma io sono un maschio, non ti turba stare con un uomo?”

Bokuto scrollò le spalle con noncuranza.

“A me piacciono i maschi.” Confessò candidamente, sereno e onesto come Akahashi non sarebbe mai stato. Quella sua genuina sincerità l’aveva sempre invidiata fin dai tempi della scuola.

“E mi piaci tu, Akahashi.” Specificò facendosi più vicino, come se volesse confutare ogni dubbio a riguardo.

Akahashi sorrise emozionato abbassando lo sguardo nuovamente e si stupì quando Bokuto gli portò una mano sotto al mento per farglielo rialzare.

Ma una domanda restava ancora a vorticargli nella testa. Una sopra alle mille altre e sopra alla sensazione di aver solo perso tempo troppo preso dalle sue paranoie e dai propri sentimenti per prestare attenzione a Bokuto.

“Perché non me lo hai detto prima?”

“Pensavo fosse ovvio... non lo so... sei sempre così composto che mi sono sempre sentito troppo rumoroso al tuo fianco.”

“Non volevo spaventarti.”

“No, no, Akahashi, tu non sei spaventoso, non volevo dire questo! Non ti volevo offendere!”

Akahashi gli sorrise sereno e in qualche modo anche grato. Si sentiva tanto fortunato quanto scemo in quel momento.

Portò la mano su quella dell’altro ancora ferma sotto al suo mento e la strinse forte prima di spingersi in avanti ed unire le labbra con quelle dell’altro.

Il sapore di Bokuto era identico a quello di anni fa, solo più buono e più maturo.

“Non mi sono offeso, tranquillo... anzi, dovrei essere io a scusarmi con te perché per tutti questi mesi ho creduto di essere solo un vecchio amico per te.” Sospirò chinando il capo in un lieve inchino e Bokuto avvampò di vergogna.

“Ma no dai... non c’è bisogno Akahashi! Dopotutto è anche colpa mia che non ho mai provato a baciarti anche se lo volevo tanto.”

“Mi sembra di aver perso tempo e di avertene fatto perdere a te.”

“Ma no! Ma no! Anzi, facciamo che ripartiamo da zero e che questo è il nostro primo appuntamento!” Lo rasserenò Bokuto, con il suo sorriso smagliante e il suo carattere dolce e affabile. Akahashi si lasciò incantare dalle sue parole, dalle sue rassicurazioni e dalla trovata consapevolezza di essere qualcosa per l’uomo che amava.

Per essere il loro primo appuntamento, era andato davvero bene.

 

 

 

 

#4 clothes sharing (405 parole)

 

Passare la notte a casa dell’altro era divenuta la normalità ormai per loro. Per quanto Akaashi trovasse comodo il suo futon, non era niente se paragonato alle braccia muscolose e all’ampio petto di Bokuto.

Si svegliava sempre prima di lui, non perché Akaashi fosse mattiniero, ma bensì perché l’altro era un gran dormiglione. E quando poteva ammirarlo mentre riposava, carezzando con gli occhi le prove sulla sua pelle di quello che avevano fatto quella notte, Il cuore di Akaashi iniziava a battere furiosamente nel suo petto.

Era bello, Bokuto, davvero splendido. Si prendeva del tempo ogni mattino per guardarlo e ogni volta che lo faceva, era come la prima. Le sue labbra gonfie di baci erano invitanti da impazzire, il suo naso dritto era semplicemente perfetto, forse un po’ grande, ma si armonizzava perfettamente con i lineamenti del suo viso.

Persino il suo odore era fantastico e impregnava le lenzuola e tutta la casa intorno a sé. Akaashi si sentiva completamente immerso nell’essenza di Bokuto, avvolto e avviluppato come da un abbraccio immaginario. Sentiva di aver raggiunto un livello di intimità con lui che andava ben oltre il sesso o la loro relazione. Si sentiva completo, coinvolto e felice con Bokuto e non avrebbe cambiato mai quel momento per niente al mondo.

Senza pensarci troppo, sgusciò via dal suo abbraccio caldo non senza qualche ritrosia.

Prese da terra il primo indumento che trovò e senza guardare a chi appartenesse, indossò la t-shirt giusto per avere qualcosa che lo coprisse almeno un po’.

Quando il tessuto gli ricadde largo e slabbrato sulle maniche e l’orlo della maglia gli sfiorò quasi la mezza coscia, Akaashi intuì che non si trattasse della sua maglia.

Sorrise divertito specchiandosi in quello stato. La maglia di Bokuto sembrava quasi un vestito per lui. Forse troppo corto e audace per i suoi gusti, ma pur sempre un vestito!

“Te la regalo.” La voce di Bokuto alle sue spalle lo fece sobbalzare  e gli venne istintivo acciuffare l’orlo e iniziare a sfilarsi quell’indumento non suo del quale si era appropriato.

“Ma no, è una delle tue preferite!” Controbatté l’altro, ma le mani di Bokuto lo raggiunsero leste bloccando il suo movimento sul nascere.

“Tienila, ti sta davvero bene.” Gli confessò schioccandogli un bacio sulla guancia e Akaashi sorrise al suo riflesso nello specchio concordando che sì, fra le sue braccia avrebbe anche potuto starci per sempre senza mai smettere di sentirsi così felice.

 

 

 

 

#5 touch  (132 parole)

 

Le mani di Bokuto erano grandi. E forti. Mani così imponenti, percorse da vene in rilievo, con dita grosse e callose, avrebbero potuto fargli male. Avrebbero lasciato segni violacei sul suo corpo se solo Bokuto avesse voluto.

Avrebbero stretto la sua carne chiara e Akaashi avrebbe sentito dolore. Ma invece quelle mani erano sempre gentili, sempre premurose con lui.

Carezzavano il suo corpo in punti sensibili con la massima attenzione come un devoto servitore.

Akaashi si sentiva privilegiato sotto Bokuto, quando le sue mani gli premevano i fianchi e la sua voce roca invocava il suo nome.

Il suo tocco era gentile, ma saldo, vivo e pulsante quando gli prendeva le mani, le intrecciava con le sue e le stringeva forte mentre si perdevano nel piacere carnale che bruciava i loro corpi.

 

 

 

 

#6 travel (240 parole)

 

La voglia di fare un viaggio insieme era nata contemporaneamente all’impellente bisogno di evadere dopo un anno intero di lavoro.

La stanchezza accumulata si faceva sentire e il caso aveva voluto che la fine del campionato  di Bokuto coincidesse con la settimana di chiusura aziendale per Akaashi.

Si erano accordati subito, avevano risparmiato un po’ di più in quelle ultime settimane e si erano ritrovati con un discreto gruzzolo da parte. Non avrebbero potuto visitare le mete esotiche tropicali che Bokuto sognava, ma un bel viaggio attraverso il Giappone ci stava tutto, con perfino ogni comodità concedendosi pure degli hotel piuttosto raffinati.

Avevano optato per l’utilizzo del treno come mezzo di trasporto e, dopo aver caricato le valigie a bordo ed essersi seduti, avevano atteso il fischio di partenza che sanciva anche l’inizio della loro vacanza.

Akaashi sorrise rilassato poggiando la testa sulla spalla del suo compagno e chiudendo gli occhi. Gli sembrava un sogno. Stare su quel treno, insieme, pronti per affrontare chissà quali avventure.

La mano di Bokuto corse a cercare quella dell’altro e la strinse forte. Sembrava quasi che avesse letto i suoi pensieri e che gli stesse rispondendo con quel gesto dolce.

Akaashi girò la testa quel tanto che bastava per scorgere i suoi occhi luminosi e le sue labbra carnose irresistibili.

Si baciarono teneramente, carezzando le labbra l’uno dell’altro e imprimendovi dentro tante mute promesse che non avevano bisogno di parole per essere espresse.

 

 

 

 

#7 illness (464 parole)

 

L’inizio della loro vacanza era stato perfetto, semplicemente fantastico. Avevano visitato l’Hokkaido, le campagne floride dove il sole splendeva alto ed erano stati in piaggia, dove il mare spumeggiante li aveva invitati a gran voce come la stessa voce suadente di una sirena.

Una volta tornati in albergo si erano concessi una lunga doccia rilassante che aveva stimolato ben altri appetiti e solo dopo molte ore si erano decisi ad andare a cena fuori.

Forse l’idea di Bokuto di non asciugarsi ben bene i capelli nonostante la calura estiva non era stata poi così geniale. Forse quel lieve venticello che si era alzato dopo cena era stata la triste scure che pendeva sulle loro teste, fatto sta che al mattino seguente, Bokuto Koutaro, ace della MSBY, vantava una bella febbre e un raffreddore coi fiocchi che lo avrebbe certamente tenuto lontano dalla spiaggia. E da qualsiasi cosa che non fosse la loro camera di albergo.

“Vai in spiaggia Keiji, non voglio costringerti qui ad accudirmi e rovinarti la vacanza!” Lo aveva esortato più volte, cercando di convincerlo con ogni ragionevole argomentazione, ma Akaashi era stato irremovibile. Non tanto per la voglia di andare in spiaggia - anche se era tanta - ma bensì per gli occhioni di Bokuto pieni di lacrime trattenute e disperazione mentre pronunciava quelle parole e provava a convincerlo a lasciarlo solo.

Con la bocca diceva una cosa, ma sul suo viso brillava con mille led luminosi la sua reale volontà.

“Non preoccuparti, Koutaro, resto volentieri qui con te in camera.” Rispose Akaashi per l’ennesima volta. Ormai gli sembrava di essere un disco rotto.

“Dici che dovremmo chiamare un medico?” Chiese poi incerto Bokuto, cercando di nascondere la preoccupazione per la sua salute dietro ad una finta noncuranza.

“Potrei anche morire, no?!”

Akaashi ruotò gli occhi al cielo senza farsi vedere dal compagno e poi gli si rivolse sorridendo fintamente triste.

“È vero. Forse allora sarebbe meglio chiamare direttamente il prete affinché mi assista nelle cure.” Commentò fra sé e sé scrutando di sottecchi la reazione dell’altro. Fu esilarante vederlo sbarrare gli occhi che divennero grandi come quelli di un gufo, ma anche luminosi e spaventati come quelli di un cerbiatto in autostrada.

Akaashi lo raggiunse nel letto facendosi spazio sotto alle coperte e lo strinse a sé amorevolmente stampandogli un bel bacio sulle fronte calda.

“Non capisco mai se scherzi o sei serio...” borbottò Bokuto poggiando la guancia sul suo petto fresco. Akaashi ne approfittò per iniziare a carezzargli i capelli come piaceva tanto all’altro.

“Scherzavo, Koutaro, tranquillo.” Lo rassicurò, conscio che l’altro non avesse colto la sua ironia e infatti non si stupì affatto quando lo sentì rilassarsi e sorridere sereno, ma anzi lo strinse a sé più forte di prima e lo cullò finché non riuscì ad addormentarsi.

 

 

 

 

#8 Rain (473 parole)

 

Akaashi guardò fuori dalla finestra dell’ufficio dopo l’ennesimo tuono che squarciò l’atmosfera.

Il temporale imperversava funesto sferzando il vetro con rabbia. Non riusciva a vedere molto Akaashi, neppure le finetre del grattacielo di fianco a quello della sede dell’editoria dove lavorava o le persone in strada o la strada stessa. Percepiva il movimento della folla molti piani sotto di lui che si muoveva lesta per fuggire dalla pioggia. Da quell’altezza vedeva solo dei colori indistinti dalle forme irregolari che si muovevano lesti nel traffico.

Sospirò irritato all’idea di non aver preso nemmeno uno straccio di ombrello. E pensare che si era anche caldamente raccomandato affinché lo prendesse Bokuto...

Prese la borsa con le bozze dell’ultimo volume da revisionare e iniziò a prepararsi mentalmente per la corsa sotto alla pioggia per raggiungere la stazione della metro.

Dopo una giornataccia a lavoro, non gli ci voleva proprio. Sarebbe tornato a casa zuppo d’acqua come un pulcino. La ciliegina sulla torta sarebbe stata prendersi anche un bel raffreddore con febbre annessa. Disgraziatamente non sarebbe stato così improbabile.

Sospirò di nuovo e uscì dal palazzo salutando con un cenno della mano le ragazze addette all’accoglienza che, gentili e garbate, gli avevano ridato il suo giaccone e la sciarpa.

Uscì fuori e subito un vento gelido gli sferzò la pelle facendolo rabbrividire, ma i suoi occhi scorsero subito fra le mille persone, una in particolare.

Bokuto correva verso di lui a perdifiato, con un ombrello a proteggerlo dalla pioggia ma senza fare un buon lavoro dato che era bagnato fradicio dalla testa ai piedi.

“Keiji!” Gioì vedendolo e gli si attaccò al collo stringendolo in un abbraccio fin troppo espansivo per il carattere serioso dell’altro.

“Kou-... Bokuto-san, cosa ci fai qui?”

“Gli allenamenti sono finiti un’ora fa e quando sono attivato a casa ho visto subito il tuo ombrello e ho capito che te ne eri dimenticato.” Spiegò Bokuto tutto trafelato, allontanandosi dal compagno solo per guardarlo negli occhi e farsi serio per un secondo.

“Dimmi la verità: è colpa mia se te ne sei dimenticato?”

Akaashi corrugò le sopracciglia confuso.

“No, perché me lo chiedi?”

“Perché sei stato tutta la mattina dietro a me, a dirmi di ricordami quello e quell’altro e avevi la testa troppo piena di me per ricordarti delle tue cose.” Bokuto parve pensare alle sue parole e storse il naso come quando qualcosa non gli piaceva.

“Mi piace che tu abbia la testa piena di me, però non voglio che ti dimentichi di te... insomma, non mi pare giusto. Però vorrei che tu mi pensassi sempre lo stesso.”

Akaashi gli sorrise divertito in risposta e gli si strinse al fianco per ripararsi dalla pioggia. Lo prese per mano di nascosto agli occhi dei passanti e s’incamminarono con calma nelle vie brulicanti di gente che correva di fretta.

“Sai, Koutaro, io ti penso sempre.”

 

 

 

 

#9 cooking (960 parole)

 

Quella sera, Akaashi aveva deciso di sorprendere Bokuto con una cena messicana. Non era questo gran cuoco, Akaashi, ma erano settimane che il suo compagno decantava quell’unica cena con la squadra fatta al ristorante messicano come se avesse mangiato direttamente una coppa di ambrosia. Giusto per farlo contento, aveva optato per replicare l’esperienza ma cucinando lui stesso nella speranza che l’altro avrebbe apprezzato l’impegno.

Erano settimane che studiava i piatti giusti, che faceva ricerche si ricerche e, infine, era riuscito a scegliere i piatti che più si addicevano ai gusti suoi e quelli di Bokuto.

Aveva approfittato degli allenamenti di quel pomeriggio dell’altro e aveva preso un permesso a lavoro per iniziare a cucinare con largo anticipo e avere perfino il tempo di sbagliare e correggersi eventualmente.

Girò il mestolo nella salsa con i fagioli e assaggiò. Non era affatto male... mancava un po’ di sale forse. Non era un esperto di cucina messicana, ma sapeva che a Bokuto piacevano le pietanze saporite e speziate, quindi l’aggiunta di sale non sarebbe stata una mossa sconsiderata.

Fece per prenderlo dallo scaffale più alto della credenza, quello dove di solito arrivava solo Bokuto, arrampicandosi su una delle sedie, quando una scatolina in velluto nero attirò la sua attenzione pietrificandolo.

La prese con mani tremanti e la analizzò dall’esterno. Il logo della gioielleria più famosa del Giappone per quanto riguardava fedi e matrimoni non lasciava dubbi su cosa contesse.

Sentì il cuore fermarglisi nel petto e smettere di battere. O forse aveva battuto talmente forte che era semplicemente esploso senza che se ne fosse accorto.

Scese dalla sedia senza staccare lo sguardo dalla scatolina. Ormai l’aveva anche impiastricciata di salsa piccante, ma non aveva il coraggio di aprirla per verificare se le sue supposizioni fossero corrette o meno.

Poteva anche sbagliarsi, no? Insomma, Bokuto non gli aveva mai parlato di matrimonio, quindi perché gli aveva comprato un anello? Magari si trattava di un’altra cosa e lui si stava solo facendo tante paranoie per niente.

Ma cosa poteva entrare in una scatolina piccola e quadrata da anello se non proprio un anello?

Scosse la testa cercando di mandare via le paranoie per cercare di capirci qualcosa.

Poggiò la scatolina sul bancone della cucina ed iniziò a fissarla come per analizzarla, quando un olezzo di bruciato si levò dai fornelli facendolo rabbrividire.

Si lanciò su di essi nella speranza di salvare il salvabile quando la porta di casa si aprì improvvisa e la voce di Bokuto - prorompente e esagerata come il suo proprietario - lo fece sobbalzare.

Non solo aveva appena rovinato la sorpresa della cena, ma si era appena fatto scoprire con le mani nel sacco.

“Keiji!” Lo salutò con un bel sorriso sfavillante, ma appena gli occhi di Bokuto incontrarono la scatolina in velluto, la sua espressione si deformò in quella che sembrava proprio una smorfia di dolore.

“Koutaro, posso spiegarti tutto!” Iniziò Akaashi senza riflettere. Spense i fornelli e corrugò le sopracciglia confuso. Non era lui che doveva delle spiegazioni.

“Cosa c’é in quella scatola, Koutaro?” Chiese diretto senza troppi preamboli e le guance di Bokuto divennero di un delizioso bordeaux.

“Niente.”

“Quindi se la apro la troverò vuota?” Fece per prenderla in mano, quando l’altro lo fermò gridando.

“No!”

Akaashi lo guardò a lungo, beandosi della sua goffaggine e del suo essere così in imbarazzo e goffo. Aveva perfino perso la parola! Non riusciva neppure a spiccicare una frase di senso compiuto che non fosse un balbettio continuo senza senso.

Akaashi sorrise divertito guardandolo impappinarsi su sé stesso, accampando strane spiegazioni riguardo ad una banda di ladri che entrano nelle case portando preziosi invece di rubarli. Attese che le sue baggianate raggiungessero un limite di follia ben definito e poi aprì la scatolina di getto senza dargli il tempo di reagire.

Due fedi argentate e sfaccettate brillavano dinanzi ai suoi occhi. Erano piccole e delicate, sottili e eleganti. Non sarebbero state ingombranti una volta indossate ed erano il genere di gioielli che Akaashi preferiva. Erano esattamente nel suo stile, in una vetrina avrebbe certamente scelto un qualcosa di simile.

Guardò Bokuto con gli occhi pieni di lacrime senza riuscire a spiccicare uno straccio di parola.

L’altro sospirò rassegnato e gli si fece vicino poggiando le mani attorno alle sue che ancora tenevano la scatolina.

“La storia dei ladri era una bugia, Akaashi.” Confessò tutto d’un fiato e Akaashi gli sorrise divertito in risposta ma senza interromperlo.

“Ho comprato io questi anelli molto tempo fa, quando abbiamo iniziato ad uscire insieme seriamente.”

“Avrai speso una fortuna...”

“Sapevo che saresti valso ogni centesimo speso e infatti avevo ragione.”

Akaashi corrugò le sopracciglia confuso e alzò lo sguardo dagli anelli per poter guardare negli occhi il suo compagno.

“Cosa vuoi dire? In che senso? Non capisco...”

“A quel tempo uscivamo e basta, ma già sapevo di amarti e che avrei voluto passare tutta la mia vita con te.” Confessò serenamente, con il suo bel sorriso sfavillante sulle labbra, mentre il cuore di Akaashi correva furioso nel petto e i suoi occhi si riempivano di lacrime.

“Koutaro... io...”

“Oh no! Keiji, non volevo farti piangere! Perché piangi? Non ti piacciono? Posso comprarne altri due se non-...”

Le labbra di Akaashi posero fine a quel farfugliamento senza senso alcuno, mentre una timida risata gioiosa gli nasceva dal petto risalendo nella gola.

Si separarono solo quando le risa di Akaashi divennero incontrollate e allora Bokuto ne approfittò per sfilare la scatolina dalle mani dell’altro e fare le cose come si deve perché sapeva che Akaashi era una persona che ci teneva a queste cose.

S’inginocchiò dinanzi al compagno e lo guardò con tutto l’amore che sentiva per lui.

“Akaashi Keiji, vorresti sposarmi?”

Non ricevette risposta se non il secondo di quelli che divennero molti altri baci.

 

 

 

 

#10 free day (147 parole)

 

Con la faccia sporca di panna, gli occhi luminosi e un sorriso inestinguibile, Akaashi guardava l’uomo al suo fianco in smoking. Bokuto teneva alto un calice di champagne brindando a loro, alla loro felicità che potesse durare in eterno e, con il suo vocione, coinvolgeva tutti i commensali loro amici e familiari che alzavano i bicchieri inneggiando gioiosi.

Akaashi sentì gli occhi inumidirsi ripensando a quando era solo un liceale innamorato del ragazzo più figo de club di pallavolo. Ripensò alla loro storia, all’amore che li aveva uniti giorno dopo giorno portandoli fino a quel momento in cui sancivano il loro legame ufficializzandolo insieme ai loro amici più cari.

Bokuto si voltò ancora verso di lui con i suoi occhioni luminosi e Akaashi pensò che non si sarebbe mai stancato di lui, dei suoi occhi, di voltarsi al suo fianco e trovarcelo sempre pronto a sorridergli innamorato.

  
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