Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: Luschek    11/09/2020    1 recensioni
{Raccolta di Missing Moments&What If sui Guerrieri, scritta in occasione della challenge Hurt/Comfort Time indetta sul forum "La Torre di Carta".}
- Capitolo "Inizio":
"Senza fiatare si recò da Annie e Bertholdt. Il bambino gli sorrideva in modo così dolce, che a Reiner parve di sentire la bocca zuccherata ad un certo punto."
- Capitolo "Mostro":
"Se soffrisse tanto quanto hanno sofferto le sue vittime, cambierebbe qualcosa?"
- Capitolo "Grazie":
"Una volta il semplice schianto di un piatto sul pavimento l'ha ridotto ad un’ombra tremante, poiché l'ha confuso col fragore dei massi del Wall Maria che si schiantavano sulle case."
- Capitolo "Tregua":
"Odia il tonfo sordo prodotto dall’impatto dei pugni contro il muro."
- Capitolo "Autodistruzione":
"Percepisce una brezza gelida sul collo, quando si accorge che il tintinnio delle pillole è identico a quello dei bossoli che piovono sul pavimento."
- Capitolo "Fine":
"Rispetto a chi si è lasciato dietro, non c’è nessuno a fargli compagnia in quel luogo dimenticato da Dio."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Annie Leonhardt, Berthold Huber, Porco Galliard, Reiner Braun
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Quel che non vi è stato raccontato'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Prompt: Aldilà. 

Contesto/Predizione: Dopo la morte di Reiner. 

 

 

 

Fine 


È contento di non aver provato nulla.  

Poco prima che Eren lo decapitasse con uno schiocco delle fauci, la sua coscienza si è assopita e, insieme ad essa, tutte le terminazioni nervose, le quali avrebbero condotto al suo encefalo la scarica familiare del dolore. 

Non sa quanto tempo dopo questo avvenimento ha riaperto gli occhi. Potrebbe fissare il biancore della volta celeste da qualche minuto, oppure da qualche giorno, ma ciò non gli importa, perché è finita.  

È nella stessa landa desolata in cui l’avversario l’ha schiacciato, lo riconosce dalla catena montuosa che circonda lo stretto sul mare, dalle orme dei Colossali che chiazzano sia la terra che la spiaggia, dalla roccaforte che si staglia sul punto più alto, cosicché le sia facile tenere d’occhio l’ambiente circostante. 

Rispetto a chi si è lasciato dietro, non c’è nessuno a fargli compagnia in quel luogo dimenticato da Dio. 

I palmi sono rivolti verso il basso e, dato il pizzicore provocato alcuni granelli tra le dita, si rende conto che è sdraiato sulla sabbia. Ora che prova ad appoggiare anche le piante dei piedi nude sul terreno, non comprende per quale motivo sia scalzo, però è lieto che chiunque governi in quel posto gli abbia sfilato i calzari. Gli pare d’indossare gli stivali da militare da quand’è nato, dato che non ricorda altri momenti in cui ha avuto il lusso di togliersi le scarpe. 

Ozia ancora, cosicché possa recuperare tutte le energie che ha perso durante quegli anni, e, per la prima volta, non si sente in colpa nel farlo.  

La sua vita è stata una corsa, tanto che gli sembra ieri il giorno in cui l’hanno scelto come possessore dell’Armato. Oggi, invece, è già morto e disperso in una località di cui non rimembra neanche il nome.  

Quanto potrà rimanere steso, prima che gli tocchi faticare di nuovo? 

Vuole procrastinare la risposta a questa domanda.  

Passano un’altra manciata di minuti, oppure altri giorni - tanto lui non ne saprebbe cogliere la differenza, visto che nel cielo il sole è sempre alto e tutto è avvolto dal chiarore -, prima che un fruscio di vesti lo metta sull’attenti. Scatta a sedere, stringendo la sabbia nei pugni, come se quella potrà essergli utile per ostacolare un ipotetico assalitore.  

Ci sono banditi, lì dove si trova? Questo non gli interessa, dopo anni passati a non fidarsi di nessuno, quella è l’unica reazione che trova legittima. 

Davanti a lui non c’è nessuno, quindi intuisce che chiunque si stia avvicinando sia alle sue spalle. L’eco dei passi viene smorzato, perché i piedi dell’altra persona affondano nei granelli e, se non sente il rumore grezzo delle suole che li calpestano, significa che ella è scalza come lui.  

Si alza più lentamente di quanto desideri e, tanto è stato sdraiato, che gli gira persino la testa nel farlo così all’improvviso. Barcolla all’indietro, perciò attende di cadere come un sacco di patate, se non fosse che lo sconosciuto gli afferra le spalle prima che possa rituffarsi nella sabbia.  

Le dita lo stringono decise, ma senza fargli male, e a Reiner questa sensazione rievoca il ricordo di un tocco fin troppo simile. Da quando è lì, non ha mai preso in considerazione che qualcun altro potesse trovarsi in quel medesimo luogo, men che meno la persona a cui sta pensando adesso. Gli è costato caro accettare che non l’avrebbe più rivisto, ma, soprattutto, è stato più atroce impedirsi di scoprire se ci fosse una minima possibilità di rivederlo.  

Un mormorio si leva dietro di lui, è oltre persino la persona che lo ha bloccato, e ciò gli fa spalancare le palpebre, perché l’idea di rivedere anche gli altri non gli è mai balenata in mente. 

«Non voglio girarmi» biascica Reiner e non si preoccupa se il suo tono è incrinato. 

«Se mi facessi avanti io... ti aiuterebbe?» 

La voce di Bertholdt è identica a come la ricorda: morbida, cantilenante e capace di rinnovare il significato di “sicuro”. Tira su col naso, come se questo gesto sia capace di arrestare le lacrime che gli sgorgano dagli occhi. Le spalle, le stesse su cui ancora sono appoggiate le mani dell’altro, tremano a causa dei singhiozzi, che, appena vengono percepiti dal pubblico dietro di loro, suscitano diverse reazioni. 

«Lo sapevo, avrei dovuto svegliarlo io.» 

«Avresti peggiorato la situazione, Pokko.» 

«Credete che... Ora possiamo raggiungerlo, il signor Braun?» 

L’uomo si porta una mano sulla bocca, affinché attutisca il rumore dei singhiozzi, ma invano. Bertholdt lascia la presa su una delle spalle, così può mettersi davanti al ragazzo ed entrambi finalmente possono guardarsi in faccia.  

L’amico è rimasto uguale a come era, quando l’aveva salutato sulle mura di Shingashina. Anche se è cresciuto in altezza, però, Reiner lo osserva ancora dal basso e ciò lo convince che il tempo si sia cristallizzato.  

«Mi sei mancato» mormora Bertholdt, che gli lascia una carezza sul braccio, prima di tagliere il contatto fisico. 

«Anche tu» replica tra una lacrima e l’altra. 

I singhiozzi cessano definitivamente, quando qualcuno, sopraggiunto alle sue spalle, gli dà una pacca così potente sulla schiena da farlo sbilanciare in avanti. L’amico lo intercetta in tempo, lo afferra dal polso e così lo fa ritornare stabile, come ha sempre fatto.  

«Ehi, stangone, lasciane un pezzo anche a noi.» 

Il braccio di Ymir gli si avvolge intorno alle spalle e, ben attenta a non farsi vedere da Bertholdt, gli pizzica un fianco fino a farlo gemere. 

«Questo è un buon motivo per piangere, ragazzone» gli spiega lei, poi gli arruffa i capelli già spettinati. 

Reiner apre la bocca, sulla cui lingua pendono un miliardo di scuse che, tuttavia, non ha il tempo di dire, perché la ragazza gli preme un indice contro le labbra. 

«Ti puzza l’alito» ironizza lei, ma il significato dietro quelle parole è altro. 

«Lei mi piace.» 

Pieck fa capolino dalla sua sinistra e, quando la vede, è come se il suo cuore si tuffasse da un dirupo.  

«Perché sei qui?!» le chiede, la voce sporca di una nota di delusione «ero sicuro di avervi messo tutti al sicuro.» 

La ragazza fa spallucce, facendo oscillare dietro di sé la lunga chioma corvina. La sua espressione appare pensierosa, piuttosto che rammaricata. 

«Eren aveva un asso nella manica. Non mi va di parlarne.» 

Annuisce, poiché comprende la sua decisione, e dopo l’occhio gli cade sui due bambini che si nascondono dietro le gambe di Pieck. Zophia e Udo sono più riluttanti del solito e, come Bertholdt e Ymir, anche loro sono rimasti uguali.  

Gli viene naturale inginocchiarsi e aprire le braccia verso i due, i quali si fiondano contro il suo petto. Accarezza i capelli di entrambi, mentre percepisce la maglietta inumidirsi a causa delle loro lacrime. Manca poco che pure lui si rimetta a piangere. L’ultima volta che ha visto i due bimbi è stato durante la battaglia a Marley, quando Eren si è gettato sugli spalti e ripensare a quelle scene gli fa salire la bile in bocca.  

«Udo, Zophia... lasciatelo respirare.» 

Colt li ha raggiunti e si è accovacciato vicino loro. Non gli importa se è quasi suo coetaneo: anche lui viene travolto nell’abbraccio che coinvolge Reiner e i bambini. Il ragazzo arrossisce, ma ricambia volentieri il gesto informale.  

Si stacca soltanto per qualche secondo, in modo che possa guardare in faccia l’altro e, con tono solenne, lo informa: 

«Falco sta bene. È al sicuro, grazie...» 

«Grazie a me» borbotta Porco, che si ostina a rimanergli alle spalle. 

In quel momento Bertholdt e Pieck, dopo che si sono lanciati uno sguardo d’intesa, prelevano Udo e Zophia dalle sue braccia per stringerli nelle loro. Ymir, in mezzo ai due, ha le labbra arricciate in un sorrisetto beffardo, poi con un cenno della testa indica il ragazzo alle sue spalle. Osservando tutti questi sotterfugi, Colt pare illuminarsi in volto e anche lui prende le distanze da Reiner. 

L’uomo è confuso e terrorizzato, poiché teme che quello sia il preambolo dell’ennesimo abbandono. Se, tuttavia, Ymir continua a ghignare, mentre Bertholdt sorride affabile, come tutte le volte in cui lo ha rasserenato, forse dietro di lui non si cela l’orrore che pensa.  

Deve attingere a tutta la sua forza di volontà, affinché giri il busto quanto basta per girarsi. 

Porco gli sorride, ma non è un sorriso sardonico, di quelli che solevano prenderlo in giro. La sua espressione è distesa e, contemporaneamente al proprio, il suo sguardo si posa sullo scricciolo che tiene stretto tra le braccia.  

Marcel ha gli occhi enormi come quelli di un gufo, tanto li ha sbarrati. Senza volerlo, Reiner imita la sua faccia stupita e restano impalati a fissarsi.  

Il bambino è aggrappato al collo del fratello, come se da esso dipendesse la sua vita, e a lui non sfugge questo atteggiamento.  

Per quanto tempo Marcel ha vagato in quella landa da solo? Da quanto tempo aspettava di rivedere il fratello? 

«Capisco che abbiamo tutta l’eternità, ora, ma Reiner, ti prego, datti una mossa» sbotta Ymir. 

Il rimprovero della ragazza pare risvegliare anche il ragazzino, che allunga le mani verso Reiner. L’uomo lo imita come se fosse uno specchio e, quando Porco gli cede completamente il bambino, stringe il piccolo al petto come farebbe con suo figlio.  

«Mi dispiace» gli sussurra all’orecchio, ma Marcel scuote in modo deciso il capo. 

«Dispiace a me» dice il ragazzino, sorridendogli «dovevo agire diversamente.» 

Vorrebbe contraddirlo, ma è talmente scosso dalla situazione, che non riesce ad emettere alcun suono, se non quello dei singhiozzi.  

«Va tutto bene, Reiner.» 

Bertholdt gli preme la guancia contro la testa, mentre li circonda entrambi con le sue braccia. Attorno alla vita, poco dopo, percepisce anche le braccia esili di Zophia e Udo che tentano di circondare sia lui che l’amico. Pieck e Colt li raggiungono in seguito, dopo che la prima ha fatto cenno a Porco di avvicinarsi, e incastrano un braccio tra Reiner e Bertholdt, mentre con l’altro arpionano il rosso, che ha deciso di unirsi.  

«Lentiggini, vieni pure tu» dice quest’ultimo. 

Ymir, dopo qualche attimo di esitazione, si avvicina, ma rimane staccata dalla marmaglia di corpi e si limita a posare una mano sulla spalla del più alto.  

Sebbene sia avvolto da una decina di braccia, Reiner non si sente soffocare. Ha temuto che la fine fosse molto più amara, invece, rimorsi a parte, è stata la parte più dolce della sua vita. 






L'officina di Luschek
Siccome sono una persona pigrissima, ho deciso di inserire soltanto in questo capitolo le note dell'autore...
Perdonatemi, ma fra esami e altra roba, non ho avuto molto tempo per dilungarmi nelle mie spiegazioni
come mi piace fare di solito, sigh. Come avrete capito, la raccolta partecipa alla challenge "Hurt/Comfort Time" 
indetta sul forum "Torre di Carta"! Dato che ho qualcosa di più articolato in serbo per i miei adorati Guerrieri,
ho deciso di non dilungarmi troppo durante la stesura di queste Shot (anche perché mi mancava il tempo materiale)!
Probabilmente avrò fatto un sacco di errori, visto che le ho scritte correndo, perciò non esitate a segnalarmeli! 

Inoltre, ci tengo a specificare che il discorso di Pieck nel capitolo Tregua appartiene a Paulo Coelho, ergo non è mia! 

Se avete letto tutti i capitoli fino a qui, vi ringrazio infinitamente! E se avete qualche dritta da darmi, le critiche sono sempre le benvenute!
Vi lascio un enorme abbraccio,
Luschek

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Luschek