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Autore: Aky ivanov    16/09/2020    5 recensioni
«Mamma chi è questo signore con la faccia da tricheco?»
«Kaito, il signor Hopper non è un tricheco»
«Se lo dici tu…» il bambino borbottò poco convinto aggirando l’album fotografico a gattoni, diverse angolazioni testate per alzarsi infine ad osservare la fotografia ora sottosopra nella sua visuale «A me continua a sembrare un tricheco»
Chikage fissò perplessa il figlioletto piegato sulle ginocchia, la testolina infilata fra le gambe profondamente concentrato nella sua contemplazione in una posa decisamente stravagante.
«Se ti sentisse Toichi parlar così del suo maestro…»
«Maestro?»
«Sì, è un grande mago nonché insegnate di tuo padre»
Kaito ricadde seduto a braccia incrociate davanti la fotografia dell’uomo grassottello sorridente accanto ai suoi genitori.
Il naso arricciato all’insù in un brontolio stizzito.
«Papà è più bravo!»

Un piccolo squarcio sulla passata quotidianità della famiglia Kuroba.
Una piccola storia senza pretese.
"Fanfic partecipante all'InSegreto Challenge indetta dalla pagina Detective Conan Fanfiction (italian Fan)"
"La storia prende spunto da uno dei segreti pubblicati sulla pagina di InSegreto"
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoko Nakamori, Chikage Kuroba, Kaito Kuroba/Kaito Kid, Toichi Kuroba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Photographs ~

 

"Fanfic partecipante all'InSegreto Challenge indetta dalla pagina Detective Conan Fanfiction (italian Fan)"

"La storia prende spunto da uno dei segreti pubblicati sulla pagina di InSegreto"

 

 

Le manine paffute afferrarono il bordo del davanzale marmoreo, una presa debole e sbilanciata per i piedini scalcianti nell’aria al di sopra del pouf accostato alla parete. Fuori imperversava una tempesta, il vento scuoteva le fronde con violenza eliminando le poche foglie rimaste ancora radicate nell’autunno ormai inoltrato.

La luce accecante illuminò il cielo seguita dal tremolio dei vetri al rombo assordante.

«Kaito! Quante volte ti ho detto di non fare l’acrobata?!»

Il bambino afferrato di peso per la vita si trovò sganciato dal suo punto di vedetta, spostato sul tappeto ben lontano dal panorama esterno. Piccoli passettini mossi per ritornare senza successo al punto d’osservazione, troppo lenti per una mamma allenata nello stargli dietro. Fu agguantato per il cappuccio della felpa e obbligato a sedersi, gli occhietti abbassati davanti al volto femmineo corrucciato.

L’aveva fatta arrabbiare di nuovo.

«Kaito»

«Mamma…»

«Quando ti dico di non fare una cosa vorrei essere ascoltata» la donna si inginocchiò davanti al piccolo intento a stropicciare l’estremità della propria maglietta, due dita sotto al mento per sollevare verso di lei il visino puntato sul pavimento «Capito?»

«Ma mamma…non è pericoloso!»

«Sì che lo è Kaito! Non puoi spostare il pouf vicino al muro, creare una scala con i libri, salirci in piedi e arrampicarti alla finestra! Rischi di cadere e farti male»

«Non è mai successo!»

Chikage inarcò un sopracciglio al tono sfrontato del figlio, una nota d’avvilimento interiore verso quel caratterino. Se iniziavano ora che aveva tre anni, non osava immaginare tra una decina cosa avrebbe dovuto sopportare.

«Certo, come non è mai successo di cadere dal balcone, vero?» solo al pronunciare la frase la donna sentì un tuffo al cuore, aveva creduto di morire due giorni prima alla vista di Kaito in piedi sulla ringhiera del primo piano per inseguire una stramaledetta farfalla.

Fortunatamente i riflessi di Toichi erano stati fulminei.

Aveva afferrato al volo il loro figlioletto suicida prima che si spiaccicasse sul terreno.

Kaito gonfiò le guance indispettito «È capitato solo una volta…e avevi detto che non eri più arrabbiata per quello!»

«Kaito mi manderai al manicomio prima o poi…No, non sono più arrabbiata perché hai detto di aver capito di non doverlo fare. Devo usare lo stesso metodo anche ora?»

Il bambino sgranò gli occhi arretrando istantaneamente di mezzo metro, le manine portate al suo fondoschiena e la testa scossa vigorosamente «No, no! Capito! Non mi devo arrampicare sulle cose, promesso!»

La donna si lasciò scappare un sospiro esasperato, sicura che avrebbero avuto quella conversazione anche il giorno dopo, quello successivo e quello ancora seguente, protratti all’infinito. Alzatasi avvilita per riporre la catasta di libri messi in disordine da Kaito fu bloccata nell’azione dal suddetto bambino che le si era avvicinato con un faccino colpevole.

Le manine strette in un pugnetto mosso nell’aria per far comparire quasi all’improvviso una margherita dai petali semi afflosciati.

«Scusa»

Un occhio al vaso sul mobiletto della sala dove il mazzo regalatole da Toichi mostrava l’assenza di uno dei fiori. Lei ci provava con tutta sé stessa a essere severa ma come poteva dire al bambino di aver appena violato la promessa fatta nemmeno due minuti prima utilizzando gli sgabelli come base d’appoggio per arrampicarsi sul ripiano a cogliere il fiorellino utile alla sua magia?

Semplicemente era impossibile, non avrebbe mai deluso le aspettative di quei primi trucchetti magici appresi.

«Ma sei diventato bravissimo! Lo sai che presto supererai persino papà?!» sorrise abbracciando e sbaciucchiando la sua piccola peste.

Gli occhi azzurri si illuminarono d’orgoglio a quel complimento crogiolandosi nell’abbraccio di quel piccolo vanto, convinto che un giorno sarebbe riusciti a stupire allo stesso modo anche il papà fra il pubblico, diventando un grande mago tale da lasciarlo a bocca aperta.

«Tornerà presto?» la vocina ridotta a poco più di un sussurro malinconico dopo l’attimo di felicità, l’attenzione al vetro picchiettato dalle gocce di pioggia nelle prime luci della sera.

Chikage lo strinse maggiormente posandogli un bacio tra i capelli, ogni volta che Toichi partiva per qualche spettacolo che lo impegnava lontano da casa oltre le ventiquattro ore Kaito passava il suo tempo a guardare la porta d’ingresso…o la finestra, quasi l’uomo potesse comparire da un momento all’altro.

«Domani sera sarà di nuovo qui» mormorò all’orecchio del bambino accarezzandogli la testa, lui strofinò il visino contro la sua maglia ma aveva qualche dubbio fosse solo un cenno d’assenso «Che ne dici, gli vogliamo preparare una torta per dargli il bentornato?»

«Al cioccolato?»

«Sì, con tantissimo cioccolato!»

Kaito si separò dall’abbraccio completamente euforico, gli occhi arrossati e le guance bagnate un lontano ricordo.

La seguì elettrizzato verso la libreria accettando l’importante incarico di scegliere il dolce da preparare su una di quelle riviste piene di immagini, avrebbe assolto quel compito scegliendo la torta più bella e la sua mamma come per magia l’avrebbe resa reale.

Catapultatosi sul tappeto aprì il giornaletto abbandonandolo però alla prima immagine, l’attrattività iniziale scemata a causa di una nuova fonte di interesse. Sua mamma era rimasta accucciata davanti lo scaffale ricolmo di libri con uno strano volume di grandi dimensioni tra le mani, lo stesso che non era riuscito precedentemente a spostare perché troppo pesante.

Gettatosi incuriosito sulle spalle della donna restò ad osservare con lei la robusta copertina in pelle piena di strani ghirigori incisi, sollevata per svelare la prima pagina. A dispetto di quanto supposto, Kaito constatò l’assenza delle strane parole di cui si componevano i libri di favole che il papà gli leggeva la sera, al contrario, c’era solo una grande fotografia dei suoi genitori abbracciati su una rampa di scale.

«Mamma sei bellissima!»

La manina indicò la donna avvolta in un sensuale abito bianco a sirena dallo scollo asimmetrico, un delicato drappeggio sul corpetto e sulla schiena parzialmente visibile. Stretta accanto all’uomo in completo scuro, circondati da numerose colombe che il fotografo era riuscito a immortalare svolazzanti conferendo un’aria pittoresca allo scatto.

Chikage scoccò un bacio sulla guancia al suo piccolo terremoto vivente facendolo accomodare sulle gambe incrociate.

«Solo io? Papà stavolta lo lasciamo fuori?» chiese divertita sfogliando la seconda pagina, assalita da un’improvvisa nostalgia non era riuscita a riporre l’album giungendo a comprendere anche da chi avesse preso il figlio quell’attaccamento per l’uomo, mancava anche a lei.

Kaito sembrò riflettere accuratamente sulla risposta da dare, le manine portate alla bocca nel medesimo vizio di Toichi.

La mela non cadeva lontano dall’albero dopotutto.

«Sì, tu sei più bella!» il tipico sorriso innocente dei bambini e il ditino poggiato sulle labbra con aria circospetta «Papà lo dice sempre che sei la donna più bella che abbia mai conosciuto, però non dirgli che te l’ho detto perché doveva restare un segreto!»

«Non si spifferano i segreti» il nasino picchiettato in quell’ammonimento divertito.

«Proprio mai? Eri diventata triste mentre ora sei di nuovo felice!»

La donna restò sorpresa all’ingenua ammissione certa di aver accuratamente nascosto la propria malinconia. Kaito alle volte sembrava veramente andare oltre le apparenze, possedeva uno strano senso d’altruismo, l’ossessione di voler vedere sorridere tutti cancellando la tristezza. Ora con lei, la settimana scorsa con una bambina, svariato tempo prima con il televisore e l’attore in lacrime in un film.

Kaito nemmeno si rendeva di conto di quanto le avesse scaldato il cuore con la sua parlantina spontanea.

«Ma sei proprio un ometto bravissimo! Come premio ti sei meritato gli onigiri che ti piacciono tanto» scostò delicatamente il bambino rimettendosi in piedi non prima di aver spostato l’album sul tappetto agli occhietti ancora puntati su di esso «Questo te lo lascio sfogliare, ma mi raccomando non rovinarlo!»

Il bambino si precipitò contento sul tesoro appena scovato voltando una pagina dopo l’altra, riconoscendo solo alcuni volti delle diverse persone immortalate incontrate il più delle volte agli spettacoli di magia, tipo la signora anziana piena di anelli che amava strizzargli le guance. Un brivido e le manine alzate istintivamente sul viso al ricordo.

Chikage trafficò con le pentole e il piano cucina iniziando a preparare la cena, lanciando di tanto in tanto un occhio al bambino davanti il divano. Unire sala e cucina nei lavori di ristrutturazione, ora più che mai, si era rivelata la giusta scelta.

«Ma tu e papà vi baciavate in continuazione?» la testolina inclinata all’ennesima foto dei suoi genitori bocca contro bocca distesi in quello che aveva tutta l’aria di essere un campo di rose, cosa ci trovassero di bello in quel gesto Kaito proprio non lo capiva. L’unica volta in cui aveva provato a baciare sulla bocca la mamma suo padre era scoppiato a ridere e la donna gli aveva detto di non farlo più perché era riservato solo tra marito e moglie, o fidanzati.

Chikage accese il fornello ridacchiando «Te l’ho detto, è un modo di dimostrarsi amore, quando sarai grande capirai»

Seguì qualche istante di silenzio in cui la questione sembrò decadere.

Almeno apparentemente.

«Voglio una fidanzata»

Alla donna per poco non cadde la ciotola di vetro dalle mani.

Il tono con cui la frase era stata detta rasentava una serietà esagerata per un bambino.

«Kaito sei ancora piccolino per averla»

«Ma voglio dare anche io un bacio così!»

«Per ora ti dovrai accontentare di quelli di mamma e papà»

Altri istanti di silenzio occuparono la stanza.

«Mamma?»

«Dimmi tesoro»

«Che significa “fidanzata”?» la testolina piegata in una smorfietta alquanto buffa.

«È una ragazza a cui si vuole bene in modo speciale, a tempo debito la incontrerai anche tu stanne certo» asciugò le mani sul grembiule andando ad arruffare affettuosamente i capelli al bimbo «Ed ora che ne dici di cambiare discorso? Non stavi guardando le foto?»

Kaito poco convinto tornò a voltare le pagine mentre la mamma accendeva la televisione, la solita compagnia serale di sottofondo.

«Come hai conosciuto papà?»

Chikage si morse l’interno guancia alla disperata ricerca di una soluzione, era normale che un bambino di quell’età facesse tali domande? Immaginava di ritrovarsele molto più in là con gli anni, quando magari avrebbe potuto spiegargli quell’altro lato della sua vita passata.

Sicuramente ora non poteva rispondergli con la verità.

«Su un’alta torre con una bellissima vista in occasione di una mostra, avevamo entrambi una passione per le corse in motocicletta»

«Motociccetta? Quella cosa con due ruote?»

«Sì quella lì, ma si dice motocicletta»

«Motoclicetta, sì»

Chikage rinunciò nell’impresa annuendo mentre tornava ai fornelli, gli stipi aperti alla ricerca del tagliere e il sangue gelato nelle vene alla successiva domanda.

«La potrò avere anche io una mottocicletta quando sarò grande?»

«….Mh, è ancora presto Kaito! Quando sarai più grande ne riparleremo» un ringraziamento silenzioso alla fortuna di non avere Toichi intorno in quel momento, solo quella strampalata idea mancava al marito per i progetti sulla vita del loro bambino.

Kaito sembrò soddisfatto della risposta perché torno a ridacchiare commentando di tanto in tanto alcune figure degli invitati, scatenando una caccia d’associazione fra volti umani e animali. Il testimone di nozze di Toichi era diventato una scimmia, il proprietario del Teatro nazionale del Giappone un gatto, la nonna paterna sfortunatamente venuta a mancare dopo il lieto evento era invece stata associata ad un canguro. Chikage tagliuzzò le verdure complimentandosi mentalmente per la fantasia del figlio, una donna con l’artrite bloccata sua una sedia per tutta la cerimonia cosa poteva essere se non un marsupiale? Null’altro, ovvio.

«Mamma chi è questo signore con la faccia da tricheco?»

«Kaito, il signor Hopper non è un tricheco»

«Se lo dici tu…» il bambino borbottò poco convinto aggirando l’album fotografico a gattoni, diverse angolazioni testate per alzarsi infine ad osservare la fotografia ora sottosopra nella sua visuale «A me continua a sembrare un tricheco»

Chikage fissò perplessa il figlioletto piegato sulle ginocchia, la testolina infilata fra le gambe profondamente concentrato nella sua contemplazione in una posa decisamente stravagante.

«Se ti sentisse Toichi parlar così del suo maestro…»

«Maestro?»

«Sì, è un grande mago nonché insegnate di tuo padre»

Kaito ricadde seduto a braccia incrociate davanti la fotografia dell’uomo grassottello sorridente accanto ai suoi genitori.

Il naso arricciato all’insù in un brontolio stizzito.

«Papà è più bravo!»

Chikage lo assecondo conscia di non poter mettere bocca in quell’ambito, screditare anche scherzosamente Toichi con Kaito nei pareggi era come gettare benzina sul fuoco. Altro che ammirazione, lì si andava oltre la devozione, un paio di giorni e si sarebbe ritrovata l’altarino in casa dedicato a lui con tanto di offerte.

«È passata una settimana dal furto e dalla restituzione dello “Steinmetz rosa”, la grande pietra preziosa trafugata dal Tokyo Metropolitan Art Museum dove era stata esposta eccezionalmente. Proseguono attualmente le ricerche sul famigerato Kaitō Kid, il mago del chiaro di luna! Il ladro internazionale dopo un breve periodo d’assenza sembra essere ritornato a pieno ritmo sulla scena della malavita mondiale, lasciando la polizia senza un briciolo di prova sul suo conto…»

Kaito sollevò di scatto la testa sul notiziario all’udire la parola “mago”, smettendo di ascoltare nell’immediato quella raffica di parole confuse piuttosto concentrato sull’uomo in abito bianco sul cornicione di un palazzo. Il mantello oscillato dal vento con una grande luna a far da sfondo, dita schioccate in cui all’improvviso apparve dal nulla una colomba il cui becco afferrò il gioiello.

Il pennuto svolazzante disceso sulla folla, perfettamente ammaestrato, aveva restituito il gioiello alla polizia, il tutto accompagnato dal sorriso accattivante di quello strano individuo.

«Le prove le troveremo!! Non ascoltate le balle che diffondono i telegiornali! La polizia non sta brancolando nel buio, siamo già diretti lungo una buona pista per smascherare l’identità di questo farabutto!» la sessione di immagini sul mago cessò mostrando invece la giornalista derubata dal microfono scansata in un angolo distante dalla telecamera, davanti cui un uomo con i baffetti aveva iniziato a sbraitare facendolo sobbalzare.

«Ispettore Nakamori cosa crede di fare?!»

Il battibecco fra polizia e stampa interrotto da nuove immagini dello strano pipistrello bianco levato alto nel cielo.

Chikage spostatasi nell’immediato accanto al figlio alla prima immagine del servizio aveva ormai gli occhi a forma di cuoricino incollati al televisore, Kaito quasi con stizza alternava lo sguardo tra lei e l’apparecchio.

«Il tizio che sta urlando ha ragione! Quel tipo non è un mago ma solo una palla gonfiata!»

«Pallone gonfiato, non “palla”»

«Quella cosa lì…non guardarlo così! Non è poi così speciale, papà può fare di meglio a occhi chiusi!»

La donna alzò le mani in segno di resa internamente divertita, non vedeva l’ora di vedere la faccia di Toichi quando Kaito gli avrebbe proposto di sfidare il grande Kid. Il bambino sembrò captare quella gioia perché sbatté le manine sull’album con rabbia, la pagina raffigurante il signor Hopper insieme a un uomo, una donna e una bambina biondissima di circa otto anni voltata con più ferocia del previsto.

Due occhi azzurri sbarrati allo squarcio che segnalava il foglio ormai staccato dalla rilegatura.

«Kaito!»

«I-io non volevo…» il bimbo sobbalzato al rimprovero cercò maldestramente di far aderire la zigzagata dello strappo «Lo a-aggiusto subito! Mi dispiace non volevo romperlo»

Le manine tremarono sulla carta che proprio non voleva saperne di restare unita senza l’aiuto di alcun collante esterno, il labbro inferiore vibrante spinto in fuori per trattenersi e non piangere. Chikage addolcì lo sguardo recuperando da uno dei cassetti il tubetto di colla, le braccia avvolte al di sopra del bambino mentre incollava le due estremità «Dai su, non è successo niente…guarda, è tornata come nuova!»

«Non proprio…» il ditino seguì la serpentina in rilievo dove il taglio era stato rimarginato.

«La foto è rimasta intatta, non fa nulla per la pagina» arresa all’idea di una cena ad orario tardivo, incrociò le gambe facendo sedere il figlio in grembo mentre riprendeva a sfogliare l’album «Dai, lo terminiamo insieme ti va?»

Kaito non rispose restando in silenzio mentre le fotografie gli scorrevano davanti, una dopo l’altra, uomini dopo donne, ricordi di quel giorno gioioso dove suo padre sembrava aver fatto tanti giochetti di magia, in ogni posa aveva qualcosa di diverso in mano. In quella con le carte da gioco ad esempio, era affiancato da Jii-chan – il signore che gli regalava sempre i cioccolatini – con una faccia buffissima, forse lui era stato colto alla sprovvista come il resto del pubblico per qualcosa a lui ignota.

Suo papà era davvero così felice quando lui non gli stava intorno?

Al matrimonio dei suoi genitori c’erano state tante persone, aveva smesso di contarle arrivato a cinque perché oltre non sapeva andare ma, quel numero l’avevano passato veramente da un bel po’. I volti felici e sorridenti avevano incominciato a infastidirlo, compresi quelli dei suoi genitori ed in particolar modo sua madre, sembrava non avere la minima traccia dell’arrabbiatura che invece lui aveva visto più volte quel giorno a causa delle sue marachelle.

Già, lei era felice perché lui non c’era.

La mamma non l’aveva voluto.

Chikage si sorprese non poco quando sentì una gocciolina bagnata sul polso, seguita da altre nel giro di qualche secondo. Sportasi in avanti restò sconcertata davanti al visino di Kaito rigato dalle lacrime, le goccioline salate scendevano copiose dagli occhi strizzati e coperti dalle manine appena si accorsero di essere stati smascherati.

«Ehi ehi, Kai-chan che è successo? Perché piangi?» chiese preoccupata voltandolo delicatamente verso di lei senza ottenere risposta al di là del silenzio interrotto da qualche singhiozzo sempre più forte in grado di farla impensierire maggiormente.

Provò ad abbracciarlo senza successo, suo figlio era arretrato scuotendo la testolina e piangendo ancora di più, cosa alquanto strana se pensava alle altre volte in cui tentava di non farsi nemmeno scoprire così.

«Amore di mamma ti fa male qualcosa?»

«N-no»

«Sicuro? Perché ti stai allontanando?»

Kaito strofinò gli occhi cerchiati di rosso con la manica della felpa tirando su col naso. Chikage restò allibita dinanzi alla serietà con cui il piccolino la stava guardando tra i singhiozzi ora più controllati, anche se la sua espressione fu una sciocchezza paragonata alle parole successive.

«P-erché non mi avete invitato…»

«Kai-chan di cosa stai parlando?»

«A me non mi avete invitato al matrimonio, c’erano tutti tranne me!» un gridolino acuto, offeso oltre misura.

Chikage ringraziò il suo poker face, l’istinto le aveva suggerito di ridere ma avrebbe complicato soltanto le cose conoscendo il soggetto. Afferrò la piccola peste prima che sgusciasse via di nuovo quasi stritolandola nell’abbraccio, le manine strette attorno al suo grembiule mentre il pianto diventava più disperato.

«Sei uno sciocchino…» una serie di baci posati sulla testolina mentre elaborava una risposta, sarebbe stato sensato dirgli che lui non era ancora nato in quel momento e ovviamente per forza di cose non avrebbe potuto esserci, ma l’avrebbe capito?

Probabilmente sì, probabilmente no.

Se c’era una cosa che invece lei aveva capito era che Kaito in quel momento si sentiva abbandonato. Nel suo ragionamento contorto era certa avesse associato la partenza di Toichi a quella nuova e sbagliata convinzione di non averlo voluto al matrimonio.

«Ti sbagli Kai- chan» lo scostò da sé quel tanto per asciugargli la guancia con il dorso della mano «Tu quel giorno c’eri anche se non ti puoi vedere o ricordare nulla»

Kaito inclinò la testolina confuso, il pianto quietato mentre soffiava nel fazzolettino tesogli dalla mamma. Accoccolato contro il petto di lei, seguì l’indice indicargli un punto dell’ultima fotografia ancora in bella mostra, quello dove il vestito bianco aveva un leggero rigonfiamento.

«Nella tua pancia? Come facevo a essere lì?»

«Magia»

Un altro bambino non si sarebbe accontento di una tal risposta, ma non Kaito. Quella parola per lui era in grado di spiegare tutti i segreti del mondo, soddisfacente al punto da fargli dimenticare la tristezza precedente per indagare con occhio critico la foto. Sua mamma gli aveva detto che lui era lì presente quel giorno quindi doveva anche esserci un trucco se non era stato immortalato nella fotografia.

Suo padre doveva essere stato davvero bravo a nasconderlo e la mamma non gliel’avrebbe mai rivelato.

Non si rivela mai un trucco.

«Direi che per oggi può bastare, abbiamo visto abbastanza fotografie e devo ancora preparare la cena…in più, tu non avevi una torta da cercare per papà?»

«Ah sì, ma l’ho già trovata!»

Chikage si chiese esattamente quando suo figlio avesse trovato il tempo per cercarla, soprattutto perché il suo non era un bluff. L’aveva trovata davvero, la rivista aperta a pagina trenta dove risaltava l’immagine di una torta glassata interamente di cioccolato con una decorazione a forma di rosa al centro. Era stata una scelta accurata, se si parlava di Toichi tutto era ricercato al dettaglio.

«Kaito…quando l’avresti cercata?»

Kaito gonfiò il petto, l’indice ondeggiato davanti a lei con un sorrisetto sulle labbra.

No, non era un sorriso, la donna lo riconobbe subito.

Quello era il ghigno sfacciato che il marito assumeva quando gli mostrava l’elaborazione di qualche nuovo trucco.

«Magia» le sillabe scandite fra loro per sottolineare la sfacciataggine con cui le stava rendendo pan per focaccia.

Il telefono di casa squillò proprio in quel momento e gli occhi azzurri si illuminarono, sapevano entrambi chi fosse.

La donna si ritrovò a rispondere con una piovra attaccata alla gamba che tentava in tutti i modi di arrampicarsi su di lei e raggiungere la cornetta.

«Bonsoir, ma chérie» la sensualità della voce maschile percepibile anche a chilometri di distanza.

«Oh, buonasera a te mio caro»

«È papà vero? È lui?» piccoli saltelli euforici mentre il lembo della gonna veniva tirato per attirare l’attenzione.

«Kaito sta di nuovo cercando di arrampicarsi addosso?»

«Ma non mi dire, chissà cosa te lo ha suggerito» rise divertita accompagnata dagli urletti provenienti dal basso.

«Voglio parlarci anche io!» l’ultima sillaba prolungata a lungo mentre le manine afferravano la tanto agognata cornetta.

«Sì sì, ecco a te»

«PAPÀ! Piove anche da te? Qui tanto la mamma non mi ha fatto uscire a giocare… Hai già fatto il tuo spettacolo? Lo hai provato il nuovo trucco che hai creato ieri? Quando torni? Lo sai che oggi ho regalato una margherita alla mamma? L’ho fatta apparire proprio come fai tu! A lei è piaciuto tanto, ha detto che presto ti avrei superato…quando torni mi insegni qualcos’altro?»

Chikage si poggiò stancamente alla parete smettendo di ascoltare quella raffica di domande alternate da pochi secondi in cui Toichi probabilmente non era riuscito nemmeno ad aprire la bocca per rispondere, succedeva sempre così.

Lei diventava un fantasma mentre suo marito rubava la completa attenzione come un ladro.

Passarono dieci minuti, poi quindici, ai venti fu quasi costretta a rincorre Kaito in tondo sul posto per conquistare il controllo del telefono.

«Papà deve fare uno spettacolo ricordi? Forza, salutalo e vai a lavare le mani»

«Ciao papà…» il piccolo salutò mogio dirigendosi triste verso il bagno.

«Accidenti, oggi sembrava iperattivo…ti faccio i miei complimenti per riuscirgli a stare al passo»

«Oggi? Tuo figlio lo è perennemente» sospirò fiaccamente passandosi una mano fra i capelli «A proposito, vedi di non renderlo un dongiovanni come te»

«Mh? Di cosa stai parlando tesoro?»

«Delle frasi che gli dici quando non ci sono» ridacchiò imitando la voce del bambino di un’oretta prima «Papà lo dice sempre che sei la donna più bella che abbia mai conosciuto, però non dirgli che te l’ho detto perché doveva restare un segreto»

L’uomo restò in silenzio qualche attimo.

«Toichi ci sei ancora?»

«Sì, riflettevo»

«Cos’è? Improvvisamente fai il timido con le tue stesse avance?»

«No, cara sai benissimo che lo penso ogni singolo giorno» la donna si portò la mano libera sulla guancia con occhi sognanti presto sostituiti da due più perplessi al termine della frase «Però io questa cosa a Kaito non l’ho detta»

 

 

La sedia della cucina ricadde con un sonoro tonfo oltrepassata dai due adolescenti che si stavano rincorrendo attorno al tavolo.

Aoko si abbassò per evitare le continue carte lanciate verso di lei uscite da chissà dove, la gonna della divisa svolazzante in quella corsa che l’occupava già da svariati minuti per tutta la casa.

«Ahoko molla quella fotografia!»

«Non ci penso nemmeno Bakaito

Chikage ignorò i fogli volati qua e là al passaggio dei due continuando a sorseggiare la sua tazza di tè comodamente seduta sul divano, posizione che urtò ancor di più Kaito. Lui le aveva detto di evitare di fare stramberie ma lei per tutta risposta, ignorandolo totalmente, aveva cacciato lo scatolo con le fotografie mettendolo in ridicolo. Non poteva continuare a viaggiare per il mondo anche quel giorno?

«Mamma giuro che questa me la paghi!» le urlò puntandole un dito contro, piantonato davanti la porta per evitare di far uscire la sua preda.

«Oh quante storie, è una foto carinissima! Avevi solo il visino e le manine sporche di cioccolata, vuoi metterla a confronto con quelle nascoste?» la donna gli rivolse un sorrisetto affabile, nella trasmissione dell’implicito messaggio: “sì, ho visto che ti sei nascosto nella giacca quelle del primo bagnetto”

«Chikage-san ha ragione, eri così adorabile!»

Kaito avvampò facendo cadere per qualche istante la sua facciata imperturbabile, chiedendosi se la ragazza si rendesse conto delle parole che stava dicendo da quando avevano iniziato quella tortura nei suoi confronti.

Adorabile, carino, dolcissimo, non erano gli esatti commenti che riceva solitamente da lei.

Approfittando della guardia abbassata da Aoko per una qualche nuova foto riuscì a bloccarla sulla poltrona, gettandosi praticamente addosso per recuperare la fotografia incriminata.

Troppo vicino.

Chikage sollevò gli occhi sui due rimasti impietriti a poca distanza.

Kaito nella foga era finito con le ginocchia premute sulla poltrona ai lati delle gambe di Aoko, il braccio proteso verso quello di lei spinto indietro per non far afferrare il cartoncino ludico trovandosi inevitabilmente con la faccia a poca distanza dall’altra.

La signora Kuroba prese un biscottino dal piatto sorridendo lievemente, era la terza volta che i due ragazzi finivano per bloccarsi in quel limbo tutto imbarazzato da quando aveva chiesto loro di farle compagnia. La prima volta le avevano quasi rotto un timpano gridando all’unisono, lei aveva soltanto suggerito di abbandonare la stanza per lasciarli giocare da soli, non prima ovviamente di aver chiesto al figlio se fosse a conoscenza del famoso discorsetto su come nascano i bambini.

Proprio su quella scia di pensiero si ritrovò a ridere rompendo anche il gioco di sguardi dell’ancora non nata coppietta.

«Mi sono appena ricordata di quella volta che Kaito scoppiò a piangere perché credeva di non essere stato invitato al mio matrimonio!»

Se possibile, le guance di Kaito si tinsero di un rosso più acceso fin sulle orecchie.

«MAMMA! Doveva restare un segreto!»

 

 

Note finali

 

Buongiorno a tutti! ^.^

Sono così felice di poter giungere qui a pubblicare grazie al mio tempo libero.

No, non è vero. Sono sicuramente felice di aver partecipato alla mia prima challenge ma su tempo libero c’è qualche problema di fondo…ho abbandonato lo studio >.<

Onestamente non sono nemmeno certa di aver rispettato appieno le direttive della challenge, mi sono lasciata trasportare dai vagheggi come ogni qual volta mi vien voglia di scrivere qualcosa.

Quindi, prima di essere assalita dai sensi di colpa vi saluto velocemente, ringraziandovi anticipatamente di aver letto la storia (io mi rallegro al sol vedere il numero di letture) e come sempre, se volete lasciare un vostro piccolo parere ne sarei felice!

 

Un grande abbraccio a tutti

 

Aky

 

 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Gōshō Aoyama, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

   
 
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