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Autore: ismile4OneD    05/09/2020    0 recensioni
[dal testo]
«Hey» proferì senza ritegno, facendomi voltare nella sua direzione con la consapevolezza che non si stesse riferendo a me. Fu quando incontrai i suoi occhi verdi, che mi stavano squadrando con interesse, che trasalì. Più avanti sarebbe stata proprio quella sfacciataggine, quel suo “arrivare subito al dunque”, che mi avrebbe fatto perdere completamente la testa.
«Non sei di questi parti, dico bene?» continuò lui, sfoggiando un tono di voce rauco inarcato da un accento inglese che avevo riconosciuto all’istante. Era il primo compatriota che avevo avuto modo d’incontrare da quando mi trovavo in Francia, nonché la prima persona che si era rivolta a me parlando la mia lingua. Quest’ultimo dettaglio mi sorprese piacevolmente.
«Ehm, no, infatti» mi limitati a dire, decisamente a disagio, non riuscendo a capire cosa quel tizio volesse da me. «Da cosa l’hai capito?»
«Perché un parigino che si rispetti, sopratutto se di bell’aspetto come te, non andrebbe mai a bere da solo» controbatté lui, con gli occhi verdi illuminati e le guance – incanalate in due splendide fossette – imporporate da un rosso vivace. «Comunque, io sono Harry» si presentò, come se me ne potesse importare qualcosa.
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The French Kiss


 

Quella sera d’inizio Settembre ero seduto stancamente sul mio letto, con la schiena poggiata comodamente su una pila di cuscini e i pollici a scorrere tra le immagini della mia galleria fotografica, mentre la luce soffusa emanata dallo schermo del cellulare mi illuminava il volto corrucciato in un’espressione afflitta. Stavo fumando una sigaretta, l’ennesima di quella lunga ed estenuante giornata, noncurante della ramanzina che avrebbe fatto mia madre se mi avesse scoperto, mentre le immagini legate all’estate appena trascorsa mi facevano provare uno strano formicolio allo stomaco.

Era passata qualche ora da quando mia madre era venuta a prendermi all'aeroporto, e per tutto quel tempo non mi ero preso nemmeno la briga di disfare i bagagli, né tanto meno di intavolare una discussione con qualche membro della mia famiglia; appena varcata la soglia di casa mi ero fiondato come un petardo in camera mia, liquidando la questione con la scusa di volermi distendere per un po’.

Se avessi aperto l’enorme borsone che giaceva ai miei piedi avrei trovato al suo interno un’infinità di piccole cose che mi avrebbero rimandato a quei tre mesi estivi volati fin troppo in fretta, come la bandana con sopra stampata la bandiera americana che mi aveva regalato lui, e a quel punto sarebbe stato peggio; le immagini di noi due erano bastate per farmi rimpiangere di essere tornato, il suo odore sui miei vestiti avrebbe solo reso il tutto più difficile.

Ero talmente disorientato che le quattro pareti che mi circondavano, tappezzate di poster dei Green Day e da mensole colme di fumetti e DVD, non le sentivo neanche più mie: qualsiasi cosa mi sembrava estranea senza lui al mio fianco. Le mi stesse sorelle, che fino a poco tempo prima mi erano mancate come l’aria, in quel preciso momento risultavano ai miei occhi come un lontano di ricordo che avevo archiviato nei meandri della mente. Dopotutto, per tre mesi e novanta due giorni mi ero concesso di mettere ogni cosa da parte; luoghi, persone, responsabilità… mi sarei dovuto aspettare che premere sul pulsante “play” non sarebbe stato affatto facile.

In quel breve lasso di tempo avevo donato a me stesso l’opportunità di essere una persona completamente diversa, anche se per poco, e di provare l’ebrezza della libertà. E c’ero riuscito: Il Louis stressato, quello incastrato in una realtà perfetta fatta di cose perfette, lo stesso che era costretto a mettere lo studio e i risultati prima di ogni cosa, aveva fatto spazio ad un altro lato di se stesso. Ed era quel Louis, quella parte del mio essere, il me stesso più spensierato e felice, che mi sarebbe mancato più di ogni cosa. O almeno, subito dopo un’altra persona.

Perché, come se non bastasse, quell’estate mi ero perdutamente innamorato: nel modo più irrefrenabile e passionale possibile. Avevo provato qualcosa che non si avvicinava nemmeno lontanamente a quello che sentivo per Eleanor, la mia ragazza, e senza la quale stavo iniziando a sentirmi perso.

Harry Styles era il ragazzo più intelligente e brillante che avessi mai conosciuto, talmente sagace da fare invidia a tutti i figli di papà pieni di sé che frequentavano la mia prestigiosa università. L’avevo conosciuto in un pub, in una di quelle rare sere in cui mi ero deciso di lasciare la mia camera d’albergo per girare tra le vie di Parigi, venendo inizialmente colpito dalla sua bellezza; avrei capito soltanto in seguito che la sua personalità andava ben oltre un bel faccino e un fisico da ragazzo copertina.

Fin da subito avevo trovato quel ragazzo eccentrico un po’ particolare, impressione che si accentuò quando – ritto in tutta la sua altezza e con addosso una camicia impuramente scollata – si avvicinò al bancone su cui io ero poggiato. Avevo appena ordinato da bere quando lui prese posto nello sgabello accanto al mio, facendo risuonare i vari anelli che portava alle dita contro la superficie in legno del ripiano.

«Hey» proferì senza ritegno, facendomi voltare nella sua direzione con la consapevolezza che non si stesse riferendo a me. Fu quando incontrai i suoi occhi verdi, che mi stavano squadrando con interesse, che trasalì. Più avanti sarebbe stata proprio quella sfacciataggine, quel suo “arrivare subito al dunque”, che mi avrebbe fatto perdere completamente la testa.

«Non sei di questi parti, dico bene?» continuò lui, sfoggiando un tono di voce rauco inarcato da un accento inglese che avevo riconosciuto all’istante. Era il primo compatriota che avevo avuto modo d’incontrare da quando mi trovavo in Francia, nonché la prima persona che si era rivolta a me parlando la mia lingua. Quest’ultimo dettaglio mi sorprese piacevolmente.

«Ehm, no, infatti» mi limitati a dire, decisamente a disagio, non riuscendo a capire cosa quel tizio volesse da me. «Da cosa l’hai capito?»

«Perché un parigino che si rispetti, sopratutto se di bell’aspetto come te, non andrebbe mai a bere da solo» controbatté lui, con gli occhi verdi illuminati e le guance – incanalate in due splendide fossette – imporporate da un rosso vivace. «Comunque, io sono Harry» si presentò, come se me ne potesse importare qualcosa, allungando una mano nella mia direzione.

Ero talmente confuso da non aver nemmeno afferrato l’allusione al mio aspetto, né tanto meno il fatto che quel ragazzo ci stesse spudoratamente provando con il sottoscritto. Per questo mi limitai a fissare quella mano, disorientato, senza mostrare la benché minima voglia di stringerla. Infatti «Louis» mi limitai a dire, facendo appassire il sorriso sulle sue labbra. Ma nonostante il mio essere indisponente, lui non sembrò buttarsi giù d’animo: ordinò da bere, e riprese a squadrarmi con fare divertito.

«Però, che caratterino» commentò, con fare beffardo. «Il mondo critica tanto i francesi, ma nemmeno noi inglesi scherziamo in fatto di acidità».

Senza nemmeno rendermene conto lo incenerii con lo sguardo, assottigliando gli occhi in un’espressione truce: di solito, quando guardavo qualcuno in quel modo, la persona in questione abbassava il capo. In un certo senso mi piaceva la soggezione che scaturivo negli altri, il fatto che una mia sola occhiata di disapprovazione avesse tutto quel potere. Ma, per mia sorpresa, non accadde lo stesso con quell’eccentrico interlocutore: quest’ultimo mi guardò ammaliato, con un sorriso tanto ampio quanto impertinente a piegargli le labbra carnose. «Ti ha mai detto nessuno che hai dei bellissimi occhi azzurri?» soffiò, sbattendo le folte ciglia e fissandomi con fare incantato.

«E a te ha mai detto nessuno che hai tutta l’aria di essere un gran cafone?» sputai infastidito, nell’esatto momento in cui il barista mi metteva davanti il drink che avevo ordinato. «Importuni sempre così le persone o devo sentirmi fortunato?»

In una normalissimi circostanza, per via della mia indole tranquilla, non avrei mai detto delle parole del genere ad una persona che conoscevo appena; Ma Harry – e l’avrei scoperto molto presto – era una ragazzo che strappava le parole di bocca.

Stavo valutando seriamente l’idea di andarmene, di tornare in albergo e di continuare la stesura del mio romanzo. A dire la verità non volevo nemmeno trovarmi lì, a chilometri da casa mia: erano stati i miei genitori ad insistere affinché partissi, a regalarmi quello stupidissimo viaggio di cui non mi stavo godendo praticamente nulla. Secondo mio padre avevo bisogno di staccare un po’ la spina, cosa assai contraddittoria considerato che gran parte del mio stress quotidiano derivava proprio da lui.

«Solo quelle che m’interessano» ammiccò Harry, in un sorrisetto, facendomi soffocare con il mio stesso drink. Quando quest’ultimo scoppiò a ridere pensai che era stata una pessima idea quella di cercare svago. Decisamente pessima.

Sapevo di essere bello: ero cresciuto con la consapevolezza di suscitare un certo interesse sugli altri, specialmente sui miei coetanei. Non ero particolarmente altezzoso, non mi pavoneggiavo nemmeno più di tanto, ma le attenzioni che le mie compagne di classe mi riversarono al liceo erano bastate per far crescere in me un profondo senso di autostima. Almeno, sul punto di vista estetico. Ma per quanto fossi abituato alle attenzioni femminili, non si poteva dire lo stesso di quelle maschili. Era la prima volta, in vent'anni di vita, che un ragazzo ci stava provando con me. E stranamente… scoppiai a ridere. Risi di pancia, seriamente divertito da tutta quella situazione, facendo illuminare ancora di più il volto già radioso di Harry.

«Fammi indovinare» borbottai ironico, cercando di ricompormi. «Adesso mi dirai che ho una risata angelica o qualcosa del genere?»

Harry si portò un dito sotto al mento, con finta aria interrogativa. «Effettivamente potrei» disse, guardando verso l’alto. «Non lo so, dimmi tu. Basterebbe per permettermi di fare colpo?» e ammiccò di nuovo, sogghignando. Ma nonostante i modi palesemente ironici, allo stesso tempo, lessi molta serietà nei suoi occhi. Occhi che, dovevo ammettere, visti più da vicino trovai bellissimi. Due pozzi verdi che facevano quasi paura.

«Mi dispiace, ma non sono interessato» risposi, schiarendomi la voce. «Ho altri gusti».

In tutta risposta lui alzò un sopracciglio, come se quello che gli avessi appena detto non lo aveva convinto neanche un po’. «È impossibile, il mio gay-radar non si sbaglia mai» disse risoluto, come se fosse davvero certo di quello che stesse dicendo. «E poi uno con un culo come il tuo non può permettersi di essere etero, sarebbe sprecato!»

Diventai rosso come un peperone a quella battuta, ma le sue insinuazioni non mi offesero più di tanto: stavo iniziando a trovare divertente i modi ambigui di quel ragazzo, e poi ero curioso di sapere fino a che punto si sarebbe spinto. Non volevo ammetterlo, ma improvvisamente tutta quella situazione stava iniziando ad intrigarmi. «Quello a cui credi non è un mio problema» avevo controbattuto, alzandomi dallo sgabello e posando una banconota da cinque euro sul bancone. «E con questo, ti saluto».

Lo vidi passarsi una mano tra la folta chioma riccioluta, in difficoltà, probabilmente alla ricerca mentale di qualcosa da poter dire. Infatti «aspetta!» esclamò, non prima di curvare un angolo della bocca nell’ennesimo sorriso di quella serata. «Facciamo un patto, va bene?»

«Assolutamente no» risposi secco, incrociando le braccia al petto. «Che motivo avrei di stipulare una patto con un perfetto sconosciuto?»

«Touché!» ribatté con finto accento francese, alzando un dito verso l’alto. «Hai assolutamente ragione. Siamo dei perfetti sconosciuti, ed è per questo che secondo me dovremmo conoscerci. Che ne pensi?»

«Penso che tu sia tutto pazzo» diedi parola ai miei pensieri, sincero come non lo ero mai stato, ma allo stesso tempo terribilmente divertito.

«E io che tu sia bellissimo» replicò, non dando segni di essersela presa per il mio commento sul suo conto. Anzi, tutt’altro, sembrava ancora più compiaciuto di quanto non lo fosse già. «Ad ognuno i propri meriti».

«Senti, sto iniziando a spazientirmi sul serio adesso. Si può sapere che vuoi?»

«Un po’ di tempo» provò lui in un ultimo, disperato, tentativo. «La serata è giovane, e da come mi è parso di capire non hai granché da fare, giusto? Sediamoci a bere qualcosa insieme, prometto che se a fine serata continuerò a starti poco simpatico ti lascerò in pace».

Inutile dire che, quella compagnia tanto ambigua quanto strana, non durò soltanto un sera… ma bensì un’intera estate. Come fosse successo non sapevo dirlo nemmeno io.

Da una sbronza in uno dei pub più squallidi di tutta Parigi, eravamo passati all’appartamento con vista sulla Tour Eiffel di Harry (che avevo scoperto, con mio grande stupore, essere un noto fotomodello), fino ad arrivare a delle lunghissime passeggiate per le vie commerciali della città fatte fianco a fianco.

Come la nostra amicizia si fosse trasformata in qualcosa di più, invece, era un altro interrogativo al quale non sapevo affatto rispondere. Era successo, nel modo più naturale e spontaneo possibile, senza che io me ne rendessi nemmeno conto; inizialmente avevo provato paura, mi ero sentito come smarrito quando il mio stesso corpo aveva preso a muoversi verso un qualcosa di completamente nuovo e a me estraneo. Prima di conoscere Harry non mi era nemmeno passata per l’anticamera del cervello l’idea di poter essere gay, né che potessi anche solo nutrire una sorta d’inconscia attrazione verso un altro ragazzo, eppure quando successe quello che successe non feci nulla per opporre resistenza. Anzi, se possibile, assecondai quel contatto ancora di più.

Era iniziato da poco luglio, e sia io che Harry eravamo in quello stato avanzato nel nostro rapporto che ci permetteva di poterci definire come ottimi amici, tanto che consideravamo l’uno «l’amico francese» dell’altro, nonostante fossimo entrambi inglesi dalla testa ai piedi; fu uno di quei giorni che, nel bel mezzo di un picnic, accadde l’inevitabile: avevamo da poco finito di mangiare, ed eravamo entrambi distesi sul manto d’erba quando – senza nessun preavviso – lui baciò.

Era stato un bacio alla francese, letteralmente. Ricordo di aver provato uno strano formicolio quando la sua lingua esperta sfiorò la mia, che si trasformò in un lancinante calore al basso ventre nel momento esatto in cui lui entrò completamente dentro la mia bocca. Forse era stato fin troppo intenso e passionale per essere il primo esperimento con un ragazzo, ma allo stesso tempo il miglior bacio di tutta la mia vita; l’odore di dopobarba ad invadermi le narici, e le sue mani ad armeggiare sui miei fianchi sarebbero presto diventati dei particolari di cui non avrei saputo più saputo fare a meno.

Un sorriso tradì la mia malinconia, mentre quei ricordi si dissolvevano come il fumo che usciva dalla mia bocca. Ormai era tutto finito, ero tornato a Londra e alle mia triste vita fatta di regole e schemi ben precisi da seguire. I giorni passati a Parigi con Harry, le passeggiate in bicicletta, i mimi in giro per la città, i bistrot in cui sorseggiavamo i nostri caffè… sembrava quasi un’altra vita, ed invece non erano passate nemmeno poche ore.

 

Spazio autore:

So benissimo che questo piccolo racconto sconclusionato di sei pagine scarse sembra non portare da nessuna parte, ma dovete sapere che in origine non era così corto e le pagine erano circa dieci.

Si, era nato come il primo capitolo di una long, che ho deciso di abbandonare per potermi dedicare ad altri progetti più ambiziosi. Nonostante ciò ho deciso di tagliare le parti che lasciavano aperta la trama, e di pubblicare il tutto sotto forma di one shot.

Prendete il tutto come una sorta di esperimento: ho passato molti anni a scrivere sui miei amati One Direction, ed è nelle mie intenzioni pubblicare qualcosa di molto più serio (una long a capitoli, magari coff coff) ma prima volevo avere un confronto con qualcosa di più “leggero”.

Fatemi sapere cosa ne pensate, 

xoxo. <3

   
 
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