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Autore: QueenOfEvil    05/09/2020    0 recensioni
Prima che Aa perdesse due dei suoi tre occhi. Prima dell'ultimo verobuio. Prima della Profezia.
Mia era senza alcun dubbio "una ragazza con una storia da raccontare".
Ma, vedete, gentili amici, quella definizione poteva benissimo valere anche per i suoi genitori.
"Julius non aveva mai visto qualcuno morire quando, a sei anni non ancora compiuti, Atticus aveva deciso che era il momento per lui di assistere al suo primo venatus magnii. Non conosceva l’odore ferroso del sangue, né il modo in cui la sabbia cambiava colore, mentre dai corpi caduti sbocciavano fiori vermigli. Non conosceva le urla estasiate della folla adorante, né tantomeno quelle agonizzanti degli schiavi che trovavano la morte per l’altrui divertimento.
Dopo averli conosciuti, non era riuscito a dormire per settimane.
La seconda volta, quando di anni ne aveva otto, era andata meglio: si era limitato a rimettere il suo ultimopasto, l’illuminotte seguente.
La terza, l’unica reazione che quello spettacolo gli aveva procurato era stata uno sbadiglio."
Genere: Avventura, Fantasy, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Alinne Corvere, Altri, Julius Scaeva, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Neh diis lus'a, lus diis'a'
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Dicta Ultima





 

La nave scivolava dolcemente sul Mare delle Spade, le acque calme e lo splendore dei tre occhi  del Semprevigile, Saan il Veggente, Shiih il Sorvegliante e Saai il Sapiente, a simboleggiare la benevolenza del Dio e della sua terzogenita sul popolo da loro protetto. Ovunque, sotto e sopracoperta, marinai e semplici passeggeri si muovevano senza riposo da una parte all’altra dell’imbarcazione: chi per ammainare una vela, chi per controllare sartie e cime, chi semplicemente per osservare la costa che si allontanava e il porto di Elai che diventava nulla di più che un puntino scuro all’orizzonte. Una lieve brezza scompigliava i capelli alle dominae e faceva svolazzare i mantelli degli uomini, non così forte da infastidire, ma abbastanza decisa da rinfrescare i visi accaldati dai soli. 
Ancora qualche cambio e sarebbero approdati al porto di Godsgrave, in territorio itreyano.
Poco mancava, per rendere l’atmosfera perfetta.
Una persona, tra i presenti, avrebbe in particolare concordato riguardo quest’ultima affermazione.
Appoggiato alla balaustra di poppa, schiena inarcata in avanti e occhi spalancati per godere del panorama marino che si distendeva per miglia oltre l’imbarcazione, rispecchiando l’azzurro nel cielo nelle sue acque turchine, il ragazzino tredicenne che la Repubblica di Itreya avrebbe un cambio acclamato come Senatum Populiis e insignito della carica di console per quattro mandati consecutivi aveva in quel momento l’unico obiettivo di godersi il viaggio, in attesa del suo ritorno a casa.
Erano passati due mesi dalla morte di sua zia, due mesi dal cambio in cui il notaio aveva trovato il testamento nello studio della donna -senza neanche mettere piede in biblioteca-, due mesi dal momento in cui l’intera servitù aveva scoperto che, invece della libertà, ad attenderli c’era un nuovo periodo di servizio, presso quello che fino ad allora era stato uno di loro a tutti gli effetti. Erano passati due mesi, ed eppure Julius continuava a ripensare a quella catena di eventi con estrema soddisfazione.
Non essendo ancora maggiorenne, teoricamente il passaggio di eredità sarebbe avvenuto solo una volta che suo padre avesse firmato alcune carte -nulla di più che cavilli legali di scarsa rilevanza, a cui neanche il notaio stesso sembrava aver dato molto peso-, ma in pratica Julius era diventato subito e a tutti gli effetti proprietario della villa e dei suoi interni, di alcuni possedimenti che Hëloise aveva fuori dalla città e di una parte cospicua del suo patrimonio liquido. La Chiesa, soddisfatta della sua parte, non aveva fatto domande.
Ci era voluto del tempo per organizzare la sua partenza, per catalogare oggetti e mobili presenti nella casa e anche per acquisire un discreto controllo sulla servitù, ancora troppo propensa a considerarlo solo un ragazzino con il moccio al naso. Le vecchie abitudini erano però dure a morire, e Julius aveva riindossato i suoi panni di midollano con la stessa facilità con cui si sarebbe infilato un paio di guanti, trovandoli più calzanti, più appropriati, di quando gli erano stati sottratti: poter rimettere distanza tra lui e gli altri schiavi, sfoggiare la sua guancia liscia senza timore che il suo status dovesse cambiare, lo aveva riempito di una superiorità fredda e calma che gli era valsa in fretta una recalcitrante obbedienza. Non si era adoperato per vincere la loro fedeltà perché non aveva nessuna intenzione di tenerli al suo servizio -lo avevano visto pulire pavimenti, lavare finestre e indossare stracci impolverati: prima le loro strade si fossero separate, meglio sarebbe stato-: aveva già trattato per il loro prezzo, mettendosi in contatto attraverso una terza parte con un mercante di Elai, e supponeva che in quel momento tutti loro stessero venendo rivenduti al miglior offerente, in qualche parte della città. Aveva dovuto cederli ad un prezzo inferiore a quello che probabilmente valevano, ma era stato l’unico modo in cui aveva potuto convincere l’acquirente ad accettare la sua proposta, non essendone ancora il proprietario legale.
E a lui servivano tutti i soldi su cui potesse mettere le mani.
La richiesta di Lucius di liberarli gli era parsa fin da subito ridicola: nessuno di loro avrebbe mai ricambiato il favore, se si fosse dimostrato magnanimo, nessuno di loro sarebbe stato moralmente superiore, quindi perché doveva esserlo lui? Si era fidato, un’illuminotte di alcuni mesi prima, di un’unica persona e aveva quasi pagato il proprio errore con la vita. Le sciocchezze sentimentali funzionavano nei libri di storie per bambini, oppure nella testa di un ragazzino di tredici anni che ancora si raffigurava suo padre come un paladino senza macchia, ma non certo nella vita reale.
Lucius aveva continuato a ricordarglielo nelle settimane che erano seguite, aspettando la lettera di sua madre prima, e accettando di rimanere con Julius fino alla sua partenza poi, sia per aiutarlo che per farsi dare un passaggio sulla nave da lui scelta per il viaggio: lo aveva esasperato a tal punto da costringerlo a mentire una volta di più, dicendogli che solo suo padre si sarebbe potuto occupare di quell’affare poiché ancora parecchi anni mancavano alla sua maggiore età. La facilità con cui Lucius gli aveva creduto -e continuava a credergli, anche lì, sull’imbarcazione che li stava traghettando da Elai a Godsgrave- gli aveva ricordato la placida fiducia con cui si era prestato alle macchinazioni paterne e lo aveva tranquillizzato ed irritato al tempo stesso: la malizia era una dote importante da possedere, nel mondo in cui vivevano, ed eppure Lucius ne sembrava completamente sprovvisto. 
Certo, non era, quella, una conversazione che avrebbe potuto avere a quattr’occhi con lui, né ora né mai, ma il pensiero non lo turbava più di tanto: Lucius era stato il primo a mettere dei confini alla loro amicizia quando nelle ultime settimane gli aveva fatto capire, con un comportamento silenzioso ma eloquente, che avrebbe preferito non avere più a che fare con Sussurro, né il resto della sua natura di tenebris. Dopo quanto passato -dopo il ruolo indirettamente giocato da Sussurro nella morte del padre-, Julius non ne era rimasto sorpreso e anzi, riflettendo sulla cosa, era arrivato a concludere che fosse un bene: quell’implicita richiesta di silenzio lo liberava da qualsiasi obbligo di sincerità nei suoi confronti. C’erano cose che Lucius preferiva non sapere e cose che Julius preferiva che lui non sapesse: gli sembrava un accordo equo, che tra le altre cose metteva anche in chiaro il tipo di rapporti che lo avrebbero legato alle sue conoscenze future e i punti ciechi che essi avrebbero immancabilmente avuto. Anche se gli fosse dispiaciuto, e questo non era assolutamente il caso, non c’era molto che potesse fare: meglio abituarsi in fretta, risparmiandosi delusioni.
E poi, aveva già un confidente.
Sentì una brezza invisibile dietro il collo, mentre Sussurro gli sibilava, non visto e non udito da nessuno tranne che da lui: “… Credi che ci sarà qualcuno ad aspettarti, al molo…?
Julius scrollò le spalle: “Forse. O forse no. Non ho più notizie della mia matrigna da quando le ho spedito quella lettera, due settimane fa, appena prima di imbarcarci,” Sorrise “Mi sarebbe piaciuto vedere la sua faccia, però, quando ha rotto il sigillo e si è trovata di fronte la mia calligrafia: scommetto che non se l’aspettava” Aveva scritto alla moglie di suo padre per pura ripicca, sotto la pretesa di volerle, invece, comunicare la buona novella, gustando sulla punta della lingua ogni parola scritta, ogni linea tracciata sulla carta dall’inchiostro. Solo con molto sforzo aveva evitato di farle presente anche l’offerta da lei fatta ad Hëloise, mesi prima: l’autocompiacimento l’aveva già messo nei guai una volta e non desiderava ripetere esperienze simili. 
… Immagino sarà sorpresa di rivederti così… ti troverà molto cambiato…
“Ma io sono cambiato,” replicò Julius spostando lo sguardo dal mare alle proprie mani, fino a poche settimane prima coperte di calli e ora finemente curate: quella di dare una sistemata al suo aspetto era stata una delle prime sue decisioni, non appena aveva avuto accesso al patrimonio della zia. Indulgendo in quell’attività più di quanto non avesse mai fatto nei suoi primi tredici anni di vita -e con la profonda convinzione di esserselo meritato, dopo i servigi che aveva reso alla propria familia-, aveva fatto chiamare un sarto, un parrucchiere e un calzolaio perché lo ripulissero dalla polvere e dall’indigenza e gli ridessero un aspetto decoroso. Quando si era guardato allo specchio per la prima volta, con addosso degli abiti di ottima fattura, delle scarpe morbide ai piedi e un taglio di capelli corto e ordinato, aveva quasi stentato a riconoscersi.
Ma quello che aveva visto gli era piaciuto più di quanto si fosse aspettato. Molto di più. 
Quella stessa illuminotte, mentre la servitù e Lucius dormivano nei loro letti, Julius -che ormai alloggiava in una camera fresca ed ombreggiata, con un vero materasso e delle vere coperte- aveva portato la borsa con cui era arrivato ad Elai e i suoi abiti da servitore in cantina, nello stesso luogo in cui qualcuno era morto e qualcun altro ne aveva lavato il sangue, ammassandoli l’una sugli altri. Infine, con nulla di più che un’occhiata sprezzante, aveva dato loro fuoco.
Li aveva osservati bruciare, le fiamme rosse che si riflettevano nei suoi occhi neri, fino a che nulla era rimasto tranne che un mucchietto di cenere, e poi era tornato nella sua stanza, mentre un enorme peso si sollevava finalmente finalmente dalle sue spalle. 
Si era sentito vuoto, nelle ore seguenti. 
Leggero.
… Tra quanto arriveremo…?
“Ancora qualche cambio di pazienza,” rispose, quasi senza emettere un suono “mi sembra di capire, però, che sei piuttosto impaziente di vedere la città”
… Non so se dipenda dai tuoi racconti o meno, ma sento una certa… attrazione nei suoi confronti, sì…
“Beh, avrai tutto il tempo per conoscerla a fondo, perché né tu né io la lasceremo per molto tempo. Abbiamo molto da fare, là”
La mano destra andò al centro del petto, delineando con la punta delle dita i tre cerchi dorati della Trinità, che ancora portava al collo. Aveva deciso di non separarsene, di non riporla in un cassetto della villa ed abbandonarla al suo destino, sia come promemoria di quello che era stato -di ciò che significava essere un tenebris in una Repubblica governata tanto dalla politica quanto dalla religione. Del pericolo che correva e avrebbe corso sempre. Della barriera che lo separava dagli altri cittadini di Itreya- sia di quello che ancora doveva accadere: se era riuscito a parzialmente resistere al potere del Semprevigile, c’era la possibilità che, con il tempo, sarebbe riuscito a tollerarlo ancora meglio. Che avrebbe potuto camminare, parlare, muoversi sotto lo sguardo inferocito e impotente di un dio. 
L’allenamento avrebbe dato i suoi frutti.
Non sapeva il perché dei suoi poteri, perché le ombre lo chiamassero e si sentissero a sua volta attratte da lui -tra i libri di sua zia, che aveva sfogliato in quelle ultime otto settimane, non aveva trovato nulla che potesse aiutarlo. Francamente si sarebbe più stupito del contrario- ed era arrivato alla conclusione che ulteriori ricerche sarebbero state solo una perdita di tempo. Le incognite lo infastidivano, punti ciechi in una visione altrimenti limpida, e se avesse trovato delle risposte lungo la sua strada esse sarebbero state bene accette, ma non le avrebbe inseguite, a costo della sua stessa sanità mentale: né ad Aa, che pure lo odiava per partito preso, né a Niah, a cui stando alle leggende doveva la sua natura, importava nulla di lui, o degli altri umani che li veneravano. Le divinità erano inclementi, capricciose e crudeli esattamente come gli esseri umani, ed implorare per la loro compassione, o per delle risposte a domande di cui erano loro stessi la causa, era patetico: il minimo che potesse fare, per ricambiare il favore, era ripagarle con il medesimo disprezzo. La medesima indifferenza.
Inoltre, particolare niente affatto secondario, aveva degli obiettivi più importanti a cui pensare.
Ad essere sincero con se stesso, avrebbe potuto ridurre la sua permanenza ad Elai di almeno due settimane. Anche di più, se si fosse affrettato. Avrebbe potuto imbarcarsi sulla prima nave diretta a Godsgrave, pagare i debiti e liberare Atticus dalla sua prigione. Tornare alla normalità.
Invece, aveva indugiato.
Non era stata una decisione presa per via di una presunta rabbia nutrita contro suo padre: riconosceva che gli aveva fatto un servigio, seppur involontario, mandandolo da sua zia, e gli sembrava futile portare rancore per qualcosa che si era risolto a suo vantaggio. Lo avrebbe tirato fuori dalla Pietra -era suo figlio, non avrebbe mai potuto lasciarlo lì-, ma il pensiero, non più pressante, ora che aveva la certezza di poterlo fare, aveva smesso di tormentarlo, rimpiazzato da un altro interrogativo più incerto. Una domanda che lo aveva bloccato sul posto, in un limbo statico da cui aveva faticato ad uscire e che gli aveva reso impossibile tornare a Godsgrave.
E dopo?
Cosa avrebbe fatto dopo?
Aveva camminato per le strade della città misurando i suoi passi, immerso la folla che lo spintonava, sommergeva, soffocava, ognuno dei suoi componenti troppo preso dai propri affari per badare a lui, e aveva osservato i lineamenti dei passanti, macchie sfocate su una tela in continuo mutamento, quasi col timore che il loro anonimato potesse contagiarlo. Un cambio, si era addirittura avventurato nelle vie già percorse con Lucius ed Alinne -Dov’era, lei, adesso? Cosa stava facendo? Aveva provato a cancellare quelle domande dalla sua testa, senza riuscirci del tutto-, ritrovando la locanda in cui Anthlem lo aveva tenuto prigioniero: una parte di lui si era chiesta cosa avesse fatto Evenit, per quanto avesse aspettato il ritorno di suo padre, che ne fosse stato di lei, ed era stato seguendo quei pensieri che era quasi entrato nel locale, diretto al piano superiore. Si era fermato appena in tempo: qualunque fosse stato il destino di quella bambina, non era affar suo. Non doveva importargli. Ma era rimasto comunque per quasi un’ora sotto quelle finestre, senza riuscire a muoversi: aveva accolto l’inutilità di quel suo gesto con sollievo e delusione assieme.
E poi, aveva riflettuto. Durante quelle sessanta illuminotti passate nella villa, mentre Shiih si alzava nel cielo e il verobuio si avvicinava sempre di più, aveva pensato al suo passato, al suo presente e, soprattutto, al suo futuro. A quello che avrebbe voluto fare del suo futuro.
I pensieri che lo avevano già assalito durante il suo breve soggiorno da Distillaluce, quando aveva osservato Shiih sorgere all’orizzonte, erano tornati a fargli visita, assieme alle sale di necrosso degli appartamenti nelle Costole, all’oro, all’argento e alla terra che avrebbe inevitabilmente coperto coloro che vi abitavano, una volta che la morte li avesse reclamati. 
Julius non aveva paura di morire: provare timore gli era impossibile, con Sussurro nella sua ombra, e, anche se così non fosse stato, gli piaceva pensare che quando fosse giunto il suo momento avrebbe affrontato la fine a testa alta. Ma l’idea del suo corpo che marciva, dimenticato ed ignorato fino a diventare polvere, continuava a disgustarlo come quando vi aveva pensato la prima volta, rinchiuso nel pollaio insieme ad Alinne. Aveva visto quanto era facile fare quella fine: era un destino che accomunava ricchi e poveri, uomini liberi e schiavi, niente più che ammassi di carne destinati ad imputridire nel fango o nella terra. Speranza, cautela, fede: nessuna di queste era un antidoto efficace. Al massimo, costituivano un placebo temporaneo.
E quindi?
E quindi, la soluzione era solamente una.
Se sopravvivere non era sufficiente a calmare la fame che continuava a divorarlo, a dargli uno scopo e un obiettivo abbastanza forti da sostenerlo, allora avrebbe fatto di meglio.
Avrebbe prosperato.
Avrebbe inciso il suo nome su Godsgrave, sulla città di ponti ed ossa che per anni aveva chiamato casa, così in profondità che il mondo stesso si sarebbe dovuto riadattare tra le sue mani, plasmato come creta, e che sarebbe stato impossibile cancellarlo, anche anni, decenni, secoli dopo la sua morte. Più di un sovrano. Simile a un dio. A quello stesso dio che lo osservava con odio dal cielo e a cui Julius ormai rispondeva con un sorriso di sfida.
La possibilità di fallimento non lo toccava: qualsiasi ostacolo gli si fosse posto davanti, lo avrebbe superato, abbattuto, esattamente come aveva superato le difficoltà di quei cinque mesi. Con attenzione e dedizione, si sarebbe costruito la sua strada, senza preoccuparsi del prezzo da pagare: le fondamenta su cui Itreya si reggeva erano marce, instabili palafitte che affondavano nel sangue di quanti erano morti per la sua gloria e a causa sua. Nessuno era innocente, nessuno poteva permettersi di esserlo, e tutto il rosso versato sarebbe bastato a tingere di un cremisi intenso il Mare di Spade: le sue stesse mani si erano macchiate, involontariamente prima ed volontariamente dopo, e cercare una redenzione, una penitenza capace di purificarlo, era inutile, oltre che rischioso. 
No, per quello che aveva in mente sarebbe stato necessario andare fino in fondo. 
E fino in fondo sarebbe andato.
“Ci aspettano grandi cose,” disse, socchiudendo gli occhi e lasciando che il vento lo rinfrescasse, scompigliandogli i capelli: “E un lungo cammino”
… E lo percorreremo insieme, Julius…” rispose l’ombravipera “… Fino alla fine, solo noi due… 
Al sentire quelle parole, sorrise: Sussurro aveva ragione.
Quello era l’inizio della sua storia e solo lui avrebbe potuto scriverla, modellarla e darle la giusta forma. Perché, alla resa dei conti, ciò che più contava era la volontà. La volontà di compiere ciò che gli altri non volevano fare.
E Julius Scaeva possedeva quella volontà.


.


.


.


E dunque?

Cosa successe dopo?

Quali avvenimenti ancora ci separano dall’inizio che voi tutti conoscete?

Che ne fu di Lucius, di Jonnen, di coloro che il racconto del Corvo ha escluso dalla sua trama?

Quale fu il loro destino?

Vi avevo promesso sangue, gentili amici, e sangue vi è stato dato.

Vi avevo promesso pugnalate alla schiena, e ne avete avuto un assaggio.

Vi avevo promesso politica, ed intrighi, e di questo le precedenti pagine sono state carenti.

Ma un solo libro è stato scritto.

Due ancora mancano all’appello.

Perciò portate pazienza, gentili amici, perché queste righe non segnano una fine.

La narrazione, quella vera, è appena cominciata.

















 

Ehilà...
Mi fa un po' effetto -leggi: molto effetto- mettere la parola a fine a quest'avventura. Quando ho iniziato a scriverla (il 26 Ottobre dell'anno scorso, pensate un po'!) avevo idee molto vaghe di dove io volessi andare a parare ed ero abbastanza convinta che questo sarebbe stato un altro dei tanti progetti approcciati con entusiasmo e poi abbandonati incompiuti, magari dopo aver scritto 30mila parole. Invece, complice forse anche il lockdown e il mio bisogno di sfogarmi su qualcosa che mi facesse dimenticare di essere chiusa in casa, sono andata avanti e ho programmato l'intera cosa che adesso è, come potete vedere, finita qui davanti a voi. Era da tanto tempo -un anno e mezzo in realtà- che praticamente non scrivevo e pur con tutte le mie critiche alla trilogia (che di certo conoscete, se avete dato un'occhiata alla mia pagina Tumblr lol) devo ringraziare di cuore Kristoff perché ha saputo strapparmi da un eterno blocco per lo scrittore e ricordarmi quanto amo sviluppare personaggi ed inventare storie: il mio interesse per Scaeva è iniziato con una decisione impulsiva -quella di scrivere qualcosa su di lui e sul suo passato-, ma ormai lui -e in misura leggermente minore anche gli altri di cui ho narrato, in particolar modo Alinne- mi sono entrati sotto pelle ed era passato molto tempo dall'ultima volta in cui avevo sentito tanta affinità con un personaggio non creato da me. So che questo deve molto al fatto che di lui si sappia poco e che questa sia meramente la mia interpretazione della vicenda, ma mi sono comunque affezionata moltissimo. 
Ci sono delle revisioni che andrebbero fatte -qualche imprecisione nel canon di cui mi sono accorta rileggendo i libri in quest'ultimo mese-, ma non me la sento di rimetterci le mani adesso, soprattutto perché sto già lavorando sulla seconda parte: tra poco però inizierà nuovamente l'università -secondo anno, yay- il che vuol dire che non so con quanta regolarità potrò scrivere. Per questo motivo, per rimanere comunque regolare negli aggiornamenti, malgrado io sia già a metà della scrittura del terzo capitolo e abbia pianificato metà della seconda parte, non pubblicherò nulla fino a domenica 4 Ottobre quando farò uscire l'inizio della seconda parte con il titolo di 'sempre giorno segue notte': sarà, questo, un viaggio molto più complesso del precedente, e infatti il mio progetto si aggira sui cinquanta capitoli, complice non solo il carattere politico che la storia assumerà per forza di cose, ma anche il fatto che i personaggi -Alinne, Scaeva, Lucius e tutti gli altri- sono giovani adulti ed adulti e quindi avranno relazioni più... complesse tra di loro. Anche il tono sarà un po' più dark, ma cercherò di rimanere sul rating arancione per dare la possibilità di lettura anche a chi non ha un profilo su EFP (potrei pubblicare qualcosa a parte, però). Come avete inoltre sicuramente notato, questo capitolo chiude un po' il cerchio con il primo (le prime righe sono praticamente le stesse, con pochissimo di diverso): è una scelta non casuale, che si ripeterà anche nelle prossime due parti. Non vi faccio troppe anticipazioni in proposito, ma, se tutto andrà come deve andare, la seconda parte inizierà e si concluderà con un verobuio, mentre la terza inizierà e si concluderà con un temporale ;) 
Ringrazio come sempre di cuore chi legge e soprattutto chi è riuscito ad arrivare fino in fondo! Se tra di voi c'è qualcuno disposto a lasciarmi un commento, se non altro per dirmi cosa ne pensa dei personaggi e della trama, lo apprezzerei tantissimo, perché scrivere senza un riscontro è difficile e non so mai quanto quello che butto su pagina valga la pena di essere letto.
In ogni caso, ancora una volta grazie (anche chi ha letto questo sproloquio finale) e spero che vorrete continuare a leggere la seconda parte, quando verrà pubblicata!
A domenica 4 Ottobre!
QueenOfEvil

   
 
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