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Autore: _Lightning_    09/09/2020    3 recensioni
"Vogliamo davvero parlare del Perù?"
"Non ce l'avrai ancora con me..."
1991, Perù. Un giovanissimo Nathan Drake si trova a seguire il suo nuovo mentore Victor Sullivan in un viaggio sulle Ande. Destinazione: Machu Picchu.
Sully dice che è una gita di piacere, più che meritata dopo gli ultimi eventi. Nate non gli crede, neanche per un secondo.
Che misteri nasconde l'antica Città Sacra degli Inca?
[Missing moment // young!Nate // Nate&Sully // pre-Uncharted]
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nathan Drake, Victor Sullivan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Tieni gli occhi aperti,” gli aveva detto Sully, quando avevano lasciato il sentierino sterrato lungo i flutti fangosi del fiume Urubamba per inerpicarsi sul camino inca, “non si sa mai cosa potresti trovare in giro… e chi trova tiene!

Nate aveva scrollato dubbioso le spalle, ma gli aveva silenziosamente dato ascolto e aveva tenuto lo sguardo ben fisso a bordo sentiero, rinvenendo però soltanto un nichelino peruviano fuoricorso e coperto di verderame. Dubitava fosse ciò che intendeva Sully, anche se trovava difficile credere di poter scovare chissà quale reperto precolombiano su una strada così battuta. Adesso, però, ogni caccia al tesoro era dimenticata: tutta la sua attenzione era catalizzata davanti a sé, verso il profilo smussato e inconfondibile della montagna che, come il sole nascente, iniziava a sbucare oltre l’orizzonte.

Al suo fianco, la parete scoscesa cedette il posto a un pendio assediato dalla giungla e poi a un alto muro di pietra. Nel camminare sfiorò con la punta delle dita i singoli blocchi che lo componevano, avvertendone le asperità e gli angoli accuratamente smussati. Dopo poche decine di metri, il sentiero entrò in una piccola postazione di guardia a cielo aperto, arroccata sul crinale. La riconobbe come la Porta del Sole: si stavano avvicinando. Accelerò ancora, assecondando la pendenza più ripida dei gradini fino a spiccare in una breve corsa, con l’impressione di camminare sul vuoto quando il camino cominciò a inclinarsi ancora, rendendo sdrucciolevoli i suoi passi.

E, d’un tratto, il suo sguardo uscì dal tunnel di pietra e vegetazione che accerchiava il sentiero, spaziando sulla vista a campo aperto di fronte a lui. Si arrestò col fiato corto e il cuore palpitante sul primo gradino dei terrazzamenti e si affacciò sull’altopiano verdeggiante intersecato dalle rovine, che disegnavano complesse geometrie tra l’erba rigogliosa. Una tenue nebbiolina aleggiava lungo i pendii, seguendo i rigagnoli d’acqua delle fontane, scintillanti alla prima luce del mattino. Il sole fece per un istante capolino dalla diafana coltre di nubi, gettando ombre dorate sia sulle pietre erette dall’uomo che su quelle naturali, egualmente immutate nei secoli.

Nate non trattenne il sorriso che gli affiorò al volto: Machu Picchu era esattamente come sulle pagine della National Geographic che amava sfogliare. Sam si stava perdendo una vista pazzesca. L’avrebbe fatto morire d’invidia... altro che Chicago e altro che “lavori d’alto livello”. Questo era un livello decisamente più alto, concluse, gettando a capofitto lo sguardo verso la vallata sottostante.

Sully lo raggiunse dopo poco e si portò accanto a lui, piantandosi le mani sui fianchi nel trarre un grosso respiro. Nate lo imitò, assaporando l’aria pura e cristallina di quel luogo fermo nel tempo… e quasi soffocò quando si trovò a inalare la nuvoletta di fumo emanata dal sigaro dell’uomo.

«Sully!» sbottò attraverso un colpetto di tosse asfittico. «Ti sembra il momento di fumare? Di fronte a sei secoli di storia?»

Sully sbuffò una mezza risata roca, piantandosi il Cubano tra i denti.

«Io vedo sei secoli di razzie e saccheggi… e nemmeno una pagliuzza dell’oro degli Inca.»

Nate roteò gli occhi al cielo, riprendendo a camminare con la sensazione che l’incanto di quelle rovine si fosse incrinato come la teca di cristallo di un museo durante un furto. Ne sapeva qualcosa…

«Non stavi ascoltando, prima?» borbottò poi, adocchiando gli alti muraglioni di pietra dei terrazzamenti curvi che stavano fiancheggiando. «Pizarro non riuscì mai a–»

«Certo, certo, lui e la sua banda di tagliagole no… e tutti gli altri venuti dopo?»

«Tipo te?» commentò Nate con un piccolo sbuffo, senza guardarlo e cercando piuttosto di orientarsi tra gli imponenti resti di costruzioni che li circondavano.

«Anche, in effetti… ehi! Che ti prende?»

Nate lo ignorò mentre si issava agile sulla parete del terrazzamento, non troppo alta e facile da scalare grazie alle molte asperità e fessure dei blocchi. Fece lo stesso col gradone successivo, puntando spedito verso una casupola dal tetto spiovente, arroccata su una montagnola che dominava la città.

«C’è il sentiero!» gli gridò dietro Sully con un certo allarme, la voce riecheggiante per il sito ancora semideserto.

«Per i turisti!» replicò lui, godendosi l’aria frizzante sulla fronte accaldata, e sentendo una lieve stanchezza, adesso che l’effetto da triplo caffè delle foglie di coca iniziava a scemare.

Attraversò i prati della collina scavata dagli Inca, facendo alzare la testa a un paio di lama al pascolo, e salì di corsa le scalette dissestate fino a raggiungere la casa del guardiano – il punto più alto, da cui si dominava l’intera città. Sulle pagine patinate delle riviste archeologiche aveva visto almeno mille foto da quella postazione, ma voleva scattarne una coi propri occhi. E con una matita. Quando Sully lo raggiunse, con una calma spropositata anche per la sua indole flemmatica, era già a buon punto con lo schizzo del panorama che aveva davanti – anche se gli ci sarebbero volute ore per disegnare ogni singolo muro e pietra e camminamento.

«Perché, noi cosa saremmo?» proruppe senza preavviso l’uomo, dopo averlo osservato disegnare per qualche istante, distogliendolo dal suo quadernino.

«Mh?» bofonchiò Nate, seduto sul davanzale di una delle profonde finestrelle della casa di guardia
coi piedi a ciondoloni.

Sentì Sully sedersi dietro di lui, dandogli la schiena, e storse il naso nel cogliere di nuovo l’odore penetrante del sigaro.

«Se non siamo turisti, cosa saremmo?» riformulò quindi Sully, schiarendosi la voce.

Nate concluse un’ombreggiatura e chiuse con uno schiocco il quaderno, riponendolo nello zaino. Si lanciò un’occhiata alle spalle senza però riuscire a intercettare lo sguardo di Sully.

«È una domanda retorica, vero?» buttò lì, giocherellando con una nappina del poncho. «Non dovevi insegnarmi qualche “trucco del mestiere
”? È per questo che siamo qui, no?»

Sully ridacchiò roco.

«Figliolo, siamo in un sito UNESCO… e come ti dicevo, altri l'hanno ripulito prima di noi. Non è il posto ideale per fare un colpo, né per affinare le tecniche da tombarolo. Il trucco del mestiere, in questo caso, è godersi il panorama e la vacanza.»

Nate storse contrariato la bocca a quella che sembrava molto una paternale, dando di gomito a colui che, in teoria, doveva essere il suo mentore, e che in pratica finora gli aveva insegnato ben poco – se non a contrattare sul prezzo con guide Quechua.

«Non ci credo, che siamo qui come turisti.»

«Infatti, siamo qui perché ho fatto un affaraccio a Medellìn [1], e devono calmarsi le acque,» sospirò Sully, rilasciando anche una consistente boccata di fumo.

Nate si accigliò, ma prima di poter indagare ulteriormente si sentì dare una pacca secca sulla spalla.

«Su, ti lascio ai tuoi amici Inca,» annunciò, alzandosi d’un tratto con fare elastico.

Nate si rialzò altrettanto rapidamente, seguendolo fuori dal piccolo edificio e venendo accecato dal sole ormai sorto, che aveva spazzato via la foschia mattutina. Si schermò gli occhi, intravedendo tra le dita la silhouette di Sully sovrapposta a quella della Montagna Sacra.

«E tu dove vai? Non sei in vacanza?»

Sully si guardò intorno, fino a puntare quello che sembrava l’ingresso principale del sito archeologico, ai piedi dei terrazzamenti. Fuori dalle mura, era assembrato un gruppetto di costruzioni turistiche, che l'uomo indicò vigorosamente.

«Mh-hm, esatto. Quindi, faccio un salto al bar e mi godo il mio tipo di vacanza: un chica de jora in mano, un buon sigaro e qualche ora di pausa dal nuovo “lavoro part-time”,» concluse, additando poi blandamente lui.

Nate s’imbronciò all
’istante, serrando le braccia al petto, e sentì pizzicare l’orgoglio a quel rimbrotto tra le righe, impegnandosi a rivolgere a Sully lo sguardo più storto e accusatorio che gli riuscì. Non ci stava, ad essere lasciato indietro – era un’abitudine odiosa e comunque inconcludente, visto che finiva sempre per recuperare il vantaggio. Sully spostò il peso da un piede all'altro, incassando l'occhiataccia, e allargò poi i palmi in un gesto snervato:

«Andiamo, ragazzo, risparmiami la passeggiatina panoramica: la 
“città segreta” non ha segreti, per me! Ci sono stato mille volte, quassù…»

«Sì, per lavoro, l’avevo intuito,» lo troncò acidamente. «Non girarci intorno: non mi vuoi tra i piedi.»

Sully sospirò e scrollò il sigaro tra le dita, accigliandosi e distogliendo poi lo sguardo. Sbuffò dal naso una nuvoletta di fumo.

«Senti,» proruppe poi, «dammi un paio d’ore per riprendere fiato e ci rivediamo qui, ok? Sono sicuro che nel frattempo saprai orientarti e tenerti impegnato,» concluse, schiaffandogli in mano una mappa del sito che, dall’aspetto, aveva la giusta dose d’anni per essere esposta in una vetrina. «Tu vai dove vuoi… ma non rompere nulla e non cadere di sotto.»

«Tsk, certo, proprio quello che contavo di fare,» bofonchiò sarcastico Nate, accettando la mappa con uno strappo secco.

Sully lo ignorò, mettendo anzi su un mezzo sogghigno.

«Sai com'è, mi sembri portato a combinare disastri… cerca di non mandare all’aria la città, e magari potrei davvero pensare di insegnarti un paio di cosette,» concluse, in tono cospiratorio.

«Certo, come no,» replicò Nate, ancora adombrato, abbassando lo sguardo sulla cartina per ripiegarla e cacciandola poi nella tasca posteriore dei jeans.

In quel mentre, colse con la coda dell’occhio un movimento improvviso da parte di Sully, e fece appena in tempo a parare le mani avanti al suo al volo! per acchiappare a mezz’aria il piccolo oggetto che gli aveva lanciato. Scoccò all’uomo un’occhiata perplessa, trovandolo con un’espressione tronfia stampata in volto, poi esaminò l
oggetto metallico che aveva nel palmo: una piccola statuetta dorata di un lama. Inca, XV secolo, ben conservata; un lavoro di fino per qualche altare votivo, probabilmente. Alzò gli occhi su Sully, scrollando perplesso le spalle senza voler esternare troppa curiosità.

«E questa dove l’hai rubata?»

«Io te l’ho detto, di tenere gli occhi aperti,» ammiccò lui, aspirando una boccata soddisfatta dal sigaro.

«Mh. E immagino non finirà in un museo,» commentò Nate tanto per irritarlo, rigirandosi l’animaletto in mano e seguendone il profilo ben modellato dall’orefice e dai secoli.

«Neanche quello, mi pare,» lo rimbeccò Sully, con un cenno del capo verso l’anello di Francis Drake appeso al suo collo, che lui coprì di riflesso con il palmo.

«Non è rubare, se prima era tuo.»

«Cinquecento anni fa, e questo è quello che dici tu

«Pfft, fa differenza? “Chi trova tiene”, no?» scrollò le spalle lui mimando le virgolette e dandosi poi una pacca sul ciondolo.

Fece per restituirgli il lama, ma Sully lo bloccò scrollando la testa.

«Nah, tienilo come incentivo,» bofonchiò, sembrando curiosamente compiaciuto mentre lui intascava lesto il reperto senza farselo ripetere. «Adesso, la colazione mi chiama. Tu, fai il turista e fatti sentire. “Niente nuove, buone nuove”…» [2]

«… non è la tua politica, lo so,» completò Nate con un sospiro, dando un colpetto al walkie-talkie appeso alla cintura per sottolineare il concetto.

Sully annuì in risposta... e si allontanò col passo forzatamente tranquillo di chi vuole dare l’impressione di non avere nulla da nascondere: mani nelle tasche, volto un po’ all’insù a scrutare il panorama, andatura ciondolante. Sospetto. Estremamente sospetto, come ogni cosa in quel viaggio fuori programma.

Nate assottigliò gli occhi e prese a giocherellare con la mappa del sito archeologico, dandosi con essa lievi, ritmici colpetti sul dorso della mano mentre meditava sul da farsi. L’enorme distesa di rovine, a dispetto delle circostanze bizzarre, appariva ai suoi occhi come un luna park in sua attesa. Però anche scoprire cosa stesse macchinando Sully – perché era ovvio che gli frullasse qualcosa in testa – aveva il suo fascino. Toccò l’anello di Drake, rigirandolo attraverso il laccio e facendo scorrere il pollice sulle incisioni, in un gesto che stava diventando abituale. Sentiva quello stesso, sottile richiamo echeggiante che, una settimana prima, l’aveva spinto a rompere il suo barattolo di risparmi e comprare un biglietto di sola andata per la Colombia, dopo aver intravisto l’annuncio della mostra su Francis Drake in un trafiletto del El Universal. Contava di fare una sorpresa a Sam, col recupero dell’anello… ma poteva puntare anche più in alto. Altissimo livello.

Aveva bisogno di qualcosa che giustificasse la sua scappata in Sud America agli occhi di tutti, e l'anello non era abbastanza, non agli occhi di tutti, almeno. Una buona scusa, insomma, per apparire in una luce migliore dopo aver commesso qualcosa di spiacevole, tipo sparire per due settimane o mandare all'aria un colpo programmato da chissà quanto. Una scusa... in questo, non era poi molto diverso da Sam. A chi avrebbe dovuto rifilarla, se a suo fratello o a Sully, non lo sapeva ancora, né ci aveva davvero riflettuto: la lungimiranza non era tra le sue qualità. 

Dipendeva da quanto sarebbe durata quella bizzarra collaborazione col vecchio cacciatore di tesori – mancava circa una settimana, al ritorno a casa di Sam dal lavoro a Chicago, e non poteva permettersi ritardi. Gli serviva una scusa credibile per sbolognare Sully alla prima occasione, se le cose avessero iniziato ad andare per le lunghe… e una scusa per Sam, a giustificare perché fosse sparito sotto al suo naso, magari tornando pure con un’aggiunta attempata e probabilmente sgradita alla loro società fraterna. Ma quelli erano pensieri del Nathan Drake futuro.

Rispiegò la cartina, fronteggiando la distesa di ruderi di fronte a lui, e fissò con lo sguardo la sua prima tappa sulla carta e nella realtà, per poi avviarsi a passo allegro giù dalla collina. Per adesso, aveva un’intera città da esplorare.


 
 
 

Nate addentò con gusto la sua seconda e ultima empanada, ringraziando mentalmente nana Luz per aver insistito nel preparargli un pranzo al sacco la sera prima. Non era certo che lui e Sully sarebbero ripassati per la sua pensione a Cusco, al ritorno, ma i manicaretti dell’anziana signora erano un ottimo incentivo. Era da molto che non mangiava così tanto e bene: si dispiacque di non avere una terza porzione a riempirgli del tutto lo stomaco, ma era più golosità che fame. Dopo i giorni di street food a Cartagena e i due mesi filati di cibo in scatola a casa, doveva ammettere che almeno grazie a Sully era sempre andato a dormire con la pancia piena.

Tornò a sdraiarsi sull’erba morbida dei gradoni col poncho ripiegato dietro la testa, osservando divertito un paio di lama che brucavano pigramente nel bel mezzo della Plaza centrale, in barba alla sacralità di quel luogo. Enormi costruzioni squadrate si affacciavano sull’ampio spiazzo incassato nell’altopiano, simile a una sorta di piscina verdeggiante. Guardò l’orologio da polso, faticando a leggerlo per via del quadrante scheggiato dalla fuga al museo, e decise di prolungare di qualche altro minuto la pausa: mancava quasi un’ora al rendez-vous con Sully, e dubitava che l’altro sarebbe stato puntuale, preso com'era dalla sua "siesta" al bar.

Si sedette quindi a gambe incrociate, prendendo a scarabocchiare senza impegno sul suo quadernino mentre il sole ormai alto gli scaldava la faccia. Si stava giusto concentrando sul profilo spigoloso di Intihuatana, la meridiana sacra posta sulla sommità della collinetta di fronte a lui, quando i suoi occhi colsero un movimento anomalo. O meglio, un colore fuori posto. L’arancione non era certo una tipica sfumatura andina.

Drizzò la testa, scrutando i paraggi – ed eccolo di nuovo là: il lampo arancio di… un’orrenda camicia a maniche corte, indossata da un uomo con dei baffi inconfondibili. Sully sembrava di fretta, e decisamente non rivolto verso di lui, né nella sua direzione, mentre sbucava per un istante dal lato opposto della Plaza, per poi sgattaiolare nel dedalo di muri diroccati nella parte urbana di Machu Picchu. Nate si accigliò, riponendo senza guardarli quaderno e matita nello zaino e rimettendosi il poncho, mentre già balzava in piedi per seguirlo. Era troppo presto per l’appuntamento, oltre al fatto che stava andando nella direzione opposta. E non aveva detto di conoscerle a memoria, quelle rovine?

Attraversò rapidamente l’area aperta, schivando i capannelli di turisti che iniziavano ad essere scaricati dai pullman, e s’intrufolò nella viuzza imboccata da Sully. Le mura inca, pesanti e imponenti, lo stringevano da entrambi i lati, attenuando la luce che filtrava solo dalle alte finestre trapezoidali e dalla striscia di cielo sovrastante. Proseguì rasente alla parete e, arrivato al primo incrocio di stradine, si tirò indietro di scatto nello scorgere la schiena di Sully, intento a rigirarsi sul posto al crocevia successivo. Lo vide esitare ancora qualche istante, per poi proseguire deciso verso destra, come se stesse leggendo una mappa invisibile.

Nate lo seguì dappresso, in punta di piedi sul viottolo polveroso che si addentrava nel cuore del quartiere popolare. Grandi spazi su cui si aprivano le bocche vuote delle porte d’ingresso si intervallavano a intrichi ciechi di viuzze, e per poco non rischiò di scontrarsi con Sully nel perderlo di vista: udì i suoi passi appena in tempo oltre l’angolo, fece dietrofront e scavalcò svelto una finestrella, acquattandosi e sperando che non si affacciasse proprio lì. L’uomo lo superò senza un ulteriore sguardo, e Nate si affrettò a tornare sulle sue tracce, in una pantomima del pedinamento a Cartagena. Sperò di non essere altrettanto “palese” come quella volta, ma Sully sembrava totalmente assorto da qualcosa che stringeva in mano, forse una bussola, che consultava ad ogni incrocio con gli occhi che guizzavano da un muro all’altro, come in cerca di qualcosa.

Ci volle qualche minuto di rimpiattino il quel labirinto, prima di sbucare di nuovo all’aria aperta scavalcando delle transenne e vari cartelli di divieto d'accesso, qualche decina di metri più sotto rispetto al livello della città bassa. Erano ai suoi limitari, su uno dei terrazzamenti più bassi incorniciati dalla selva tropicale, e di fronte a loro si ergeva un alto muro di contenimento composto da impressionanti blocchi di pietra, ciascuno pesante diverse tonnellate e teoricamente inamovibile – uno dei tanti misteri di Machu Picchu. Sully lo costeggiò col naso all’aria come se stesse osservando proprio il lavoro di muratura, fino a bloccarsi repentinamente, con un dannazione bofonchiato che arrivò fino alle sue orecchie. Si piantò poi là davanti, prendendo a tormentarsi i baffi e a rigirarsi la bussola in mano come se si stesse arrovellando su chissà cosa. Nate seguì il suo sguardo, senza riscontrare nulla di anomalo, e fu allora che decise di porre fine a quella farsa.

Si assicurò che Sully continuasse a guardare il muro, per poi svoltare l’angolo e appoggiarsi lì accanto in una posa volutamente plastica, con la spalla puntellata contro il muro e le braccia incrociate.

«Siamo qui come turisti, eh?» lo apostrofò con voce squillante, facendo sobbalzare e quasi saltare sul posto Sully, e una sua mano corse dietro la schiena.

A quel gesto Nate si irrigidì a sua volta, sudando freddo per un istante; l'altro, nel vederlo, riportò con uno sbuffo la mano davanti a sé, aggrottando la fronte.

«Dannazione, ragazzo, vuoi farmici rimanere secco?»

«Veramente stavo per rimanerci secco io,» lo rimbeccò Nate, lasciando scemare il suo sorrisetto falso per lasciar posto a un’espressione più seria. «A che diavolo ti serve una pistola? Guarda che le mummie maledette sono in Egitto.» [3]

«Ah, precauzione. Non si sa mai,» borbottò vago Sully, gettandosi un’occhiata attorno a riprova delle sue parole mentre risistemava la camicia a coprire del tutto l'arma.

Nate incrociò le braccia, avvicinandosi di qualche passo.

«Allora?» lo incalzò, con un cenno del mento.

«Allora, , sto lavorando,» confessò senza altri giri di parole Sully, suonando esasperato.

«Non per Marlowe, spero?»

«Neanche per sogno. Dopo quella storiaccia,» e indicò l’anello di Drake, «ho chiuso, con lei.»

Nate notò gli occhi colpevoli con cui lo guardò e tirò la bocca, trattenendo l’impulso di portarsi una mano alla guancia, dove lo schiaffo della donna ancora bruciava come quel giorno a Cartagena.

«Guai in paradiso, eh?» lo stuzzicò invece, piantando su un mezzo sorrisetto.

Sully lo fulminò, dissipando qualunque ombra di colpevolezza e intimandogli di tacere. Nate, per una volta, seguì l’ammonimento, e adocchiò invece l’oggetto che teneva ancora in mano: non una bussola, decisamente, ma un disco d’oro dall’aria antica, che sembrava recare delle complesse decorazioni. L’uomo notò il suo sguardo e sollevò l’artefatto tra pollice e indice, svelando un volto stilizzato in rilievo sul metallo. Nate sgranò un poco gli occhi seguendone le cesellature, che lo circondavano mimando dei raggi di luce, cangianti sotto quelli del vero sole che vi batteva.

«Inti,» esalò, indicandolo. «Il dio inca del sole,» aggiunse, a beneficio di Sully, che scosse le spalle indifferente.

«Oh, grandioso. Chiunque sia, non ci sta aiutando a entrare…»

«A entrare dove?» lo incalzò Nate, facendo involontariamente un passo avanti.

Lo sentiva, più forte, quel sottile richiamo nelle orecchie, quello che segnava l’inizio di qualcosa – di un’avventura. Sully, con sua sorpresa, ridacchiò un sospiro, e si cacciò un sigaro in bocca scrollando la testa.

«Questa, ragazzo, è una gran bella domanda.»

 
 
 
 
 
 


Note:
 
[1] In Uncharted: Drake’s Fortune, Sully menziona una truffa ai danni di Pablo Escobar, capo appunto del Cartello di Medellìn. Lui viene “incarcerato” proprio nel 1991 – grazie, Narcos – e arreda la propria “prigione” in modo opulento… e perché non anche con una statua sacra (falsa) del XVI secolo? Escobar sarà anche stato ufficialmente dietro le sbarre, ma Sully ha tutte le migliori ragioni per non voler rimanere in Colombia ad aspettare che si accorga dell'inganno :’)
[2] Riferimento a una battuta di Sully in Uncharted 4.
[3] Il riferimento alla mummia di El Dorado in Drake’s Fortune è volutissimo.
NB. Il divisorio dei capitoli è realmente un amuleto del dio Inti e la polaroid in apertura mostra la casa del guardiano ;)


Note dell'Autrice:

Cari Lettori, eccoci qui col primo, vero capitolo, che spero vi abbia messo curiosità!

L'intento era farvi "orientare" un poco nella geografia di Machu Picchu, che farà da ambientazione iniziale – e se non si fosse capito, andarci è sulla mia bucket list :D Spero, soprattutto, che Nate e Sully vi abbiano convinto sia come singoli che nella loro dinamica: ho cercato di ispirarmi a quelle pochissime scene canoniche che li vedono insieme all'epoca, ma molto altro è farina del mio sacco che spero copra in modo convincente il resto. Ogni opinione in merito è gradita!
E... sì, inizialmente volevo tagliare del tutto Sam, ma ho poi pensato che sarebbe stato carino spiegare perché non si fosse interessato al recupero dell'anello di Drake. Suvvia, conoscendo Nate è possibilissimo che si sia imbarcato per conto suo.

Ringrazio di cuore MauraLCohen e Eevaa per aver recensito lo scorso capitolo, dandomi un bel benvenuto nel fandom, la mia Guascosa Miryel per sopportare i miei deliri di fangirl e i miei meme blasfemi, e tutti coloro che hanno semplicemente letto e/o aggiunto la storia alle seguite ♥
Piccolo avviso: sono brutalmente sotto esame, quindi è probabile che per un po' tutti i miei aggiornamenti saranno sporadici, casuali o concentrati in una stessa giornata per ottimizzare i tempi (a proposito: se vi va, spizzatevi The Lure of Adventure, nuova raccolta di drabble su Uncharted che partecipa a un mini-contest su Wattpad). Stesso discorso per le risposte alle recensioni: abbiate fede e arriverò a rispondervi, ci tengo sempre a farlo ♥
Piccolo avviso n°2: dopo essere sopravvissuta alla prima parte d'esame, mi aspetta la seconda, e se i numi vogliono da questo fine settimana potrò riprendere a scrivere... nel frattempo, ho avuto giusto il tempo di fare un piccolo sneak peek sul "futuro" di questa serie. Perché sì, signori, habemus seriem! :D >qui!<

Alla prossima, spero presto,

-Light-

 
   
 
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