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Autore: Sabriel Schermann    08/09/2020    6 recensioni
Sindy stava attraversando il corridoio quando li scorse, proprio lì nell'angolo vicino al termosifone, a sghignazzare come rapaci infuriati.
Era passato un mese da quando la maestra Sandra l'aveva spostata di banco vicino alla “bambina cieca”, come la chiamava lei, come punizione per non riuscire a socializzare con i compagni; aveva continuamente l'impressione che ridessero di lei, della sua goffaggine e della sua ingenuità di orfana.
Non si accorse che alcuni bambini la stavano osservando da lontano, pronti a mettere in atto il loro piano diabolico.
[Storia classificata al terzo posto al contest "GTO Style" indetto da Laila_Dahl sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La Casa di Cristallo'
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Odio-l-arancione






Odio l'arancione

 

 

 

 

 

 

Sindy stava attraversando il corridoio quando li scorse, proprio lì nell'angolo vicino al termosifone, a sghignazzare come rapaci infuriati.
Era andata a prendere la merenda che Florine le aveva chiesto, mentre lei l'avrebbe aspettata nel loro posto preferito, vicino alle scale dove non passava mai nessuno. Lì potevano conversare indisturbate, godendosi i pochi minuti d'intervallo insieme come fanno gli amici.
Era passato un mese da quando la maestra Sandra l'aveva spostata di banco vicino alla “bambina cieca”, come la chiamava lei, come punizione per non riuscire a socializzare con i compagni.
Ad ogni passo li sentiva ghignare più forte, e aveva continuamente l'impressione che ridessero di lei, della sua goffaggine e della sua ingenuità di orfana. Ciò che la maestra Sandra ignorava era che Sindy non aveva alcun interesse a diventare loro amica: più ci passava del tempo insieme e più si accorgeva solamente di essere in mezzo alle persone sbagliate.
Non aveva niente in comune con i bambini della propria classe: loro sapevano già leggere e scrivere, conoscevano il mondo, capivano le cose più in fretta ed erano più ricettivi. Con lei, invece, la maestra Sandra diceva sempre di dover avere più pazienza, perché lei non era come gli altri bambini, doveva studiare di più e leggere a voce più alta.
Sempre leggere a voce più alta.
Finalmente raggiunse Florine, poggiata al termosifone con lo sguardo fisso davanti a sé. Quel giorno la mamma le aveva fatto una bella treccia che partiva dalla testa, acconciandole i capelli con un nastro color senape che Sindy aveva apprezzato fin da subito.
«Tieni» mormorò infilandole il panino tra le mani, accovacciandosi di fianco a lei sul pavimento.
Erano diventate subito amiche, lei e Florine, in un modo che non sapeva spiegarsi: era stato facile, non come con gli altri bambini; più li osservava, più si convinceva che il proprio posto fosse lì, a osservarli da lontano vicino all'amica.
«Flor?»
La bambina addentava il suo panino ripieno di formaggio con appetito. Lei, invece, preferiva mangiare solamente a casa, perché la scuola raramente le faceva venire fame.
«Perché tu non scrivi con la penna come me?»
Sindy continuava a osservarla mangiare avidamente, tanto che pensò che non avesse fatto colazione quella mattina. Al contrario, lei faceva sempre una colazione abbondante: Jan insisteva perché mangiasse tanto e a lei non dispiaceva, perché c'erano le praline al cioccolato che tanto le piacevano.
«Perché io sono diversa, Sindy» le rispose l'amica, ma lei si era già dimenticata la domanda.
Sì, avrebbe mangiato proprio volentieri una fetta di pane con burro di arachidi e una spolverata di praline al cioccolato!
«Che cosa vuol dire che sei diversa?»
Florine addentò l'ultimo morso del panino, masticando rumorosamente. «Non lo so, ma ho bisogno del punteruolo per scrivere».
Era strano. Non notava nulla di diverso in lei, nemmeno se si sforzava. Ma comunque, poco importava; se era contenta, andava bene anche essere diversi.
Seguì qualche minuto di silenzio in cui gli unici rumori erano quelli che provenivano dalla loro aula, poco distante; la maestra Sandra permetteva ai bambini di uscire nei corridoi durante gli intervalli, a patto di non allontanarsi troppo.
«Flor?»
«Mmh?»
Le piaceva stare con la sua amica Florine, perché si sentiva se stessa senza essere forzata. Parlare e giocare con lei per Sindy era naturale come bere, mangiare e pattinare.
«Ti devo confessare un segreto...»
Anche se non poteva vederla, Florine volse la testa verso la direzione da cui proveniva la voce.
Sono scappata dall'orfanotrofio.
«Odio l'arancione».
Aveva paura a fare una simile confessione: riconosceva l'importanza di quel colore, l'aveva sempre notato ovunque, persino sulle pareti delle aule scolastiche.
«E com'è l'arancione?»
Aveva dimenticato che, per Florine, lo spettro visibile comprendeva solamente il nero.
«Non lo so, ma è brutto!»
Non sapeva bene come descriverlo, sapeva soltanto che le pareti delle aule erano terribili.
«Ti piace la zucca, Flor?»
La vide pensarci su un attimo, smettendo di masticare per qualche istante, per poi fare un cenno di assenso poco convinto.
«Allora penso che l'arancione ti piacerebbe. L'arancione è come la zucca» esclamò convinta, senza accorgersi che alcuni bambini stavano origliando da lontano, pronti a mettere in atto il loro piano diabolico prima che la campanella suonasse.

 

 

 

♪♪♪

 

 

 

Doveva essere mezzogiorno, o forse già le due del pomeriggio quando il cellulare di Jan cominciò a vibrare in una tasca.
Sfortunatamente, era da poco uscito dal palaghiaccio dopo la lezione con i nuovi studenti, in attesa di organizzare le lezioni successive con Evelina, la sua fidata assistente e coreografa.
Un'imprecazione fuoriuscì dalle labbra non appena lesse il nome del mittente sullo schermo, maledicendosi per non essere rimasto in pista – e quindi irreperibile – un poco più a lungo.
«Signor Schermann, purtroppo devo nuovamente convocarla dal preside» pigolò una voce squillante e fastidiosa, che l'uomo aveva imparato a riconoscere fin troppo bene.
Non può interrompermi adesso, semplicemente non può! Se mi dice che devo andare fin lì, ora, per qualche altra stronzata...!
«Che cosa vuol dire?» si lasciò sfuggire dopo una lunga pausa: avrebbe voluto lanciare addosso a quella vecchia insegnante tutti gli insulti che il vocabolario comprendeva, per tutte le volte che gli aveva impedito di lavorare per qualche stupidaggine.
Prima l'aveva convocato perché Sindy disegnava durante le lezioni, poi perché era fuggita in bagno a causa dei palloncini appesi al soffitto, ora per... già, per quale altra idiozia veniva disturbato adesso?
«Vuol dire che deve venire a scuola e portare via la signorina Schermann, perché è stata espulsa!»
Cercò di trattenersi dal mandarla al diavolo, quando Evelina comparve sull'ingresso insieme a qualche genitore.
«Arrivo» grugnì, raccattando tutto l'autocontrollo rimastogli, controllando l'orologio: erano solamente le due e otto minuti del pomeriggio, e la giornata si prospettava ancora molto lunga.
Spiegò brevemente la situazione alla collega, per poi dileguarsi. Ormai poteva immaginare che cosa lo attendeva: avrebbe lasciato l'auto in quel parcheggio costantemente occupato, avrebbe percorso il vialetto pietroso in cui rischiava sempre di inciampare, infine avrebbe salito le scale fino a raggiungere l'ultima porta sulla destra, in cui una donna agguerrita e un uomo annoiato lo avrebbero accolto col calore pari a quello emesso da un termosifone guasto.
Come al solito, durante il percorso i pensieri di Jan si rivolsero solamente a lei e a ciò che potesse aver commesso: aveva adottato Sindy da più di sei mesi ormai e aveva imparato a conoscerla, poco per volta; le aveva spiegato di provare a esprimersi in modo meno impulsivo, dimostrando di essere più civile di chi si prendeva gioco di lei; puntualmente, però, questo discorso pareva entrarle da un orecchio e fuoriuscire da quello opposto.
Quando arrivò, la porta dell'ufficio del preside era chiusa; Jan bussò tre volte, tentando di non farlo con troppa irruenza, in modo da mascherare al meglio la propria inquietudine.
Aveva già cominciato a cercare qualche altra scuola, ma non aveva ancora deciso nulla e l'iscrizione sarebbe stata piuttosto inutile in quel periodo dell'anno: sarebbe bastato resistere ancora poco più di un mese, poi avrebbe potuto iscrivere Sindy in una scuola più adatta al genere di bambina che era: buona, ma terribilmente ribelle.
Una voce non meglio identificata gracchiò dall'altra parte: come aveva immaginato, la maestra se ne stava rigida di fianco all'omone appollaiato sulla poltrona, in faccia dipinta la solita espressione assonnata.
Chissà se ogni tanto riesce anche a lavorare, fra un colpo di sonno e l'altro!, pensò tra sé e sé.
«Dov'è mia figlia?» domandò una volta constatata la sua assenza.
La vecchia insegnante l'osservò inforcandosi gli occhiali sul naso con espressione torva.
«Che cosa è successo?» aggiunse, giusto per provare a uscire vivo da quel colloquio.
Le tende erano tirate e la stanza pareva ancora più grigia e triste di quanto già non fosse. In quell'atmosfera, lo sguardo della maestra gli pareva più inquietante del solito.
«Si sieda, signor Schermann, ne avrà bisogno» l'udì asserire, quasi fosse una voce dall'oltretomba a parlare. La vecchia donna prese posto a sua volta su una sedia accanto al preside, porgendogli un foglio. «Mi rincresce informarla di un fatto terribile, che mai avrei creduto potesse accadere nella mia scuola».
Mio dio, ci risiamo con il sermone, pensò Jan: se la sua anima avesse potuto roteare gli occhi, in quell'occasione lo avrebbe certamente fatto.
«Stamane ho colto sul fatto la signorina Schermann coinvolta in una lite con un compagno» sbraitò la maestra. «Contrariamente alle sue previsioni, ha nuovamente alzato le mani contro una creatura indifesa, il che va a comprovare la mia tesi riguardo la sua indole aggressiva e violenta».
Era bastata una frase all'apparenza innocua per accendere un fuoco dentro l'animo dell'uomo.
Quanto vorrei prenderti a sprangate sui denti, vecchia strega!
Jan s'infilò le dita nei capelli nel disperato tentativo di non esplodere: «Che cosa avrei previsto io?!»
Ma l'insegnante sembrò eludere la domanda, continuando imperterrita il proprio sproloquio: «Purtroppo, pare proprio che la bambina abbia preso di mira questo ragazzino, nonostante abbiamo provato più volte a farli socializzare. Abbiamo addirittura provato a spostarla vicino alla bambina cieca, ma non è servito, per cui ora le chiedo di firmare-»
«La bambina cieca?»
La maestra si sfilò gli occhiali spazientita: «C'è una bambina non vedente nella sua classe che viene aiutata da un insegnante di sostegno» spiegò. «Abbiamo pensato che facendola sedere vicino a lei sarebbe stata più tranquilla, invece non è stato così» terminò, riprendendo a osservarlo da dietro le grandi lenti.
La donna doveva riferirsi a Florine, la nuova compagna di banco che Sindy nominava di tanto in tanto. Tuttavia, non aveva mai menzionato che fosse cieca.
«Signor Schermann, le devo chiedere di firmare questo foglio per-»
«Non firmo niente prima di parlare con mia figlia!»
Il suo udito percepì una campanella suonare in lontananza, ma non ci prestò attenzione. Avrebbe voluto sbraitare a quei due incoscienti che erano dei miserabili, che tutta la scuola lo era, nonostante i disperati tentativi di quel preside inetto di mantenere la facciata che aveva creato.
La maestra Sandra posò i fogli che aveva in mano sulla scrivania, levandosi nuovamente gli occhiali.
«Bene» disse soltanto, prima di fargli un cenno per invitarlo a seguirla. Percorsero insieme un lungo corridoio, oltrepassando la scalinata che l'uomo aveva percorso poco prima, lasciando indietro il preside mezzo assopito sulla poltrona.
«Lei è consapevole, signor Schermann...» azzardò la donna camminando al suo fianco, «...che certi comportamenti non sono ammissibili in un istituto educativo come una scuola e da nessun'altra parte, vero?»
Poi giunsero davanti alla classe ormai vuota, in cui due bambine parlottavano tra loro al primo banco.
«Florine, ti accompagno all'ingresso, la mamma sarà qui a minuti» sorrise la maestra rivolta a una delle ragazzine. Il suo passo era rallentato e la voce aveva assunto un'intonazione stranamente dolce.
Subito, però, l'uomo la fermò: «Vorrei parlare anche con lei, se non le dispiace».
Si osservarono per qualche istante e Jan notò che la luce che filtrava dalle finestre illuminava un piccolo pettine color avorio infilato nella crocca sulla testa della donna.
La vide annuire, per poi recarsi verso la porta e chiudersela alle spalle. Un comportamento decisamente incoerente per una vecchia antipatica del suo calibro.
«Ti ha chiamato lei, vero?» domandò Sindy, alzandosi allarmata. «Stavo aiutando Florine a mettere a posto la sua roba, lo faccio sempre alla fine delle lezioni, sarei uscita in un attimo!»
«Sin, non è per questo che mi ha chiamato» la rassicurò l'uomo, accovacciandosi ai piedi delle bambine. «Siediti e raccontami che cosa è successo oggi, per favore».
Il suo tono era calmo e lo sguardo non poteva che posarsi sul viso di quella bambina di cui conosceva soltanto il nome: una treccia color paglia le incorniciava il viso, risaltandone le forme addolcite, come quella dei suoi occhi chiari e vuoti che vagavano da una parte all'altra dell'aula senza mai posarsi su alcunché.
Jan notò che Sindy si era nuovamente seduta e aveva preso a infilare e sfilare il tappo di una penna in un movimento nervoso e costante.
«La maestra Sandra mi ha detto che oggi hai fatto qualcosa che non dovevi fare e voglio accertarmi che sia davvero così» affermò tentando di assumere il tono più comprensivo possibile. «Dice che ce l'hai con un bambino in particolare...»
Sindy non accennava a parlare, producendo solamente un ticchettio con la penna che stava cominciando a dargli sui nervi. Non sapeva proprio spiegarsi come facesse a farlo innervosire tanto, a volte: non era normale reagire in modo aggressivo e poi, quando le veniva data la possibilità di redimersi, starsene in silenzio come se avesse avuto ragione a prescindere dai fatti.
«Sindy, ti prego, parla! Altrimenti non posso aiutarti e non ho tutto il giorno! La maestra Sandra vuole espellerti, lo capisci?! Non potrai più tornare a scuola!»
Forse aveva alzato troppo la voce, forse avrebbe dovuto essere più comprensivo con una bambina che non era nemmeno sua figlia biologica.
«Sei già stata sospesa una volta, ne abbiamo parlato tanto e mi avevi promesso che non avresti più reagito in malo modo! E oggi che cosa succede? Mi dicono di correre qui perché hai picchiato un bambino e rischi l'espulsione! Capisci che io non ho tutto il tempo del mondo per starti dietro, vero?!»
Nonostante l'agitazione presente nella sua voce, ne aveva udito chiaramente un'altra coprire le sue ultime parole.
«Sindy non ha fatto niente!» s'intromise la compagna, intenta a raccattare i libri ancora sparsi sul banco. Jan si chiese per quale motivo non ci fosse l'insegnante di sostegno ad aiutarla, ma subito si rammentò di non doversi stupire se quella scuola funzionasse in modo strano.
«È stato quel bambino, Tarek, ad aggredirmi» proseguì Florine, puntando gli occhi nel punto in cui il suo udito l'aveva aiutata a localizzare Jan. «Lui mi prende sempre in giro, e prende in giro anche lei... in verità, lui ride di tutti quanti! A un certo punto durante l'intervallo mi ha preso la mano, perché sa che un po' mi piace...»
Jan notò le sue guance imporporarsi un poco a quelle parole.
«Poi però se n'è andato, perché non ho più sentito la sua voce... Sindy mi ha detto che mi faceva le linguacce! Lei è sempre buona con me, non voglio che va via!»
Non ebbe nemmeno il tempo di replicare, che la maestra entrò avvisando Florine che la madre era arrivata a prenderla.
L'uomo si alzò, ma la donna non lo degnò di uno sguardo, afferrando una mano della bambina lasciando in fretta l'aula.
Approfittò così della sua assenza per prendere il suo posto, stirandosi sulla sedia: «Dio, che scomodità! Ora chiudi lo zaino che andiamo a casa, Sindy!»
La bambina lo guardò con una smorfia.
«Non provare a guardarmi così! Credi davvero di meritarti una serata al palaghiaccio dopo quello che hai fatto?!»
Non c'era malizia nelle sue parole, ma la piccola doveva averle interpretate diversamente: si mise la cartella in spalla, rifiutando il suo aiuto, mantenendo tra loro un'ampia distanza per tutto il percorso verso l'auto.
«So che lo fai per una buona causa» cominciò Jan una volta allacciata la cintura. Non si era nemmeno dovuto disturbare per aiutarla: ormai aveva imparato ad allacciarla da sola. «Però non è questo il modo giusto di risolvere i problemi. Non conosco questo Tarek e non so che cosa abbia detto o fatto, però... promettimi solo una cosa».
Jan si slacciò la cintura per voltarsi verso il sedile posteriore, afferrandole il mento per costringerla a guardarlo in viso.
«Qualsiasi cosa accada, promettimi che me ne parlerai e che non ti terrai tutto dentro».
Sapeva che, in tutta probabilità, Sindy non avrebbe affatto mantenuto la promessa. In verità, temeva proprio che quelle parole non sarebbero servite a nulla, ma doveva almeno provare a essere disponibile, come un vero padre.
Non glielo avrebbe mai detto apertamente, ma amava il carattere di quella bambina: sapeva che, a prescindere dall'evento a cui avesse assistito, non si sarebbe mai voltata dall'altra parte.
Pareva aver stretto una tacita promessa con se stessa; quel giorno Sindy, a modo suo, gli aveva insegnato a non rimanere indifferente davanti alle ingiustizie.

 

 

 

♪♪♪

 

 

 

Settembre era giunto, una nuova stagione sportiva era iniziata e così anche la nuova scuola di Sindy. Jan aveva continuato le proprie ricerche per settimane, accertandosi di iscriverla in un luogo in cui sarebbe stata trattata con ogni cura, fino a quando la sorte non gli aveva servito la soluzione su un piatto d'argento: era bastato conversare un poco con Evelina per scoprire che una scuola Montessori avrebbe potuto essere perfetta per Sindy.
«Questa creatura ha bisogno di stimoli» gli aveva detto la donna con uno dei suoi soliti sorrisi splendenti. «Ha bisogno di scoprire il mondo, e quale metodo migliore di quello Montessori?»
«Sarà anche buono per lei, ma non per il mio portafoglio!» aveva borbottato Jan in tutta risposta, intimorito dall'idea di mandare la figlia in una scuola privata e dover vendere di conseguenza un organo al mese per potersi permettere di pagarla. «Se fa la bulla anche lì penso che potrei strozzarla con le mie mani!»
Forse, però, non la conosceva ancora bene come immaginava: con sua immensa sorpresa, Sindy si era subito ambientata e presto l'uomo si accorse che imparava velocemente e con piacere.
Lo stesso si poteva dire durante le sue lezioni sul ghiaccio: talvolta si sentiva a disagio a farle ripetere sempre gli stessi esercizi per poter mantenere il passo con gli altri bambini.
«Jannie, guarda!» lo richiamò una sera, mentre Evelina accompagnava fuori gli altri studenti del gruppo. La vide volteggiare con una gamba sola, tentando di portare l'altra sopra la testa, in un primo goffo tentativo di imitare una trottola Biellmann¹.
«Sin, è ancora presto per questo» la rimproverò con affetto, avvicinandosi per aiutarla a mantenere l'equilibrio.
Da quando l'aveva trovata, il giorno del suo compleanno dell'anno prima, la bambina era cresciuta rapidamente, così tanto che pareva quasi giunto il momento di acquistare un nuovo paio di pattini. Anche se lei non si lamentava, Jan sapeva che stavano ormai diventando piccoli e che presto i piedi le avrebbero fatto seriamente male.
Stava giusto per chiederglielo, quando la voce di Evelina lo interruppe, attirando la sua attenzione. Dietro di lei comparirono una donna e un bambino che non aveva mai visto.
«Questa mamma vorrebbe parlare con te a proposito di suo figlio» lo informò la collega. Jan si avvicinò, un poco timoroso di scoprire ciò che la donna aveva da comunicargli; con sollievo, però, comprese che era solamente interessata ai corsi di pattinaggio.
Cominciando a conversare con la sconosciuta riguardo a costi, orari e attrezzature necessarie, non si accorse che Sindy si era allontanata dal centro della pista, rifugiandosi nell'angolo più lontano.
«Per oggi le lezioni sono finite, ma se vuole possiamo fare una prova per vedere se gli piace» propose Jan al bambino con un grande sorriso. Accogliere un nuovo adepto era sempre una gioia, specialmente se particolarmente giovane: avrebbe iniziato imparando le basi, dopo qualche mese sarebbero passati alle figure, poi ai salti... chissà, forse almeno uno dei suoi studenti avrebbe avuto la possibilità di gareggiare come aveva fatto lui, un giorno.
La madre si dimostrò entusiasta e Jan provvide a richiamare Sindy dal suo allenamento in solitaria.
«Lei è mia figlia Sindy e può aiutarti in questa prima lezione di prova» disse dolcemente allo sconosciuto, vedendolo fare un cenno afferrando i pattini da hockey che la scuola utilizzava per i nuovi arrivati.
«Dovresti provare a buttarti ora» gli suggerì Jan una volta che il bambino ebbe preso confidenza col ghiaccio. Sindy, che era stata in silenzio per tutto il tempo, tornò al suo allenamento confinato il più lontano possibile dai presenti.
Non le erano sfuggiti, pur precipitando lei stessa, gli sforzi di Tarek per mantenersi in equilibrio lontano dai mancorrenti.
Quando Jan fu richiamato dalla madre per discutere di questioni pratiche, Sindy finì per avvicinarglisi, un po' per curiosità, un po' per prendersi la sua rivincita: ora era lui ad essere in svantaggio.
«Aiutami, ti prego!» l'udì sbraitare quando fu abbastanza vicina.«Non ce la faccio ad arrivare dall'altra parte!»
Come vittima di un incantesimo malvagio, Tarek si fermò proprio in mezzo alla pista, incapace di muoversi oltre. Le braccia che agitava nervosamente per mantenersi in equilibrio non erano affatto d'aiuto.
Incapace di resistere dalla tentazione di sbeffeggiarlo un poco, Sindy gli si parò davanti con l'aria di chi è in netto vantaggio: «Non ce la fai solo perché pensi di non farcela. Se continuerai a restare così dritto non riuscirai mai a stare in equilibrio!»
Lo vide piegare le ginocchia, ma la posizione del busto lo portò a crollare rovinosamente al suolo.
«Cazzo, è troppo duro!»
Troppo impegnato a lamentarsi, il ragazzino non notò Sindy roteare gli occhi.
Maschi: devono sempre impiegare il doppio del tempo a capire le cose!, sorrise la bambina dentro di sé.
In un sorprendente moto di gentilezza, porse una mano al vecchio compagno ancora accasciato: «Ora tieniti stretto e ascolta come devi fare» gli intimò una volta tornato in piedi, cominciando a pattinare all'indietro per aiutarlo ad andare avanti. «Piega le ginocchia e sporgiti in avanti. Se stai dritto cadi! Ora porta avanti un piede, poi l'altro...»
I due bambini raggiunsero in fretta l'altro lato della pista: «Ora vai da solo dall'altra parte!»
«No, ho paura!»
Sindy lo guardò con una smorfia compiaciuta. «Il grande e arrogante Tarek che ha paura di un po' di acqua ghiacciata? Muoviti! Se non osi non ci riuscirai mai!»
Sorrise dentro di sé: era proprio divertente prendere in giro quel pallone gonfiato, come faceva lui con Florine.
Suo malgrado, Jan aveva assistito a tutta la scena da lontano: non poteva udire ciò che dicevano, ma aveva scorto chiaramente Sindy porgere la mano al nuovo arrivato, in un umile gesto d'aiuto.
Anche quel giorno, un nuovo aspetto della personalità di sua figlia era venuto allo scoperto e una nuova lezione gli era stata silenziosamente impartita: ad aiutare il prossimo non si perde mai.
L'uomo osservò la bambina allontanarsi veloce per esercitare nuovamente la sua trottola e un moto d'orgoglio gli gonfiò il petto: stava crescendo, la sua piccola Sindy, e presto – troppo presto – sarebbe diventata una giovane donna.
Intenta a imparare nuove figure, Sindy non si era accorta d'indossare una felpa color zucca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

¹ La trottola Biellmann è una figura del pattinaggio artistico che prende il nome da Denise Biellmann, una pattinatrice svizzera che ne fece l'elemento caratteristico dei propri programmi.

   
 
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