Wake me up
Il sole
illuminava la città di Tokyo. L’estate era ormai vicina e gli edochiani si
concedevano lunghe passeggiate dopo una lunga e stressante giornata lavorativa.
Usagi era seduta
sulla panchina del parco Arisugawa, un'oasi di pace in mezzo alla giungla di
cemento della città, ma non era allegra come al solito. Erano trascorse
settimane dal suo primo incontro con Luna, era diventata una guerriera e in
poco tempo aveva trovato due nuove compagne di battaglia: Ami e Rei. Si sentiva
sollevata nel condividere quell’identità segreta con altre persone, ma non
riusciva a gioirne perché consapevole di dividere quel triste destino con loro.
Triste destino.
Sollevò lo
sguardo per osservare alcuni studenti che improvvisavano una partita di calcio vicino
alla fontana con l’orologio. Erano spensierati, allegri, totalmente ignari dell’esistenza
di creature malefiche pronte ad attaccarli per rubar loro la linfa vitale.
Usagi sospirò, di
nuovo. Quella mattina si beccò una ramanzina dalla professoressa Haruna a causa
del peggioramento del rendimento scolastico già fin troppo precario. Odiava
studiare e non era un mistero, ma le battaglie, soprattutto quelle notturne, la
sfiancavano e la rallentavano nello studio.
« Uffa!» sbottò
sconsolata. Il giorno prima si era recata con Rei al nuovo Luna Park per
indagare su strani eventi forse collegati al nemico. Si era illusa di potersi
divertire e per pochi minuti ci era riuscita, ma Rei la sgridò e per giunta di
fronte a quell’odioso Mamoru. Quel ragazzo… come mai si trovava su una giostra
per bambini?
Diede un calcio
ad un sassolino.
«In fin dei conti
anch'io ero su quel trenino.» cominciò a torturarsi le mani «Che male c'è nel
volersi divertire?»
Divertimento.
Aveva bisogno di
sfogarsi, di evadere da quelle responsabilità troppo grandi per una semplice
ragazzina delle scuole medie. Forse anche Mamoru voleva scappare da qualcosa,
in fin dei conti non sapeva perché lui si trovasse lì.
«Ehi biondina! Ci
passi il pallone?»
Usagi osservò il
gruppo di ragazzi che da lontano le indicavano un pallone da calcio accanto a
lei. Contemplò quella sfera di cuoio bianca e nera. Era un caldo pomeriggio e
tutti avevano diritto a divertirsi, giocare ed essere spensierati.
A vivere.
Tutti vivevano
tranne lei, la guerriera che combatteva il male aiutata da due ragazze speciali
per la salvaguardia del prossimo.
Diede un calcio
al pallone con tutta la forza possibile, sfogò in quel gesto la rabbia repressa
di intere notti a combattere. Si lasciò cadere pesantemente sulla panchina, gli
occhi cominciarono a punzecchiare e un magone in gola le bloccò per pochi
istanti la respirazione.
«Che brutta
faccia! Hai avuto un'altra insufficienza?»
«Tu!» Usagi riconobbe
subito quella voce profonda dal tono canzonatorio. «Se hai voglia di litigare
hai scelto il momento giusto!»
Mamoru scoppiò a
ridere, si tolse gli occhiali riponendoli nella borsa e si sedette vicino a
lei. « È da un po' che ti osservo. Cosa ti turba?»
«Assolutamente
nulla e se avessi qualche problema non verrei certo a parlarne con te!»
Il moro continuò
a sorridere, si stiracchiò le braccia e si concesse un lungo sbadiglio. Era
stanco, gli esami lo avevano sfinito e volle concedersi una breve pausa. Rimase
seduto vicino a lei per diversi minuti in totale silenzio, un avvenimento più
unico che raro.
Contro ogni previsione
Usagi si trovò a proprio agio in compagnia di quello che ormai definiva il suo
peggior nemico, ma in fin dei conti come poteva giudicarlo tale se non
conosceva nulla della sua vita? I veri nemici erano ben altri e lui era solo un’arrogante
spocchioso figlio di papà che si divertiva a punzecchiarla. Forse poteva
provare a conoscerlo un po' prima di odiarlo del tutto.
«Oggi sono stata
ripresa dalla mia professoressa.» Mamoru si voltò verso di lei «Ce la sto
mettendo davvero tutta nello studio, ma non riesco a memorizzare nula. Sono
davvero una stupida incapace»
«Non sei stupida.
Forse sbagli il metodo di studio o prendi male gli appunti.»
Usagi strinse le
ginocchia con le proprie dita sperando che il dolore provocato dalle unghie
conficcate nella carne potesse soffocare quel pianto pronto ad esplodere da un
momento all'altro. Non voleva piangere, non davanti a lui.
«Se ti va posso
aiutarti…» A quelle parole la ragazza si voltò di scatto verso Mamoru che, con
le guance rosse per l'imbarazzo, cominciò a balbettare « Sì, non l’ho mai fatto
prima, ma se vuoi possiamo studiare insieme.»
Usagi senti il
viso divenire all’improvviso bollente. «Ecco, io… sono una pessima allieva soprattutto
in matematica ed inglese.»
«Potrai non
credermi, ma sono bilingue.»
«Davvero?» non
riuscì a trattenere un piccolo gridolino di puro stupore. Allora quell’antipatico
era davvero intelligente!
«Sì, devo averlo
imparato da piccolo, ma non ho ricordi.»
Usagi si ritrovò
a contemplare il volto di Mamoru senza rendersene conto: era davvero bello e non
era così odioso. Pensò alle parole che Rei aveva speso per lui il giorno prima
al Luna Park quando lo definì un gran bel fusto senza nascondere il desiderio
di potervi iniziare una relazione sentimentale.
Provò uno strano
peso al petto e un nuovo nodo alla gola: Rei puntava Mamoru solo ed
esclusivamente per la sua avvenenza senza interessarsi al carattere, al lato umano.
Era infastidita.
Lei e le sue amiche erano delle combattenti, non potevano allacciare rapporti
romantici e mettere a rischio la vita dei propri amici, cari e persone amate e
Rei non doveva né poteva fidanzarsi.
Loro non erano
ragazze comuni, erano diverse.
Sentì una mano
accarezzarle il capo.
«Sei turbata per
qualcosa e non è lo studio, vero?»
Usagi si morse il
labbro inferiore. Come poteva confidargli il suo alter ego magico? “Ehi,
sono Sailor Moon e sono depressa a causa di una crisi di identità in piena fase
adolescenziale!” No, non avrebbe mai creduto ad una singola parola e Luna l’avrebbe
uccisa per aver infranto il tabù sulla riservatezza della loro missione.
Respirò a fondo limitandosi
ad annuire con il capo, sentì un fruscio e vide Mamoru alzarsi e porgerle una
mano invitandola a seguirlo.
***
Erano appena
saliti sulla Yurikamome e Usagi si innervosì nel vedere alcune ragazze divorare
con gli occhi Mamoru per poi rivolgerele battutine di pura disapprovazione.
Sapeva di non essere affascinante come Rei nè aggraziata e femminile come Naru,
ma non riusciva a farsi scivolare addosso quegli sguardi denigratori.
«Come siamo
taciturne!»
«Sono solo
preoccupata. Non ho avvisato mia madre.»
«Tranquilla, ti
accompagnerò a casa. Non ho nessuna intenzione di lasciarti da sola in mezzo
alla strada di sera. A quell’ora le strade sono pericolose, soprattutto per una
ragazza come te.»
Usagi strinse la
cartella scolastica al petto. Stava vivendo una situazione assurda, ma non le
dispiaceva, anzi: gradiva ricevere attenzioni.
«Mamoru-san, ne
sei sicuro? Non vorrei che i tuoi genitori...»
«Vivo da solo.»
L’altoparlante
della metropolitana annunciò l’arrivo alla fermata Odaiba Kaihinkōen,
Usagi raggiunse lentamente l’uscita del convoglio conscia di aver forse parlato
troppo. La risposta che aveva ricevuto era fredda, soffiata con una voce
leggermente incrinata. Forse aveva dei problemi in famiglia o era stato
semplicemente cacciato di casa e si era ritrovato a vivere da solo... maledetta
linguaccia! Si sentì una perfetta idiota e le continue risatine di quelle studentesse
peggiorarono il suo stato d’animo, ma quel disagio svanì quando Mamoru la prese
per mano.
Confusa, Usagi si
lasciò trascinare dal ragazzo e scesero dal treno sotto gli sguardi stupiti di
quei fastidiosi passeggeri.
«Non le
sopportavo più quelle galline!» Mamoru non riuscì a contenere il proprio
disappunto.
«Chi?»
«Quelle cretine
sul treno. Solo io posso prenderti in giro e nessun altro.»
«Che arrogante!»
In una situazione normale lo avrebbe insultato per ore, ma quel pomeriggio aveva
preso una strana piega. Un’ora prima si trovava da sola seduta su una panchina
a deprimersi: non avrebbe mai immaginato di passeggiare mano nella mano con
Mamoru verso una meta sconosciuta. Sembrava quasi un appuntamento romantico.
Camminarono per
diversi minuti senza separarsi e finalmente arrivarono a destinazione, alla
spiaggia di Odaiba, una località turistica con una suggestiva vista della
skyline di Tokyo. Di fronte a quello spettacolo le mancarono le parole.
«Quando sono in
crisi con me stesso mi rifugio qui.» Mamoru posò la borsa sulla sabbia e si
levò la giacca dell’uniforme. «È una piccola oasi e a quest’ora è poco frequentata.»
«Cosa vorresti
dire?»
«Sfogati.» Le
prese la borsa e la posò vicino alla propria. «Urla, piangi, puoi anche
picchiarmi, ma sfogati. Non tenerti dentro tutto, non voglio vederti così.»
Usagi lo guardò a
lungo, in silenzio. Quello stronzo che si deliziava nel calunniarla ogni giorno
era l’unico ad aver ascoltato il suo silenzioso grido d’aiuto. L’unico ad
averla compresa veramente.
Gli occhi le si
inumidirono velocemente, il nodo alla gola si sciolse del tutto: scoppiò in un
pianto disperato. Tentò di trattenersi, ma i singhiozzi divennero più intensi.
Non voleva piangere, ma qualcosa dentro di lei si ruppe e la colpa, o forse il
merito, era di quel ragazzo che la stava osservando preoccupato.
Mamoru la tirò a sé
e l’abbracciò forte. Voleva aiutarla, proteggerla e cancellare il dolore che le
stava dilaniando l’anima. Quella ragazzina petulante era un raggio di sole nella
sua buia vita. Si divertiva a prenderla in giro, era un piacevole passatempo,
il momento più bello e dolce della giornata, ma quel pomeriggio aveva assunto
un sapore agrodolce. Soffriva nel vederla piangere così fragile e indifesa, la
strinse più forte e provò una strana, ma piacevole sensazione. Averla tra le
sue braccia, respirare il profumo di quella pelle bianca e vellutata, sentire
la morbidezza dei lunghi capelli biondi.
Assaporò il
calore del suo corpo minuto che tremava per il pianto.
Gli piaceva quel
momento.
Gli piaceva
Usagi.
«Ti voglio bene.»
sussurrò premendo le labbra sul capo di lei.
«Hai detto
qualcosa?»
Gli occhi lucidi
di Usagi lo bloccarono. Si smarrì in quello sguardo azzurro nonostante fosse bagnato
di lacrime. «Ti ho chiesto se stavi bene.»
«Sì, decisamente
meglio. Devo solo riprendermi un po'.» la
ragazza sciolse lentamente l’abbraccio e cercò di ricomporsi. Si toccò le
guance sentendole roventi al tatto, non riusciva a capire se si trattasse di
influenza o di altro. Prese un profondo respiro e cercò con lo sguardo Mamoru,
trovandolo chino a rovistare tra le tasche della giacca.
«Stai cercando
qualcosa?»
«Il mio cellulare.
Ti consiglio di levarti le scarpe e rimanere scalza.»
Usagi non capì, il
sorriso malizioso di Mamoru non prometteva nulla di buono e le note di una canzone
straniera che riecheggiarono nell’aria confermò i suoi sospetti.
«Da dove viene
questa musica? Sei-»
«Da Youtube!
Musica occidentale.» Mamoru alzò il celllare mostrandole il videoclip del brano
Wake me up dell’artista Avicii. «Sei pronta?»
«Pronta per cosa?»
Mamoru le prese
entrambe le mani «A ballare con me.»
Usagi era
completamente senza parole. Non sapeva ballare e non aveva mai provato a farlo
seriamente, perché doveva cominciare proprio in quel momento con lui? Senza
rendersene conto, si ritrovò a improvvisare una danza insieme a Mamoru. Non
sapeva se si muovesse bene, ma non le importava: il ritmo di quella canzone era
travolgente. Ballarano in riva al mare incurante di bagnarsi i piedi nudi: saltarono
come pazzi e Usagi si abbandonò ad una risata felice, euforica e continuò a
girare su sè stessa allargando le braccia in aria. Chiuse gli occhi e respirò a
pieni polmoni l’aria salmastra, si sentì leggera come non lo era stata mai. Si
fece cullare dalla musica e con lei anche Mamoru che, tra un passo e l’altro,
la prese per la vita per unirsi a quel ballo frenetico.
«Feeling my way through the darkness guided by
a beating heart. I can't tell where the journey will end, but I know where to
start.»
Sussurrò quella
strofa nell’orecchio di Usagi che non comprese la traduzione.
«Sei bravo, sicuro
di non essere britannico?»
Mamoru rise. Usagi
ebbe un brivido lungo la schiena quando sentì il respiro del ragazzo solleticarle
il collo. Era una situazione sconveniente che.... oh, al diavolo! Voleva
lasciarsi andare e assaporare ogni istante di quel momento.
La playlist impostata
sullo smartphone di Mamoru continuò a proporre nuovi brani, prevalentemente internazionale.
I ragazzi continuarono a ballare senza sosta incuranti degli sguardi
incuriositi di alcuni passanti. Usagi calciava la sabbia, si fece cullare dalla
musica e si rese conto che cominciava a piacerle la compagnia di quell’adolescente
non più tanto antipatico.
Si fermò per
qualche istante per riprendere fiato, tese le braccia verso l’alto per
rilassare i muscoli quando si rese conto che il sole era quasi calato del tutto
colorando il cielo da mille sfumature
vermiglie. La skyline di Tokyo illuminata era a dir poco da togliere il fiato e
le luci del Rainbow Bridge che si specchiava sulla sunoperficie del mare donavano
una nota romantica a quel panorama.
«È davvero bello qui.»
«Già» Mamoru non riusciva
a staccarle gli occhi di dosso: adorava quelle guance morbide arrossate e gli
odango mezzi sciolti. Si avvicinò a lei e le spostò una lunga ciocca dorata
dietro l’orecchio.
A quel tocco
Usagi sentì il cuore saltare un battito e uno strano formicolio allo stomaco. Osservò
Mamoru e restò affascinata dai suoi occhi blu così pronfondi e intensi, dalla
chioma nera scompigliata e la camicia slacciata fino al terzo bottone che
lasciava intravedere fin troppa pelle. Il Mamoru cinico, ingessato nell’impeccabile
uniforme liceale perfettamente inamidata era sparito lasciando il posto a un diciasettenne
estremamente attraente e pieno di sorprese. Qual era la sua vera natura?
Usagi si ritrovò a fissare le labbra di Mamoru, ne era rapita e non reagì
quando sentì le mani del ragazzo stringerle la vita. Perché si sentiva così
strana? Perché provava gelosia ogniqualvolta che Rei parlava di lui con estrema
superficialità? Quel ragazzo era una persona con dei sentimenti, non un oggetto
da conquistare.
Si sentiva
confusa. Possibile che provasse dei sentimenti nei confronti di quel bulletto
che quotidianamente la tormentava al Crown? Non sopportava le sue stupide e
pungenti battute eppure si preoccupava quando non lo vedeva nei paraggi. Sentì
il cuore batterle all’impazzata e voleva che il tempo si fermasse per sempre in
quel preciso istante.
Mamoru aumentò la
stretta delle proprie mani e si avvicinò al viso di quella piccola peste
bionda. Non aveva mai provato un’attrazione così forte per una ragazza. Voleva stringerla
nuovamente tra le sue braccia, accarezzarle il capelli e assaggiare quelle
labbra socchiuse così invitanti. Con una mano le sfiorò il viso e col pollice accarezzò
il labbro inferiore di quella ragazza che, stringendosì più vicina a lui, smise
di respirare per qualche secondo.
Il rumore di un ramo
rotto interruppe quell’incantesimo. Mamoru si bloccò e Usagi distolse lo
sguardo da lui per focalizzarsi sui propri piedi nudi.
«Ecco, io...» incespicò
sulle parole. «Non so come ringraziarti per...oggi.» Si morse il labbro. Non
sapeva se maledire o ringraziare quel rumore sospetto. Cosa sarebbe successo se
non fossero stati interrotti? L’avrebbe baciata? E se lo avesse fatto, cosa
sarebbero diventati loro due?
Mamoru si grattò
il capo maledicendo la propria goffaggine. Perché si era bloccato come un
beota? In fin dei conti quel rumore era stato causato da un gatto randagio, perché
allarmarsi per un nonnulla? Idiota, si definì un idiota completo.
«Mi dai il tuo
numero?» chiese tutto d’un fiato ricorrendo all’ultimo briciolo di coraggio
rimasto in corpo.
«Oh!» Usagi
divenne paonazza. «È per studiare insieme?»
«Sì, per lo
studio...» Mamoru le consegnò il cellulare. La vide digitare veocemente il
numero e salvarlo in rubrica: Usagi Tsukino. Anche il cognome era carino, come
lei. «Ci vediamo domani al Crown?»
Usagi finì di
sistemarsi alla meglio gli odango. Sorrise e annuì col capo. «Con cosa
cominciamo?»
«Inglese. Tradurremo
insieme la canzone di stasera.» la prese per mano e intrecciò le proprie dita
con quelle della ragazza. «Ti riaccompagno a casa.»
Note:
Questo capitolo è ambientato subito dopo l’episodio
numero 11 della prima serie ed è un anticipo del prequel della mia saga Pandora
:)
Durante un lungo viaggio in macchina ho sentito per caso
la nuova hit di Jason Derulo, un brano che per non so quale motivo mi ha preso
non poco e mi ha ispirato per la stesura di questo capitolo
La canzone citata è dell’artista Avicii, scomparso
prematuramente. Amo quel brano e il testo mi sembrava più che adatto per
descrivere al meglio il “mal de vivre” di Mamoru.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Non smetterò mai di ringraziarvi per non aver smesso di
leggermi.
A presto!
Amnisya
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