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Autore: Stephanie86    13/09/2020    1 recensioni
AU | SwanQueen | Storia a 4 mani
Emma, figlia di re David e della regina Mary Margaret, è l'erede del regno del sud, Anatlon. Quando il regno cade, la bambina è costretta a nascondersi presso Camelot, protetta da Artù e dai suoi Cavalieri. Crescerà sapendo di dover vendicare la morte dei genitori e del suo popolo. Sapendo che un giorno dovrà affrontare colei che le ha portato via tutto.
Regina, la sovrana di Mehlinus, sale al trono molto giovane, affiancata e istruita dal consigliere Tremotino. Anche lei vuole vendetta e non è disposta a rinunciarvi per niente al mondo.
Le strade di queste due donne apparentemente così diverse si incroceranno presto. Ci sono molte cose che non sanno. Il loro viaggio sarà molto lungo e le persone che tramano alle loro spalle sono pericolose e assetate di potere.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Emma Swan, Nuovo personaggio, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Violenza
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13

 

A LONG NIGHT

 

 

 

Nymeria. Regno di Mehlinus. Nord.

 

 
- Partire? Domani? – Tremotino spalancò gli occhi, non appena Regina gli comunicò la sua decisione.

Erano entrambi nella sala del trono. Dalle finestre filtrava la luce delle torce accese lungo i bastioni.

- Ho già scelto gli uomini che mi seguiranno. – disse Regina, in tono pratico. – La mia armatura è pronta. I servi la stanno lucidando. Prenderò Rocinante e partirò alle prime luci dell’alba. Durante la mia assenza Vi occuperete Voi del regno.

- Maestà...

- Devo andare, Tremotino.

- Lo capisco. Ma...

- Non ci sono ‘ma’. – Regina assunse un’espressione dura. Agguerrita. Strinse l’elsa nera della sua spada, Stormbringer. – Sono troppi anni che attendo, consigliere. Troppi anni che penso a come vendicare la morte di mia madre e quella di mio padre. Troppi anni che penso a come vendicare il tradimento subìto! Non ho intenzione di perdere altro tempo. Voglio prendere il regno dei Blanchard! Voglio dimostrare a tutti che sono dei traditori! Che la loro magia... le loro illusioni... non mi fanno paura.

Tremotino annuiva, cercando di apparire comprensivo. – Sì. Non pensiate che sia qui per impedirvi di partire. So che lo desiderate. Però... sono il Vostro consigliere. Sono stato il Vostro insegnante. E sapete bene che provo un grande affetto per Voi. Quindi, sento di dovervi dire qualcosa. Me lo permettete?

- Parlate.

- Sono convinto che se Vostra madre fosse qui sarebbe fiera di Voi. Dovete prendervi la Vostra vendetta. È giusto. – Tremotino si avvicinò alla sovrana di qualche passo. Allungò una delle sue mani squamose, sfiorando gentilmente il volto della donna. – Ma, Regina... i Blanchard sono pericolosi. Non li vediamo da anni e non abbiamo idea di quanto siano diventati potenti. Voi... Voi non ne avete idea. Abbiamo mandato degli uomini laggiù, più di una volta. Quanti ne sono tornati? Nessuno!

- Non ho paura di loro, Vi ripeto! – s’irritò Regina, dandogli le spalle.

- Ne sono consapevole. Ma ammetterete che andare a sud sia rischioso. Non sono degli stupidi. Probabilmente si aspettano il Vostro arrivo da un giorno all’altro. E non solo non sapete quanto siano potenti a livello... magico. Non sapete nemmeno quanto lo siano a livello militare. Il mio consiglio è di aspettare ancora un po’. Non molto, soltanto qualche... qualche luna.

- È troppo, Tremotino. Non posso aspettare!

- La fretta non è mai una buona consigliera...

- Risparmiatevi le frasi fatte! – gridò la regina, voltandosi e fulminandolo con un’occhiata.

- Sì, è una frase fatta, ma è la pura verità, mia cara! – Tremotino assunse un’aria desolata. E l’aveva chiamata ‘mia cara’. Quando lei era piccola, lo faceva spesso. Adesso, quel ‘mia cara’ gli sfuggiva solo quando discutevano. – Potrei farvi numerosi esempi di... di guerrieri valorosi che hanno avuto fretta e sono caduti... senza ottenere niente. Vi ricordo che ho molti più anni di Voi. È molto importante che siate a conoscenza dei poteri dei Vostri avversari. In questo modo, potreste elaborare una strategia migliore.

Regina chiuse gli occhi per qualche istante e rifletté.

- Fidatevi. So di cosa parlo. – continuò Tremotino. – Siete potente, ma occorre capire quanto lo siano loro. Inoltre ritengo siano capaci di fare qualsiasi cosa. Sapete bene con quanta crudeltà hanno agito l’ultima volta. Sapete bene quanto siano malvagi, quanto possano essere... perfidamente astuti. Non lasciatevi accecare dal Vostro desiderio di vendetta. Non dovete dimenticarvi di ciò che hanno fatto a Vostra madre e a Vostro padre, ma non dovete nemmeno perdere la lucidità. Il regno ha bisogno di Voi.

Per quanto le costasse ammetterlo, Regina si rendeva conto che il suo consigliere non aveva tutti i torti. Non sapeva quasi niente dei Blanchard. Non li aveva mai visti. Voleva distruggerli, ma per farlo doveva conoscerli meglio.

Madre, vorrei che foste qui. Vorrei tanto potervi parlare del mio piano. Vorrei tanto potermi affidare ai Vostri, di consigli. Tremotino vuole solo aiutarmi, mi ha insegnato molto... ma vorrei che foste Voi ad indicarmi la strada.

- Io non posso più aspettare. – concluse Regina. – Ma... d’accordo. Avete ragione: non so niente dei Blanchard.

- Già. – Tremotino sorrise.

- Partirò comunque, domani mattina. – Regina serrò la mascella. – Non ho intenzione di attaccare. Non subito. Andrò avanti, in esplorazione. Cercherò di... di capire quanto siano abili. Con la magia. E cercherò di... di farmi un’idea del loro esercito. Elaborerò un piano. E quel piano sarà perfetto, una volta che saprò tutto dei miei nemici.

- Queste sono parole sagge, Maestà. – disse Tremotino, con uno scintillio negli occhi scuri. – Ammiro il Vostro coraggio.

- Ma per quanto riguarda il viaggio... non si può rimandare.

Sospirò. Alzò il viso verso il soffitto altissimo della sala del trono. Poi lo riabbassò e guardò Regina negli occhi. – Sì. Va bene. Volete che vada ad assicurarmi che i servi stiano facendo il loro dovere con l’armatura e con il cavallo?

- Sì, andate.

Tremotino si inchinò lievemente.

Sì. Andrò a controllare il cavallo. E l’armatura. Quell’armatura nera che hanno forgiato apposta per te, Regina. E poi... ho dei messaggi da scrivere. Messaggi molto urgenti.

 

 

Camelot. Regno di Elohim. Est

 

Artù aveva ragione. Era stata una notte lunga.

Avevano parlato del viaggio. Avevano discusso su chi l’avrebbe accompagnata fino a Mehlinus.

Agravain aveva insistito talmente tanto, che alla fine il re aveva accordato il permesso; lui sarebbe andato con Emma. Anche Galahad, nonostante il parere contrario del padre, intendeva seguirla.

- Io ed Emma siamo cresciuti insieme. – aveva detto il giovane cavaliere. Palpebre socchiuse. Occhi chiarissimi e affilati. Duri. Decisi. Guardava il suo re con la mandibola che tremava. – Siamo cresciuti insieme ed io... mi sento in dovere di continuare a proteggerla e di essere al suo fianco in questa impresa.

- Va bene. - aveva detto Artù. – Te lo concedo.

Lancillotto, che occupava il Seggio Periglioso, il posto d’onore accanto al re, aveva stretto le labbra, preoccupato, ma non si era più permesso di contestare la decisione.

Gli altri cavalieri che avrebbero viaggiato con lei, oltre ad Agravain e Galahad, erano Gawain e Thomas.

Avevano discusso della tattica da adottare. Emma non aveva ancora un piano preciso in mente. Non sapeva cosa sarebbe accaduto, non appena si fosse ritrovata davanti alla sovrana del nord. Avrebbe combattuto. Fino alla fine. Questo sì. Avrebbe combattuto per vendicare i suoi genitori. Avrebbe guardato quella donna negli occhi. In fondo agli occhi. L’avrebbe guardata e l’avrebbe affrontata. Voleva batterla. Voleva sconfiggerla. Non doveva avere paura. Né della sua forza né tantomeno della sua magia.

- Viaggerete passando da sud, per poi spostarvi verso ovest. – aveva detto Artù, indicando la via su una grande mappa, srotolata sulla Tavola Rotonda. – La strada sarà molto più lunga. Impiegherete più tempo per raggiungere il nord, ma se attraversaste la Via dei Re, quella principale... sareste troppo scoperti. So che sapete difendervi, ma la regina vi vedrebbe arrivare. Se ha delle spie, cosa che credo fermamente, anticiperà le Vostre mosse. Sarà preparata. E non dovete darle il tempo di prepararsi. Dovete giungere a nord e osservare, prima di tutto. Capire com’è organizzata. Scovare eventuali punti deboli. È necessario cogliere di sorpresa lei e il suo consigliere.

Tremotino. Ecco un’altra cosa a cui doveva pensare. Tremotino, l’oscuro e astuto consigliere di Regina. Un uomo misterioso e potente, che per anni aveva camminato al fianco della sovrana. Emma non l’aveva mai visto, ma ne parlavano tutti come di un essere che di umano aveva ben poco. Aveva occhi spiritati e pelle da rettile, un aspetto sgradevole, per non dire ripugnante. La sua mente e il suo cuore erano neri come la notte più oscura.

Cogliere di sorpresa Tremotino sarebbe stata una vera impresa.

- Sire, c’è un’altra cosa di cui vorrei parlavi... – aveva detto Emma.

- Dimmi pure.

- La mia armatura...

- C’è già un’armatura per te, Emma. È da tempo che l’ho fatta forgiare. Un’armatura più robusta di quella che indossi. Sono sicuro che...

- Vi ringrazio. – lo interruppe Emma. – Ma mi riferivo allo stemma. Vorrei mostrare lo stemma della mia famiglia. Il cigno.

Artù l’aveva fissata, sbigottito. – Emma, se viaggi con lo stemma della tua famiglia... sarà più pericoloso. Regina capirà da lontano chi sei... e se ci fossero delle spie...

- Sì. Lo so. Ma è il simbolo del mio regno. Ed io voglio che lei sappia chi sono. Voglio che mi riconosca non appena mi avvisterà. Non sa nulla di me, non sa che esiste un’erede di Anatlon. Non ancora. Se anche le spie notassero il cigno, mi scambierebbero per un esule del sud, per un sopravvissuto che usa lo stemma della famiglia, per... un membro della guardia che è riuscito a fuggire. Tutti sanno che la famiglia reale è morta.

- Emma...

- Non ho forse scelto la parola ‘Swan’ come cognome? In tutti questi anni ho celato la mia vera identità dietro di essa.

- Certo. L’hai scelta perché ritenevamo che fosse meglio non usare il cognome Blanchard, visto che qualunque cosa, qui, sembra abbia delle orecchie. Hai anche assunto il simbolo della mia famiglia per lo stesso motivo.

- Ma adesso non intendo più nascondermi! Sire, parto per affrontare colei che ritengo responsabile della morte dei miei genitori e della distruzione di Snowing Castle. Voglio che Regina veda questo simbolo. Voglio che sia una delle prime cose che vedrà e che si renda conto che quel tradimento non resterà impunito.

Artù aveva riflettuto alcuni istanti. Gli altri cavalieri non avevano commentato.

- Bene, Emma. – aveva risposto il re. – Se è questo ciò che vuoi, allora farò in modo che sul tuo scudo venga inciso un cigno.

- Grazie.

Dopo la lunga discussione Emma non andò a riposare. Non era stanca. Il suo cuore era in tumulto e la sua mente già in viaggio. Quindi lasciò i cavalieri e, con l’armatura addosso e l’elmo sul capo, in modo che nessuno avesse una visione chiara del suo volto, salì sulle alte mura del castello, percorse per un breve tratto il cammino di ronda e poi si fermò, appoggiando le mani sul parapetto e guardando Camelot dall’alto; le case, il tempio con la sua cupola rotonda, le strade acciottolate, la piazza, il luccichio delle torce e di alcune lanterne, le abitazioni eleganti dei nobili vicino al castello del re. Guardò oltre le mura che circondavano la città di Artù. Guardò la foresta, dove si era nascosta a lungo, protetta dai cavalieri. Guardò le terre coltivate intorno a Camelot. Le ombre avvolgevano tutto, ma Emma assorbiva i rumori che giungevano fino a lei. Il latrato di un cane. Il richiamo di una civetta. Il frinire dei grilli. Lo scricchiolio prodotto dalle ruote di un carro. In cielo strisce di nuvole grigie tra le quali era possibile vedere le stelle e una piccola falce di luna.

Emma inspirò l’aria della notte. Quello era il luogo in cui era cresciuta da quando era stata costretta ad abbandonare Anatlon. Quello era il luogo in cui i cavalieri l’avevano protetta per anni. Lo conosceva. Conosceva la foresta come le sue tasche. Conosceva anche Camelot. Eppure non aveva mai pensato a Camelot come alla sua casa. Una volta le avevano detto: dove c’è qualcuno che non smette di pensarci con affetto, c’è la nostra casa’. Chi era stato? Ah, certo Galahad. Galahad gliel’aveva detto. L’aveva imparato da suo padre che, a sua volta, aveva udito quella frase da Elaine di Corbenic.

No. Camelot non era casa sua. Lì si era sentita protetta e amata, ma non era comunque casa sua. La sua casa era Snowing Castle.

- Siete qui.

La voce della regina Ginevra la fece sobbalzare.

- Mi dispiace. Non volevo spaventarvi. – disse la sposa di re Artù, avvicinandosi al parapetto. Vestita di un leggero ed elegante abito azzurro, la regina di Camelot si accostò a lei, l’ombra di un sorriso sulla bocca. I capelli scuri erano ora raccolti in una lunga coda.

- Non mi avete spaventata. Solo... non mi aspettavo di vedervi qui.

- Ed io credevo che foste andata a riposare.

- No. Non penso di poter riposare.

- Volete che Vi lasci sola? – Usava un tono molto rispettoso, come se non la conoscesse affatto. Come se stesse già parlando con una regina.

- No. Vi prego, restate.

Ginevra appoggiò i gomiti al parapetto. – Sono giorni importanti per Voi. Giorni che aspettavate da molto tempo. Siete davvero sicura di voler partire... così presto?

- Non è presto. Ho aspettato anche troppo.

- Siete giovane. Avete solo vent’anni. Se Vostro padre fosse qui Vi inviterebbe alla prudenza.

“...un giorno. Presto... Presto verrà il tuo momento. Lo so. Non può essere altrimenti. Allora tornerai e tutto questo sarà tuo! Tutto! Il trono che ti appartiene di diritto sarà tuo! Le terre saranno tue! I miei uomini saranno tuoi!”

Suo padre. Sì, forse David le avrebbe chiesto di attendere. Di prepararsi meglio. Ma Emma si sentiva pronta. Il suo cuore le diceva che il momento era giunto. Morgana gliel’aveva detto.

“Pensi di essere pronta per questo?”

“Il viaggio sarà lungo, Emma. Sarà lungo e avrai modo di scoprire che molte delle cose in cui credi non sono come appaiono.”

Cosa significava? Cosa? Lei sapeva come stavano le cose. Sapeva che Regina era la responsabile della morte dei suoi genitori! Aveva visto con i suoi occhi gli uomini con l’armatura nera e lo stemma sugli scudi, sugli stendardi. Il melo su sfondo blu, che adesso si era trasformato in una pantera nera con le fauci spalancate. Regina non aveva mai fatto nulla per negare quell’attacco. Era apertamente ostile con tutti. Forse le parole di Morgana si riferivano a qualcos’altro...

“Io non ho bisogno di mandare qualcuno. Il destino lo manda. Incolperai lui. O forse lo ringrazierai. Se ti dicessi chi è, non mi crederesti né vorresti darmi ascolto. Ma ricordati delle mie parole. Non essere avventata.”

- Mio padre era un uomo coraggioso. Forse mi avrebbe detto di aspettare, ma io sento di dover andare. Sento che è questo, il momento giusto. – disse Emma, osservando la foresta, seguendo uno stormo di uccelli neri che si alzava in volo.

- Allora pregherò per Voi. – disse Ginevra. – Pregherò per Voi ogni giorno. Pregherò perché troviate la forza di arrivare alla fine di questa impresa. Voi e non solo Voi... anche mio marito e gli altri cavalieri.

- Vi ringrazio.

Il sorriso di Ginevra era appena accennato. La sua voce era dolce, una di quelle voci che sembravano far rientrare i problemi in una dimensione meno vasta. Era piccola di statura e un po’ gracile fisicamente. In quel momento, là sui camminamenti del castello, sembrava in procinto di dissolversi. Eppure Emma intuiva che, dietro l’aspetto dimesso, vi fosse anche una grande forza d’animo. – Spero che ci sia qualcuno disposto ad ascoltarle, quelle preghiere. Non ho mai pregato molto gli dei nella mia vita. 

Emma non aveva idea di come rispondere, anche perché nemmeno lei si era mai affidata agli dei. Si schiarì la voce. – Non è necessario. Me la caverò. Mi sono preparata per anni.

- Mi ricordate Artù, a volte. Spesso fa di testa sua. Non è possibile discutere con lui quando ha già preso una decisione. È sempre stato così. Forse è anche per questo che il popolo lo ama. – Guardò l’orizzonte.

- Il popolo ama anche Voi.

- Non nello stesso modo. – Dicendolo, sorrise e poi alzò le spalle. - Io sono la moglie di Artù e il popolo si aspetta... qualcosa da me. Si aspetta un erede.

Stava per dirle qualcosa di sciocco, qualcosa che persino Ginevra si sarebbe aspettata: vedrete che arriverà. Non lo fece. Dare a qualcuno delle false speranze poteva essere più doloroso che restare in silenzio.

- Emma, non sono preoccupata per me. – ricominciò Ginevra, con una voce più ferma, più sicura. - Sono preoccupata per il regno. Se Artù non dovesse avere eredi... Camelot e l’est precipiteranno nel caos. Lo stesso caos che regnava in queste terre prima della salita al trono di Uther.

- Potrebbe nominare come erede un altro. Qualcuno di cui si fida.

- Sì, ma ciò potrebbe creare dei conflitti interni, dei rancori. Potrebbero esserci dei problemi all’interno della cerchia di Artù. E non vorrei mai che ciò accadesse. Se nominasse Lancillotto, potrebbe infastidire Morgause. Anche i suoi figli sono vicini al trono. Gawain specialmente. È il maggiore ed è il cugino di Artù. Ma se nominasse Gawain...

- Avrebbe problemi con il padre di Lance.

- Lord Ban di Benwick non è più così giovane, ma può essere pericoloso. Ha una dozzina di figli legittimi, ma Lancillotto è sangue di Avalon. Lo sono anche i figli di Morgause, ma lei ha abbandonato Avalon anni orsono, non è mai stata sacerdotessa e non possiede neppure la Vista, stando a ciò che dice Merlino. E Artù non si fida completamente di lei. Lance, invece, è figlio della Dama del Lago.

Emma non rispose. La brezza notturna scompigliò leggermente i capelli di Ginevra. Lei sospirò.

- C’è... c’è ancora tempo. – disse Emma. – Non dovete essere pessimista.

- Quando tornerete... Vi renderete conto dell’importanza di avere un erede. Anche Voi siete una regina.

- Adesso io sono un cavaliere.

- Oh, sì. Uno dei migliori. Quando avete combattuto contro Percival non credevo ai miei occhi. Sapevo che eravate brava... solo non immaginavo lo foste così tanto. Siete incantevole quando vi battete. E con incantevole... intendo dire che è difficile non guardarvi mentre usate quella spada. – Ginevra le appoggiò una mano sul braccio.

- Mi fa piacere sentirvelo dire.

- Ma siete anche la legittima erede di Anatlon. Vi chiederanno di... di sposarvi. Di sposarvi e di avere dei figli, che prenderanno il Vostro posto. Diventeranno fondamentali, quei figli, per mantenere la pace nel Vostro regno. Tutti Vi guarderanno, in attesa di quel futuro re o di quella futura regina.

- Non ho tempo di pensare a questo.

- Ora no. Ora dovete pensare solo a riprendervi ciò che Vi appartiene e ad onorare la memoria delle persone che Vi hanno messa al mondo. Ma insisteranno perché lo facciate. Nemmeno io ci pensavo, prima di sposare Artù. Non ci ho pensato nemmeno all’inizio. Quello a cui pensavo era... conoscere l’uomo che mio padre aveva scelto per me. Sono stata fortunata. Artù è davvero l’uomo migliore che potessi incontrare.

Emma si voltò verso la regina di Camelot.

- Forse parlate così perché c’è già qualcuno nel Vostro cuore? Qualcuno a cui tenete particolarmente? – domandò Ginevra, sottovoce.

Emma ripensò a Graham. Ripensò al loro bacio. Era da tempo che non si soffermava su quei ricordi, visto che era stata molto presa dalla sua missione e dal suo addestramento. Ma conservava ancora dentro di sé la dolcezza di quel momento.

- Nessuno.

- Nemmeno... Galahad?

- Come? – Emma era sbalordita. – Galahad?

- Siete molto uniti. Credo che Lancillotto approverebbe. E anche Artù.

- Io non amo Galahad. Non nel modo che credete. – Emma pensò al giovane cavaliere della Tavola Rotonda. Era bello, sì. Galahad era bello e generoso, aveva un grande cuore e l’aveva sempre trattata con rispetto. Le aveva insegnato a combattere con la mano sinistra. Ma... sposarlo? Non aveva mai pensato ad una cosa simile. Mai. Nemmeno una volta.

Ginevra non disse niente. Parve rifletterci su. Poi scosse la testa. – Forse è meglio che vada. Sono felice di avervi incontrata. E di aver parlato con Voi. Sembra incredibile, ma in undici anni non abbiamo mai davvero parlato.

- Già. No.

Ginevra la lasciò sola sul cammino di ronda. Emma restò là, a guardare la terra in cui era cresciuta, fino a quando non spuntò il sole.

   
 
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