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Autore: Fanny Jumping Sparrow    13/09/2020    4 recensioni
L'estenuante Torneo del potere si è ormai concluso, e Goku e Vegeta, i due grandi combattenti ed eterni rivali, sono tornati a casa dalle loro famiglie.
Ma dovranno fare in conti con degli inaspettati postumi. E le loro mogli, come reagiranno?
Missing moment senza pretese e inventato di sana pianta per omaggiare ed esplorare il rapporto tra le due coppie principali del manga/anime.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Chichi, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il riposo del guerriero


Per l’immensa e verdeggiante vallata alle falde degli innevati Monti Paoz regnava una calma quasi irreale, che soltanto qualche grillo sonnacchioso o qualche sparuto esemplare di rapace notturno di tanto in tanto osava fendere lanciando il proprio canto, il cui suono stridente si perdeva tra le spesse ombre della notte appena calata.
Nell’indaco intenso del cielo occhieggiavano miliardi di stelle cui facevano da contrappunto sciami di lucciole che vorticavano sui fili d’erba e tra le fronde degli alberi, eseguendo una danza d’amore millenaria e affascinante.
Un’unica abitazione sorgeva nel bel mezzo di quel versante disabitato del Distretto dell’Est. Con i suoi muri esterni dipinti di bianco e la mancanza di recinzioni appariva semplice e modesta nell’aspetto, al pari di una casetta di umili contadini, sebbene la sua pianta circolare e la fattura moderna stonassero un po’ in quel contesto bucolico che pareva sospeso nel tempo.
In pochi erano a conoscenza del fatto che quella fosse la dimora di uno dei guerrieri più forti e potenti non solo del Pianeta Terra o della Galassia, bensì dei Dodici Universi conosciuti che compongono lo Spazio infinito.
Era stato proprio tra quelle montagne aspre e irte di pericoli che il suo animo combattivo si era temprato e il suo fisico mingherlino forgiato, prima ancora di conoscere il suo eroico destino di salvatore dell’umanità. Ed era a contatto con quella natura selvaggia che tornava sempre, alla fine dell’ennesimo confronto con qualche malvagio nemico intenzionato a distruggerlo senza scrupolo alcuno.
Lì, tra le pareti di quella sorta di rifugio ai confini con la civiltà, lontano dalle luci, dallo smog e dal frastuono dei centri urbani, vigeva una rigenerante quiete che conciliava il ristoro dello spirito e del corpo, sfibrati dall’aver affrontato tante impegnative battaglie intergalattiche contro sfidanti così spietati e agguerriti da mettere in seria difficoltà perfino l’abilità e la resistenza di un combattente tenace, instancabile e amante delle sfide come lui.
La stanchezza fisica ed emotiva era una sensazione che raramente aveva sperimentato durante la sua movimentata vita costellata di peripezie, incredibili avventure e duelli contro antagonisti formidabili, eppure quando arrivava a chiedergli lo scotto non poteva astenersi dal pagarglielo, con gli interessi. In fin dei conti non era un vero Dio.


Dopo aver risciacquato e lucidato anche l’ultimo piatto del servizio buono che oramai era costretta da anni a mettere in tavola, data la penuria cronica di stoviglie sufficienti a servire i pranzi pantagruelici che preparava per la sua famiglia, la donna dai capelli corvini raccolti in una crocchia si strofinò le mani un po’ intirizzite sul grembiule, stendendolo ad asciugare.
L’aria vespertina che entrava dalle tende era piacevolmente frizzante, ma tutto sommato ancora abbastanza mite per essere vicini all’autunno. La natura cominciava ad addormentarsi ed era sempre più raro udire i versi dei tanti animali selvatici che vivevano nei boschi attorno.
Quella sera poi aleggiava un silenzio insolito anche tra le mura di casa, tanto che ebbe l’improvvisa quanto abituale sensazione di essere rimasta da sola. Niente di così imprevedibile, era tipico di quei due zucconi scapestrati volare via senza neanche avvertirla per andare a trovare i loro amici, anche agli orari più improbabili. Le loro energie erano inesauribili.
Chichi sospirò rassegnata e, accertandosi che in cucina fosse tutto impeccabilmente in ordine, spense l’interruttore, ritirandosi nella zona più intima della casa. Passando davanti alla porta della cameretta del figlioletto notò però uno spiraglio di luce provenire dall’interno.
- Goten! – esclamò sorpresa e rincuorata, scorgendo il bambino chino sulla scrivania.
Quello le rivolse un sorriso sereno: - Ho appena finito di fare gli ultimi compiti, mamma – la informò con fare giudizioso, sistemando libri e quaderni nello zainetto.
- Credevo fossi andato da Trunks o da tuo fratello – ammise la donna, continuando ad accarezzarlo con uno sguardo affettuoso, sentendosi in torto per averlo giudicato male.
Goten accese il lumetto sul comodino, prendendo il pigiama pulito dal cassetto: - Domani ricomincerà la scuola. Devo andare a dormire presto – affermò come fosse la cosa più naturale del mondo, mentre alla madre balenò l’idea folle che quello davanti a lei fosse un clone.
Rispetto a Gohan, che era sempre stato coscienzioso e impegnandosi con costanza nello studio aveva raggiunto grandi traguardi ed era per lei motivo di smisurato orgoglio, il secondogenito era ben più indisciplinato e scostante, non era mai stato troppo ubbidiente o interessato all’istruzione. Anche a causa delle cattive compagnie con cui era cresciuto.
Immersa in queste riflessioni, trasalì lievemente nel percepire il leggero bacio con cui il figlio le augurò la buona notte, infilandosi subito dopo sotto le coperte.
Quasi in trance per la felicità scaturita da quel comportamento inaspettato, socchiuse la porta e, spostandosi agilmente nella penombra, si avviò alla propria camera.
Anche lì, l’accendersi della lampadina le rivelò un altro fatto insolito: - Goku? Ma che ci fai qui? – lo accusò quasi, trovandolo steso supino sopra il copriletto, con ancora indosso gli scarponi.
Suo marito girò appena la testa nella sua direzione, gli occhi dilatati dall’incomprensione: - Eh?
- Pensavo fossi partito per allenarti da qualche parte – puntualizzò con un filo di stizza lei, rimuovendo gli orecchini e sfilandosi il fazzoletto viola dal collo, ripiegandolo meticolosamente.
- Ma è già buio fuori – ribatté innocentemente lui, distogliendo il volto verso il panorama visibile attraverso la finestra aperta e piegandosi pigramente in avanti per slacciare le cinghie degli stivali infangati su cui si erano appuntate le iridi impermalite della moglie.
Questa sciolse la cinta che tratteneva il kimono alla vita: - Come se fosse mai stato un problema per te, da quando usi quel diavolo di teletrasporto – brontolò indispettita, dirigendosi dietro il paravento per continuare a cambiarsi e indossare la camicia da notte. Eppure riconsiderò che durante la cena, nonostante avesse chiacchierato a lungo e animatamente con il figlio, era stato alquanto sfuggente. O, per lo meno, più sfuggente del solito.
Avvertendolo rilasciare un sospirone quasi sofferente, fece capolino da dietro il pannello: - Sei sicuro di stare bene? – allibì perplessa, vedendolo muoversi a rilento mentre si spogliava della parte superiore della solita pesante tuta arancione. Fino al giorno precedente, quello del suo ritorno, le era parso il solito scatenato maniaco del combattimento.
- Uhm … Sì, benissimo – bofonchiò svelto lui, distendendosi nuovamente con movenze rigide e rallentate, che si sforzò di dissimulare con un sorriso tirato.
Chichi si piazzò ai piedi del letto, piantando i pugni ai fianchi avvolti dalla leggera veste color crema che le sfiorava metà coscia: - Hai fatto il bis soltanto due volte! Cosa c’è? Non ti piace più quello che ti cucino? O mi stai nascondendo qualcos’altro?
Goku alzò un po’ il collo dal cuscino per poterla guardare: - No, affatto! I tuoi piatti sono sempre squisiti – la rassicurò con voce squillante, per poi aggiungere in un farfuglio, abbassando il mento – Non avevo tanta fame.
La donna annegò nell’ansia, fiondandosi al suo fianco: - Oh, tesoro! Non ti starà tornando quel disturbo dell’aura? – s’impensierì, raddolcendo l’espressione e prendendogli teneramente le grandi mani insolitamente gelate nelle sue.
- Ecco io … – balbettò nervoso il saiyan, grattandosi i capelli folti e dritti, quasi provando fastidio anche a compiere quel semplice gesto, specialmente trovandosi piantate dentro le proprie le inflessibili e apprensive pupille della sua consorte, capaci di penetrarlo come una lama affilata.
Non aveva mai avuto paura di mostrarsi debole e vulnerabile, solo voleva che gli altri non si preoccupassero inutilmente per la sua salute. Perché contavano essenzialmente sulle sue forze quando le loro vite erano messe a repentaglio e non poteva permettersi di deluderli.
Ciò nondimeno era consapevole che, stando sotto lo stesso tetto con una donna risoluta e attenta a tutto come lei, non avrebbe potuto fingere a lungo che andasse tutto per il meglio.
- Questa volta è diverso, mi sento completamente bloccato – confessò a denti stretti, i tendini induriti sotto la pelle tesa e rabbrividita – Forse è un effetto indesiderato di quell’Ultra Istinto. Dovrei andare a consultarmi con Whis ...
- Hai esagerato di nuovo, vero?  Sei uno sconsiderato! Vuoi proprio farti ammazzare! – lo rimproverò aspramente sua moglie, rifilandogli un violento scappellotto che, ipersensibile e indolenzito com’era in quell’istante, lo portò a cacciare un ululante urlo.
In fondo, per quanto potesse credere di elevarsi sopra gli altri, restava pur sempre un uomo fatto di carne e ossa. Talvolta tendeva a sottovalutarlo e quelle erano le ovvie conseguenze.
- Non esiste che te ne vada a gironzolare per il cosmo nelle tue condizioni – sbottò Chichi, tastandogli la fronte impregnata di sudori freddi, un tono a metà tra il biasimo e la compassione – Mi occuperò io di te! Vado a prepararti un infuso tonificante – stabilì perentoria, alzandosi di scatto dal materasso la cui vecchia rete cigolò in rimando.
Goku non riuscì neppure a pronunciare un ringraziamento o a rifiutare che già intravide la sua sagoma longilinea essere inghiottita dal corridoio. La sua Chichi non era il tipo con cui poter discutere e averla vinta, e lui non aveva mai saputo farsi valere con le parole.
La sentì parlare con Goten e rassicurarlo sul suo stato con più fermezza di quanto non fosse riuscito lui, poco prima che si convincesse a rimandare la loro volata notturna.
Rimasto momentaneamente da solo, riprovò ad aprire e chiudere i palmi, a muovere tutte e venti le dita e poi piano piano le altre articolazioni anchilosate, avendo la sensazione di essere stato schiacciato da un rullo compressore. Non era abituato a provare tanta impotenza. I suoi muscoli si rifiutavano di obbedirgli a dovere e la sua temperatura corporea si era abbassata.
Era pur vero che in un breve lasso di minuti aveva sostenuto sforzi immani, non si era minimamente risparmiato e più volte si era convinto di aver raggiunto il limite delle sue capacità fisiche e spirituali, ma poi si era di nuovo superato. Ed era uscito indenne, grazie anche alla complicità dei suoi amici e all’aiuto di qualche ex nemico. E soprattutto aveva contribuito a salvare l’universo. O meglio gli universi. Non se ne poteva rammaricare più di tanto.
Dei passi concitati accompagnarono l’ingresso della sua energica compagna, che reggeva un vassoio con una tazza fumante: - Ecco qui. Bevilo tutto, anche se è amaro – gli raccomandò severa, porgendoglielo e aiutandolo a sollevare le spalle con premura materna.
Lui inghiottì forzatamente il primo sorso, profondendosi in una smorfia schifata, al che lei gli strinse il naso per costringerlo a finire di ingerire il restante liquido: - Che saporaccio – sputacchiò gemendo e tenendosi la pancia.
La donna mormorò tra sé e sé: le sembrava di relazionarsi con un eterno bambino troppo cresciuto e si domandò come avrebbero reagito i suoi terribili avversari se avessero conosciuto quel suo lato così irrimediabilmente infantile. Eppure non poteva comunque smettere di amarlo perdutamente così com’era: dissennato, sciocco, leale, impavido, altruista. Insostituibile.
Il suo cuore era consacrato a lui e per quante sofferenze le procurava, più o meno coscientemente, non poteva sopportare di vederlo soffrire senza agire.
Goku intanto, facendo leva sulla sua indefessa cocciutaggine, cercò di rimettersi in piedi e camminare: – Non serve che tu faccia altro! Guarda, sto già molto meglio! – asserì col suo incrollabile ottimismo, ma la sua affermazione era in netto contrasto con il movimento robotico dei suoi arti. Le ginocchia non gli ressero e ricadde miseramente sul letto. Guaì amareggiato: si sentiva pesantissimo e svuotato, una carcassa di piombo.
A ripensarci, neanche Vegeta gli era parso al massimo della forma quando si erano fronteggiati dopo la marachella di Pan. E questa considerazione un po’ lo confortò.
Chichi frattanto finse di non udirlo, dirigendosi allo sgabuzzino e recuperando una scaletta che usò per setacciare i ripiani più alti dell’armadio: - Coraggio, spogliati. Forse ho un rimedio per i tuoi dolori. È un unguento speciale che mi aveva dato una vecchia fattucchiera, ai tempi in cui partecipavo anch’io a qualche torneo di arti marziali. Certo, non posso assicurarti che ti passi subito tutto quanto, ma magari ne ricaverai un po’ di sollievo.
Il saiyan a malincuore dovette arrendersi e obbedirle, cominciando a liberarsi a fatica dei vestiti, contenendo i gemiti per impedirle di agitarsi ancora di più di quanto già non lo fosse.
La osservò affaccendarsi instancabilmente e in quel momento quasi invidiò la sua scioltezza, così come ne ammirò la grinta e la grazia, esaltate da quella veste sottile che lasciava trapelare le sue armoniose fattezze femminili. Il suo aspetto era praticamente rimasto in tutto e per tutto identico a quello della ragazza fiera e intraprendente che, mossa da un profondo sentimento romantico, aveva reclamato la sua mano sfidandolo su un ring. Aveva sempre la stessa corporatura snella e scattante, la stessa cascata di capelli lunghi e nerissimi, lo stesso modo di fare schietto e diretto, lo stesso sguardo acuto e vivace; forse si era un po’ indurita con gli anni, era diventata un po’ meno accondiscendente e tollerante, la sua suscettibilità si era acuita, ma non aveva perso del tutto il suo animo dolce e premuroso.
Doveva ammettere che gli piaceva molto essere accudito da lei quando nessuno poteva vederli, anche se spesso finiva per esagerare con le sue attenzioni, dimenticando che nelle sue vene scorreva sangue alieno e che era sostanzialmente immune ai comuni malanni delle persone della Terra. Ma lei non si era mai posta troppi problemi sulla sua vera natura che di umano aveva ben poco.
Erano un toccasana quegli spensierati sprazzi di normalità che gli donava, senza lasciarsi impressionare dalle sue imprese sensazionali, senza temere di rinfacciargli le sue mancanze, come uomo, come marito e come padre, ricordandogli che non era né invincibile né perfetto.
Sentì nascere una fiamma al centro del petto, immaginando quale adorabile espressione potesse avere la sua faccia mentre sicuramente stava mordendosi la lingua, nella disperata ricerca di quell’inutile intruglio che aveva menzionato, maledicendo gli innumerevoli trambusti subiti dai loro averi.
Avrebbe voluto dirle di non affannarsi troppo a cercare, che a lui bastava semplicemente sentirsi vivo avendola accanto e poter trovare la sua mano amica da stringere nel sonno.
Lei invece spanse un risolino compiaciuto agitando una boccetta, si voltò verso di lui e … avvampò: - Goku?! Cosa fai! Perché sei nudo come un verme?!
- Mi hai chiesto tu di spogliarmi – le rispose con semplicità, confuso dalla sua reazione scandalizzata.
- Non intendevo completamente! – obiettò imbarazzata la donna, girandosi e temporeggiando nel rimettere a posto i tanti oggetti tirati fuori dai cassetti così da evitare di doverlo guardare.
Lui continuava a non capire perché si vergognasse tanto: - Perché urli? Mi hai già visto altre volte … – balbettò stralunato, rindossando i larghi boxer e nel farlo sorrise tra sé e sé: certe sue strane inibizioni non sarebbero mai scomparse.
Le guance di Chichi erano tinte da un intenso rossore: - Non così, senza preavviso – puntualizzò tenendo gli occhi bassi e tornando però ad inginocchiarsi sul materasso a lato a lui – Avanti, mettiti a pancia sotto – gli intimò persuasiva, accarezzandogli un braccio.
- Agli ordini! – esclamò scherzosamente il guerriero, beandosi poi nel sentire il suo lieve peso salirgli cavalcioni sistemandosi proprio sul suo didietro, i polpacci lisci e tonici allacciati attorno ai suoi solidi fianchi. Le era sempre piaciuto appiccicarsi a lui, rimuginò, ricordando il loro primo incontro, e oramai non provava più alcun imbarazzo quando lo faceva. Se nessuno li guardava.
Ebbe un leggero spasmo non appena le sue dita affusolate iniziarono a solcargli la schiena di granito, premendo con decisione su ogni tessuto muscolare intorpidito, sciogliendone le contratture. Non seppe dire se quel massaggio vigoroso e delicato al tempo stesso fosse efficace perché compiuto con quella misteriosa sostanza gelatinosa o perché fossero le sue sapienti e amorevoli mani a eseguirlo, Goku seppe solo che gradualmente cominciò a provare un piacevole senso di tepore e rilassamento lungo la spina dorsale e non poté impedirsi di mugolare come un cagnolino appagato.
Con quella ritrovata vicinanza riusciva a inalare il suo fresco profumo di rugiada e fiori di campo, anche quello sempre uguale dal giorno in cui l’aveva conosciuta, e percepì espandersi un calore liquido che s’irradiava ad ogni cellula del suo corpo, ma non era eccessivo né gli suscitava emozioni aggressive, come succedeva se era in procinto di sferrare un attacco contro qualcuno. Anzi, mentre quelle energiche frizioni proseguivano, risvegliavano tutt’altre sensazioni e istinti, che aveva trascurato di assecondare.
Dandogli un colpetto di tallone su uno stinco, Chichi si sollevò quel tanto che bastava perché lui tornasse a stendersi sul dorso e potesse occuparsi di cospargergli anche il tronco con quel miracoloso unguento curativo.
I suoi pratici polpastrelli tracciarono cerchi concentrici sui suoi ampi pettorali che riportavano i segni chiari di qualche nuova cicatrice, scendendo successivamente sugli addominali che si sorprese di scoprire essere diventati ancora più turgidi di quanto li ricordasse.
- Comunque ho ricevuto parecchi colpi anche lì sotto – farfugliò innocuamente Goku, scostando qualche filo dei suoi fluenti capelli finiti a solleticargli il collo, quando lei si piegò a frizionargli insistentemente un bicipite.
Il modulato attrito tra i loro bacini lo stava destabilizzando un po’ e intuì che quello stretto contatto non lasciava indifferente neanche lei, glielo lesse nel sorriso piacevolmente turbato che curvò le sue belle labbra.
- Lì sotto te lo spalmi da solo, amore – gli sussurrò maliziosamente all’orecchio la moglie, posandogli un piccolo bacio sulla tempia. Dopo più di due decenni di matrimonio, aveva smesso di chiedersi se delle volte fosse davvero così ingenuo come dava a credere. Aveva imparato a riconoscere le sue reazioni e sentiva che sotto di lei si stava surriscaldando. Forse, da buon saiyan qual era, si stava già ristabilendo prima del previsto, ma lo avrebbe fatto penare un po’.
Non lo aveva del tutto perdonato per avergli taciuto dove fosse andato.
– Su, raccontami cosa hai combinato a questo Torneo del potere – lo spronò con uno schiaffetto sullo sterno, dissimulando il compiacimento dietro un’espressione accigliata nello scivolargli accanto per dedicarsi a massaggiargli anche le gambe tornite.
E lui accettò di buon grado il suo invito a chiacchierare. Non sapeva ancora se sarebbe riuscito a controllare la sua spropositata forza in quella situazione d’instabilità. Avrebbe rimandato ad un altro momento l’appagamento di quel desiderio di fondersi con lei, nel fiato e nell’anima.
Il valoroso guerriero incrociò le braccia dietro la nuca, godendosi quegli sprazzi di soffusa e rasserenante intimità: - Ci sono stati dei combattimenti davvero molto difficili. È stato un bene che tu e Goten non siate venuti ...

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Nell’enorme parco situato ai margini della Città dell’Ovest telecamere notturne e sensori di movimento erano entrati in funzione, producendo un ronzio a bassa intensità e qualche raggio a infrarossi che scandagliava i viali, i cancelli e lo spazio aereo sovrastante per prevenire e scoraggiare intrusioni indesiderate.
Il frastuono incessante della megalopoli, le cui strade erano attraversate da un flusso ininterrotto di veicoli volanti o a ruote, giungeva ovattato all’interno della Capsule Corporation, il gigantesco complesso di edifici dalle architetture stravaganti che accoglieva svariati laboratori dotati di tecnologie all’avanguardia e un’ampia ala residenziale con appartamenti acusticamente ben isolati e dotati di ogni comfort elettronico, frutto delle ricerche scientifiche condotte dalle fervide menti degli eccentrici proprietari.
Le sfavillanti luci colorate diffuse dai mezzi di trasporto e dai megaschermi installati sui grattacieli che trasmettevano ventiquattro ore su ventiquattro rintronanti spot pubblicitari e notiziari, erano ugualmente filtrate dallo spessore delle vetrate fotosensibili di cui era dotata la struttura, tanto che la loro accesa luminescenza appariva simile a quella di astri lontani.
Con le sue mura lucide e ricurve, i pavimenti laminati, le lampade al neon e quella miriade di stanze accessibili tramite pulsanti e tessere magnetiche che aprivano porte a scorrimento, quell’abitazione futuristica somigliava molto ad un’astronave, cui parevano mancare soltanto i motori per decollare alla volta dell’iperspazio.
Forse proprio per quella singolare affinità con l’ambiente in cui era cresciuto, abituarsi a vivere in quel luogo era stato un po’ meno arduo di quanto avesse previsto, quando, in uno dei momenti più cupi della sua esistenza violenta e vagabonda, gli era stata inaspettatamente offerta la possibilità di restare su quell’infimo pianeta che alla fine non aveva più conquistato né distrutto.
Abituarsi a convivere con i suoi abitanti, invece, era stato tutt’altro che semplice. Troppo diversi i costumi, gli ideali, i modi di fare, i cibi che mangiavano, i vestiti che indossavano, i valori a cui tenevano. La pace, prima di tutti. E anche a distanza di anni, di tanto in tanto, c’era sempre qualcosa di nuovo o sconosciuto che piombava come un meteorite a sconvolgere i suoi equilibri o quello che pensava di avere appreso sui terrestri e su se stesso.
Tuttora, riguardando indietro, non si capacitava di quanto quell’ecosistema estraneo e il tempo trascorso tra quella gente così accogliente e pacifica avessero avuto il potere di cambiarlo, pur non riuscendo a fargli dimenticare del tutto chi era stato e da dove proveniva.
Soffermandosi a guardare quelle sue manine paffute e immacolate premute contro la piccola bocca dischiusa in un sonno sereno, però, si rese conto che avrebbe desiderato obliarlo.
Anche se non avrebbe mai potuto accettare di essere un altro, un uomo come tanti, perché ciò che bramava più di ogni altra cosa era essere in grado di proteggerla, sempre, da ogni male.
Di proteggere tutti loro da chiunque avesse osato minacciarli. E non avrebbe fatto sconti a nessuno, neanche a se stesso.
Ormai erano loro tre l’unica ragione per cui sarebbe valsa la pena di vivere o di morire.


Armata di un telecomando universale con proiezione olografica appena perfezionato al termine di una logorante sessione di programmazione, la donna con un corto caschetto di capelli azzurri percorse a passo sostenuto i labirintici locali inondati dal riverbero di una striscia di led installati sul piano del calpestio che si accesero al suo passaggio. Controllando che ogni macchinario non necessario fosse spento, che ogni stanza inutilizzata fosse serrata a dovere per non disperdere il ricircolo dell’aria condizionata e che i robot tuttofare finissero le pulizie domestiche, decise che per quel giorno aveva lavorato già abbastanza.
Infilandosi nell’ascensore, Bulma premette il tasto “Livello 02” e in poco più di cinque secondi risalì dalla Sala Computer del seminterrato fino al piano adibito a vera e propria abitazione. Quando le porte metalliche si richiusero dietro di lei e il rilevatore di soglia intercettò la sua presenza, l’intero corridoio s’illuminò rivelando una piccola figura che corse subito a chiudersi nella stanza in fondo a sinistra, credendo erroneamente di essere sfuggita al suo raggio visivo.
Ma per quanto quel monello fosse veloce e silenzioso, ormai lei aveva acquisito una certa dimestichezza nel cogliere i minimi spostamenti d’aria provocati dalle sue rapide incursioni nella cameretta appartenente all’ultima arrivata in famiglia, che doveva suscitargli una malcelata curiosità nel suo essere femmina e mezza saiyan.
Qualcosa di raro che aveva tenuto in apprensione anche lei, come mamma oltre che come scienziata, sin da quando aveva scoperto di aspettarla, sebbene poi la sua venuta al mondo fosse stata tutt’altro che regolare.
D’altra parte le stranezze fuori dal comune erano una loro caratteristica peculiare.
Pur avendola tenuta costantemente sott’occhio sul baby monitor, volle andare ad accertarsi di persona che la neonata stesse bene. Giunta davanti alla soglia sobbalzò intravedendo un’ombra dai contorni frastagliati vicino al lettino che, avvertendo il suo approssimarsi, si dileguò in un baleno dalla finestra lasciata aperta.
In quell’istante pensò che forse l’idea di rendere gli infissi sensibili al riconoscimento del codice genetico dei componenti del suo nucleo familiare, affinché potessero entrare e uscire a loro piacimento senza passare dalle aperture convenzionali, non fosse stata poi così geniale.
Spesso con quei due scriteriati rischiava di avere dei veri e propri infarti!
Si assicurò dunque di disattivare quella funzionalità, almeno per la notte, e dopo aver rimboccato la copertina lilla alla piccolina che era sprofondata nel mondo dei sogni, proseguì verso la stanza dell’irrequieto primogenito, per verificare che non fosse uscito di nascosto.
Il ragazzino, avvertendo la sua aura avvicinarsi, si affrettò a spegnere tv, smartphone e computer, facendosi trovare a sbadigliare e già prossimo ad accoccolarsi sotto le lenzuola.
- Trunks? Non eravamo d’accordo che saresti andato a letto entro mezzanotte? Domani la sveglia suonerà alle sette – lo ammonì con misurata severità, dando una rapida controllata al contenuto della cartella buttata con noncuranza sul pavimento.
L’adolescente roteò gli occhi al cielo e si passò una mano sulla frangia color glicine: - Lo so, mamma. Ero solo andato a prendere un bicchiere d’acqua – cantilenò impertinente, indicandoglielo sul comodino, a riprova della sua assoluta sincerità.
Bulma sospirò sconfitta: quel ragazzino stava crescendo furbo, spigliato e un po’ bugiardo. Aveva ripreso i loro tratti migliori, o peggiori, a seconda dei punti di vista.
Era un combattente in erba, tenace e perspicace, ma lei non voleva che trascurasse di coltivare anche la sua spiccata intelligenza che avrebbe potuto condurlo a ottenere grandi risultati nel campo delle scienze. Perciò aveva stabilito che avrebbe continuato i suoi studi superiori in un istituto prestigioso che potesse fare sviluppare al meglio le sue potenzialità intellettuali, fornirgli un’istruzione adeguata e insegnargli un po’ di sana disciplina, con buona pace del suo temperamento ribelle e combattivo.
Lo salutò a distanza, raccomandandogli, senza troppa speranza, di non ricominciare a navigare in rete, e si avviò alla camera che nella maggior parte delle notti condivideva con suo marito, domandandosi se lo avrebbe trovato a letto, propenso ad aspettarla e tollerarla oppure no.
Dopo i frenetici festeggiamenti tenutisi per celebrare il ritorno vittorioso della squadra che aveva combattuto il torneo intergalattico e la nascita della loro piccola, aveva messo in conto che lui avrebbe potuto scegliere di allontanarsi da loro per un moderato numero di giorni, sospinto dall’urgenza di sfogare le sue innate tendenze distruttive e la sua incontenibile rabbia.
Quella sua indole raminga e solitaria d’altronde con gli anni si era soltanto attenuata, ma era ormai conscia di quanto fosse troppo radicata nel suo animo di guerriero e che avrebbe sempre fatto parte di lui, nonostante il profondo attaccamento che provava per tutti loro.
Ad ogni modo, a quell’ora tarda era troppo stanca anche solo per pensare di arrabbiarsi, perciò, che ci fosse stato o meno, lei sarebbe sprofondata tra i guanciali e si sarebbe fatta una meritata dormita e solo il pianto disperato di sua figlia al massimo avrebbe potuto convincerla a destarsi.
Accelerò l’andatura e spalancò la porta della camera, entrando e cercando tastoni il pulsante di accensione degli abat-jour.
Nel barlume ambrato diffusosi attorno, si stagliò il profilo del suo burbero amante. Era sdraiato a petto nudo tra un guazzabuglio di lenzuola, composto e immobile, gli occhi chiusi ma i lineamenti non troppo rilassati.
- Stai dormendo? – le venne spontaneo domandargli, poggiando un ginocchio sul bordo del materasso e sporgendosi su di lui.
- Ci stavo provando – biascicò annoiato Vegeta, girandosi su un fianco e dandole le spalle, avvolgendosi nella sua solita scorza di reticenza e imperturbabilità.
Una scorza che la sua volitiva e invadente moglie puntualmente riusciva a scalfire: - Giurerei di averti visto in camera di Bra, poco fa … – ridacchiò intenerita, avvicinandosi un po’ di più per poter sbirciare la sua espressione imbarazzata.
Le aveva fatto traboccare il cuore d’amore vederlo impegnarsi a sorreggere impacciatamente quel dolcissimo fagottino tra le sue braccia nerborute e rimirarla come fosse un diamante raro e prezioso, e sapere che andava a sbirciarla a sua insaputa la inorgogliva ancora di più.
- A quale scopo sarei dovuto entrarci? Svegliarla e sentirla frignare? Non ci tengo – confutò bruscamente quella sua pretenziosa illazione, incrociando le braccia in un moto istintivo di disappunto che però gli procurò un’acuta fitta di dolore, costringendolo a cambiare posizione, tornando sulla schiena per allentare la compressione.
Dall’ultimo breve scontro con Kakaroth si era infatti accorto che i suoi muscoli continuavano a pulsare e scalpitare e nello stesso tempo ad essere come atrofizzati da un’opprimente forza di gravità che lo faceva muovere al rallentatore, e più cercava di contrastare quella molesta sensazione, più si sentiva contorcere da lancinanti spasmi che soffocava stoicamente, nella convinzione che quegli strani sintomi sarebbero scomparsi in fretta così come si erano presentati, senza dargli altre noie.
Peraltro a quello provvedeva già benissimo la sua logorroica Bulma, che non perdeva il vizio di coinvolgerlo in conversazioni futili: - Ho notato che hai mangiato meno del solito. Forse dopo tutto quello sforzo atletico ti ci vuole un ricostituente extra – argomentò saccente, mentre con disinvoltura si spogliava di jeans e maglietta, rimanendo con l’intimo di pizzo rosa che conteneva a stento le sue forme più abbondanti – Quando avrò finito di dedicarmi a me stessa, ti preparerò una vasca con una soluzione concentrata di elettroliti e …
Lui le comparve fulmineamente davanti, sbarrandole la strada per il bagno: - Scordatelo! Non farò di nuovo da cavia per i tuoi strampalati esperimenti! – la interruppe trafelato, già intuendo dove sarebbe andata a parare.
Lei sbatté le palpebre, offesa e indispettita dal suo atteggiamento scorbutico: - Lo dicevo solo perché da che sei tornato da quel torneo mi sembri piuttosto spompato – si giustificò, tentando di conciliare l’irritazione con la sincera preoccupazione per la sua insolita fiacchezza.
- Che cosa ne puoi sapere tu! – le ringhiò contro Vegeta, lasciandosi sopraffare dalla rabbia e dal malumore, non avendo intenzione di cedere e ammettere che lei avesse colto in pieno il suo essere tormentato da uno snervante malessere che non sapeva spiegarsi.
- Niente! Considerato che tu non mi hai ancora voluto raccontare niente! – replicò pungente e risentita Bulma, piantandogli un indice accusatore al centro del petto e folgorandolo con due iridi infiammate di esasperazione che lui rifuggì seccamente, ruotando le proprie verso il muro alla sua sinistra. La voce della scienziata divenne poi più pacata e indulgente nel riapprocciarsi a lui, carezzandogli fuggevolmente il dorso di una mano che teneva inerte lungo il fianco: - Ma se ti andrà di parlarne, io sarò qui – sussurrò accompagnando quel gentile invito ad uno di quei suoi sorrisi radiosi capaci di disarmarlo e ammansirlo.
Scoccandole uno sguardo evasivo e intriso di ritegno, con un profondo respiro il saiyan fece lentamente dietrofront, rimettendosi a sedere con la schiena appoggiata alla testiera del letto.
- Ascolta potresti occuparti tu di Bra, in caso dovesse svegliarsi? – lo pregò allora lei, additandogli il baby monitor e andandosene via ancheggiando verso la toilette, con un candido asciugamano attorcigliato attorno al corpo, determinata a concedersi un lungo bagno ristoratore.
Vegeta annuì riluttante. Quell’assurda donna dalla risibile forza fisica non aveva mai avuto davvero paura di lui e della sua immane potenza annientatrice, forse perché era stata sin da subito consapevole di esercitarne una di pari valore su di lui.
E lui alla fine si era arreso definitivamente a quella che era nata solo come impulsiva attrazione carnale, vinto dalla sua eccezionale arguzia, dalla sua ardita determinazione e dalla sua incorreggibile sfrontatezza. E forse sì, anche da quell’indomita e spregiudicata vena di follia, che tanto spesso lo irritava, quanto altrettante volte lo ammaliava.
Non era possibile annoiarsi troppo vivendo insieme a lei.
Sebbene talvolta preferisse allontanarsi dal suo calmante influsso, adesso era una di quelle notti in cui sapeva che sarebbe stato indispensabile a scacciare l’angoscia e il livore che generava nella sua mente il pensiero che quella rediviva lucertola malefica o qualche altro essere aberrante proveniente dagli spazi siderali stessero tramando di tornare ad attaccarli.
E soprattutto che lui tuttora fosse impreparato ad affrontarli con la dovuta accoglienza, a causa di quel subdolo spossamento che l’aveva avvinto.
E la questione lo impensieriva particolarmente, dato che aveva scoperto che di potenziali nemici dai formidabili poteri ne esistevano molti di più di quanto non avesse mai immaginato.
Era comunque certo che si sarebbe ristabilito in poco tempo senza troppi problemi, soltanto voleva riuscire a liberarsi almeno per qualche ora da quell’assillo con una lunga dormita, e invece quella femmina dispettosa stava volutamente tardando a raggiungerlo, affidandogli l’incombenza di badare alla marmocchia, che almeno al momento gli stava risparmiando la seccatura di andarla a dondolare.
Mentre stava ancora dibattendosi in quelle considerazioni, l’azzurra ricomparve riservandogli un affettuoso cenno di ringraziamento per il suo essersi prestato a sostituirla.
Il Principe dei saiyan inghiottì un grumo amaro, deprecandosi per essere diventato tanto malleabile e non potendo trattenersi dal divorarla con un’avida occhiata, vedendola denudarsi con spudoratezza del telo di spugna e infilarsi una succinta sottoveste color pesca.
A quella sensuale visione, il suo sangue ribollì improvvisamente dal bisogno di averla accanto e la sua lingua si mosse ubbidendo a quella viscerale pulsione: - Bulma … Puoi restare, se riesci a stare zitta – mugugnò laconico ed eloquente, staccandole le pupille di dosso, appuntandole al soffitto e distendendosi con un braccio sotto la testa, ostentando indifferenza.
- Vi ringrazio per la vostra magnanimità, principe – fu l’irriverente risposta della consorte, che, essendosi già convinta di dover ricorrere all’opzione di trasferirsi in un’altra stanza, si rallegrò di essere stata smentita con quella schiva richiesta.
E tuttavia continuò a studiarlo. Era un’acuta osservatrice e dal suo ritorno presentiva che l’indecifrabile compagno le stesse nascondendo qualcosa; quello strano affaticamento che si ostinava a minimizzare non dissipava affatto il suo crescente sospetto.
Bulma indugiò qualche secondo a pettinarsi i capelli arruffati dal vapore dell’acqua calda e a ricontrollare il video trasmesso dal monitor installato nella stanza della figlioletta, che ancora non aveva stranamente reclamato la sua poppata.
Abbassando l’intensità delle luci d’ambiente, si rannicchiò al fianco del marito, deliziandosi del contatto con il suo corpo straordinariamente solido e caldo, risultato di un Dna sovrumano e di una tenacia atletica che rasentava l’ossessione.
Fece scorrere le dita sulle vene in evidenza nel possente braccio che teneva rilassato contro l’addome, sentendolo contrarsi lievemente e rabbrividire, quasi provasse disturbo anziché calmarsi. Lo conosceva sin troppo bene e capì che non era una reazione normale, ma volle correre il rischio di continuare a provocarlo per scoprire fino a quanto avrebbe resistito a tacerle quello che gli stava succedendo.
Immaginava che lui, orgoglioso, riservato e taciturno qual era, non avrebbe spiccicato alcuna confessione a riguardo di ciò che lo affliggeva, neanche sotto tortura, eppure ciò non la frenava dall’illudersi che magari avrebbe smentito le sue previsioni, com’era già accaduto in altre occasioni.
Lui non batté ciglio nel sentirsela strusciare addosso, rimanendo nella stessa rigida posizione, finché lei non si allungò a schioccare le labbra su una sua guancia: - Mi sei mancato – sussurrò suadente sulla sua bocca, rotolandogli sopra e avvertendolo strozzare un gemito.
- Ma se sono stato via per meno di un’ora! – la contraddisse infastidito, soffiando e ritraendosi come un gatto cui avessero pestato la coda.
In realtà era arrabbiato più che altro con quello che doveva essere un maledetto effetto collaterale di tutti quei convulsi combattimenti al limite delle sue capacità, perché il suo sublime tocco, che era sempre stato miliardi di volte superiore a qualsiasi droga, adesso gli procurava lo stesso bruciore di un’ustione.
Sua moglie si risollevò, incrociando le gambe, e s’imbronciò, credendo di aver frainteso la sua predisposizione alla sua presenza: - Insomma, si può sapere che accidenti ti prende? – lo esortò spiccia a confidarsi, pur sapendo che non era da lui mostrarsi fragile o tantomeno chiedere aiuto.
In quello non sarebbe mai cambiato e lei in fondo si era innamorata da subito di quella sua smisurata fierezza e della sua perseverante forza di volontà.
Stanca di scontrarsi col suo ostinato mutismo, Bulma fece per alzarsi e lasciarlo alle sue ignote macerazioni interiori, una sua ruvida mano però la afferrò con moderata possessività per un polso, scusandosi implicitamente, riportandola a stendersi piano contro di lui.
I suoi callosi polpastrelli cercarono la pelle vellutata della donna, velata da quell’impalpabile veste di seta: - Passerà – mormorò fermo e asciutto Vegeta, circondandole un morbido fianco per stringerla ancora di più al suo essere, riscoprendola ancora più desiderabile nelle curve arrotondate dalla recente maternità, che blandì di lente e insistenti carezze.
Inspirando quel suo inebriante profumo di frutti esotici che nessun volgare deodorante o sapone avrebbe mai potuto eguagliare, pensò che aveva conservato intatto negli anni il suo potere di placarlo e indicargli la via di casa.



Salve :)
Ringrazio quanti hanno dedicato qualche minuto del loro tempo alla lettura di questa shot, nata così in pochi giorni, quasi involontariamente, per omaggiare e analizzare le due coppie principali di questo manga/anime su cui non ho mai scritto molto.

Tra l'altro ho recuperato Dragon Ball Super da pochissimo, perché la prima volta che lo avevano trasmesso lo avevo abbondanto quasi subito e invece ci ho trovato qualche spunto interessante, soprattutto a livello di espansione degli universi e dei poteri finora conosciuti, oltre che nei filler che ci hanno mostrato qualche scorcio domestico dei nostri eroi.
Ho cercato
in particolare di rendere Goku un po' meno bambinesco e Vegeta meno fluff di quanto non sia apparso in alcuni episodi, pur considerandone l'evoluzione.

Spero di essere riuscita a rendere giustizia ai personaggi e di avervi divertito.
Un parere, anche piccolo, è sempre gradito ^_^
Alla prossima!)





   
 
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