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Autore: _Unmei_    16/08/2020    2 recensioni
Chissà se qualcuno è riuscito a capirlo, che in ogni colpo di scalpello che ha dato forma a quell'angelo, dietro a ogni lineamento cesellato con pazienza, nei boccoli che gli ricadono sulle spalle, nel morbido drappeggio che gli copre le gambe, nel lievissimo sorriso che gli increspa le labbra… che in ogni piuma delle ali che ho fatto nascere dalla sua schiena, c’è la mia dichiarazione d’amore per lui.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Giardini di Pietra
 
Capitolo 6

 
_______________

 
Quanto ero felice, in quei primi tempi benedetti, quanto sentivo il cuore leggero. Mi sembrava un miracolo! Non mi ero del tutto accorto di quanto il calore fosse scomparso dalla mia vita, e solo con Florent accanto avevo smesso di avere freddo. Erano giorni così perfetti, così luminosi, che non pensavo al futuro… non a uno lontano, almeno: mi sembrava che tutto potesse cristallizzarsi in un eterno e meraviglioso presente. Per sempre giovani, per sempre felici.
Non conoscevo più pensieri tristi, le preoccupazioni si erano dissipate, non temevo più il giorno in cui avrei finito la statua, perché sapevo che Florent non se ne sarebbe andato: sarebbe rimasto con me, e il pensiero mi riempiva di gioia incredula.
Avrei trovato una scusa per giustificare la sua presenza stabile in casa mia, se fosse stato necessario, ma nella mia euforia non me ne preoccupavo, non m’interessava. Non ero la più socievole delle persone, e anche se Florent viveva da me ormai da mesi, ben poche persone ne era a conoscenza: non amavo avere ospiti, e incontravo i miei amici nei caffè, o nei circoli artistici. I miei familiari, invece, abitavano ormai tutti lontano.
Ma se pure la voce si fosse sparsa, se tutti avessero saputo, se i pettegolezzi si fossero sprecati, non m’importava: ero un artista, e agli artisti si perdona molto. E anche Florent lo era: uno straordinario violinista che avrebbe meritato di suonare nei più grandi teatri, e non per strada, elemosinando qualche moneta. Avrei potuto far sì che ciò accadesse, conoscevo le persone che avrebbero potuto aiutarlo a varcare le porte di quel mondo.
Ma prima, una volta che avessi portato a termine la commissione che mi era stata affidata, avrei voluto fare un lungo viaggio con lui; portarlo in posti splendidi, che non avesse mai visto prima, come Ludovico aveva fatto con me. Volevo regalargli la bellezza, volevo stupirlo, volevo che fosse ubriaco di gioia.
 
La mia preziosa Matilde aveva preso in simpatia Florent. Lo aveva fatto fin dal primo momento, ma ormai mostrava un atteggiamento quasi materno nei suoi confronti; premurosa, sorridente, aveva ricamato la sua iniziale sulle camicie che gli avevo fatto fare, e sui fazzoletti. Florent a volte suonava per lei, non solo pezzi di grandi compositori, ma anche motivi popolari, o divertendosi a trarre dalle corde suoni che sembravano versi di animali: il nitrire di un cavallo, il garrire dei gabbiani, il muggire di una mucca. Capitava che l’accompagnasse a fare compere, e certi giorni passava qualche ora con lei in cucina, aiutandola con la cena: lo trovai una volta che affettava verdure, e un’altra sporco di farina mentre divertito imparava a fare i biscotti. Erano anicini, ricordo, e gli vennero bene, profumati e leggeri… ne fu compiaciuto. Mi pare di rivedere la sua espressione di aspettativa mentre li assaggiavo, e il suo sorriso quando gli dissi che erano ottimi. È passato mezzo secolo, ma sembra tutto così vivido, molto più reale di questo presente grigio e spento.
Potessi avere indietro uno solo di quei giorni, accetterei di riviverlo mille e mille volte, pure sempre uguale, senza stancarmi mai.
 
E un giorno accadde che Matilde ci sorprese durante un bacio.
Era sera, dopo cena, e credevo – credevamo – che fosse già tornata nella sua dependance, e di poter avere tutta la libertà che desideravamo; di poterci baciare non solo dietro una porta chiusa, ma anche di poterci fermare a farlo sulle scale, le mie mani che gli stringevano i fianchi, le sue che mi sbottonavano la camicia.
La sua esclamazione di stupore quasi non la cogliemmo subito, presi com’eravamo, ma dovette fare un passo indietro, o forse cercò di allontanarsi in fretta senza farsi notare, e urtò la consolle contro la parete, producendo un rumore che ci portò a separarci.
Ricordo bene la sensazione gelida che provai, lo sbigottimento e l’agitazione, e l’espressione mortificata sul volto di lei. Si scusò e si allontanò in fretta, prima che io potessi riprendermi dalla sorpresa e dire qualunque cosa. Avrei voluto seguirla e tentare di spiegarmi, ma Florent mi trattenne stringendomi un braccio; lo guardai, e mi sorrise appena, scuotendo leggermente la testa.
Tornò a prendersi le mie labbra, e per un po’ non pensai a ciò che era successo, anche se più tardi, nella notte, non riuscii a prendere sonno.
Non mi vergognavo di ciò che ero, né di amare Florent, però… però volevo bene a Matilde, che era stata una presenza costante e affidabile nella mia vita, comprensiva e gentile. Si era guadagnata il rispetto e la fiducia dei miei genitori prima, e il mio affetto di bambino poi, e tale affetto era rimasto immutato negli anni. Quello, e la stima che avevo di lei: Matilde era più che una domestica, le volevo bene, e non avrei sopportato di vedere il biasimo nei suoi occhi. Se dopo ciò a cui aveva assistito mi avesse mostrato disprezzo, se avesse visto l’amore che c’era tra Florent e me come un peccato, se avesse voltato le spalle a me, e anche lui… non avrei potuto sopportarlo.
Il giorno dopo lei non fece cenno a quanto era successo, si comportò come sempre, e non mi parve di trovare nessuna ostilità o giudizio nei suoi occhi; forse avrebbe continuato a tacere, facendo finta di nulla, eppure io sentivo il bisogno di sapere, e anche di spiegarmi, forse.
Il giorno ancora successivo mi alzai prima del solito e andai in cucina prima che lei arrivasse, e l’attesi.
Quando giunse non sembrò stupita di trovarmi lì; mi sorrise e mi chiese di aspettare un attimo, mentre caricava legna nella cucina e metteva un bollitore a scaldare.
Venne poi a sedersi di fronte a me, al tavolo, e mi trovai a corto di parole, nonostante avessi riflettuto molto su cosa, e come, dirle.
 
“Matilde…”
 
Iniziai, cercando di mostrarmi il più controllato possibile.
 
“… so che la scena a cui hai assistito l’altra sera, fra me e Florent deve averti turbata, ma, devi capire… anche se non è accettato dalla società, e della religione, i sentimenti che ci legano sono profondi. E buoni. Noi - ”
“Non sono stata turbata, solo stupita. E a ripensarci, forse non avrei dovuto esserlo.”
 
Mi aveva interrotto, fatto insolito, ma lo aveva fatto con voce gentile e l’espressione comprensiva, come se in quel modo avesse voluto trarmi da un impaccio.
 
“Si preoccupa che possa pensar male di lei? E di Florent?”
“Molti sarebbero disgustati.”
 
Risposi, cupo, e lei annuì.
 
“Lo so. Non io, però. Se mi permette, vorrei raccontarle una storia. Sa già che ho due fratelli, e due sorelle, tutti più giovani di me, e che quando ho dei giorni di libertà vado sempre a trovare loro, e le loro famiglie.”
 
Certo che lo sapevo, e conoscevo anche i loro nomi, e quelli dei loro figli, i nipoti di cui ogni tanto Matilde mi parlava. Cercherò di trascrivere le sue parole come meglio le ricordo, anche se sarà impossibile rendere l’emozione di cui erano imbevute: la malinconia, la tenerezza e il rimpianto.
 
“Però avevo anche un altro fratello, maggiore di me di cinque anni, Francesco. Era un bel ragazzo, alto e forte… ma soprattutto era gentile, volenteroso, e un gran lavoratore. Era intelligente, e avrebbe meritato di poter studiare, ma lui voleva aiutare la famiglia, per questo si diede un gran da fare già da ragazzino. Nostro padre ce lo portava a esempio, invitandoci a essere altrettanto rispettosi e laboriosi, non aveva che parole di lode per lui. E io gli volevo un gran bene, era davvero il miglior fratello che si potesse desiderare. Nonostante lavorasse tanto, trovava sempre un po’ di tempo da dedicare a noi piccoli… ci raccontava storie buffe, ogni tanto ci portava dolcetti, piccoli giocattoli. Poi, un giorno, quando io avevo tredici anni, mio padre lo sorprese con un altro giovane, in una situazione, da quel che compresi, anche più compromettente della vostra con Florent.”
 
E lì si torse le mani, e dovette fare una pausa prima di poter parlare di nuovo.
 
“Lo picchiò, gli disse parole terribili. Nostra madre non provò nemmeno a difenderlo, piangeva e basta. E non si oppose nemmeno quando nostro padre lo cacciò di casa, e ci vietò di vederlo, anche solo di nominarlo. Se parlava di lui, era solo con epiteti che non voglio ripetere. E io non capivo… non capivo. Continuo a non capirlo, anche se sono passati più di quarant’anni. Era sempre lo stesso figlio che lavorava duro per portare dei soldi a casa e sostenere la famiglia. Era sempre Francesco, il figlio educato e diligente, il fratello affettuoso e generoso… cos’era cambiato? Anche se era un peccato, quello che aveva commesso, non era forse degno di essere perdonato? O almeno accettato dalla sua famiglia. Nonostante il divieto di mio padre, incontrai Francesco più volte, di nascosto, anche se lui temeva per me e per come sarei stata punita se fossi stata scoperta. A me non interessava: gli volevo bene, come potevo accettare di abbandonarlo? E continuando a incontrarlo avevo la costante riprova che era il mio fratello di sempre, buono e amabile, non il depravato che mio padre citava con sprezzo. Per cui decisi che se un giorno avessi incontrato… altri come lui, non li avrei mai giudicati sulla base di quell’unico aspetto.”
 
“Dov’è ora questo tuo fratello?”
 
Le chiesi, anche se il fatto che non avesse mai accennato a lui, prima, mi faceva temere il peggio. E ne ebbi ragione. Aveva gli occhi lucidi, e quando sbatté le palpebre una lacrima le scivolò lungo la guancia.
 
“Morì in un incidente sul lavoro, al porto. Aveva soltanto ventidue anni.”
 
Mi sporsi a stringerle le mani che teneva poggiate sul tavolo, e le dissi quanto ne ero addolorato, e che se Francesco fosse stato ancora vivo sarebbe stato un onore per me conoscerlo, perché per aver meritato un affetto tanto profondo doveva essere stato davvero una persona di valore.
Ciò che mi disse Matilde, ricambiando la mia stretta, ancora mi tocca il cuore.
 
“Io la conosco da quando era nella pancia di sua madre. L’ho vista gattonare sul tappeto, e l’ho vista crescere nell’uomo di talento che è… come potrei smettere di volerle bene e di provare rispetto per lei solo perché è innamorato di un ragazzo buono come Florent? Io anzi ho pensato… ho pensato che forse anche lui è stato cacciato dalla sua famiglia, com’era accaduto a Francesco, per lo stesso motivo. Ma per fortuna ha incontrato lei, e la sua sorte non sarà sfortunata come quella di mio fratello!”
 
Avrei voluto dirle tanto, ma riuscii solo a ringraziarla, perché la gratitudine e la commozione mi soffocavano con dolcezza, e adesso nel ripensarci le lacrime minacciano di scendere.
Sentimmo un timido bussare, benché la porta fosse rimasta aperta, e voltandoci vedemmo Florent sulla soglia, che ci guardava. L’espressione serena, una mano poggiata sullo stipite, l’altra sul cuore; Matilde si alzò e fece un passo verso di lui, aprendo le braccia. Non servì altro: lui entrò e andò ad abbracciarla, e io pensai che forse l’aveva capito subito, che Matilde non ci avrebbe voltato le spalle.
 
***
 
E dunque, nel nostro angolo di mondo, avevamo trovato felicità e comprensione. Ogni notte ci addormentavamo stretti l’uno all’altro, dopo aver fatto l’amore, e ogni sera mi sembrava di scoprire il corpo di Florent per la prima volta: provavo la stessa emozione, la stessa adorazione.
Lui era al tempo stesso puro e audace, seduttore e innocente; il rossore sul suo viso, il luccichio nei suoi occhi, la brama della sua bocca e delle sue mani curiose… tutta quella meraviglia era mia, e quasi non ci credevo.
Per quanto fossero reciproci i nostri giochi d’amore, quelli più teneri come quelli più impudichi, ero stato solo io a possedere fino in fondo il suo corpo; a entrare dentro di lui e perdermi. Dopo che cedetti all’amore, dopo aver già condiviso tante volte il letto e la passione, mi ci vollero settimane prima di trovare il coraggio di farlo, di chiedergli il permesso. Era un atto così intimo e così… potente. Temevo che mi avrebbe respinto, che sarebbe stato troppo, per lui, che l’avrebbe trovato disgustoso. Invece aveva sorriso, si era stretto a me, mi aveva baciato, e aveva annuito.
 
Tutto.
Segnò.
Voglio. Di te.
 
Mi persi così, nel suo calore, nell’espressione del suo viso, con il cuore che traboccava; non aggiungerò altro, perché sono emozioni che desidero restino per sempre mie… mie e sue. Private, come le lacrime di gioia, di commozione e sollievo che versai contro la sua spalla, nel culmine del piacere.
Ecco, ero stato sempre io a prendere Florent e non era mai accaduto il contrario, perché c’erano certe ferite nel mio cuore che temevo si sarebbero riaperte, se ancora una volta mi fossi donato completamente all’amore.
Ma era divenuta così tanta e profonda la mia fiducia in Florent, e tanto si era alleggerito il mio cuore, che quella sera, la sera del giorno in cui Matilde ci aveva confermato il suo affetto, che non abbi più paura, ma solo desiderio. Avevo bisogno di essere completamente suo, di infrangere quell’ultima barriera, e di dimostrargli quando profondamente gli appartenessi.
Glielo dissi, già nudi fra le lenzuola; tutto ciò che provavo, tutto ciò che volevo, il desiderio che mi stava consumando, e lui mi baciò con passione, mi guardò con occhi brucianti, mi strinse i fianchi con una forza che non immaginavo, nelle sue mani affusolate.
Il mio corpo non più abituato ad accogliere prese Florent dentro di sé con una fitta inevitabile che fu però benvenuta, desiderata; accettai quel dolore fino in fondo, con gratitudine, cosciente che era quasi una benedizione. Florent fu attento, premuroso, e il dolore si affievolì, e poi fu solo piacere, calore, estasi, voluttà; furono le mie mani che si aggrappavano alla sua schiena e poi vagavano fra i suoi capelli folti e morbidi. Fu la mia voce a perdersi nel suo nome, a dire e ripetere 'ti amo' per entrambi, fino a quando le parole mi uscirono incomprensibili, confuse dal culmine del piacere, dal respiro mozzato.
 
Si abbandonò fra le mie braccia, dopo. Mi prese il volto fra le mani e mi baciò... mi riempì di baci, e di sorrisi che erano quasi timidi.
E io avrei dovuto essere un uomo migliore, per meritare così tanto.
 
 __________
 
   
 
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