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Autore: Sabriel Schermann    29/08/2020    9 recensioni
Scorsi qualcosa vorticare come un fiocco di neve in una tempesta; a ogni passo le sue forme divenivano più definite, fino a che non individuai chiaramente l'espressione dipinta sul suo viso, come se, finalmente, avesse ritrovato la strada verso casa.
Era una delle mie creature, senz'altro la più graziosa: scivolava agilmente sul ghiaccio, quella piccola bambina che avevo inconsapevolmente messo al mondo; talvolta cadeva, ma pareva rialzarsi con la stessa determinazione di una leonessa cacciata da un branco nemico.
Le nostre strade si erano finalmente congiunte; tuttavia, in quell'istante non realizzai che la vita, in un eccesso di gentilezza, doveva avermi appena fatto un regalo.
[Storia classificata al primo posto al contest "Immergersi nell’immaginazione" indetto da Artnifa sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La Casa di Cristallo'
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Come acqua in una cascata

 

 

 

 

 

 

 

 

I veri scrittori incontrano i loro personaggi
solo dopo averli creati.


(Elias Canetti)

 

 

 

 

 

 

Mi svegliai all'alba quella mattina, pur sapendo di non avere nulla d'importante da fare.
D'istinto mi infilai il miglior vestito e uscii, lasciando che una fila di biciclette colorate mi sfilasse accanto scompigliando le ciocche di capelli che l'elastico non riusciva a trattenere.
C'era qualcosa nell'aria, nel modo in cui il vento muoveva le foglie, che mi rendeva estremamente felice, come se quel giorno potesse divenire d'improvviso memorabile.
Il sole battente m'impediva di scorgere bene le insegne dei locali e i volti della gente, spingendomi a fermarmi in un punto imprecisato della strada in cerca della giusta via da percorrere.
In verità, non avevo un reale obiettivo: mi piaceva addentrarmi semplicemente per la città, costeggiando i canali e divertendomi ad osservare l'umanità impegnata nelle prime attività quotidiane.
Ora che ci rifletto, dev'essere stato proprio in quel momento che lo notai per la prima volta, dal lato opposto di un'anonima strada del centro: alcuni alberi cercavano di celarne la struttura ormai antiquata, ma l'imponenza ne lasciava presagire l'importanza.
M'intrufolai all'interno, scoprendone l'immensità, fino a quando l'istinto non mi fece fermare davanti a una sala dalle enormi porte. Qualsiasi cosa ci fosse al di là, doveva essere estremamente chiaro e luminoso, di una luce nivea e pura come quella della luna: fu proprio questo a spingermi a proseguire, puntando lo sguardo sulla distesa ghiacciata che si stagliava sotto di me.
Scorsi qualcosa vorticare come un fiocco di neve in una tempesta; a ogni passo le sue forme divenivano più definite, fino a che non individuai chiaramente l'espressione dipinta sul suo viso, come se, finalmente, avesse ritrovato la strada verso casa.
Era una delle mie creature, senz'altro la più graziosa: indossava un delizioso vestitino celeste che ben si addiceva alla carnagione color caramello; delle scarpe dalla strana forma le adornavano i piedini.
Scivolava agilmente sul ghiaccio, quella piccola bambina che avevo inconsapevolmente messo al mondo; talvolta cadeva, ma pareva rialzarsi con la stessa determinazione di una leonessa cacciata da un branco nemico.
Non appena i nostri sguardi si incrociarono, un ampio sorriso mi comparve istintivamente sulle labbra, seguito dal suo: doveva avermi senz'altro riconosciuto.
Le nostre strade si erano finalmente congiunte; tuttavia, in quell'istante non realizzai che la vita, in un eccesso di gentilezza, doveva avermi appena fatto un regalo.
Mi accovacciai sugli spalti come sugli specchi, timorosa di spezzare l'atmosfera magica che il ghiaccio, insieme al talento, mi stava offrendo.
Guardai nuovamente sotto di me e mi accorsi che la luce che avevo notato era sparita, lasciando dietro di sé solamente la scia di una cometa, fino a quando non sentii qualcosa sfiorarmi un polso.
In un istante, il mondo intorno a me si dissolse, la pista da ghiaccio divenne grigia e vuota e io avevo occhi solo per lei.
Mi accorsi che non avevo notato il cerchietto che le adornava la chioma, presa com'ero dalla sua bellezza; le incorniciava il volto in modo incantevole.
Quante altre caratteristiche non avevo notato di lei in tutto questo tempo?
Era cresciuta, la mia bambina, e se la memoria non m'ingannava, mancava poco al suo decimo compleanno.
Rimanemmo ad ammirarci in silenzio, lei coi suoi occhietti allungati e curiosi mi fissava con allegria, come se avesse appena ritrovato un giocattolo che aveva perduto da tempo.
Io, dal canto mio, la guardavo come si osserva un'eclissi di sole o di luna, tanto rara quanto magnifica: aspettavo fosse lei a rivolgermi la parola per prima, forse perché temevo di deluderla, goffa com'ero; il mio più profondo desiderio era solamente lasciarle un bel ricordo.
«Sabriel» la sentii sussurrare, con la vocina soave che mio malgrado le avevo donato. «Sei tu?»
Com'era dolce la mia piccola Sindy quando inclinava il capo in quell'adorabile smorfia di timidezza!
«Sono io, bambina mia» mormorai con un sorriso, e la mia voce uscì quasi strozzata, tanta era l'emozione.
Avrei potuto stringerla tra le braccia per sempre, per proteggerla da tutto ciò che, sapevo, le sarebbe accaduto in futuro.
Le sue piccole labbra si aprirono in un sorriso e io decisi di prendermi del tempo per osservarla meglio, in tutta la sua genuina bellezza.
Un moto di orgoglio mi gonfiò il petto: la chioma scura e lucida che le avevo regalato brillava alla luce artificiale; qualche ciocca selvaggia le solleticava gli angoli del viso.
Avrei voluto dirle che l'amavo profondamente, ma sapevo che, in tutta probabilità, avrebbe storto il naso a quelle eccessive dimostrazioni d'affetto, abituata com'era all'infanzia di privazioni a cui l'avevo costretta.
«Sei soffice come un fiocco di neve» sussurrai stringendo la sua mano tra le mie, e tanto bastò perché le parole s'impadronissero delle mie labbra. «E rimarrai la cosa più bella tra tutte le cose belle a cui non ho saputo dare spiegazione...¹»
Sentivo le lacrime pungermi gli occhi e credo che anche lei l'avesse capito: c'è forse una parola, nelle lingue del mondo, per descrivere un amore sconfinato come quello che provavo nel cuore?
Una voce, però, ruppe la magia e il mondo tornò a colori, catapultandoci nella realtà: sbirciai dalla platea e notai un uomo intento ad attirare l'attenzione.
«Sindy, ma dove sei andata? Scendi giù!»
Abbassai il capo in segno di comprensione. Era lui, l'uomo gentile che si prendeva cura di Sin: le loro strade si erano incrociate qualche tempo prima, ma nessuno dei due poteva immaginare che non si sarebbero più divise.
La vidi agitarsi accanto a me, consapevole di essersi messa nei guai. Sorrisi: la mia piccola Sindy sarebbe sempre stata un'inguaribile ribelle.
«Devo andare» l'udii pigolare, «Jan mi sta cercando!»
Ed eccola, dipinta nelle iridi, disegnata sulle increspature delle labbra, quella purezza su cui mi ero ritrovata a riflettere infinite volte.
Forse ero stata troppo severa con lei, forse non meritava un passato così disastroso.
Eppure, sul suo viso non c'era traccia di disperazione: al contrario, percepivo la vita scorrere nelle arterie come acqua in una cascata. Voleva vivere, quella piccola anima nata dal nulla, e non ci sarebbe stata disgrazia che l'avrebbe fatta desistere un solo istante.
La vidi allontanarsi, ma non la imitai. Tuttavia, non potei trattenermi dall'impulso di sfiorarle un braccio, in un insolito commiato che avrei per sempre rivolto solamente a lei.
«Tu sei la mia opera d'arte, Sindy» mi lascia sfuggire.
Non mi guardò, ma ero sicura mi avesse udito. Un'ombra annebbiò la luce e io compresi che era tempo di separarmi dalla mia creatura.
Ci rivedremo in un altro sogno, mia dolce bambina, sussurrai, ma ormai nessuno poteva più sentirmi.
Mi alzai stringendomi le dita e, per un attimo, smisi di respirare. Quanto avrei desiderato rimanere lì ancora per un po', a godermi il suo dolce profumo di bambina buona, di pattinatrice promettente.
«A presto, Sabriel» feci in tempo a udire prima di scomparire tra la luce del giorno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

¹ Citazione di Charles Bukowski.

 

 

 

 

 

 

Brevi note riguardo al testo: nella trama generale di questa serie, Sindy è una pattinatrice (anche se qui è ancora bambina) e Sabriel è una figura da lei inventata, ossia la fatina protettrice delle pattinatrici.
Ovviamente Sabriel è anche il mio pseudonimo. Dunque, a voi le conclusioni.

   
 
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