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Autore: Ariadne Oliver    17/08/2009    2 recensioni
Un adolescente può essere silenzioso come la luna, se confinato nello spazio ristretto di una gabbia di artigli. Può essere ghermito da un Diavolo tentatore, se il futuro che gli si prospetta è stato deciso senza il suo consenso. Oppure può tracciarsi la sua strada da solo, ampia come un viale della Parigi notturna. Un racconto in sei parti sul divenire adulti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riassunto: Wang ha quindici anni ed è nato a Roma, ha sempre vissuto in questa città e con lei ha un rapporto profondo, nonostante la famiglia sia di origine cinese. La madre, scrittrice di fama internazionale, decide di condurlo con sé a Parigi per ritirare un prestigioso premio letterario. Al ricevimento che segue la cerimonia, il ragazzo incontrerà un Diavolo tentatore che lo aiuterà a prendere coscienza di se stesso. Riuscirà Wang a seguire il suo cammino, o l'ascesa della luna verrà fermata dagli artigli di una Tigre possessiva?

Nota: Questa storia non avrebbe mai visto la luce se una persona molto speciale non mi avesse permesso di utilizzare un suo personaggio, Enack Viljani. Purtroppo per lei, non ho saputo rendergli giustizia, e di questo mi dispiaccio. Buona lettura.


Parigi, città-luogo comune.
Questo hai sempre pensato della capitale francese.
Eppure tanti tuoi amici si sono rifugiati qui per vivere il loro lusso, il loro tedio, per cancellare dalla vista la chiusura e l’arretratezza del vostro paese natale.
In fondo –pensi- i luoghi comuni sono rassicuranti, e c’è chi nel proprio vizio cerca conforto e rassicurazione.
L’Europa è un soffice letto in cui sprofondare, soprattutto quando tuo marito è un brillante diplomatico e tu una scrittrice di talento in rapida ascesa.
An Sun, nome d’arte semplice con cui mantenere intatta la stabilità di un matrimonio di facciata, non troppo terribile da sopportare.
Ho è un buon marito, hai il sospetto che abbia accettato di sposarti per salvarti e permetterti di fare l’uccello selvatico che sai di essere fin dalla nascita.
Sei sicura che ti ami molto più di quanto ammetterà mai.
Si accontenta di poco e quel poco è il poter vegliare silenziosamente sulla libertà che il suo animo non riuscirà mai a vivere appieno.
Certe persone non sono fatte per essere fino in fondo se stesse, e Ho è una di queste.
Ma, in fondo, un’ampia voliera è sempre meglio di una piccola gabbia.
Meglio lui e l’Europa che un marito bifolco e la Cina.
La Fortuna ti aveva assistito benedicendo la tua scelta e regalandoti, dopo appena un anno di nozze, un figlio maschio che avevi chiamato Wang.
Un bambino della luna, silenzioso e attento.
Molti vedevano in lui un ritratto perfetto di Ho, pronosticandogli una carriera ugualmente brillante ed un matrimonio altrettanto fortunato.
Hai sempre sorriso sarcastica di fronte a certe scempiaggini, cercando lo sguardo complice di tuo marito ogni volta che qualcuno osava pronunciarle.
Perché lui sapeva almeno quanto te che Wang era uno spirito libero, nel profondo.
L’hai notato spesso fissare cupo il viso di vostro figlio, così distante da tutto quando si immergeva nelle sue riflessioni, così capace di creare percorsi mentali propri di fronte ad un’opera d’arte o ad un’esecuzione musicale accurata.
Wang parlava pochissimo, alcune malelingue avevano persino sentenziato fosse un po’ tardo, ma tu e tuo marito, al contrario, avete notato subito quanto fosse un osservatore attento ed acuto, capace di dire la frase giusta al momento giusto senza sprechi di parole inutili, restituendo all’udito la purezza di un pensiero appena concepito, non sporcato dal percorso che porta all’emissione dei suoni corrispondenti.
Wang, adesso, è un quindicenne mite e studioso, diligente, leale ed inconsapevole di se stesso.
È questo quello che temi di lui, il grosso limite di chi possiede un dono e quindi lo usa senza rendersi conto di possederlo.
Perché dietro la calma, il controllo di sé, la pacatezza di parola ed azione si celano fascino e carisma.
Wang sapeva attrarre in maniera del tutto inconscia e naturale, imponendosi all’attenzione, più che alla vista di per sé, proprio per la perfezione con cui sapeva calarsi in ogni contesto.
Il bambino in apparenza quasi tardo un giorno sarebbe divenuto un uomo potente nel senso più letterale del termine.
Doveva soltanto prendere coscienza di esserlo, e a quel punto avrebbe potuto fare qualsiasi cosa desiderasse.
E An, con l’intuito che solo una madre protettiva possiede, sapeva che quel qualcosa era scrivere.
Wang aveva il suo stesso talento, lo sentiva.
È vero, mai aveva manifestato apertamente una qualche preferenza per la scrittura, a dire il vero passava più tempo al pianoforte e chiuso nei musei che sui libri e con una penna in mano, ma la sua preferenza per la parola scritta era perfettamente tangibile, una sorta di invisibile ago puntato verso nord di cui l’influsso magnetico riusciva a contaminare gli altri aspetti della sua educazione.
An imputava la colpa di quell’approccio mancato eppure latente alla città che suo figlio aveva scelto come propria, Roma.
La trovava una distrazione fastidiosa, un giocattolo inutile e, a suo modo, volgare, un orso di pezza vecchio e sporco di cui suo figlio avrebbe dovuto imparare a liberarsi.
Ma Wang, col suo fare tipico, l’aveva fatta irrimediabilmente sua, senza rumorosi proclami, sorridendole attraverso i finestrini dell’auto che lo accompagnava alla scuola francese tutte le mattine.
Cercava, quasi inconsciamente, continui pretesti per immergersi nella sua realtà, non ribellandosi apertamente ai filtri impostigli dalla sua condizione di figlio di diplomatico e, quindi, straniero in terra straniera.
Semplicemente, una mattina le aveva rivolto una domanda:

-Mamma, è qui che sono nato, vero?-

Avresti desiderato ribattere che, comunque, era cinese il sangue che gli scorreva nelle vene ma il sorriso che ti rivolse ti costrinse a rispondere un semplice “sì”.
Ormai aveva deciso, è lì che sarebbe rimasto tutta la vita.
Aveva appena cinque anni.
Due anni dopo Ho declinò l’offerta di lasciare l’Italia per ottenere un incarico prestigioso in patria.
Quasi tutti pensarono che il motivo fosse il non volere che il governo di Pechino incarcerasse sua moglie per alcuni libri giudicati “scandalosi”, ma nessuno aveva visto la faccia che aveva fatto quando vide suo figlio sorridere per la risposta di sua madre, due anni prima.
Con la morte nel cuore aveva dovuto accettare che, dopo sua moglie, neanche quella creatura che pure tanto amava gli sarebbe mai appartenuta.
Un figlio della luna libero come il cielo nero nel quale galleggiava.

***

-Mamma, non credo serva tormentarlo ancora, il problema non è certo il papillon.-

An rise sommessamente, e mentre con una mano raddrizzava quell’agglomerato di stoffa ribelle, con l’altra carezzò pigramente la nuca del suo amato figlio.

-E così qualcosa è finalmente riuscito a turbare la tua calma perenne, eh? Sono orgogliosa che sia la vittoria di questo premio piuttosto che qualcos’altro.-
-Mamma, permettimi di farti notare che non hai ancora la certezza di aver vinto questo premio.-

Perfino nei rimproveri non sapeva essere cinico.
Tuttavia, le parole di Wang erano state ferme.
L’Uomo Potente stava cominciando a rompere il guscio dell’adolescente mite, An lo sentiva scalpitare sempre più spesso, temendolo, in parte.

-Un bravo scrittore è sempre certo di quello che ha scritto, e io ho scritto quello che questa gente voleva sentirsi dire da qualcuno che non fosse lei.-
-Ti invidio questa tua sicurezza, te l’ho mai detto? Io a volte temo che non riuscirò ad andare oltre il mio naso.-

A quelle parole An aggrottò la fronte, stringendo con le unghie laccate la giacca dello smoking del figlio.
Mai e poi mai l’incertezza avrebbe dovuto frenare il suo sviluppo, non c’era motivo per cui da monito dovesse trasformarsi in ostacolo.

-Ascoltami bene, Wang. Tu non devi pensare di dover vivere la tua vita all’ombra di quel che siamo io e tuo padre, ma alla luce di quello che senti di dover diventare. Il talento è semplicemente questo.-
-Ma se facessi così, papà … -
-Tuo padre non può avere il diritto di influenzare scelte che coinvolgeranno la tua vita quando lui sarà ormai cenere.-

An sembrò allontanare quel pensiero nefasto con un elegante gesto della mano minuta, mano che tornò a posare sulla nuca di suo figlio.

-Tuo padre, e nemmeno io.-

Disse sorridendo dolcemente, come raramente la si vedeva fare.

-Se ti ho voluto con me a Parigi strappandoti, per una volta, alla tua amata Roma per farti assistere a questa cerimonia è perché voglio che tu veda come si vive un certo tipo di dono.-

-Ma io non so scrivere!-

Wang aveva sgranato gli occhi, stupito, lasciandosi andare ad un’esclamazione improvvisa, comportamento ancora più raro a vedersi.
Il sorriso di An, a quel punto, si fece più largo, rivelando una soddisfazione che stemperava la tenerezza.

-Non è vero che non sai scrivere. Semplicemente, ancora non ne senti l’esigenza.-

Wang parve impressionato e turbato insieme da quelle parole.
Nella sua testa si era convinto che quello che gli dicevano i nonni, ovvero che sarebbe divenuto un diplomatico come suo padre fosse una verità ovvia, l’unica via che sarebbe stato in grado di percorrere.
Sua madre, come sempre, gli aveva fatto vedere le cose da un’altra prospettiva.
Poteva essere altro, ancora non sapeva cosa, esattamente, ma nel profondo era bastata questa prospettiva per rassicurarlo.

-Comincio a scendere a controllare che l’auto sia arrivata. Raggiungimi nella hall, quando sarai pronta.-

An scosse la testa, ridendo.
Rispose un “va bene” distratto, soddisfatta di aver colto una certa luce nello sguardo di suo figlio.
Ora era assolutamente certa che fosse esattamente come lei.
   
 
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