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Autore: shilyss    17/09/2020    9 recensioni
Storia sulla discesa nell'oscurità del dio degli inganni. L’astuto e sfrontato principe Loki si è macchiato di una colpa terribile, per cui non prova alcun tipo di pentimento. L’esilio di Thor è ancora lontano, ma molte ombre stanno cominciando ad addensarsi sul trono di Odino. Perché ogni sacrilegio deve essere punito, solo che.
Lei era proibita e anche solo guardarla rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti dell’ordine costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri pericolosi e malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura – questo, però, non lo sapeva ancora.
“Chi di voi due?” La voce di Sigyn era risuonata altera e decisa, non priva, però, di una nota oscura, figlia di un terrore che aveva nascosto per una notte intera.

[pre-Thor] [Thor] [hurt/comfort]
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 17

 

Distinguere acutamente il bene dal male era sempre stata una prerogativa di Loki Odinson. La sua penetrante intelligenza gli aveva regalato una forte capacità critica che applicava non solo nei riguardi di chi lo circondava, primo tra tutti Thor, ma anche verso se stesso. Guardandosi allo specchio, l’ingannatore sapeva distinguere uno per uno i rancori e gli odi che gli rimanevano incastrati nelle sopracciglia aggrottate, nello sguardo trasparente e spesso fin troppo duro, nella piega sprezzante e altera delle labbra sottili. No, Loki non era come quelli che inseguono una chimera o si lasciano corrompere dal male in buonafede, tutt’altro, né s’illudeva o chiamava le cose con un nome diverso dal loro. Quando si travestì da viandante per celarsi agli occhi del guardiano, incamminandosi verso sentieri noti a lui solo che gli avrebbero fatto raggiungere Jotunheim, sapeva di stare per commettere un alto tradimento, doppio, perché tradiva suo padre e la sua patria. Allo stesso modo, quando arrancò nella neve alta che circondava il desolato palazzo di re Laufey, sapeva benissimo quali punizioni spettassero a chi vendeva Asgard al nemico. Perché questo era esattamente ciò che stava facendo: pur di impedire, con ogni mezzo, a Thor di diventare re al posto suo, Loki era disposto a gettare nel caos la terra dov’era cresciuto, a mettere a repentaglio tutto ciò che amava e gli era caro. A suo tempo, aveva fatto la stessa cosa con Sigyn, perdendola. Era cosciente che, lasciando entrare i giganti oltre le sacre mura di Asgard, esponeva gli Æsir a una guerra in cui molti sarebbero morti. Il sacrificio, però, gli parve poca cosa rispetto al bene che ne sarebbe derivato dopo: Loki aveva calcolato, con crudele precisione, che se suo fratello fosse diventato re, i danni al regno sarebbero stati molto più ingenti e tragici di quelli provocati da lui stesso. E, con questa spietata tesi tutta da dimostrare, chiese e ottenne, non senza difficoltà, che il capo dei giganti di ghiaccio lo udisse. I motivi per cui aveva scelto, tra i molti nemici di Asgard, proprio i più temuti, erano molteplici. La sicurezza dello sdegno feroce, anzitutto. Thor avrebbe cercato un’inutile e stupida vendetta, mostrando a Odino quanto non meritasse di succedergli. E, dopo averlo escluso dal trono, la scelta di Padre Tutto, non potendo ricadere sull’ancora troppo giovane Balder, si sarebbe indirizzata verso l’unico che avesse le qualità e le abilità per regnare: lui, Loki Lingua d’Argento.

Eppure, nonostante il terribile inganno che stava perpetrando a danno del fratello, il mago non odiava Thor. Gli aveva salvato la vita mille volte, seguendolo in ognuna delle sue folli imprese, e l’altro aveva fatto lo stesso con lui. Di più, se qualcuno avesse minacciato in qualche modo Asgard e Thor – gli stessi che Loki stava mettendo in pericolo – lui si sarebbe erto a difensore di entrambi, lottando fino alla morte, perché erano pari – entrambi figli di Odino e investiti del diritto di succedergli, un giorno. Solo che lo scranno di Padre Tutto non poteva ospitarli entrambi e allora, poiché Loki non aveva la benché minima voglia di sottomettersi in alcun modo a suo fratello, l’unica via era sottrargli quel privilegio che giudicava malriposto. Il dio del tuono, poi, non aveva fatto granché per ingraziarsi l’ingannatore o rendere meno doloroso lo smacco. Si credeva superiore a lui per via della sua forza bruta e delle lodi che gli venivano perennemente tributate dai guerrieri che gli ronzavano sempre attorno. Questo era il difetto principale e più insopportabile di suo fratello: la vanagloria, il volersi circondare di gente pronta a lodarlo e a combattere al suo fianco spesso unicamente per soddisfare il suo orgoglio. E Loki, che si rifiutava di sperticarsi in patetiche lodi, veniva tacciato d’invidia. Effettivamente, in una prova che riguardasse la mera forza fisica, come il lancio del tronco, Thor non aveva rivali e Loki, sebbene forte, non era alla sua altezza. Ma era più resistente e furbo e veloce. E tutti questi elementi avevano un loro peso, in battaglia, tanto che trovarsi davanti il primo figlio di Odino era un’esperienza spaventosa, ma col cadetto non si scherzava di certo. A labbra strette, Loki avrebbe anche dovuto ammettere, almeno con se stesso, che il risentimento verso Thor era scoppiato quando Padre Tutto lo aveva preferito smaccatamente a lui. Che con l’impulsività di suo fratello aveva convissuto per una vita intera, buttando il capo all’indietro e ridendo di cuore di fronte alle sue impetuosità. Che prima di disprezzarlo, lo aveva ammirato, seguito, spronato, consigliato. Le vittorie dell’uno erano state quelle dell’altro e senza i loro teatrini e i piani, che spesso allestivano in virtù del fatto che bastava loro uno sguardo, per capirsi, Asgard avrebbe avuto meno lustro. Solo che Loki non era disposto a inchinarsi e prestare giuramento a suo fratello. Né ora né mai.

 

A Laufey l’ospite venuto da Asgard non piacque affatto. Lo squadrò da capo a piedi riconoscendo, in lui, qualcosa di storto, di sbagliato. C’era, nella sua figura orgogliosa, un’incongruenza di cui solo il re dei giganti sembrava accorgersi. Fu tentato di chiamare un indovino che sbrogliasse i suoi dubbi circa le intenzioni dello straniero, ma la voce del ragazzo – perché tale era – lo incatenò con promesse suadenti. Lo scrigno degli Antichi Inverni di nuovo al suo posto, a Utgard. Il traditore – perché il suo ruolo era evidente– aveva scelto di presentarsi con un nome falso per sua stessa ammissione. Spiegò che ciò avrebbe tutelato sia lui che i giganti da future rappresaglie – perché ci sarebbero state, sicuramente. Laufey non seppe mai dire perché lo ascoltò fino in fondo. Il suo primo impulso era stato quello di alzarsi e di andarsene, insultato da una visita che prometteva chimere e riesumava antiche ferite. Il questuante bugiardo e millantatore andava punito con la morte, il suo cadavere gettato in un dirupo, affinché i lupi lo divorassero. Solo che l’ospite conosceva davvero Odino e il palazzo reale e fu quella consapevolezza, trapelata dal bel discorso di lui, a incatenare il sovrano al suo posto.

Non ravvisò mai nei suoi lineamenti quelli di una donna con cui, un tempo, si era intrattenuto: lo ingannarono le sue fattezze d’Ase.

“Fidatevi delle mie parole,” lo incalzò Loki, ipnotico. “Se seguirete il passaggio che vi ho indicato, nessuno vi vedrà. E mentre tutta Asgard sarà impegnata ad ammirare Odino e la sua famiglia, a festeggiare il futuro erede,” proseguì leccandosi le labbra, quasi stesse pregustando già il momento, “un manipolo dei vostri uomini, mio signore, potrà entrare e appropriarsi del vostro scrigno,” concluse.

Laufey lo scrutò per l’ennesima volta da capo a piedi, soppesandolo insieme alla sua proposta scriteriata. Il giovane, nei suoi movimenti fluidi, gli ricordava l’odiato nemico, Odino. Rintracciò in lui la medesima scaltrezza, l’identica protervia nel proporre soluzioni facili solamente sulla carta. Persino il modo di allargare le braccia per accompagnare un concetto, o di increspare le labbra in un ghigno compiaciuto, somigliava a quello del re degli Æsir.

“Perché?” gli domandò, assottigliando gli occhi e sistemandosi meglio sul trono. “Perché tu, che sei un figlio di Asgard, tradisci la tua patria?”

 

La schiettezza della domanda costrinse Loki a drizzare la schiena. Quella parola sbattuta in faccia, tradisci, lo colpì al punto da far scolorire il suo viso affilato, avvampare il suo sguardo aguzzo. Stava imboccando un sentiero da cui non c’era ritorno: ripensò a quando aveva tentato di salvare Sigyn dal suo destino e, tra le radici dell’Yggdrasill, aveva incontrato le tenebre – e le Tenebre avevano incontrato lui.

“Avrò il mio tornaconto, se voi, mio signore, prenderete lo scrigno,” insistette con la risolutezza del principe che era.

“E quale sarebbe?” s’interessò il gigante. “Ci darà potere. Con quel potere, rappresenteremo di nuovo una minaccia.”

“Forse. O, forse, un’altra guerra logorante potrebbe distruggere entrambi i nostri regni,” insinuò Loki con uno dei suoi sorrisi ambigui e spiazzanti. I suoi consigli avevano il potere di piantarsi nella testa di chi li ascoltava e di germogliare in idee difficili da estirpare.

Laufey pensò che fosse pericoloso e disperato. “Te lo domando di nuovo, e bada,” l’avvertì, alzandosi. “Bada a dirmi la verità, o ti ucciderò, ti farò a pezzi e darò i tuoi resti in pasto ai lupi. Perché lo fai?”

Il dio dell’inganno si assicurò che il suo respiro fosse assolutamente regolare. “Devo vendicarmi di Thor Odinson,” rispose con una calma rovinosa. “Impedirò la sua incoronazione.”  Riuscì a pronunciare quelle parole concentrandosi sulle volte in cui suo fratello, tronfio e arrogante com’era, si era rifiutato di considerarlo suo pari, illudendosi che lui, Loki, fosse vittima, come tutti, del suo fascino, tanto da tributargli un’inesistente superiorità. Ma l’ingannatore non credeva né vedeva una simile disparità: ciò che il tonante possedeva nel braccio lui l’aveva nella testa. Erano compagni d’arme e lottavano per lo stesso obiettivo, sebbene paresse, a volte, che a Thor interessassero più la gloria e le lotte, che il buongoverno della propria terra.

Laufey si prese qualche momento per ragionare. Loki continuava a tenergli testa col suo atteggiamento fiero e lo sguardo fiammeggiante: intuì che le ombre che gli asserragliavano il petto erano più fitte e pericolose di quanto non sembrasse a prima vista, e fu per quell’oscurità che decise di credergli.

 

Eppure, Loki quella notte non rientrò trionfante ad Asgard. Raggiunse la periferia della città nelle vesti di un semplice pellegrino dall’aspetto stanco e dinoccolato per sfuggire all’occhio del guardiano, ma una volta al sicuro, non riprese il consueto abbigliamento e aspetto. Preferì rintanarsi nell’ombra di una bettola disgustosa a vedersi, indegna di accoglierlo, ma dentro cui aveva brindato con Thor mille volte e recitato versi appassionati per qualche bella ragazza. E, in un’occasione, la canzone gli era stata ispirata non dalla graziosa ostessa dall’ampia scollatura e la risposta svelta che li serviva, ma da un’altra. Una a cui aveva riparato un braccialetto d’oro e che lo fissava sempre con dispetto. Bevve il sidro sforzandosi di cacciare via dalla mente persino il nome di quell’ingrata bugiarda che le Norne avevano punito, sforzandosi di concentrare ogni suo pensiero sul piano. Nel momento in cui Odino avrebbe proclamato a tutti gli Æsir l’incoronazione del suo primo, brillante, figlio, un manipolo di Jotnar si sarebbe intrufolato nei sotterranei del palazzo. La reazione di un idiota come suo fratello sarebbe stata ben diversa da quella, accorta e ponderata, di Padre Tutto. Ne era certo. Il disgusto manifestato da Thor quando, insieme, avevano cercato di dirimere l’orribile faida fraterna scoppiata tra Oddr e Helgi gli aveva fornito la misura di quell’odio. E la triste storia dei due rivali bruciava ancora, nel petto del tonante, come un’ingiustizia che andava lavata via col sangue e di cui riteneva responsabili i vicini giganti di ghiaccio. A suo parere, questi ultimi avrebbero esacerbato la faida, anziché sedarla. Sì, il piano di Loki sarebbe andato a buon fine – solo che il sorriso che gli si dipinse sul viso affilato fu amaro e breve.

 

 

“Non credevo leggessi fiabe.”

Loki si svegliò con uno scatto rapido, e il libro che aveva sulle ginocchia cadde, perdendo il segno. Era mattina. Una luce livida e tenue filtrava dalle alte e strette finestre a ogiva che illuminavano la severa biblioteca di Odino. Negli occhi di Sigyn brillava una luce divertita e trionfante, segno evidente di come il sorprenderlo lì, addormentato su una poltrona, l’avesse piacevolmente stupita. Le trecce in cui erano avvolti i suoi capelli erano meno severe di quelle abituali e le donavano maggiormente, ma Loki non le avrebbe mai detto che era bella. Ancora stropicciato e confuso, si riscosse, cercando di trincerarsi dietro il contegno abituale, – aveva bisogno di dissetarsi e di fare un bagno.

“Non credevo fossi così mattiniera.”

“La prigionia mi rende quasi insonne,” chiosò lei, “e le nostre preghiere iniziano prima dell’alba.”

L’ingannatore notò che lo sguardo liquido e grigio della scintilla era appena segnato dalla stanchezza e ripensò a quando, un paio di sere prima, aveva visto la luce filtrare da sotto la sua porta. Lei, ancora incuriosita per la strana lettura del mago, si chinò per raccogliere il volume e porgerglielo, ma Loki si abbassò per bloccarla a metà strada, anche se, ormai, le dita della ragazza sfioravano la copertina in pelle. Erano più vicini di quanto non dovessero, ma prestarono molta attenzione a non toccarsi.

“Le tue fiabe,” sorrise lei.

“Nelle fiabe si nascondono spesso verità e insegnamenti. Non sottovalutarle,” suggerì l’Ase. Quando fu in piedi, si concesse di squadrarla meglio. “E tu, che cercavi tu, qui, a quest’ora?”

Un guizzo indecifrabile balenò nello sguardo di Sigyn. “Le cronache di tuo nonno Bor. Le ho cercate anche ieri, ma non le ho trovate.”

L’Ase assottigliò gli occhi e s’inumidì le labbra. La richiesta della ragazza giungeva inaspettata, come imprevisto era l’aiuto che lei, implicitamente, gli chiedeva.

“Come mai ti interessano?” ghignò e, messosi il suo volume sottobraccio, s’incamminò rapido per i corridoi della biblioteca. Era una delle zone più antiche della dimora di Odino. Negli anni era stata ampliata e allargata più volte e ora la sua pianta vantava delle irregolarità capaci di trasformarla in un labirinto dall’ordine oscuro. Alcune sale sembravano fatte per stupire i visitatori: possedevano ampie finestre, grandi camini e poltrone, tavoli sedie. Altre, nei tempi passati avevano ospitato copisti e miniatori intenti a consumarsi la vista alla luce delle candele, nel tentativo di creare libri che erano opere d’arte, prima che oggetti capaci di trasmettere il sapere. Sigyn era affascinata e incuriosita da quel luogo, forse il più interessante di tutto il palazzo, ma non era in grado di orientarvisi. Seguiva Loki cercando di non perderlo di vista e di ammirare, al contempo, le fitte scaffalature e sbirciare qualcuno dei titoli incisi sul dorso dei libri. A un certo punto, Loki si fermò e la ragazza per poco non gli andò contro. Si sporse per raggiungere un ripiano quasi troppo alto persino per lui e trasse un tomo dalla copertina nera piuttosto rovinata.

“Le più belle e accurate,” annunciò. “Ma vorrei sapere perché.”

C’era una nota a metà strada tra la curiosità e il sospetto, nella sua voce. Erano in un’ala sperduta e oscura della biblioteca; nonostante fosse ormai giorno, la luce penetrava a stento nella sala. Forse, ipotizzò la ragazza, le finestre erano orientate verso occidente, ma a parte quest’ipotesi, Sigyn non avrebbe saputo dire dove fosse l’uscita. Era sola, con Loki Odinson che la scrutava in quel suo modo fiaccante e terribile, capace di strapparle via ogni sicurezza e leggere nel suo cuore. Raccolse ogni energia per rispondergli con la consueta fermezza. “Per contrastarvi devo conoscervi. E l’unica maniera che conosco è questa. Studiarvi.”

L’Ase s’irrigidì e le diede il volume. “Tu non sai distinguere i tuoi amici dai tuoi nemici.”

“Voi Æsir sareste i miei amici?” Ora era Sigyn a essere pallida. “Sono un tuo ostaggio, Loki,” ricordò. “Hai preteso che vi seguissi, sfruttando il fatto che fossi la scintilla, senza curarti che ero un’ancella…”

“Tuo padre,” iniziò l’ingannatore, ma la ragazza lo interruppe.

“Mio padre cosa? Non vi ha mandato i suoi aiuti? Lo so. Me lo hai detto. E so che sei rimasto ferito, ma io non sono responsabile di questo.”

L’Ase scosse la testa. “Tuo padre ha fatto tante promesse che non poteva mantenere. E non tutte a noi. Ti avrebbero consacrato come ancella, presto, ma fidati delle mie parole: la tua vita non sarebbe trascorsa come tu immagini.” Di più non poté – non riuscì a dirle. Maledisse la propria tendenza a essere sempre diplomatico, che fin troppo spesso sfociava nel necessario inganno, e la debolezza – o pietà – che lo aveva colto, impedendogli di essere schietto.

Sigyn, invece, giudicò falsa la predizione di Loki. Chiese bruscamente di essere condotta all’uscita. L’ingannatore lasciò che la propria immaginazione fantasticasse lungo quei corridoi avvolti perennemente dalla penombra – con lei, con le sue labbra imbronciate, col suo profumo delicato e persistente. Le fece strada senza dire una parola, invidiando le ombre che l’avrebbero ghermita, ricacciando in gola le frasi pungenti e dannatamente sincere che lei meritava di ascoltare.

Ragazzina orgogliosa, mia infelice scintilla, tuo padre ti ha venduta a un altro, prima che a me. E non c’è modo di strapparti a lui – presto ti reclamerà.

 

 

L’aveva bandito[1]. Odino aveva bandito suo fratello, cacciandolo sull’oscura Midgard non prima di avergli tolto ogni suo potere. Compreso Mjollnir. Era quello che Loki voleva? Sì e no. Aveva agito con cognizione di causa, con l’intento di arrecare un danno a Thor, ma non immaginava che l’ira di Padre Tutto sarebbe stata così terribile. La realtà aveva superato le aspettative, lasciandolo, per un momento, incerto e sgomento. Lui, che pareva avere la risposta a ogni domanda o soluzione, che si vantava di essere brillante e sagace e sempre pronto a modificare i propri piani in base alla circostanza, era rimasto a corto di parole. C’era stato un momento in cui aveva cercato di limitare i danni e di intervenire; per quanto suo fratello, istigato da lui, aveva trasgredito a un preciso ordine, il suo agire sconsiderato era comunque lecito, da una certa prospettiva. Forse non era una scelta politicamente vincente, ma rappresentava un atto di forza di cui Asgard aveva bisogno. Da troppo tempo il fiero figlio di Bor preferiva la cautela allo scontro. Gli Jotnar reputavano lui un vecchio debole, i suoi figli dei cuccioli viziati. Thor era stato sciocco e impulsivo, ma Loki aveva sentito il bisogno di difenderlo, perché per quanto la sua spedizione fosse niente di meno che una missione suicida – lui, la sua vendetta, l’avrebbe ottenuta in maniera più efficace: con l’intelligenza – era animata da propositi, intenzioni e volontà che l’ingannatore condivideva. Non era servito. Padre Tutto l’aveva zittito con un urlo disarticolato e quasi belluino, segno evidente di quanto non desiderasse ascoltare le sue giustificazioni retoriche. Un momento dopo, Thor aveva passato il segno offendendo il re loro padre e aveva lasciato Asgard nell’ignominia.

Era quello che volevi, Loki?

 

La voce di una coscienza insinuante lo tormentava mentre percorreva, come trasognato, i corridoi della sua casa divenuti improvvisamente troppo vuoti e grandi. Thor era stato esiliato.

Il preferito di suo padre, il brillante fratello maggiore – anche se di una manciata di mesi appena – che Loki aveva ammirato, combattuto, difeso, aiutato. C’era rivalità tra loro? Certo. Erano entrambi ambiziosi e fieri. L’ingannatore non aveva mai nascosto la sua volontà di primeggiare né l’idea che fosse più meritevole perché più astuto dell’altro. Quante volte Frigga aveva alzato gli occhi al cielo vedendoli litigare e malmenarsi, quante Odino li aveva redarguiti per quello stesso spirito indomito e bellicoso che apprezzava sul campo di battaglia? E cosa avrebbe fatto, Padre Tutto, se avesse sospettato quanta parte di responsabilità aveva lui stesso nella ribellione di suo fratello?

Eppure, Loki non era totalmente responsabile di quanto capitato a Thor. In qualsiasi momento, lo sfolgorante erede di Odino avrebbe potuto fermarsi, abbandonare qualsivoglia proposito di vendetta e rimettersi alle decisioni del suo re. Si era ficcato in testa di agire diversamente – lui lo aveva solo spinto in tal senso, approfittando della sua influenza presso Thor e della volontà stessa dell’altro. Conoscevano entrambi il parere del loro padre; lui si era limitato a dirsi sinceramente d’accordo nell’idea che i giganti erano un pericolo finché respiravano – e lo credeva, ne era convinto con ogni fibra del proprio essere, soprattutto dopo averli affrontati sul loro stesso territorio. Per poco non erano morti – se non fosse intervenuto Odino, sarebbero senz’altro morti.

 

Poi Sif lo aveva pregato di intercedere presso Odino. Di supplicarlo al fine di mitigare la punizione di suo fratello, supportata, in questa richiesta, dagli amici di Thor, sempre pronti a idolatrarlo senza vederne gli eclatanti difetti, subito sospettosi nei riguardi di lui stesso, che li aveva salvati. Perché il brillante piano di suo fratello – andiamo e distruggiamoli – non era solo politicamente svantaggioso, ma stupido e impulsivo, come Thor, del resto. Lo avevano accusato di essere invidioso e malvagio, ma erano degli irriconoscenti infedeli, nient’altro. Soprattutto Sif, che sotto la sua maschera d’imperturbabilità e freddezza che, sempre, gli riservava, alludeva a un passato vissuto nella penombra. Si vergognava di essere andata a letto con lui, di averlo usato come ripiego perché non riusciva ad avere Thor, e ora lo implorava perché riportasse a casa il suo eroe. Voleva manipolarlo in nome di una relazione che non era mai andata oltre la semplice scopata per preciso volere di entrambi. E, in virtù di qualche amplesso consumato di nascosto, mentre entrambi pensavano e desideravano altre persone, lei pensava di poter intercedere.

Di contare più di quanto, realmente, contava. Era sciocca e stupida, ma a sua difesa occorreva dire che l’ingannatore, in quei mesi, l’aveva cercata con più frequenza e ardore, nell’inutile tentativo di scacciare Sigyn dalla sua testa. Ma la scintilla era un’ombra rinchiusa in un mondo di tenebre, e tutto ciò che aveva di lei era una lettera di cui ricordava a memoria ogni parola e che prometteva sventure; nella sua cecità, la scintilla aveva visto, finalmente, l’approssimarsi dell’inverno lungo sette inverni, sognato tracce di sangue sulla neve. Un presagio d’incerta valutazione in base a chi fosse il lupo e chi la preda.

 Se non fosse stata Sif a supplicarlo, forse Loki avrebbe cambiato idea e, con calma, dopo un ragionevole periodo di tempo ed essersi assicurato di avere ciò che meritava – la futura investitura come re di Asgard – avrebbe interceduto presso suo padre per far tornare Thor. Ma suo fratello contava su un numero cospicuo di seguaci che non si sarebbe mai stancato di considerarlo l’erede legittimo di Asgard, l’unico degno, e così il regno dell’ingannatore avrebbe avuto, per sempre, un insopportabile punto debole. E allora, che fare?

 Si toccò il braccio, lì dove lo Jotunn lo aveva afferrato spaccando la placca di metallo e la corazza. La pelle appariva liscia, intonsa, perfetta. Nemmeno un segno suggeriva che fosse venuto a contatto con un gigante di ghiaccio. Serrò la mascella; Volstagg, grande e grosso com’era, ancora gridava di dolore per la terribile ustione ricevuta solo sfiorando uno dei suoi avversari. Lui, invece, si era salvato. Perché? Era merito del seiðr che scorreva potente nelle sue vene? Oppure, era caduto vittima di una qualche subdola maledizione sconosciuta, che si sarebbe manifestata, ma solo poi?

A passi lenti, s’inoltrò verso i sotterranei del palazzo, deciso a risolvere un problema per volta.

 

La sala era immensa e il rumore dei suoi stivali solitari e decisi echeggiava in maniera sinistra lungo le tortuose scalinate che conducevano giù, sempre più giù. Loki conosceva la storia di ognuno dei tesori lì custoditi o, almeno, questo era ciò che aveva fatto credere una volta a una Sigyn che fingeva di non essere stupita da tanta magnificenza. Un’incantevole reliquia in mezzo a tante altre. In verità, molti di quegli artefatti erano entrati in possesso degli Æsir in tempi, modi e luoghi oscuri. Dell’appropriazione di altri, invece, Loki era certo che si raccontasse con un certo compiacimento una versione edulcorata, se non totalmente falsa. Ma il principe cadetto non era sceso nei sotterranei per lasciarsi travolgere dai ricordi: procedeva sempre più spedito verso un angolo in particolare, dove, alla luce tenue delle fioche lampade, brillava uno scrigno bluastro, che sapeva di ghiaccio e lame e morte. Come mai il tocco degli Jotnar non aveva avuto alcun effetto, su di lui? Cosa avrebbe detto, se un simile fatto avesse riguardato qualsiasi altro individuo? Quali supposizioni si sarebbe scaltramente premurato di rivelare? Ciò che, acutamente, era in grado di dedurre per il prossimo non poteva essere sacrificato o mitigato quando l’oggetto della supposizione diveniva lui. Prese un lungo sospiro – sono solo sospetti – eppure la ragione gli suggeriva che la soluzione era più semplice e dolorosa di quanto pensasse. Le sue dita strinsero le maniglie e sollevò lo scrigno. E il potere del più antico tesoro degli Jotnar gli scivolò nelle vene con una naturalezza sbalordita e spaventosa.

La voce di Padre Tutto, perentoria e roboante, giunse troppo tardi.

“Sono maledetto?”

“No.”

“E cosa sono?”

“Sei mio figlio.”

“E cosa, più di questo?”

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore,

Non vedevo l’ora di arrivare esattamente qui. Come dico in nota, ho evitato di raccontare le scene che avete già visto nel primo film di Thor. Le motivazioni di Loki sono frutto di mie riflessioni sul personaggio, quindi abbiatene rispetto ♥, come per tutti gli headcanon che inserisco nelle mie storie. La settimana prossima è il turno di Accordo. Fuggo rapidamente, ma non per questo vi si adora di meno.

 

Ringrazio chi ha listato, recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su Ombre e fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama il canone.

 

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

Shilyss



[1] È una mia precisa scelta non ripercorrere le scene del primo film di Thor. <3

   
 
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