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Autore: Gaia Bessie    14/09/2020    5 recensioni
Narcissa non riesce a dirle che il problema risiede esattamente in quello che ha detto: che niente in lei riesce ad opporsi a quel desiderio inesprimibile – raggiungere lo zenit, cadere e schiantarsi al suolo: essere distrutta dalle Sue mani – che le preme le viscere, facendola sibilare per il dolore.
Quella sera, qualcuno dovrà dire all’Oscuro Signore che i suoi piani si sono dissolti, se non in una nube di fumo, in una pioggia di sangue su foglie già umide di rugiada.
[Seconda classificata parimerito al "Wish upon a star" contest indetto da inzaghina.EFP sul Forum di EFP]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Rodolphus Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Alcune doverose note d'autore: solitamente non scrivo mai le mie note prima del testo ma, in questo caso, penso sia necessario, per una serie di motivi.
Il primo è che l'intera storia si basa su un headcanon che era troppo ben pensato per essere una mia idea: l'headcanon in questione, che tiene conto di The Cursed Child (sebbene la storia non faccia spoiler riguardo la trama), è che Bellatrix prima di Delphi avesse abortito un figlio di Voldemort, ed è frutto della fantasia di SeveraBartySha, di cui vi lascio il link del profilo (se cercate storie sulla Old Generation versante oscuro, andate da lei che io non sono in grado lol). La ff comunque può essere letta senza conoscere TCC, perché non vi sono espliciti riferimenti ad esso, ma siccome l'headcanon l'ha pensato Sev e non io, ve lo spiego come l'ha spiegato lei.
Detto ciò, altre due paroline e poi vi lascio alla lettura: la storia, che è fuori dalla mia confort zone come potrebbe esserlo un paguro in autostrada, è interamente fondata sulle tematiche di maternità e aborto, in termini che potrebbero turbare il lettore. Aggiungetevi anche che sono riportati pensieri, da cui ovviamente mi dissocio, molto poco femministi. Ah, il titolo è blasfemo, ma lo avrete già notato.
Ho provato a preservare l'IC dei personaggi ma, non usandoli quasi mai, immagino di aver toppato alla grande con Bellatrix, ma lascio a voi le parole, mentre mi paro il c*** con l'avvertimento OOC.

Grazie a chiunque si avventurerà in questa storia
Gaia


 



 

Io non sarò come lei, ha promesso Bellatrix al suo Signore, che le ha sfiorato quel pensiero come si sfiora nuda pelle e nude fantasie.
Io non sarò come lei, si ripete nel giardino della casa dei suoi genitori, dove un acero arrossisce lentamente con l’incedere delle stagioni. Lì sotto, sua madre ha sepolto tre feti minuscoli, tre come le figlie che le erano rimaste in vita, e tutti maschi. Due avevano persino i capelli e le unghie, su mani troppo piccole per afferrare il mondo, su teste troppo fragili per poterlo comprendere.
Io non sarò come lei. Ma, mentre calpesta una foglia appassita, un rivoletto di sangue le scivola lungo la coscia.
È del medesimo colore delle foglie che sta insozzando.

 
 

Onora la madre

 

Alla fine, desidero solo le cose che mi distruggeranno
(Sylvia Plath)

 
La notte, Bellatrix sente un vagito che infrange il cielo, svegliandola, un pianto debole e incontrollato che popola sogni e veglia a parimerito. E, allora, grida per sovrastare quel suono detestabile, svegliando Narcissa, nella camera adiacente alla sua, scuotendo Rodolphus che passa le notti sveglio sul divano, da quando hanno smesso di dormire insieme.
Ma poi si alza e, nello specchio di fronte al letto vi è rossa follia, come rosso il sangue che le agita le vene mentre vaga per i corridoi alla ricerca di… - non c’è mai nessuno. Non ci sono passi, se non i suoi, e ogni respiro fende l’aria in frammenti insensati e inutilmente taglienti, che le strappano capelli e pensieri.
Non sono più nemmeno i suoi, quei pensieri, ha sfregiato persino quelli con il Marchio, annerendoli. Uno solo pare sopravvissuto, l’unico liscio e lineare in mezzo a quei ricci indomabili, che le proietta un’ombra di ribellione lì, sotto la testa e che il Signore Oscuro ignora, o ammira e tace, o tace e basta. La sera Bellatrix pensa a sua madre, che nella maternità avrebbe voluto realizzarsi e nella maternità aveva fallito, mettendo al mondo due femmine e una bruciatura sull’arazzo dei Black. Pensa a Druella che cantava canzoni ridicole sulla culla di Narcissa, a Druella che poi ha sepolto tre figli e altrettanti corredini ricamati, a Druella dissanguata dal suo terzo aborto, l’ultimo. Io non sarò come lei, ha pensato con tutte le sue forze, chinando il capo e obbedendo al suo Signore.
Bellatrix sarà un contenitore, questo sì, un recipiente dove far attecchire il seme, ma non un vaso dove amare la pianta. Lei non avrà mai niente a che fare con quelle foglie fragilissime, le spezzerà se mai Lui dovesse ordinarglielo, senza esitazione e senza rimorsi, dare la vita non impedisce che vi sia la possibilità di tagliarla via.
Lei non si guarderà allo specchio misurando di quanto ha dovuto allargare l’abito, di quanto l’erede le abbia preso a calci le costole, come per farle dispetto, non parlerà entusiasticamente di pappe, nanne e rigurgiti. Quella scintilla di vita che le frantuma gli organi interni non è sua, né potrebbe mai volere che lo fosse, appartiene in ogni suo respiro all’Oscuro Signore, e solo Lui determinerà se sarà degna di sopravvivere o morire per mano di sua madre.
Ma, madre, Bellatrix non lo sarà mai. Che pianga pure ogni notte, quel bambino immaginario che ulula nei suoi incubi, che la chiami mamma, che le tiri la gonna.
Lei rimarrà in piedi, nel giardino dove sua madre, Druella Black, ha sepolto tre figli morti e la memoria della propria secondogenita. Rimarrà in piedi – e con quei piedi calpesterà le ossa di sua sorella Andromeda, un giorno, in quel medesimo giardino – e lascerà che l’aria lavi via il dolore al ventre, lo scroscio del sangue, un inutile vagito.
Bellatrix pensa questo, quando calpesta le foglie e, allora, quello scroscio è la voce del Suo Signore che l’elegge a sua prediletta, a colei che darà vita all’erede, la Strega più potente di tutte. Pensa questo e non si rende conto di una singola goccia di sangue che colora le foglie, come il cielo illuminato dal più bel tramonto di ottobre.
 

***

 
Ottobre è l’aria che profuma di foglie bagnate e chicchi d’uva, Narcissa che si gode gli ultimi raggi di sole nel giardino di casa sua, cullando un bambino più biondo del tramonto, l’acero che si china ad accarezzarla con un ramo piegato dal vento. Ci sono le lucciole, nascoste nell’aria, così piccole da essere inafferrabili, che conferiscono un alone mieloso alla chioma della minore delle Black – il vestito color nocciola che indossa acquisisce una delicata sfumatura dorata, di promesse, celando quel ventre dove vorrebbe seminare una nuova vita.
Bellatrix non l’invidia, perché l’invidia è dei deboli e lei, debole come Andromeda e persino come Narcissa, non potrà mai esserlo. Lei è una donna di desideri, perché desidera ciò che è in grado di ottenere, e desidera l’approvazione del Signore Oscuro – e un calcio dall’interno le ricorda che è sua, quell’approvazione, lei è la prescelta.
Ha scelto di trascorrere il proprio tempo nella casa dei suoi genitori, dove può calpestare tutti e tre i fallimenti di sua madre e gloriarsi del fatto che lei, un fallimento del genere, non lo conoscerà mai. Che Narcissa la invidierà, perché ancora non è riuscita a tirarsi fuori dal grembo un erede per Malfoy, e sarà costretta ad assisterla controvoglia per scoprire che, Bellatrix, dell’esser madre non sa cosa farsene. Lo lascerà volentieri a sua sorella, quel bambino piangente, e tornerà a correre nella notte per compiere le missioni che Lui le affiderà.
Il Marchio tornerà a bruciare e lei tornerà a essere libera.
«Bella!» sua sorella la scruta con severità, dalla porta della casa della loro infanzia. «Faresti meglio a rientrare, è ora di cena».
Ma Bellatrix ride e ogni risata è uno scroscio di pioggia che le inzuppa il vestito, svelando impudicamente il ventre tronfiamente grosso. È un’appendice innaturale, quel rigonfiamento, sembra quasi che qualcuno l’abbia attaccato lì, sotto il seno, con un incantesimo.
«Bella» ripete Narcissa, avvicinandosi a grandi passi. «Lucius e Rodolphus saranno qui per cena e tu devi renderti presentabile, non vorrai che…».
«Che mio marito mi veda così?» domanda Bellatrix, con un ghigno soddisfatto. «Potrei morire di vergogna».
«Fai attenzione a ciò che dici, Bella» risponde sua sorella, calma. «Rimane pur sempre tuo marito e sta mostrando grande dignità, nonostante questa situazione».
«Dignità» ripete lei, sogghignando. «Parli bene, Cissy, come una signora. Ma a che servono, le parole? Io servo con i fatti, non con le parole e Lui lo sa».
Narcissa vorrebbe mettersi a urlare, cancellando quella tronfia soddisfazione dal viso di sua sorella, dirle che, sì, lei serve con i fatti e Lui lo sa. E sapendolo ha scelto di usarla come lo squallido contenitore per il suo seme, perché nessun’altra – non lei, di certo – si sarebbe mai offerta per un lavoro del genere. Perché di lavoro si tratta, di esercitare la prostituzione come fosse un dovere, e dare la vita a un figlio mai amato, mai coccolato, forse persino mai generato, perché come si può generare senza consenso e senza amore?
«A cosa servono, i fatti?» domanda Cissy, laconicamente. «Pensi che ti ricompenserà in qualche modo, per tutto questo?».
A Bellatrix, per un momento, mancano le parole.
«Certo che…» borbotta, tirando nervosamente una ciocca di capelli. «Il mio Signore è magnanimo, con me».
Narcissa ha uno sguardo che inquieta – e per un momento è un lago ghiacciato o lo stridio di una lama contro un vetro – e ha su il medesimo sorriso che s’era dipinta in volto il giorno in cui Andromeda aveva provato a contattarla, dopo la propria fuga.
«Essere il recipiente non ti farà avere l’uomo» commenta, fredda. «Non importa quanto tu possa essere la migliore delle sue serve, sempre serva rimarrai».
«Lui non è un uomo, Cissy» sputa Bellatrix, con astio. «Per questo non potrò mai averlo. Mi basta avere la sua attenzione e la sua stima, Lui…».
Narcissa scuote il capo, dolcemente, posando una mano sulla spalla della sorella. «Fai attenzione a cosa desideri, Bella» mormora. «Finirai per farti uccidere, prima o poi».
Perché il Signore Oscuro è cieca razionalità e, se tale razionalità è sua unica musa e amante: Cissy non lo dice, a sua sorella, ma sa perfettamente che se Egli un giorno dovesse decidere che Bellatrix non gli è più necessaria, o la sua esistenza iniziasse a divenire l’ennesimo fastidio, la ucciderebbe con la stessa fluidità con cui l’aria gli entra nei polmoni.
«Potresti avere un marito innamorato di te, una famiglia» commenta Narcissa, quasi con invidia. «Perché devi per forza buttar via tutto questo?».
Ma Bellatrix ha un’espressione trasognata, mentre guarda una foglia rossosangue staccarsi e cadere. E, allora, Cissy teme di conoscere la risposta alla propria domanda.
«Tu vuoi lui» sussurra, sobbalzando di fronte alla pericolosità della propria affermazione. «Tu non vuoi servirlo e tutto quello che comporta, vuoi l’uomo».
«Bada a ciò che dici, Cissy» risponde Bellatrix, piccata. «Lui non è umano come me e te, Lui… fa cose grandiose e io posso solamente fare del mio meglio per compiacerlo».
Ma sta mentendo, probabilmente perfino a sé stessa, e Narcissa lo sente con una chiarezza tale da stordirla, facendola barcollare.
 

***

 
Di fronte a Rodolphus, Bellatrix si rinchiude in un mutismo barcollante, che alterna a occhiate d’odio a quell’uomo che, contrariamente a ogni evidenza, non ha ancora appreso a detestarla. Pare innamorato del suo silenzio, Lestrange, forse persino delle sue parole, chissà se ama anche lei o solamente il recinto di idoli dorati che le ha eretto attorno – le macchie d’oro risaltano, piene della loro luce mielosa, sul nerocarbone di cui è costituita Bellatrix.
«Potresti anche imparare a fare conversazione, Bella» sibila Narcissa, contrariata. «Tuo marito è venuto a salutarti, prima di partire per la missione che il Signore Oscuro gli ha affidato. Dovresti essere felice».
E orgogliosa, vorrebbe dirle, ma le manca il coraggio per cercare di convincere sua sorella a glorificare i successi di Rodolphus – Narcissa conosce i pensieri di Bellatrix come i propri e, in questo momento, sua sorella sta mordendo la dura consapevolezza di non poterla guidare lei, quella missione. Di non essere più la prediletta, o di esserlo ancora, ma non per la propria destrezza nelle arti magiche, la prima per un motivo futile e scontato, inaccettabile, come il semplice essere donna.
«Felice, dici?» domanda Bellatrix, una vena d’ironia le insozza la voce. «Vorrei contravvenire alla Sua volontà, ti sembra felicità, questa?».
«Non puoi dirlo per davvero» risponde Narcissa, turbata. «È anche tuo, Bella».
Ma Bellatrix si tocca il ventre con curiosità, come se fosse restia a credere che ci sia un bambino, lì, erede del sangue dei Black, fratello di tre feti morti e di una Traditrice ancora viva, con poteri oscuri che, un giorno, lo renderanno il nuovo Lord Voldemort. Ma Cissy, che sogna culle e un neonato biondissimo, non riesce a comprendere come, in sua sorella, non vi sia traccia di amore materno, nemmeno spinto dalla consapevolezza che è quello che il Suo Signore si aspetti da lei – che sia madre, se non moglie.
Ma Bellatrix ride, facendo tremare le finestre al pari delle proprie corde vocali. «Non mi appartengo nemmeno io, Cissy» commenta. «Farò la sua volontà ma, io, non sarò mai come nostra madre».
Narcissa annuisce: non la riesce nemmeno a immaginare, Bellatrix persa nell’oblio delle Pozioni Soporifere, dove ogni sogno riflette solamente l’ennesima realtà troppo affilata, a cercare quella quiete che la vita le ha tolto. Ma, probabilmente, quel che Bella vuole dire è che lei, a differenza di Druella, non fallirà – e non ci sarà un cimitero di cadaverini, a riposare accanto quelli dei loro tre fratelli – e tornerà ad essere la Mangiamorte prediletta.
«No» commenta Narcissa, piano. «Certo che no».
Eppure, è sicura che quella gravidanza costituisca il punto più alto – il suo zenit – della sua carriera come seguace del Signore Oscuro. A cosa servirà poi, una Mangiamorte donna, che non è moglie, e nemmeno madre, ma un fascio nervoso di ossa, muscoli e follia?
Dentro di sé, Narcissa ha quella consapevolezza, che batte forte e chiara come un secondo cuore, che sua sorella si sia consacrata a una divinità crudele e priva di pietà, pronta a prosciugarla di ogni suo respiro. Nonostante il ventre gloriosamente tondo, Bellatrix si fa ogni giorno più magra e nervosa, come se l’esserino dentro di lei fosse in grado di privarla della vita per viverla lui.
«Tua madre era una brava donna, Bellatrix» borbotta Rodolphus, serio. «Era una moglie ineccepibile, una madre».
Sembra quasi che le stia chiedendo e tu cosa sei, invece, senza avere il coraggio di rendere a parole quel pensiero, senza poter esprimere il fatto che, nonostante la cieca fedeltà al Suo Signore, Rodolphus è ancora un uomo, e un marito. Un uomo insoddisfatto e un marito tradito, che tacitamente ripudia quella moglie infedele a fuori da ogni – dal suo – controllo, che fieramente mostra il proprio tradimento, in onore dell’uomo che ama sopra ogni cosa.
Perché Bellatrix è volitiva, e quel che vuole forse risiede nella padronanza delle Arti Oscure, persino nel potere. Ma, più di ogni altra cosa, Rodolphus Lestrange vive nella certezza annichilente che, sua moglie, desideri il suo Signore come una donna che desidera un uomo.
«Mia madre è morta e poi l’abbiamo dimenticata» risponde sua moglie, fredda. «Tutto quello che ha fatto, che non ha fatto, non lo ricorda più nessuno».
Narcissa la guarda e vorrebbe urlarle che lei, invece, sua madre la ricorda – se sono ricordi quei brividi che le spezzano le ossa, ripensando che, in un giardino ormai ricolmo di fiori, Druella Black ha sepolto metà dei propri figli – e la rimpiange. Ma non ha abbastanza coraggio per contraddire sua sorella, così la guarda e tace, trattenendosi dal dire che, se Bellatrix perdesse il bambino come segretamente lei stessa desidera, non avrebbe nulla in grado di differenziarla da sua madre.
«Sei una sciocca, se pensi davvero di essere diversa» commenta Rodolphus, tagliente. «Sei una donna con mezzi da donna, cosa potresti fare, di tanto diverso?».
Bellatrix vorrebbe replicare, ma la rabbia le soffoca le parole e, allora, si ritrova ad ascoltare il rumore del proprio silenzio, cercandovi una risposta. Ma suo marito le guarda il ventre con malcelato disgusto, forse con esasperazione, e il tintinnio delle posate che posa sul piatto, ancora intonso, sembra in grado di squarciarle a metà l’anima.
«Una donna con mezzi da donna» ripete, disgustato. «Con ambizioni da donna. Non puoi ambire a niente di più di tutto questo».
 

***

 
Ha Schiantato suo marito, facendolo cadere sul pavimento, come l’ennesimo inutile cadavere. Rodolphus si è ferito alla testa e una goccia del suo purissimo sangue ha macchiato il pavimento, insieme alle risate isteriche di Bellatrix, che sarebbe stata pronta a lanciargli una Cruciatus, se solamente suo cognato non l’avesse disarmata.
«Bella!» strilla Narcissa, visibilmente sconvolta. «È tuo marito».
Bellatrix  non risponde: ha infranto leggi civili, ha calpestato quelle morali e rotto patti sacri, ma la parte di sé che preserva l’educazione impartita da Druella Black le impedisce di contraddire sua sorella. Così sospira, senza sopprimere l’ennesima occhiata di sdegno indirizzata a Rodolphus, e percorre la sala da pranzo a grandi passi.
Lei non se ne accorge, ma il sangue che ha macchiato il pavimento dietro i suoi passi non è di Rodolphus. È suo.
 

***

 
È buio, fuori, e Bellatrix sembra solamente l’ennesima ombra proiettata lungo una gigantesca macchia d’inchiostro: è freddo, ottobre, ma non abbastanza da poter fornire una spiegazione ai brividi che la scuotono, facendole rimpiangere il calore del passato mezzogiorno. Narcissa la trova lì, seduta sulla terra nuda e con la testa fra le mani: ride istericamente, fissando un mucchio di foglie fredde e umide, di un inquietante rossosangue.
«Bella» la chiama sua sorella, con una dolcezza che la turba, costringendola a rientrare in quel mondo stranamente doloroso. «Vieni dentro. Noi… dobbiamo chiamare un Medimago, stai…».
Ma Bellatrix ride, facendo tremare la notte, e si stringe il ventre come se da esso dipendesse la sua intera esistenza. In un certo senso, riflette con orrore Narcissa, è esattamente così: il Signore Oscuro non tollererà una tale inadempienza soprattutto nel momento in cui, accarezzandole un pensiero come inavvertitamente le carezza il cuore, si renderà conto che, perdere quel bambino, era il desiderio più intimo di Bellatrix. E, dopo tutti gli sforzi compiuti per non somigliare a sua madre, finirà per esserne l’ennesima copia scolorata.
«Alzati» le impone Narcissa, cercando di aiutarla a compiere quel movimento così semplice. «Non l’hai ancora perso».
Ma, dentro di sé, quel pensiero ricorrente torna ad azzannarle la mente: Bellatrix non potrà mai trovarsi più in alto di così e, se quel bambino non dovesse sopravvivere, non riuscirà mai più a risollevarsi – dopo lo zenit vi è il tramonto e l’esistenza stessa di Bella avrebbe potuto solamente tramontare, di fronte al malcontento del suo Signore.
Lo sguardo che Bellatrix rivolge a sua sorella ha qualcosa che inquieta. Lì dentro, Cissy non vi legge paura, o disperazione, ma solamente una tiepida accettazione dei fatti: sembra quasi che riconosca di essere arrivata più in alto di chiunque altro e, in virtù di ciò, che la sua caduta sarà quella più dolorosa. Un idolo non si graffia o incrina, va semplicemente in frantumi, quando cade dal punto più alto che gli riesca di raggiungere. Esplode in un milione di frammenti, divenendo semplicemente l’ennesima cosa rotta e irreparabile.
Così, Bellatrix sopprime una risata, più dolorosa della contrazione che le piega il ventre, quasi come fosse fatto di veleno. «Ho perso la mia scommessa» sibila, scuotendo il capo. «Lei lo sa, che ci ho provato».
«Non sei lucida» l’apostrofa Narcissa, cercando di tirarla dentro casa. «Hai bisogno di essere visitata, puoi ancora…».
Ma Bellatrix scuote il capo, guardandola con fare sprezzante. «Avevi ragione» ammette. «Non volevo il bambino, volevo l’uomo».
La presa di Cissy sul corpo di sua sorella vacilla, di fronte a quella confessione: per un singolo momento, piegata su sé stessa e con la fronte imperlata di sudore, Bellatrix stessa appare impudicamente umana.
«Bella» borbotta. «Tu non…».
«Non lo posso avere» risponde, con calma disarmante, Bellatrix. «Lo so. Adesso posso solo lasciarmi cadere».
Narcissa le sfiora la fronte, con fare materno, scoprendola bollente – e capendo perché i pensieri di Bella gorgoglino tra bocca e cervello, deformandone il carattere – e umida di sudore. Le viene da piangere, le duole il petto di una comprensione che, se solamente sua sorella se ne rendesse conto, Bellatrix schiferebbe come un’elemosina concessa di controvoglia.
«Sei arrivata in alto» le sussurra, carezzandole il capo scarmigliato. «E ci tornerai, lui… ha bisogno di te, se vuole un erede».
Narcissa cerca di non pensarci ma, ai loro piedi, vi sono tre bambini malformati che respirano terra e abbracciano un anello di smeraldo, appartenuto un tempo ad Andromeda, che Druella aveva sepolto, una volta venuta a conoscenza della scandalosa unione della propria figlia mezzana. Tre bambini ma, guardando la ruga di sofferenza che increspa il volto di sua sorella, sembra ormai inevitabile che ve ne sarà presto anche un quarto.
«Mi farò distruggere da Lui in persona» sibila Bellatrix, a fatica. «Piuttosto che finire nuovamente così».
Narcissa non riesce a dirle che il problema risiede esattamente in quello che ha detto: che niente in lei riesce ad opporsi a quel desiderio inesprimibile – raggiungere lo zenit, cadere e schiantarsi al suolo: essere distrutta dalle Sue mani – che le preme le viscere, facendola sibilare per il dolore.
Quella sera, qualcuno dovrà dire all’Oscuro Signore che i suoi piani si sono dissolti, se non in una nube di fumo, in una pioggia di sangue su foglie già umide di rugiada.
 

***

 
Rodolphus Lestrange ha informato il Signore Oscuro che Bellatrix ha fallito la missione più importante che Lui le abbia mai assegnato. Che è infecondo quel ventre ereditato dalla madre e lei è colpevole di essere più inutile di una donna, ché nemmeno da donna riesce ad agire, e allora Lui dovrà cercare un altro mezzo per perseguire il proprio fine.
Lord Voldemort ha accolto quella notizia silenziosamente e senza un guizzo di sorpresa – altri pensieri silenziosi ne scuotono il più intimo essere – e niente ha detto su cosa ne sarà della sua Mangiamorte più fedele, colei che l’ha tradito con il corpo, se non con la mente.
«La prossima volta» replica, sibilando tra i pensieri di Rodolphus. «Non le sarà permesso fallire».
Lui china il capo, in segno di sottomissione, e straccia i suoi stessi pensieri prima che possano formarsi – e lasciar intendere all’Oscuro Signore il proprio malcontento – ed essergli strappati via senza il suo consenso.
«Se somiglia a sua madre» suggerisce, con fare diplomatico. «Non riuscirà ad assecondare la Vostra volontà, mio Signore».
Lord Voldemort ride, in un suono che sembra in grado di sfilacciare l’anima, trasformandola in un ritaglio privo di senso. «Onore alle madri, Rodolphus» sibila. «Anche quando non sono degne dei figli che riescono a generare».
«Temo di non capire» risponde educatamente il Mangiamorte. «Ma, se è mia moglie che desiderate, non posso fare altro che portarvela in dono».
«Io sono al di sopra di ogni desiderio, io non desidero tua moglie» replica Lord Voldemort, senza lasciar trasparire alcuna emozione. «Io desidero il suo sangue, la sua abilità nelle arti magiche, la sua devozione».
«Lei desidera esservi fedele» commenta Rodolphus, senza sbilanciarvi. «E anche io lo desidero».
Il Signore Oscuro ride, ma non commenta; se avesse il coraggio di provare a sbirciare tra i Suoi pensieri, sicuramente Rodolphus vi troverebbe sua moglie, svestita come a malapena riesce a ricordarla, che proclama la propria fedeltà in maniere che preferirebbe rimanessero relegate alla sua immaginazione perversa.
Ma, dentro di sé, Rodolphus percepisce con irritante chiarezza che le proprie fantasie sono pericolosamente vicine alla realtà – e che l’unico desiderio che sua moglie potrebbe esprimere è quello di rimanere vicina al Signore Oscuro, vicina come una donna potrebbe farlo con un uomo – e, allora, lui rimarrà l’ennesima ombra della vita di Bellatrix.
«Ne sono certo, Rodolphus» risponde Lord Voldemort, con calma glaciale. «Sono sicuro vorrai riferire a tua moglie che non sono contento di quanto accaduto. E che mi aspetto il suo massimo impegno per portare a termine questa missione».
Rodolphus china il capo: il suo amor proprio gli soffoca qualunque risposta e, per un attimo, lui stesso dubita che Lord Voldemort abbia davvero smesso le vestigia umane. Che sia un Dio e come tale non condivida le abitudini sporche e promiscue dei mortali, che non tragga godimento dal compito assegnato a Bellatrix, ma vi partecipi passivamente, conscio di come fondare una dinastia sia il primo passo per riscrivere la storia.
Di certo, sua moglie lo desidera come una donna, e quel desiderio è espresso silenziosamente nei suoi pensieri prima di coricarsi e in quelli formulati appena svegli, è un desiderio da romantiche stelle cadenti, forse persino un chiodo fisso. E Lui ne è a conoscenza, e vi gioca e si diletta come se potesse avere davvero il controllo sui desideri dell’ennesima donna innamorata.
«Lo farò, Mio Signore» replica Rodolphus, chinando il capo. «Questa volta non vi deluderemo».
Sono parole dure, gli graffiano la gola al pari del vento che scuote l’acero rosso nel giardino tanto amato dalla famiglia Black. Lì sotto, Druella Black ha detto addio a tre figli, una figlia e un nipote.
 

***

 
L’autunno si mangia le foglie, sui rami, facendole divenire gonfie e rosse come frutti succosi, per poi abbandonarle sul terreno, morte. Il sole, raggiunto il proprio zenit, è in caduta libera, si prepara a schiantarsi al suolo in un tramonto arrossito al pari delle foglie, cedendo poi al buio la propria resa.
Bellatrix sfiora il terreno come se i propri piedi non le appartenessero più, calpestando le ossicine dei suoi fratelli e l’anello appartenuto a una donna che, sua sorella, ormai non lo è più.
L’autunno ferisce, forse più dell’inverno, il vento è una frusta che colpisce le parti più sporgenti del suo corpo – il viso, le ginocchia, il ventre.
Seduta sotto l’acero, Bellatrix intravede quasi la figura di sua madre, stanca e in lacrime, di fronte al suo ennesimo fallimento come donna. Io ci sono riuscita, vorrebbe dirle, di fronte a quella vita che finalmente le si agita d’entro. Non la ama – potrebbe? – ma è qualcosa che l’ancora al Signore Oscuro, che la rende al di sopra degli altri Mangiamorte. E che le ha permesso di conoscerlo, come una donna conosce un uomo e forse persino di più.
«Hai visto, madre?» domanda, all’albero. «Alla fine, ho vinto io».
Narcissa, alle sue spalle, sta tremando, ma le mancano le parole: ha una boccetta di Pozione Soporifera, ma non osa palesarsi di fronte alla sorella.
«Avrò suo figlio» continua, Bellatrix, trionfante. «La mia vita sarà legata alla Sua».
«Bella» la richiama sua sorella, avvolta in uno scialle color lavanda. «Rientriamo, fa freddo e potresti ammalarti».
«Cissy!» strilla Bellatrix, gli occhi velati d’incomprensione. «Cosa ci fai qui?».
«Dobbiamo rientrare» ripete Narcissa, dolcemente. «Come potrai prenderti cura del piccolo, se rischi sempre di ammalarti?».
Bellatrix ringhia allo spettro di sua madre, contrariata. «Sopravvivrà» sibila. «Sono forte abbastanza».
Il sole illumina la boccetta tra le mani di Narcissa: un dono, se solamente Bellatrix non fosse tanto restia ad accettarlo.
Seduta sotto l’acero rosso, Druella Black sorride. Sotto di sé, le ossa di tre figli maschi; sul suo dito, l’anello di sua figlia Andromeda.
Narcissa le porge la pozione.



 


Aggiungo qui altre noticine, lasciate sulla pagina del contest:

1.L'acero rosso esiste, non me lo sono inventata, anche se si prestava bene alla storia.
2. Lo stile con cui ho scritto la storia voleva essere un misto tra il mio stile abituale e il flusso di pensieri.
3. La storia è basata su un headcanon sulla Maledizione dell'erede, ma non fa menzione degli avvenimenti avvenuti in essa, quindi non dovrebbero esserci problemi. Ma in caso ovviamente mi ritiro senza rancore 😅
4. Le parti in corsivo sono ambientate nel futuro, precisamente ottobre del settimo libro, mentre le altre sono ambientate nell'ottobre che precede la nascita di Harry.
5. Il tema del desiderio l'ho interpretato in due modi: prima Bellatrix che desidera l'uomo e la sua approvazione, poi che desidera la morte del bambino, poi che torna a desiderare l'uomo.

   
 
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