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Autore: Michele Milia    13/08/2020    0 recensioni
Frederica avvocato in carriera vive la sua vita tra alcool e documenti, il troppo lavoro le sta costando il tempo per stare con suo figlio Alexander che oramai non vede quasi più. I freni dell'auto tagliati e l'esplosione di quest'ultima sono nulla in confronto a quello a cui Frederica sta andando in contro. La donna è finita nel mirino di qualcuno, ma con tutte le persone che ha fatto finire dentro la lista dei sospettati è troppo lunga.
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La casa senza Alexander inizia a farmi paura, ho sempre amato la solitudine, il silenzio, solo io ed il mio lavoro… ma in questo periodo, in questi ultimi giorni, ho veramente paura che possa succedermi qualcosa. 
Cerco di non pensarci, non si può vivere con la paura che si possa morire da un giorno all’altro, non sarebbe vivere, ho sempre pensato che vivere avendo paura di morire sia come essere dal medico ed aspettare il proprio turno nonostante davanti a te ci siano quindici persone e lo studio chiuda tra cinque minuti… inutile.
Non voglio pensarci, non voglio dare soddisfazioni a nessuno, non si merita tutto questo, non merita le mie attenzioni, finirà per stancarsi, finirà per dimenticarsi di me ed io continuerò a vivere la mia vita come ho sempre fatto.
Mi dirigo in bagno, mi avvicino al lavandino poggio le mani sul bordo e mi guardo allo specchio.
 
«Sono forte! Posso sopportare tutto questo!».
 
Apro il rubinetto, faccio scorrere l’acqua in modo che diventi né troppo calda né troppo fredda, mi sciacquo la faccia e sorrido.
 
«Non mi distruggerai! Non così facilmente».
 
Mi trucco, salgo in camera e mi cambio, ho deciso di andarmi a fare una passeggiata, non mi rinchiuderò a casa rischiando la follia.
Indosso una canottiera grigia, oggi non sembra far freddo ma porterò con me una felpa nel caso in cui il tempo decidesse di cambiare, un paio di leggings, anch’essi grigi, e indosso le scarpette per la corsa. Vado a sfogare un po’ correndo. 
Esco da casa e chiudo la porta a chiave.
 
«Signora Thompson, il postino ha sbagliato a recapitare questa lettera. Penso sia per lei».
 
«La ringrazio Signor Williams».
 
Afferro la lettera, apro casa e la metto nella borsa attaccata all’attaccapanni, non ho tempo per metterla sul tavolo. Una volta fatto chiudo nuovamente casa e, dopo aver indossato un paio di cuffiette, mi allontano facendo una corsetta lenta.
I vialetti vicini a casa mia sono sprizzanti di gioia, i bambini approfittano di questo pomeriggio soleggiato per giocare tra di loro, è proprio questo il bello di avere delle villette separate da una semplice staccionata, i bambini hanno contatti con i figli dei vicini, non sono mai soli e possono giocare senza allontanarsi troppo da casa, riescono a trasformare quella staccionata in una vera e propria rete da pallavolo.
Continuo la mia corsetta verso la zona dei negozi, mi ero proprio dimenticata quanto fosse sano un po’ di movimento, sicuramente più sano che bere whisky ogni giorno. 
Durante la corsa controllo le vetrine per vedere se c’è qualcosa che mi attiri, solitamente non spendo molti soldi per me, preferisco spenderli per Alexander, da quando ha iniziato a lavorare non ha avuto nemmeno un secondo per spendere il frutto del suo sudore.
Si sta facendo buio, penso sia meglio tornare a casa, mi sono pure allontanata troppo dalla città, non penso sia salutare correre così tanto il primo giorno, per tornare a casa preferisco camminare, indosso la felpa che fino ad ora avevo tenuto ai fianchi e mi incammino.
Le strade sono desolate eppure non è così tardi, per oggi la mia mente si è riposata, dovrei prendermi più spesso giorni per me, io l’ho detto, alla fine di tutto questo, non appena tutto sarà finito, mi prenderò un mese di riposo. 
È veramente rilassante non avere problemi per la testa, non ho pensato nemmeno per un secondo alle minacce di quell’uomo…
 se così si può chiamare una persona che ama distruggere la vita degli altri. 
Lo squillo del telefono interrompe il silenzio della cittadina e con esso anche i miei pensieri, è Alexander.
 
«Alex tesoro, dimmi».
 
«Tutto bene mamma?».
 
«Si, grazie. Dopo una bella corsetta sto tornando a casa».
 
«Sei uscita?! Sei pazza per caso?».
 
«Alex, non si può vivere nella paura e poi, avevo proprio bisogno di un po’ d’aria».
 
«Non dico che devi vivere nella paura… ma per lo meno non dargli la possibilità di trovarti da sola».
 
Cerca di avere un tono rassicurante, ma si sente che ha paura.
 
«Alex, ti ringrazio. Ma non devi avere paura per me».
 
«Fai attenzione, non voglio perdere anche te».
 
«Deve ancora nascere qualcuno che riesca a togliere di mezzo tua madre».
 
Accenna una risata, ma il suo tono torna subito ad essere preoccupato.
 
«Ti voglio bene mamma, ci vediamo domani mattina a casa».
 
«Ti voglio bene anche io Alexander, a domani».
Chiudo la chiamata e poso il telefono nella tasca della felpa, neanche il tempo di posarlo che mi squilla nuovamente. 
Senza nemmeno controllare chi sia rispondo.
 
«Pronto?».
 
Dall’altro lato silenzio, nessuno risponde.
 
«Sei di nuovo tu? Sappi che non ho paura di te».
 
Sento un rumore, è in macchina, nello stesso momento vedo una macchina venirmi incontro. La chiamata continua e la macchina punta verso di me, non riesco a vedere chi sia alla guida ha gli abbaglianti accesi. 
Stacco la chiamata, mi giro ed inizio a correre più che posso nel senso opposto alla macchina che punta proprio verso di me. Corro, corro, corro, non sento nemmeno fatica, l’adrenalina è salita alle stelle. Non mi accorgo di una buca nella strada, prendo una storta e cadendo sbatto la testa.
Apro gli occhi, sono a terra distesa sul prato, provo ad alzarmi ma non ci riesco, mi gira troppo la testa, il mio telefono è distrutto, provo a chiamare aiuto ma la voce non esce, mi fa male lo sterno. Non sembra io abbia qualcosa di rotto, riesco a muovere qualsiasi parte del corpo. La botta non sarà stata forte ma è stata abbastanza per farmi perdere i sensi. 
Mi porto una mano alla testa, fa male, controllo la mano ed effettivamente perdo sangue.
Finalmente riesco ad alzarmi, raccolgo quel che resta del mio telefono da terra e, pur zoppicando leggermente, torno a casa. 
Pensare che ero a nemmeno un isolato di distanza da casa mia. Arrivata a casa apro la porta e la chiudo subito dopo dietro di me, poggio la schiena ad essa e scivolo lentamente verso il pavimento, poggio le braccia sulle gambe ed inizio a piangere, ho avuto paura, paura di morire, paura di lasciare Alexander solo e quindi farlo soffrire. Perché tutto questo? Perché?
Tra una lacrima ed un’altra trovo la forza di rialzarmi, mi dirigo in bagno e vado a guardarmi allo specchio, ho proprio una brutta ferita sulla fronte, la medico come posso, domani in caso passo in ospedale e vedo se c’è bisogno di mettere punti, per oggi sono stata abbastanza fuori.
Uscita dal bagno vado verso la camera da letto e prendo il mio vecchio telefono in cui inserisco la sim di quello che oramai è un rottame.
Nessuno ha sentito niente, come se sapesse pure gli orari in cui poteva agire indisturbato. 
Non è da prendere alla leggera, questa persona è astuta, controlla ogni particolare.
Tutto ad un tratto mi ricordo della lettera che mi aveva dato il signor Williams quando sono uscita di casa, scendo all’ingresso e dall’appendiabiti prendo la borsa, la apro e predo la lettera.
La apro e tiro fuori il biglietto:
 
 “Alla fine di tutto qualcuno morirà”.
 
Fa sul serio, forse dovrei proprio fare qualcosa prima che metta in mezzo Alexander…si, ho deciso, chiamerò la polizia.
Proprio nello stesso momento in cui afferro il telefono per chiamare la polizia esso squilla, è Alexander.
 
«Alex? Tranquillo sono arrivata a casa».
 
Dall’altro lato silenzio.
 
«Alexander… ci sei?».
 
Dall’altro lato del telefono ancora silenzio, non si sente nemmeno il frastuono della musica, quindi non è al pub. 
Guardo l’orologio e mi ricordo che oggi è il giorno in cui solitamente va a fare rifornimento per il pub, magari è in macchina e gli è partita la chiamata. 
Stacco ma il telefono squilla nuovamente, è di nuovo Alexander.
 
«Alex?».
 
«Mamma!».
 
Il tono di Alexander è spaventato, lo sento ansimare… piange.
 
«Alexander, che succede?».
 
«Mamma ti prego, stai attenta!».
 
«Di cosa stai parlando?».
 
«Mamma, mi ha preso… è qui davanti a me».
 
«Chi è?».
 
«Sono bendato, non posso vedere il suo volto, mamma ti prego. Non preoccuparti per me, pensa a te. Chiama la polizia».
 
Un rumore, uno schiaffo.
 
«Niente polizia o tuo figlio muore».
 
Non riesco a capire di chi sia la voce, non l’ho mai sentita. Però ora sono sicura, è un uomo!
 
«Non toccare mio figlio, lurido verme».
 
«Niente polizia!».
 
Stacca la chiamata, ha preso Alexander. Inizio a piangere, inizio ad urlare. 
Non posso rischiare che uccida Alexander, lui è l’unica cosa che mi è rimasta… io ho bisogno di lui nella mia vita! 
Me la devo sbrigare io, non chiamerò la polizia ma non me ne starò nemmeno con le mani in mano.
Corro in camera da letto e tiro fuori la pistola dal comodino, da oggi lei sarà la mia nuova amica. Metto la pistola nella borsa. Non posso andare a coricarmi sapendo che mio figlio è nei guai per colpa mia. Ho sempre fatto tutto per evitare che gli succedesse qualcosa ed ora, per colpa mia, lui rischia la morte. 
Non riuscirà nel suo intento, non può averla vinta, non così facilmente.
   
 
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