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Autore: Carme93    17/08/2020    6 recensioni
E' una grigia mattina di autunno quando a Paolo viene offerta la possibilità di far parte del gruppo di Mattia, che per anni lo ha tormentato e umiliato.
Gli eventi si succedono improvvisi e inaspettati, travolgendo il giovane e il suo migliore amico.
A volte la realtà non è come sembra.
[Questa storia si è classificata sesta al contest "Nati dall'odio" indetto da Anatra.Valeria sul forum di EFP]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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[Questa storia si è classificata sesta al contest "Nati dall'odio" di Anatra.Valeria sul forum di EFP]
 







Ribellione in scala di grigi
 
 



Il cielo era plumbeo quella mattina, probabilmente avrebbe piovuto ancora.
Paolo appoggiò la testa sul sedile e fissò il vetro davanti a sé, senza veramente vederlo. Si mordicchiò il labbro, si raddrizzò e si preparò a scendere dalla macchina.
«Comportati bene» lo ammonì suo padre accostando. «Se ti sequestrano di nuovo il cellulare, non verrò a riprenderlo».
Il ragazzo non si voltò nemmeno verso il lato del guidatore e aprì lo sportello.
«Non mi ignorare quando ti parlo» tuonò allora suo padre.
Paolo strinse i denti e disse: «Sissignore».
«Buona giornata».
Ricambiò atono e si allontanò mescolandosi agli altri studenti alla ricerca del suo migliore amico. Nel frattempo tirò fuori il cellulare dalla tasca – che aveva vibrato per tutto il tragitto – per controllare le notifiche di Tik Tok e Instagram. Naturalmente non avrebbe potuto in presenza del padre, che gli aveva categoricamente vietato l’iscrizione a qualsiasi social networks. Ma che ne sapeva lui di che cosa significasse essere esclusi? Era così bravo a sentenziare sulla morale e giudicare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma a non a comprendere i sentimenti altrui.
«Ciao».
Cristiano, il suo migliore amico, lo distolse dai suoi pensieri.
«Buongiorno» replicò leggermente rigido, non sollevando lo sguardo dallo schermo. «Hai visto? Mattia ha messo un altro video».
Cristiano sbuffò: «Lo sai che non ho Tik Tok. Comunque ti sei fissato? Non cominciare di prima mattina».
Cristiano era un ragazzo di media altezza, grassottello e dai folti capelli castani. Paolo l’aveva sempre considerato una compagnia migliore di molti altri compagni di classe, tendenzialmente arroganti e che parlavano a sproposito. Eppure erano così diversi caratterialmente: Paolo era un ragazzo taciturno, non abituato a condividere i suoi spazi e i suoi averi con gli altri; mentre Cristiano era pronto ad aiutare tutti, anche troppo, ma soprattutto anche persone che lo cercavano solo per convenienza. A Cristiano non interessava nulla di Mattia, né del suo gruppo, anzi, quando aveva compreso che non l’avrebbero accettato così com’era, si era riproposto d’ignorarlo pur soffrendone; Paolo, per conto suo, lo ammirava profondamente, ma non aveva la stessa forza.
«Mio padre è furioso perché Bernardi mi ha sequestrato il telefono».
«Tuo padre s’incazza facilmente, figuriamoci per una cosa del genere. Ti sei preso anche una nota».
«Non so come fai ad adorare Bernardi» borbottò Paolo entrando nel cortile della scuola.
Cristiano si strinse nelle spalle, evidentemente stanco di discutere su quell’argomento. «Beh, è bravo anche se è severo». Paolo non replicò e si avviò lungo i corridoi affollati, allora l’amico lo bloccò e lo fissò.
«Facciamo tardi. Bernardi mi ha preso di mira».
«Bernardi non è il tuo problema» replicò serio Cristiano. «Lui ce l’ha con te per l’atteggiamento che tieni con lui e sappiamo entrambi perché lo tieni».
«Non dire fesserie».
Cristiano assunse un’espressione ferita e scosse la testa.
«Dai, non mi dire che te la sei presa» lo seguì Paolo.
«Ti stai facendo influenzare da Mattia» lo accusò. «E provi a prendere in giro me che sono il tuo migliore amico».
Paolo fissò il marmo dalle venature grigiastre dei gradini e provò a negare: «Non sono stupido. Non mi faccio trascinare da Mattia, dovresti saperlo».
«Eppure ti sei scaricato Tik Tok e Instagram solo perché…».
«Perché ce l’hanno tutti» tagliò corto Paolo raggiungendo la loro classe. «E per nessun altro motivo».
«Ehi, Paolo, come stai oggi?» lo accolse Mattia con un sorriso.
Il ragazzo fu colpito da tanto calore e si lasciò porre un braccio sulle spalle.
«Tutto bene, grazie».
«Lo sai che il video di Bernardi che ti sequestra il cell. ha ottenuto molti Mi piace? E dovresti vedere i commenti!».
«Sì, l’ho visto» replicò Paolo dicendosi che almeno una conseguenza buona c’era stata.
«Senti, con gli altri ci stiamo organizzando per venerdì sera… sai, per bere qualcosa… ti va di unirti a noi?».
Il cuore di Paolo accelerò a quella richiesta tanto attesa, pur sapendo che suo padre non gli avrebbe dato il permesso.
«Può venire anche Cristiano, vero? È uno a posto» disse per prendere tempo.
Mattia fece una smorfia. «Sinceramente, mi sta sulle palle. Che hai da spartire tu con uno che ha paura della sua ombra? Ed è pure un ciccione!».
Paolo balbettò, ma tacque non trovando le parole adatte per perorare la causa del suo amico.
«Certo, se il tuo amico ci passasse il compito di storia, potrei rivalutarlo».
Proprio in quel momento arrivò Bernardi, l’insegnante d’italiano e latino, materie che Paolo non amava particolarmente, come gran parte della classe. Insomma ci sarà pur un motivo se avevano scelto lo scientifico? Con l’eccezione di Cristiano che, però, aveva sbagliato scuola. Prese posto per non dare al professore motivo di rimproverarlo.
«Mattia vuole che usciamo con lui venerdì sera» sussurrò a Cristiano, mentre prendevano i libri.
L’amico si voltò e lo fissò incredulo. «Noi due? Con loro?».
«Esatto. Ci andiamo?».
«Non m’ispira molto» borbottò Cristiano.
«Fallo per me! Almeno una volta!».
Cristiano non era convinto, ma annuì. «Se per te è così importante».
«Lo è. Dovresti fare una cosa, però».
«Che cosa?».
«Passare il compito di storia a tutti».
Cristiano s’irrigidì. «No».
«Ma perché sei così testardo? Che ti costa?».
«Lo sai» sibilò Cristiano appuntando qualcosa su Terenzio.
«No, non lo so» s’intestardì. Per la prima volta avevano la possibilità di far parte del gruppo!
«Ho promesso al professore che…».
«Allora ha ragione Mattia, tu vuoi essere il cocco dei professori. Noi dobbiamo scegliere da che parte stare!» disse concitato.
Nuovamente Cristiano gli rivolse un’occhiata ferita e Paolo si sentì in colpa, ma non riuscì a trattenersi: «Sono il tuo migliore amico, però. Fallo per me! Mattia mi prende in giro da anni. Tu non puoi capire… per favore…». Era troppo importante! Paolo era in classe con Mattia dalla prima elementare e non aveva mai smesso di prenderlo in giro per l’altezza, perché suo padre era molto autoritario, per un taglio di capelli terribile o, semplicemente, perché era il migliore della classe. Bramava di essere accettato dal gruppo.
«Fate silenzio!» li richiamò Bernardi facendoli sobbalzare.
Paolo infastidì l’amico per tutta la lezione tentando di convincerlo, alla fine Cristiano sbottò: «Ho detto di no!».
«Bell’amico che sei» sbuffò Paolo, beccandosi un nuovo richiamo.
La terza ora avevano ed. fisica ed era il loro turno di usare il cortile. Paolo scrutò Mattia e gli altri intenti a chiacchierare vicino alle scale grigie anti-incendio, infine prese un bel respiro e li raggiunse, prima che l’insegnante li costringesse a formare le squadre e giocare.
«Ehi» esordì tentando di darsi un contegno.
«Paolo» lo accolse sorridendo Mattia. «Allora, Cristiano ci aiuta?».
«No, non vuole. Mi dispiace».
Mattia s’incupì. «Gliel’hai detto che poi andiamo a festeggiare insieme?».
«Sì, ma non gli interessa» replicò sentendosi a disagio. Era pur sempre il suo migliore amico e iniziava a sentirsi scorretto. Perché Cristiano l’aveva abbandonato e non l’aveva appoggiato? Non gli aveva chiesto nulla, dopotutto! Il loro professore di storia era fin troppo buono, non avrebbe preso alcun provvedimento!
«Allora non è veramente tuo amico, se si comporta così».
Mattia aveva la capacità di toccare i punti deboli delle persone.
«Lui ha delle fissazioni» borbottò Paolo cercando di difendere l’amico, per quanto una parte di lui concordasse con le parole di Mattia.
«È un’idiota» replicò quest’ultimo. «Ma tu ci vuoi venire con noi?».
«Sì» rispose Paolo immediatamente, sperando che gli desse quell’opportunità.
«Bene» sorrise Mattia. «Ti facciamo vedere, come trattiamo noi gli infami come il tuo amico».
Paolo deglutì: quello non suonava bene.
«Che vuoi fare?».
«Skullbreaker» rispose Mattia, facendo sghignazzare i compagni.
Paolo non sapeva che cosa fosse, ma la traduzione non gli piaceva.
«Dai» disse eccitato Marco, un altro compagno.
«Io registro» disse Nico sventolando il cellulare.
«Cosa volete fare?» ripeté Paolo preoccupato.
«Stai a vedere» replicò Mattia avvicinandosi a Cristiano, in quel momento con alcune compagne e con la professoressa, intento a litigare per non sorbirsi l’ennesima partita di pallavolo ˗ di solito riusciva a farsi dare le chiavi della palestra coperta per giocare a ping pong.
«Ehi, Cristiano, vieni?» chiamò Mattia.
Il ragazzo si accigliò e lo raggiunse. «Non ti aiuterò».
«Oh, non sono qui per questo».
«E per cosa?».
«Volevo vedere se, con quel grasso che ti ritrovi, sei in grado di saltare».
Cristiano arrossì e Paolo fissò le mattonelle grigie del pavimento.
«Certo che sono in grado» sibilò il ragazzo.
Marco si era posto all’altro lato di Cristiano.
«Mostracelo».
Cristiano obbedì, Paolo fece un passo avanti per avvertirlo, ma era troppo tardi: mentre saltava, Marco e Mattia gli fecero uno sgambetto all’indietro e il ragazzo perse l’equilibrio e cadde malamente.
Paolo trattenne il fiato.
«Che succede lì?» chiese la professoressa raggiungendoli.
Mattia e Marco si scambiarono un’occhiata preoccupata. «È scivolato» disse il primo.
Paolo si avvicinò e si rese conto che l’amico aveva perso conoscenza.
 
 
«Beh, almeno il compito di storia è stato annullato» disse Mattia dandogli una pacca sulle spalle, prima di risalire in classe.
Paolo gli rivolse uno sguardo vacuo, coprendosi poi il volto con le mani: Mattia lo aveva umiliato, lo aveva maltratto, ma non pensava che sarebbe mai arrivato a tanto.
Strinse le ginocchia al petto, incurante della pioggerellina che aveva iniziato a cadere: ora quel grigiore si era impadronito anche del suo cuore.
«Paolo, vieni dentro» gli disse gentilmente l’insegnante.
La ignorò, ormai i suoi occhi coglievano ogni sfumatura dell’asfalto.
«È sotto shock» sussurrò la donna a qualche collega, che Paolo non poteva vedere.
Il ragazzo rimase in quella posizione finché fu suo padre ad aiutarlo – per un attimo pensò anche di star sognando ˗ ad alzarsi con un’insolita gentilezza. Indossava la divisa e il ragazzo scorse altri Carabinieri, nonostante avesse gli occhi colmi di lacrime e di goccioline di pioggia. Suo padre era in servizio, ma si stava preoccupando per lui, probabilmente fu questo che lo spinse a seguirlo. Fece per chiedergli perché era stato chiamato, ma, al posto delle parole, ebbe un conato di vomito e suo padre lo sorresse. Non provò più a parlare, anche perché si sentiva confuso e non sapeva che cosa dire. Suo padre lo accompagnò a casa e lo lasciò alle cure della moglie. Paolo non ricordava molto di quei momenti sia per lo stato di ansia in cui era piombato sia perché, a un certo punto, il calore della sua camera e i vestiti asciutti ebbero la meglio e si addormentò.
Quando si svegliò era sera e sentiva delle voci basse e concitate provenire dalla cucina. Si alzò e raggiunse i suoi genitori. Erano seduti a tavoli, i piatti ancora intatti davanti a loro. Vedendolo, tacquero e lo fissarono.
«Tesoro, perché ti sei alzato? Ti avrei portato qualcosa da mangiare tra poco» disse sua madre.
Paolo sorrise leggermente, ma era ancora frastornato. «Come sta Cristiano?» chiese faticando a pronunciare quelle poche parole.
I suoi genitori s’incupirono.
«Come sta?» ripeté.
«È stabile» rispose laconico suo padre.
«Che vuol dire?». La sua voce era roca e spaventata.
«Ha preso un bel colpo» sospirò suo padre. «Ha un trauma cranico, ma non sembra grave, e una vertebra fratturata».
«Ma è solo caduto. È caduto un sacco di volte!».
«Purtroppo alle volte…» iniziò sua madre per consolarlo, ma lui la interruppe.
«Si riprenderà?» chiese fissando suo padre che non era solito addolcire o nascondere la verità.
«I medici sono fiduciosi. È molto giovane, di conseguenza dovrebbe riprendersi senza problemi».
Paolo si lasciò cadere su una sedia tentando di elaborare le informazioni ottenute. «E ora che succederà?».
I suoi sembrarono sorpresi dalla domanda. «Capisco che tu sia sconvolto per l’incidente, ma non possiamo fare nulla. Al momento in ospedale possono stare solo i suoi familiari, ma, appena daranno il permesso, ti accompagnerò» disse suo padre.
«Vedrai che andrà tutto bene» aggiunse la madre desiderosa di rassicurarlo.
Ma a Paolo non era sfuggito l’uso del termine incidente da parte del padre. «Come un incidente?».
Suo padre aveva iniziato a mangiare la sua fetta di carne e lo fissò. «Cosa?».
«Hai detto che è stato un incidente».
«È quello che è stato, no?».
Paolo deglutì e si ricordò che Mattia aveva detto così alla professoressa, ma poi Cristiano non si era risvegliato, era arrivata l’ambulanza e anche i Carabinieri.
«Perché hai portato i tuoi uomini con te?».
«Mi hanno accompagnato, in più era mia dovere comprendere le dinamiche dell’incidente. I genitori di Cristiano hanno chiesto spiegazioni».
«Mangia qualcosa» provò sua madre, che gli aveva riempito un piatto.
Paolo ebbe un nuovo attacco di nausea e scosse la testa. «Non ho fame. Vado a letto».
Di norma il padre l’avrebbe rimproverato per i suoi modi, ma quella sera lo lasciò andare e fermò anche la moglie in modo che non lo soffocasse con troppe attenzioni.
Paolo era ben attento a non usare il cellulare quando il padre era nelle vicinanze, ma quella sera era diverso. Lo prese e non faticò a trovare quello che cercava: il video dell’incidente. Mattia doveva essere orgoglioso di sé. Si avvide anche di aver ricevuto diversi messaggi mentre dormiva: Mattia lo invitava a vedersi fuori dalla scuola la mattina dopo e gli rinnovava l’invito per il venerdì sera.
Gettò il cellulare di lato e fissò il soffitto: sapeva che cosa voleva Mattia.
 
La mattina dopo rifiutò l’offerta della madre di restare a casa e andò a scuola ben determinato a chiarire quella situazione. Mattia poteva così stupido?
Non sapeva che cosa aspettarsi a scuola, ma decisamente non quello che effettivamente trovò: indifferenza. Era un grigio giorno d’autunno come molti altri: i ragazzi affollavano i marciapiedi vicino alla scuola, qualche gruppo si trovava nella piazzetta al lato della scuola media, altri occupavano le panchine vicino alla chiesa evangelica. Proprio come ogni giorno. Proprio come se Cristiano non fosse ricoverato in ospedale e non si fosse fatto male per uno stupido gioco. Strinse i pugni e si avviò verso il bar antistante la scuola, dove Mattia gli aveva dato appuntamento. Ancora una volta fu accolto con calore, ma questa volta comprese quanto i loro sorrisi fossero finti e come si stessero divertendo alle sue spalle. Aveva permesso che lo manipolassero e si sentiva in colpa.
«Come sta Cristiano?».
La stessa domanda che aveva posto al padre la sera prima, ma con sentimenti diversi. Paolo non avrebbe mai scordato la vista dell’amico privo di sensi sul cortile grigio e stinto; mentre Mattia voleva solo ripulirsi la coscienza.
«Dicono che si riprenderà» rispose atono.
«Bene, no?».
«No» sibilò Paolo mentre la rabbia montava dentro di lui. Come poteva essere così tranquillo? Lui non aveva nemmeno sfiorato l’amico il giorno prima, ma si sentiva comunque responsabile. «Sta male! Per colpa vostra!».
«È stato un incidente» replicò Mattia incurante e lanciandogli uno sguardo d’avvertimento.
«Sì, certo» disse a denti stretti. «Ci vediamo in classe».
Se fosse rimasto lì, non si sarebbe controllato e avrebbe parlato a sproposito: doveva agire ragionevolmente o l’avrebbero fregato.
Con su sommo fastidio, anche i professori si comportarono come se nulla fosse accaduto e questo fece aumentare la sua rabbia. Aveva sempre adorato le lezioni di matematica, ma quel giorno proprio non riusciva a capire che lingua parlasse l’insegnante e il problema non erano le successioni, ma tutto il resto: quel mondo che era stato la sua culla per anni ˗ i professori, la sua classe, l’intera scuola ˗ ora gli apparivano in tutto il loro squallore, di un grigio sporco come le pareti dell’aula che una volta erano state bianche.
Un suo compagno si piegò verso di lui e gli sussurrò: «Mattia dice di non fare scherzi».
Annuì. L’aveva evitato e ignorato da quando era entrato in classe, rifiutandosi anche di rivolgergli la parola.
Li odiava tutti. Odiava la loro indifferenza.
Chiese il permesso di uscire all’insegnante che lo fissò con quella che parve compassione. Lo sapeva che cosa stava pensando: poverino, è traumatizzato per quello che è successo al suo migliore amico! E magari di Cristiano non le fregava un bel nulla, perché non era bravo in matematica come Paolo, perché non era il primo della classe come Paolo.
Ma Paolo si era stancato.
Si chiuse in un cubicolo del bagno dei ragazzi e sbloccò il cellulare. Mattia e gli altri gli avrebbero presto reso ben chiaro che doveva tacere, ma lui gli avrebbe battuti sul tempo. Cercò il video su Tik Tok e ne inviò il link al padre, scrivendo di sotto: Non è stato un incidente.
Attese finché le spunte su WhatsApp divennero blu e chiuse il cellulare. Prima di affrontare il padre, aveva ancora un paio di conti in sospeso da risolvere.
Si era stancato di fare il bravo bambino.
Ora l’avrebbero pagata tutti. Mattia sarebbe stato ripagato con la sua stessa moneta.
Il primo era il professore di storia che aveva riempito di stupidaggini e belle parole la testa di Cristiano.
Si toccò le tasche dei jeans larghi, scelti appositamente quella mattina, e ne percepì il contenuto sotto le mani.
Si avviò verso la classe nella quale teneva lezione a quell’ora il professore, che lo fissò sorpreso poiché era entrato senza bussare.
Ora avrebbero visto tutti di che cosa fosse capace il mite e studioso Paolo.
Era solo un petardo, ma l’importante era dar fuoco alla miccia.
 
 
 
 
   
 
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