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Autore: MusicDanceRomance    10/09/2020    14 recensioni
Raccolta di drabble nata grazie all'iniziativa "Scrivimi" del gruppo facebook "Caffè e Calderotti".
Dal testo:
"Paura. In ogni fase della vita ce ne era una da affrontare.
-Io ti vedo molto graziosa, Bulstrode.
-Mi prendi in giro anche tu, Tiger?
-No... tieni!
Quando per la prima volta le si era avvicinato Vincent Tiger e le aveva offerto un dolcetto quasi schiacciato, Millicent si era sentita meno goffa, più serena, e forse per la prima volta interessante agli occhi di qualcuno."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Millicent Bullstrode, Vincent Tiger
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Nda
Come sta succedendo spesso, ripubblico nel fandom grazie all’iniziativa “Scrivimi” del gruppo facebook “Caffè e Calderotti”.
Il pacchetto mi è stato assegnato da Rosmary:
 
-Protagonista a tua scelta
-Prompt: il personaggio protagonista, a causa di un evento vissuto durante uno scontro, sviluppa
una fobia – a scelta dell’autore – che lo porta a non uscire dalla propria stanza (immagine ispirata a
“La metamorfosi” di Kafka).
-Ambientazione: post prima o seconda guerra magica (obbligatoria)
 
Detto questo, spero che vi piaccia e sì, è una piccolezza che ha fatto ragnatele nel pc per qualche mese.
 
 
 
 
 
 
PHILOPHOBIA
 
 
Ho paura di fare brutta figura.
“Cia... ciao, Draco, come stai?”
“Bene, Bulstrode. Ciao e addio.”
 
 
Ho paura che ridano di me.
“Blaise, potresti aiutarmi per l’esame di Trasfigurazione, visto che sei così bravo?”
“Non perdo tempo con te, Bulstrode. E non mi interessano i tuoi sorrisetti disturbati.”
 
 
Ho paura di scoppiare a piangere di fronte a tutti.
“Theodore, tu mi piaci. Mi piaci tantissimo.”
“Mi spiace, Millicent, a me non interessi. Su, ti passerà come ti è passata per Draco e Blaise.”
 
 
Ho paura che mi vedano brutta.
“Daphne, come ti sembro con l’abito da festa di famiglia?”
“Millicent, per il Ballo del Ceppo non puoi indossarlo, sembri un maialetto rosso!”
“Ma è una tradizione!”
“Sì, la tradizione delle... diversamente belle!”
 
Ma non ho paura di amare.
 
 
Millicent Bulstrode aveva capito come affrontare a denti stretti i suoi timori. Aveva imparato a stringere i pugni, ad arrabbiarsi, a sopportare, a guardare con rabbia la bellezza incantevole di tutte le altre compagne.
Era abituata ad assorbire come una spugna le porte sbattute in faccia.
I “no” secchi e l’indifferenza di ogni ragazzo che aveva sognato in silenzio non avevano scalfito la sua corazza. Chiedeva solo di amare e dopo un rifiuto anziché compiangersi ricominciava subito a sperare, ancora e ancora.
Quando non si avevano bellezza e classe le ragazze dovevano imparare ad essere più forti, e lei di pazienza ne aveva già accumulata parecchia, fin troppa, all’eccesso.
Paura. In ogni fase della vita ce ne era una da affrontare.
 
“Io ti vedo molto graziosa, Bulstrode.”
“Mi prendi in giro anche tu, Tiger?”
“No... tieni!”
Quando per la prima volta le si era avvicinato Vincent Tiger e le aveva offerto un dolcetto quasi schiacciato, Millicent si era sentita meno goffa, più serena, e forse per la prima volta interessante agli occhi di qualcuno.
Lo aveva aspettato nel dormitorio dei Serpeverde e avevano mangiato schifezze fino a notte fonda, chiacchierando e ridendo di cose che agli altri sarebbero apparse inutili.
 
Vincent le aveva ribadito che era stupenda e che insieme non erano affatto male. L’aveva ammirata svestita, le sue forme rotonde non lo avevano minimamente infastidito, perché a lui piaceva guardarla, e se c’era tanta roba da toccare allora era meglio, diceva spesso.
Millicent aveva così scoperto di essere felice con lui, il suo ragazzone di poche parole, prepotente con la gente inutile, ma dolce e affettuoso con lei.
“Non ho mai avuto paura di amare.”
“Non devi avere paura, ci sono io con te.”
 
“Vincent, stanno cercando tutti Potter.”
“Lo troveranno e il Signore Oscuro lo ucciderà. Sarà divertente. E poi potremo pensare a terminare gli studi e sposarci. Anche se ci considerano prepotenti e brutti saremo noi a dominare sugli altri!”
La vera bruttezza era fuori dalle mura di Hogwarts, era il sangue indegno, erano tutti quelli che detestavano la sua Casa, era il marcio della magia imperfetta.
Durante il settimo anno di scuola Vincent era sempre stato forte e sicuro di sé, aveva cercato scuse per punire con la tortura chiunque avesse osato ridere o sparlare della sua ragazza, e Millicent gli aveva sorriso, felice di vedersi rispettata da tutti gli altri.
Essere forti era più importante che essere belli. Essere rispettati contava più dell’essere nel giusto.
Essere innamorati valeva più del sembrare stupidi.
Lei e Vincent erano due metà indivisibili ormai.
Non aveva paura di nulla.
 
E poi quelli buoni e belli erano tornati.
E il niente aveva inghiottito la luce del domani, il fuoco si era mangiato i suoi sogni e le lacrime avevano invaso il volto imbronciato di una ragazzina che tutti avevano sempre deriso.
Si era arrivati a quella notte. A quel modo assurdo di morire. Per uno sbaglio, per una magia che un ragazzino non avrebbe mai dovuto imparare a maneggiare.
Gli errori erano colpe che reclamavano anime, e la sua scuola ne aveva visti prosperare parecchi negli ultimi tempi. Gli errori di Hogwarts, gli errori dei loro amici di famiglia, gli errori di Harry Potter che aveva liberato il Mondo Magico ma forse non aveva voluto salvare abbastanza persone.
“Tiger è morto. Mi dispiace, Bulstrode.”
Era stato il cordoglio unanime dei Serpeverde, l’apatia di Malfoy, l’indifferenza delle sorelle Greengrass, una voce unica, sofferente, fatta di circostanze e non di vera compassione.
Era stato il prezzo da pagare per una ragazza chiusa e insicura come lei che aveva osato amare.
Paura. In ogni fase della vita ce ne era una da affrontare.
 
***
 
Millicent smise di ricordare.
Non era più immersa nel passato, era rimasta sola ad affrontare il proprio futuro. E il futuro aveva assunto la forma di una porta sbarrata e di una camera stretta con le mura grigie sempre fredde e spente, come lei.
Si faceva passare il cibo. Non voleva comunicare con nessuno. Non voleva sapere come il mondo stesse continuando senza Vincent.
Rimaneva accovacciata nella sua stanza, in casa, e accettava di ricevere visite solo dall’elfo domestico, o se proprio doveva, da sua madre.
“Millicent, tesoro, perché non esci un po’ da questa stanza? C’è il sole fuori, almeno andiamo in giardino.”
“Millicent, una passeggiata a Diagon Alley che male può farti?”
“Millicent, sarà una festa privata in casa e ci saranno solamente i nostri parenti, di cosa hai paura? Esci da questa stanza, ti prego.”
 
Millicent cacciava chiunque, richiudeva la porta col lucchetto e tremava, piangeva, gridava.
Se li immaginava tutti quanti, chissà come si impegnavano a cercare un altro per farle ricucire il cuore.
Come se l’amore potesse salvare sempre qualcuno. No, l’amore non aveva salvato lei e Vincent, non era bastato.
Magari se esco dalla stanza mi troverò nella sala da pranzo un giovane Purosangue che vogliono costringermi a sposare. O forse anche un Magonò, che importa? Io perdo tutto quello che amo, ma nessuno lo capisce.
Soltanto nel suo regno, nella sua stanza soffocante e piena di ricordi di un amore disintegrato, Millicent sapeva che poteva tenere il suo cuore al sicuro, chiuso col lucchetto, sigillato.
 
“Tesoro, c’è la tua vecchia compagna Daphne, ti va di incontrarla?”
Cosa doveva dirle l’abbagliante fidanzata di Blaise Zabini? Doveva provare pena per lei? Voleva farla uscire e ricordarle quanto fosse sempre stata brutta? O peggio, Daphne e Blaise avevano trovato qualcuno che provasse a farla innamorare di nuovo?
Tanto stavano tutti complottando contro di lei. I suoi genitori volevano consegnarla ad un altro, volevano farle dimenticare Vincent, volevano che lei si innamorasse ancora, e poi sarebbero stati problemi suoi, ormai lo aveva capito.
Ma tanto non avrebbe avuto senso, avrebbe perso ugualmente l’amore come aveva perso Vincent, in modo atroce, perché era nata per spaccarsi il cuore e per andare avanti sulle macerie dei suoi sentimenti. Si era abituata ad essere forte, e i forti con l’amore si spezzavano. Non andava bene.
“Tesoro, hai una vita davanti, la guerra è finita, esci e ricomincia da capo, ti prego.”
Preghiere inutili da parte dei genitori.
 
Non era bella, non era fatta per amare, aveva capito cos’era la paura e non le era piaciuta.
E aspettava. E si nascondeva. E non dimenticava. E il tempo passava. E la sua stanza rimaneva chiusa.
Ecco cos'era a volte l’amore, ecco il confine sottile tra la felicità e la perdita: il rischio. E lei non avrebbe mai più voluto rischiare.
Vincent se ne era andato per sempre, e forse anche lei con lui.
Non aveva più voglia di affrontare quel suo nuovo terrore, perché l’aveva colpita nel suo punto debole, nel punto che le aveva dato sempre forza per andare avanti.
Aveva amato e aveva perso. E non sarebbe mai più stata sconfitta da quei suoi sogni traditori. Mai più.
Mai più amore.
Mai più. Era stata tutto ed era finita nel niente.
Mai più amore.
Paura di amare.
 
   
 
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