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Autore: Deb    26/09/2020    4 recensioni
Mi dicono tutti che sto sbagliando.
Me lo dico anche da solo. Il me bambino avrebbe guardato male il me attuale, mi avrebbe dato una botta in testa, ed avrebbe aggiunto «Mi fai schifo».
Non sono più quel bambino.

{Fa parte della serie: "Please" scritta con gabryweasley || Spoiler!DeepClear}
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Sana/Akito
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Please'
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Fanfiction 01: Pain di Deb
Fanfiction 02: Venomous di gabryweasley





Lost




Mi dicono tutti che sto sbagliando.
Me lo dico anche da solo. Il me bambino avrebbe guardato male il me attuale, mi avrebbe dato una botta in testa, ed avrebbe aggiunto «Mi fai schifo».
Non sono più quel bambino.
La casa è buia e silenziosa senza la rumorosità di Sana. Sospiro, appoggiando il borsone di karate a terra, anche quella sera. Sana sarebbe corsa da me - se non si fosse addormentata sul divano - e mi avrebbe rivolto un grande sorriso, esclamando un bentornato. Mi avrebbe scoccato un bacio ed avremmo mangiato una cena d’asporto.
Scuoto la testa.
È inutile pensare a quello che è stato. Sana non c’è più, non ci sarà più. Mi si è chiuso lo stomaco. Mi siedo sul divano e le mie mani trovano la mia testa.
In quello stesso istante il telefono si mette a suonare. È una musichetta stupida che non ho scelto io. L’ha fatto lei, personalizzando la suoneria. «Così saprai sempre e subito che sono io!»
Prendo lo smartphone tra le mani, apro What’s App. Non è un messaggio. Non mi chiede di cambiare idea, di scendere a patti con me stesso, non mi dice che sono stupido. È una foto. Una foto in bianco e nero. So bene cosa ritrae, lo vedo indistintamente.
Il telefono suona ancora, mentre continuo a guardare quella foto, mentre osservo l’ecografia. È una femmina. Deglutisco.
«Ciao, Akito. Oggi ho fatto la visita di controllo. Mi hanno detto che è una femmina! Anche se non si capisce molto io la trovo bellissima! Ho prenotato anche una morfologica, così potrò avere una sua foto più dettagliata».
Il telefono suona ancora.
«Pensavo volessi vederla. Be’, ciao!»
Non mi chiede di andare con lei, di essere partecipe. Non mi chiede cosa ne pensi, o se ho cambiato idea. Mi lascia spazio. Anche se mi aggiorna, non chiede nulla in cambio.
Morirà. Getto il telefono sul divano senza risponderle e tuffo di nuovo la testa tra le mani. Chiudo gli occhi, cercando di scacciare immagini di morte. Moriranno tutte e due. Rimarrò solo.
C’è una vocina nella mia testa che mi sta dicendo che è già successo. Sono già solo. Per mia scelta. Sarà più semplice, poi.
Appoggio la schiena allo schienale, guardo il soffitto e cerco a tastoni il telefono.
«Quando la hai? Vengo con te». Digito ed invio prima di cambiare idea.

Tsuyoshi mi ha detto che noi stessi siamo artefici del nostro destino. Che me la sono chiamata. Io non la penso così. Non ho chiamato nulla. Non ho chiesto io che succedesse quello che invece è successo.
Ha pianto Sana, quel giorno. Forse mi incolpa anche lei. La paura mi ha attanagliato sin da subito, e le ho detto quello che le ho detto. Ma alla prima visita l’ho comunque accompagnata. Me l’ha chiesto. Le ho detto di sì.
Ed è stato allora che è divenuto tutto reale.
«Signora, lei lo sa che ha il collo dell’utero corto?»
Sono raggelato. Sana, invece, ha inclinato la testa, dubbiosa.
«Si vesta, poi ne parliamo».
Mi guarda, Sana ed abbasso lo sguardo. Capisce che c’è qualcosa che non va. Velocemente si rimette gli slip e si siede davanti al dottore.
«Che succede? Che significa? Il bambino sta bene?»
Il dottore le sorride accondiscendente, cercando di metterla a proprio agio. Io rimango in silenzio, non ha senso parlare in questo momento.
«Signora Hayama, dall’ecografia appena fatta si può notare che il suo collo dell’utero misura all’incirca due centimetri». Inizia a spiegare. Avevo studiato qualcosa all’università, ricordo che questa è una patologia, ma non riesco proprio a ricordare cosa comporti. «Significa che è corto e può portare dei rischi al feto».
Sana sbianca in viso. Si porta una mano alla bocca e gli occhi le diventano più luminosi, segno che presto potrebbe scoppiare a piangere. Deglutisco. Lo sapevo. Era normale ci sarebbe stato qualcosa che non andasse.
«E… Cioè? Che significa? Io non capisco. Non sono un dottore. Non capisco. Che vuol dire?» La voce è un po’ più stridula, l’ansia si impossa di lei. Le stringo automaticamente la mano. Mi guarda un attimo, respirando veloce e stringe la mia di rimando.
«Ha più rischio di aborto spontaneo durante il primo e secondo trimestre, signora Hayama. E se non lo avrà, il rischio sarebbe quello di un parto prematuro». Fa una pausa. «Deve rimanere assolutamente a riposo. Quanto più possibile». Il dottore prende il suo blocco note. «Le prescrivo il progesterone, da prendere ogni sera. La gravità potrebbe aumentare il rischio di aborto, quindi già da ora dovrebbe stare il più possibile a letto. Le prescrivo anche questo farmaco tocolitico, per bloccare eventuali contrazioni uterine che potrebbero far danni».
Sana annuisce, io allontano la mia mano dalla sua.
Per un attimo l’ho pensato, però. Ho sperato che i farmaci non facessero effetto e abortisse spontaneamente, così Sana non avrebbe corso alcun pericolo durante il parto.
Quando usciamo da lì non parliamo. Nemmeno lei, che di solito riempie i miei silenzi con le sue parole, emette un fiato. Penso quasi che incolpi la mia richiesta di abortire in ciò che le sta accadendo. Ma Sana non è così. La sua testa, adesso, è indirizzata soltanto a quel bambino che sta crescendo dentro di lei.
«Sei ancora in tempo». Sussurro.
«Cosa?»
Deglutisco. Abbasso la testa. «Sei ancora in tempo per abortire, prima che...»
«Non dire un’altra parola, Akito». La sua voce graffia le mie orecchie. Alzo il viso, e la guardo, e penso di non aver mai visto quello sguardo di rabbia misto ad odio nei suoi occhi.

Ed in quel momento sono scappato. Non ho voluto più saperne davvero. Fino ad oggi. Sta ancora bene, la bambina, ed anche Sana. Ha preso una pausa dal lavoro e vive con la madre. È comunque meglio che stare a casa nostra tutto il giorno da sola.
Mi sorride quando mi vede, la sua mano destra è sul ventre, come se dovesse sorreggerlo, e forse è proprio così.
«Sono contenta che tu sia venuto! Pronto?»
Non rispondo. No. Non sono pronto. Penso non lo sarò mai.
Saluto con un mezzo inchino la madre di Sana che risponde seria, lei sicuramente ce l’ha con me. Lavoro, vado dai bambini, torno a casa, doccia, dormo, corro nelle notti in cui non riesco a dormire, e ricomincio da capo. Il tempo sembra non passare mai.
Entriamo nello studio medico, ci fanno accomodare in sala d’attesa. Sana chiacchiera tranquilla con la madre che quel giorno ha lasciato Maro-chan a casa, ma la cui acconciatura è sempre eccentrica.
Quando chiamano il mio nome ci alziamo tutti e tre. L’impulso di andare verso l’uscita è tanta, maledicendomi di averle detto che sarei venuto. Dannato Tsuyoshi che con le sue parole riesce a farmi sentire in colpa.
La visita va bene, Sana dice che mi assomiglia, anche se ancora i contorni non è che siano poi così definiti. L’ho guardata anche io e mi sembra una semplice neonata ancora dentro il ventre della madre. Sta bene, sta crescendo - anche se lentamente - e il dottore ha rimarcato i rischi della patologia di Sana, ma l’ha anche tranquillizzata, dicendo che avrebbero tenuto tutto sotto controllo. Parole. Sono soltanto parole.
Quando usciamo da lì, Sana mi stringe una mano. «Vieni a pranzo con noi?» Mi domanda, speranzosa.
Mi divincolo dalla sua presa e la cingo in un abbraccio. Inalo l’odore di buono dei suoi capelli e decido di rimanere un po’ così. Rimarrei per sempre così. Dopo alcuni attimi, Sana ricambia il mio abbraccio. La sento singhiozzare, anche se so che cercava di trattenersi e mi stringe di più. Mi allontano un po’ per guardarla. È bellissima. È sempre bellissima. La bacio, anche se la madre è qui con noi. La bacio ancora una volta. Ed un’altra. Appoggio la mia fronte sulla sua quando mi ritengo soddisfatto, anche se subito dopo ritornerei sulle sue labbra.
«Pensaci*». Sussurro soltanto.
Sana mi guarda con un cipiglio di dubbio, ma la consapevolezza le arriva poco dopo. Si scosta quasi fulminea da me, interrompendo qualsiasi contatto.
«L’ho fatto, per un nanosecondo, la prima volta. Ci ho messo davvero un battito di ciglia a pensarci. Non ne ho proprio più bisogno perché la risposta è ovvia. E se tu non ci arrivi, non la capisci, non è un problema mio». I suoi occhi sono determinati. «Fammi un favore, però, Akito...» La sua voce si ammorbidisce. Adesso mi chiederà di tornare a starle vicino, di accettare tutto quanto e di sorreggerla come abbiamo sempre fatto. Ci siamo sempre stati uno per l’altra, da quando eravamo bambini. «… non dirmelo più. Non chiedermelo più. Non cambio idea. Non la cambierò mai, quindi basta. Fammi almeno questo favore, per favore».
Ho pensato male. Non sente il bisogno di me. Non più. Si è arresa al fatto che io non potrò mai starle davvero vicino in questo periodo.
Annuisco, mettendo le mani in tasca e lei mi regala un sorriso. Triste, quasi, ma pur sempre un sorriso. Il ragazzo egoista sono io. Le faccio pesare tutto, persino questa gravidanza, come se fosse una sua colpa eppure lei non mi incolpa di nulla, nemmeno del fatto di chiederle di uccidere nostra figlia.
«Ci vediamo, Akito». La sento salutarmi, dopo averle girato le spalle per allontanarmi.
Sospiro, senza risponderle, senza salutare Misako. Ci vediamo, Sana.

* In Giappone è possibile abortire fino alla ventiquattresima settimana e Sana, quindi, ci rientra.



Buonsalve! / Eccoci con la terza shot della serie “Please” scritta da me e gabryweasley!
In questa shot POV Akito ci rendiamo sempre più conto della sua paura, ma anche del desiderio di star vicino a Sana, anche se non ce la fa.
Nel manga Deep Clear si evince che Sana ha il collo dell’utero corto e, in questa fic, possiamo capirne i rischi. Ho fatto una ricerchinah.
Per quanto riguarda l’aborto, in Giappone è possibile decidere di abortire volontariamente per un tempo più lungo - da quanto ho trovato in rete - però per farlo non basta la decisione della mamma (come sarebbe giusto che fosse), ma la firma di colei che è incinta che il partner.
Spero che la fic vi sia piaciuta! Io ho adorato scriverla!
Un ringraziamento speciale a Taticar! Questa serie non sarebbe nata senza di te ♥ Grazie!
Baci
Deb


Fanfiction successiva: Limbo di Deb



   
 
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