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Autore: HellWill    22/08/2020    0 recensioni
CONTIENE SPOILER DI «SENTIERI SCONOSCIUTI».
Circa vent'anni dopo la fine di «Sentieri Sconosciuti», Kame detto "Sparviero" ha guadagnato un nuovo allievo, Nearco.
Nearco ha dodici anni, è fissato con la botanica, ed è autistico: il solo tocco altrui lo fa urlare di dolore e fastidio, e il suo interesse speciale per le piante lo renderà un grande assassino, almeno secondo Kame.
Genere: Dark, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sentieri Sconosciuti'
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«Credevamo ci avresti portato anche Saul e Alsan, quando saresti venuto a trovarci. Come stanno?».
«Bene. Sono con Yukab» mormorò Sparviero, pregando che bastasse.
Erik non chiese altro, ma carpì il leggero tono sollevato della frase e gli lanciò un’occhiata, come per dirgli che più in là avrebbero parlato meglio anche di quello. Sparviero smorzò un sospiro e chiuse gli occhi, accomodandosi elegantemente su una sedia vicino il tavolo.
La casa di Erik non era particolarmente grande, ma lo era abbastanza per la sua famiglia: a soli venticinque anni si era sposato e aveva fatto tre figli quasi l’uno di seguito all’altro, molto prima che Sparviero decidesse di avere Alsan e Saul. All’epoca del matrimonio di Erik, questi ultimi non erano nemmeno in programma, in effetti. Erik si era stabilito in una fattoria enorme nel Regno Faël, nel feudo gestito da Ri, suo fratello d’adozione, e in questo modo aveva potuto tenere d’occhio gli altri due figli di Sparviero: Kaleb e Victoria. Era più di quanto Sparviero potesse sperare.
Tornando alla casa, si trattava di un podere in pietra e legno, con il tetto in grandi travi e tegole rosse a far da tetto; era a due piani, e al piano terra c’era la zona giorno, organizzata con un soggiorno riunito attorno al camino, e una cucina che prevedeva una stufa in ghisa con i fornelli e un fuoco al centro della stanza per riscaldare grandi quantità in pentoloni stipati ai limiti della stanza. Il soggiorno era decorato con pelli di animali, palchi di corna e teste impagliate di animali magici e non, nonché con alcuni quadri di piante pressate e riposte accuratamente con appunti sulle loro proprietà.
Sparviero tornò a guardare l’Elfa che stava cucinando del pesce ai fornelli in ghisa, e ne osservò i movimenti con vago interesse mentre Erik apriva la finestra e prendeva delle brocche di vino dalla neve che ricopriva il davanzale.
«Allora, come te la passi?» gli chiese, e Sparviero scosse piano il capo.
«Come al solito. Tu, piuttosto? È da un po’ che non ti fai sentire. Nelle tue lettere sei sempre così vago…».
Erik si strinse nelle spalle, mentre l’Elfa alle sue spalle si irrigidiva un po’. Fu allora che lo sguardo di Sparviero fu attratto da qualcun altro nella stanza con loro, che fino a quel momento non aveva minimamente calcolato: all’altro capo della tavola c’era un ragazzino dalla pelle pallida, magrissimo e dagli enormi occhi verdi, con i capelli neri e ricci dai riflessi blu scuro, appollaiato su di una sedia e con un piatto di verdure davanti. Una spruzzata di efelidi scure gli contornava il naso e si spargeva per tutto il viso, dandogli un’aria innocente che cozzava con l’espressione totalmente furiosa che aveva in quel momento.
«Idha nu, shiain rrerseí ra nu dhuair»[1] disse secca la madre in elfico. Il ragazzino non la degnò neppure di uno sguardo: tutta l’intensità di quegli occhi arrabbiati era per Sparviero, che lo fissava a sua volta senza battere ciglio.
«Nearco, mio figlio di mezzo» presentò Erik, un po’ a disagio. In elfico ribadì ciò che aveva detto la madre, ripetendogli di mangiare le sue verdure, mentre il ragazzino lo ignorava apertamente e fissava Sparviero, che rimandava indietro lo sguardo.
«Sfeshewc, el neaidh raed aiers rushe[2] s’informò Corinne, mettendogliene nel piatto un po’ senza aspettare risposta. Nearco si alzò da tavola e scappò al piano superiore, mentre la madre lo seguiva con gli occhi che mandavano lampi. Erik la seguì solo con lo sguardo, poi sospirò e gli fece cenno di mangiare pure.
«Noi abbiamo già cenato, Nearco fa storie come al solito perché il cibo nel piatto è mescolato o si tocca o qualsiasi altra sia la sua fissazione del momento…» mormorò, e Sparviero si fece attento.
«Sembra quasi…».
«Sì, lo so. Autismo, è così che si chiama, no? Ho provato ad accennarlo a Corinne ma… per la sua cultura la gente come Nearco è solo speciale, ha una connessione più profonda con gli dèi, roba del genere».
«Non sembri rispettare molto il suo punto di vista».
«Si tratta di medicina, non di punti di vista».
«È difficile andare oltre quando ti propongono spiegazioni scientifiche per tutto, non è vero?» chiese Sparviero, sarcastico: entrambi avevano vissuto per tutta l’infanzia e l’adolescenza in un mondo moderno, e se ne erano portati dietro gli strascichi per tutta la vita.
Sparviero scacciò il pensiero e un bimbo, forse nemmeno due anni ma che già camminava svelto, afferrò la coda di Sinjìn, facendo sobbalzare lui e facendo saltar su il gatto, terrorizzato. Erik afferrò il bimbo mentre Sinjìn balzava svelto ed infuriato in grembo a Sparviero, appallottolandosi con propositi di vendetta sulle ginocchia del Menide. Erik sorrise imbarazzato all’espressione irritata dell’amico e presentò il bambino, che lo guardava con la testolina inclinata, incuriosito.
«Mio figlio minore, Vidar. È una piccola adorabile peste…» il bambino per tutta risposta si infilò una mano intera in bocca e offrì l’altra al padre, che sorrise. Aveva gli occhi uguali ad Erik, ma i capelli erano indubbiamente quelli della madre e di Nearco, neri con quegli strani riflessi blu scuro. Nearco rientrò di corsa e saettò attraverso la stanza come impazzito, mentre la madre lo seguiva infuriata.
«Mi ammazzo! Giuro che lo faccio!» urlò in elfico, disperato. Lacrimoni caldi gli scorrevano sulle guance mentre prendeva il coltello da cucina che fino a quel momento era stato usato per il pesce: se lo puntò alla gola, pronto a tagliarsela. La madre lo fissava calma da dietro il tavolo.
«Se avessi una kyka per ogni volta che l’hai detto, sarei ricca» sentenziò l’Elfa, e Sparviero lanciò un’occhiata ad Erik, che era fermo immobile a fissare la moglie, rigido.
«Tu e Arden mi rendete la vita un inferno!» piagnucolò Nearco, premendosi più forte il coltello sulla gola, e Sparviero si alzò con grazia malcelata mentre si avvicinava al ragazzino che, attonito, gli puntò il coltello contro. «Sta’ alla larga!» gli intimò, ma Sparviero gli prese dolcemente l’arma dalle mani e Nearco si ritrasse, spaventato dalla sua vicinanza. Soddisfatto, l’assassino poggiò il coltello sul tavolo e tornò al proprio posto, togliendosi la kway. Corinne distolse lo sguardo da lui non appena la cicatrice fu visibile, e si irrigidì quando Nearco invece lo guardò affascinato. Sparviero iniziò a mangiare, ed Erik guardava il tavolo con interesse, come fosse la cosa più affascinante di questo mondo.
«Il pesce è buonissimo» confermò poi Sparviero, interrompendo il silenzio assurdo che era venuto a crearsi. Vidar si era intanto addormentato fra le braccia del padre, e Corinne si avvicinò a lui per prendere in braccio il bimbo e portarlo al piano superiore nella sua culla. Erik la lasciò fare, e madre e figlio scomparvero dietro il paravento che copriva i gradini.
«Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a questo» mormorò Erik. Sparviero scosse il capo.
«Puoi farlo venire con me. Gli troverei qualcosa da fare, qualcosa che possa occuparlo bene».
«Ha solo dodici anni, non so se…».
«Se?».
Erik esitò, poi scosse il capo. Nearco tacque, sedendosi a tavola e iniziando a separare la sua verdura in maniera che le carote non toccassero le erbette.
«Non so se sopravvivrebbe con te» sorrise Erik, e Sparviero si accigliò.
«Mi stai dando dell’irresponsabile? Ho due figli».
«E sono piccoli. Alsan quanto ha? Sei anni?».
Sparviero inarcò un sopracciglio.
«Non ho bisogno che mi fai la morale. Vorrei solo che il talento di Nearco non vada sprecato. Avrà pure un interesse speciale per qualcosa, no?».
Erik esitò, poi annuì.
«Le piante».
«Le piante?».
Nearco mise in bocca un pezzetto di carota, ignorandoli come se la conversazione non stesse avvenendo nella stessa stanza in cui si trovava lui.
«Sì, ha degli erbari e ogni tanto gli compro un libro nuovo con informazioni aggiuntive riguardo le piante. Gli piace anche sperimentare con gli innesti, abbiamo un melo che produce quattro tipi di mele diverse grazie a lui».
Sparviero sorrise appena, e Nearco lo indicò.
«Come te la sei fatta?».
«La cicatrice?».
Nearco annuì, e nei suoi occhi c’era una parte di malcelata curiosità, oltre che di furia repressa a stento.
«Me la fece mio fratello anni or sono».
«Non andavate d’accordo?» chiese Nearco, come valutando la cosa. Sparviero sorrise.
«È più complicato di così».
Il silenzio riempì la stanza, e Erik scosse il capo.
«Nearco, va’ fuori con Sparviero, o in camera tua. Io e tua madre dobbiamo parlare» disse, sentendo i passi della moglie sulla scala. Nearco defilò verso la porta di casa, senza riuscire a credere di poter avere una scusa per lasciare in pace le povere verdure martoriate sul tavolo. L’assassino e il ragazzino uscirono fuori nella neve, richiudendosi dietro la porta, e Nearco si accovacciò istantaneamente per terra, ricoperto di vestiti di lana e di un mantello di pelliccia ricavato da più pelli di coniglio cucite insieme. Sparviero, che non temeva il freddo, era coperto da un semplice mantello di lana e dai suoi soliti indumenti neri.
«Ir nesú dú, lesh dú[3] gli chiese Nearco, senza guardarlo negli occhi, e Sparviero sorrise appena, rimettendo la kway al suo posto sul proprio volto.
«Irrar. Suler e llieais dú é?».[4]
«Non sono in molti a chiamarsi “Sparviero”, e le leggende su di te bastano e avanzano a capire che non sei un tipo con cui andare a cuor leggero. Perché mi vorresti con te?».
«Penso tu abbia del potenziale».
«Mia madre crede che io comunichi con gli dèi».
«E tu le credi?».
«No. Non esiste alcun dio, secondo me» mormorò Nearco, senza sollevare lo sguardo da lui, e Sparviero si chinò su di lui.
«Qualunque cosa decidano lì dentro, voglio saperlo: tu verresti con me?».
Nearco parve rifletterci. Non esitò, ma non rispose. Poi annuì in silenzio, lentamente.
«L’ho sempre desiderato. Che qualcuno arrivasse e mi portasse via, intendo, con me che ne seguivo l’ombra».
«Non ti importa chi sia quel qualcuno? Che uccida per denaro?».
Nearco scosse il capo.
«Lo voglio fare anch’io».
«Potresti scoprire che non ti piace, che non fa per te. Ci vuole una certa durezza d’animo per fare l’assassino».
«Non mi sembri così duro come dici» scattò Nearco, alzando lo sguardo e fissandolo negli occhi viola di Sparviero. «Hai quattro figli, sicuramente gli vuoi bene. Hai dei punti deboli, non sei così duro come dici» sibilò, e per un attimo l’assassino restò fermo ed immobile a sondarlo in profondità, poi fece schioccare la lingua e si rialzò.
«Spero per te tu abbia ragione. Ho ucciso per molto meno».
Nearco rabbrividì, ma non ribatté. In quel momento Erik uscì dalla cucina e chiamò in casa Sparviero e Nearco.
«Voglio andare con lui» mormorò Nearco non appena fu dentro. Intirizzito, si sfregò le mani fra loro come un topolino, cosa che accentuò per un attimo il fatto che fosse basso e magro.
«Nearco» lo rimproverò la madre, con quella sola parola. Sparviero lo fulminò con lo sguardo, uno sguardo che Nearco non avrebbe più scordato per tutta la vita. Erik esitò, poi si schiarì la voce ed iniziò:
«Di certo stando con te Nearco imparerebbe la disciplina, ma imparerebbe anche altre cose, cose che non sono quel che si dice adatte ad un ragazzino…» disse, grattandosi la nuca in imbarazzo.
Sparviero annuì, poi si strinse nelle spalle.
«È stato un gesto stupido, Erik. Mi è venuto spontaneo chiedertelo, ecco tutto. Mi faceva piacere l’idea di alleviare della sofferenza… in questa casa ce n’è molta».
Corinne si irrigidì, e Erik guardò Sparviero negli occhi, avvilito.
«No, no, hai ragione. Sai, io vorrei tanto concedere a Nearco di venire con te… ma proprio non possiamo. Ha dodici anni, tecnicamente so che per questo pazzo mondo è adulto, ma… proprio non possiamo» si ripeté, e Sparviero annuì in silenzio, lentamente. «A proposito, ti è arrivato un pacchetto».
«Che pacchetto?».
«Non lo so, non l’ho aperto. Tintinna se lo agiti».
«Tanti cari saluti alla collezione di calici di cristallo» ironizzò l’assassino, ed Erik sorrise canzonatorio.
«Te lo vado a prendere».
«Quindi non posso andare con lui?» ringhiò Nearco, e Corinne gli puntò il dito contro.
«Fino a poco fa eri arrabbiato che ci fosse uno straniero in casa, devi solo stare zitto» sibilò, e Nearco corse al piano di sopra mentre Erik tornava dal salotto con un pacchetto di modeste dimensioni. Insieme a lui, entrò in cucina una ragazza, forse sui sedici anni. Si bloccò un attimo, arrossendo per l’inaspettata presenza di Sparviero, e balbettò un timido saluto mentre si avvicinava alla stufa di ghisa per riscaldarsi. Era bella, dai lineamenti simili a quelli di Erik, gli occhi verde acqua limpidi e lunghi e lisci capelli castani. Nel complesso sembrava la versione femminile del padre, somigliandogli in tutto e per tutto, mentre Nearco era la versione maschile della madre. Dal linguaggio corporeo sembrava molto timida, ma per qualche ragione Sparviero non credeva a quella farsa. ßßß ????????
Erik gli presentò la ragazza come Arden, sua figlia maggiore, e la ragazza si sedette all’altro capo del tavolo, vicino la stufa.
«Ha ricominciato a nevicare» esordì Erik, ricadendo sulla sua sedia e facendo scivolare il pacco sul tavolo fino a Sparviero: era qualcosa di morbido avvolto nella carta, su cui era scarabocchiato l’indirizzo e il nome del destinatario, ma non quello del mittente. L’unico indizio era la calligrafia, sottile e allungata, abbastanza ordinata da capire qualcosa ma non sufficientemente da dare un’impressione di ordine. Sparviero si rigirò il pacco fra le mani, poi Erik lo esortò:
«Allora, non lo apri?».
«Mi chiedo chi me l’abbia mandato, e come faceva a sapere che sarei passato di qua».
«Ogni tanto sei sempre qua».
«Ci sono posti che frequento di più, però».
«Non lo nego. Dai, aprilo».
Lentamente Sparviero stracciò un lato della carta ammaccata e lasciò scivolare fuori il contenuto, cauto. Una stoffa liscia come seta scivolò sul tavolo, nera come inchiostro. Sparviero, accigliato, si alzò e la prese in mano, agitandola per spiegarla. Come se non fosse mai stato compresso in una scatola o piegato, liscio come appena stirato, si dispiegò un mantello nero, apparentemente normale se non per la qualità del tessuto e la particolarità del colore pieno, come le ali di un corvo.
«Un mantello?» mormorò Sparviero, stringendo gli occhi come un felino, come per sondare il capo d’abbigliamento. Sinjìn era immobile, con la stessa espressione sul volto, gli occhi socchiusi e sospettosi, concentrato. Avrebbe potuto essere una statua, l’unica cosa che si muoveva, nervosa, era la punta della coda, che oscillava qua e là.
Sparviero sorrise e posò il mantello sul tavolo, piegandolo bene. Agitò poi di nuovo il pacco, e sul tavolo caddero diverse chiavi; Sparviero le contò: erano tredici in tutto, e il loro scopo era a lui sconosciuto. Restò immobile a fissarle, come se guardandole più a lungo potesse spiegare il loro segreto, poi rinunciò e se le infilò in saccoccia, rimandando a dopo gli incantesimi per capire se si trattava di oggetti maledetti. Poi indicò le verdure lasciate sul piatto da Nearco.
«Peccato che non me lo abbiate concesso… Se il ragazzo mangia a quel modo, sicuro che me lo prendevo! Spendo una fortuna perfino per far mangiare il mio cavallo. E lui mangia erba!».
Erik rise di gusto, e scosse il capo.
«È stato un piacere vederti».
«Immagino che ci vedremo fra un altro annetto».
Erik rise di nuovo, stavolta con una risata incrinata di malinconia, e scosse il capo piano.
«Ci si rivede, Sparviero».
L’assassino uscì di casa e si diresse alla stalla, dove recuperò il proprio cavallo; andò verso est a piedi, conducendo Inder nella neve alta per qualche ora, e quando fu buio pesto si rifugiò in un boschetto ai lati della strada. Montò su la tenda e accese un fuoco, spazzando via la neve dalla radura con un piede; mangiò un po’ di carne secca, mentre tirava fuori il mantello fatto di oscurità pura che qualcuno di misterioso gli aveva spedito a casa di Erik, e lo esaminò senza ricorrere ad incantesimi: lo tese e lo strattonò, poi lo gettò per terra e mormorò qualche parola per rivelare la magia; improvvisamente il mantello assunse un alone ancor più nero che nella realtà, rivelando la potenza magica di cui era impregnato. Ma ancora nessun indizio sul fatto che fosse maledetto o meno. Lentamente smise di nevicare e si alzò un vento freddo che gli accoltellava il viso; nonostante il rumore delle frasche, Sparviero sentì la neve scricchiolare piano, come sotto i passi di un gatto.
«Dovresti smetterla di seguirmi».
La voce dell’uomo, gelida, percorse la radura immobile nel cuore della notte; non una foglia si mosse, calmatosi il vento, ma il Menide, spazientito, tirò un sasso verso dei cespugli. Un gemito di dolore si levò dalle frasche, e una testa dai capelli scuri e ricci emerse come un animaletto notturno sorpreso da un predatore: gli occhi verdi erano spalancati, e il viso colmo di lentiggini era congelato in un’espressione impassibile e quasi fredda, asettica.
«Nearco, giusto?» mormorò l’uomo, mentre il fuoco davanti a lui scoppiettava tranquillo.
Il ragazzino titubò, poi annuì alla domanda dell’assassino.
«Perché mi segui?».
«Voglio venire con te» mormorò Nearco, e sembrava vagamente imbarazzato dal tono di voce; ma la sua espressione non era cambiata in modo particolare, e Sparviero scosse il capo.
«Non sai quel che dici. Ti riporterò da tuo padre domattina».
«No!» protestò il ragazzino, e Sparviero si tolse la kway per mangiare un altro pezzo di carne secca, sospirando.
«Non mi assumo la responsabilità delle tue scelte» rispose semplicemente l’assassino, e Nearco annuì.
«Sono un uomo adulto, posso farcela».
«Sei un ragazzino. Ma va bene così. Prima si inizia meglio è».
 

[1] «Ti prego, finisci le tue verdure».
[2] «Sparviero, ti piace il pesce di lago?».
[3] «Sei un assassino, vero?».
[4] «Sì. Come lo hai capito?».
   
 
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