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Autore: Miryel    26/09/2020    18 recensioni
«Tony, non c'è amore, non c'è traccia di sentimento. Non c'è chimica, non c'è attrazione fisica, non c'è niente di tutto questo ma…», esordì Peter, poi la sua voce si fece microscopica. «Dimmi che lo senti anche tu.» Si morse le labbra e gli occhi gli si illuminarono di speranza.
Cosa? Quell'irrefrenabile desiderio di non smettere un solo istante di parlare con lui? Sì, lo sentiva.
«No. Non lo sento. Non sento niente di niente.» Mentì.
[Soulmate!AU / Young!Tony x Peter / Introspettivo]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Howard Stark, Jarvis, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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[Soulmate!AU / Young!Tony x Peter / Introspettivo]

«Non pensavo che mi sarei innamorato di qualcuno nel modo in cui mi sono innamorato di lui. 
E certamente mai avrei immaginato per un momento che due persone potessero innamorarsi a vicenda e che non potessero stare insieme.  
Onestamente, mi distruggo ancora per questo concetto.»
- Ranata Suzuki
 


| Rewrite
  The
  Stars


«You claim it's not in the cards Fate is pulling you miles away
And out of reach from me But you're here in my heart
So who can stop me if I decide That you're my destiny?»


Graphic by @Fuuma



 
 
| Capitolo I

 

    A differenza di una nave, il destino non ha che un unico tragitto da seguire e non può virare altrove. Non può cambiare meta. Anche la vita è più o meno destinata a quella noiosa routine, allo stesso modo e, per quanto la cosa non l’avesse mai toccato davvero, Tony Stark era convinto che la staticità fosse una vera scocciatura e che per lui che amava i cambiamenti, iniziava a diventare un gran bel peso. La vita, però, era in grado di riservare anche delle sorprese, di tanto in tanto. Non sempre belle, quello era vero, e difatti non era proprio il suo caso. Il giorno del suo diciassettesimo compleanno – che da una parte aveva sperato non arrivasse mai e, dall’altra, era elettrizzato all’idea di crescere e avvicinarsi sempre di più al giorno in cui avrebbe finalmente lasciato quella casa opprimente –, come da tradizione, qualcosa cambiò. Non grazie alla pubertà o chissà cos’altro. Era un cambiamento visibile, che quando gli era comparso sulla pelle lo aveva spaventato e gli aveva fatto male. Era successo a tutti, proprio a tutti, e sebbene avesse quasi sperato che il destino lo potesse esonerare da quella scocciatura, le sue preghiere a un dio in cui non credeva da anni, non erano state esaudite. Un simbolo; a prima vista un esagono con delle linee laterali che, se lo si guardava bene, somigliava ad un ragno. Sì, era un ragno, anche se suo padre sosteneva che fosse semplicemente un simbolo, sul quale non avrebbe dovuto romanzarci sopra. Tony aveva sbuffato, quando glielo aveva detto, e poi si era zittito e non ne avevano più parlato. Non aveva interesse nel discutere col suo vecchio di certe tematiche che, quell’arida personalità che l’uomo si portava dietro, non avrebbe mai compreso. 

Così Tony aveva semplicemente deciso di accettare quel simbolo – che gli era comparso sotto l’orecchio destro, e che non aveva mai nemmeno cercato di nascondere, fino al giorno in cui i suoi genitori avevano deciso di mostrarlo in mondovisione, solo perché era così che la tradizione familiare voleva.

Le famiglie di un certo calibro, come la sua, erano destinate, tramite i simboli, a imparentarsi con famiglie altrettanto ricche. Non che la cosa fosse tanto sorprendente, semplicemente era il simbolo identificativo a scegliere la persona con cui stare, e nel corso della dinastia degli Stark, nessuno era mai stato con qualche poveraccio – come amava chiamarli il suo vecchio, perciò era chiaro che gli toccasse qualche figlia ricchissima con la puzza sotto al naso, per colpa di quello stupido simbolo che aveva addosso. Difatti, il segno non era unico nel suo genere; un’altra persona, nel mondo, il giorno del suo compleanno, aveva ricevuto sicuramente lo stesso dono, identico al suo e, questo, significava che le loro vite erano destinate ad intrecciarsi, in un filo annodato, per tutta la vita. Tony ci credeva poco a quella storia – oltre ad esserne terrorizzato, siccome ai suoi genitori era successo lo stesso, ma sembravano non amarsi già da molti anni o, da quel che ricordava lui, forse non l’avevano mai fatto davvero. Il che significava che non sempre il destino era magnanimo e, ne era certo, sicuramente gli sarebbe capitata la stessa sorte. Non perché si sentisse arido come loro, ma perché lui non aveva mai creduto davvero, a quella cazzata delle anime affini. Men che meno nell’amore. Accolse dunque con un certo dolore e irritazione la notizia del secolo: cercasi anima gemella per Tony Stark.

Il suo collo, esposto su ogni telegiornale del globo, probabilmente – nonché fotografato e piazzato in prima pagina su tutti i giornali – era diventato motivo di discussione in ogni angolo della città e, specialmente, a Villa Stark. Tutti gli cercavano la maledetta anima gemella, e Tony voleva solo essere lasciato in pace.

«Un giorno non troppo lontano, da quella soglia, entrerà la persona più importante della tua vita. Smettila di sbuffare e sta’ dritto con la schiena, Tony. Non è la tua gobba, quello che la persona a cui sei destinato, vuole vedere!», gli aveva detto suo padre, la stessa sera a tavola.

«Io non sono destinato proprio a nessuno!», gli aveva risposto lui, piccato, e aveva ricevuto uno sguardo di rimprovero e labbra arricciate, aspre, a giudicarlo. Howard Stark aveva smesso di tagliare la propria carne e aveva tenuto le mani a mezz’aria per minuti interi, trattenendo il respiro, mentre di certo contemplava la giusta risposta da dargli; come sempre col solo e unico intento di fargli male. Peccato che, da tempo, le parole dell’uomo non lo scalfivano più. 

«La solitudine quasi te la meriteresti. Non so come sia possibile che ti sia comparso quel simbolo addosso, data la tua diffidenza.» 

«Mi avranno lanciato una sfida, che vuoi che ti dica.» Aveva sbuffato poi, e la conversazione si era chiusa lì, solo perché suo padre non sempre aveva la forza – o la voglia, di ribattere alle sue ostilità.

Fatto sta’ che i giorni passarono, e l’anima gemella di Tony non si trovava da nessuna parte. Un vero sollievo e, in un certo senso, una vera e propria condanna. Sua madre cercava di rassicurarlo che prima o poi qualcuno si sarebbe fatto vivo, dopo tutti quegli annunci. Tony sperava con tutto se stesso che la persona a lui destinata si fosse semplicemente spaventata e avesse deciso di non palesarsi. Non l’avrebbe biasimata. Non era una persona semplice e, di questo, erano tutti consapevoli, nell'ambiente. Fu in un giorno come un altro, che la quiete di Villa Stark – e quella dell’animo di Tony – furono spezzate come si spezzerebbe un rametto sotto ai piedi, durante una passeggiata autunnale in un parco, inaspettatamente. Una visita, annunciata da uno Jarvis – il loro maggiordomo – particolarmente confuso, sconvolse quell’equilibrio, fatto di litigi e punzecchiate familiari, che però erano ormai la normalità.

«Volevano cacciarlo, ma ha mostrato un segno sulla pelle – sull’avambraccio sinistro – troppo simile a quello del signorino Tony. Non abbiamo potuto ignorarlo.» 

«Jarvis, cacciarlo via sarebbe stata un’ottima scelta, credimi!», bofonchiò Tony, mentre lui, sua madre e suo padre, si radunavano accanto all’uomo per ricevere maggiori informazioni. «Dov’è?»

«Nel salotto, che aspetta. Vi annuncio?»

Tony aprì bocca per parlare, ma suo padre lo precedette, posandogli una gelida mano sulla spalla per zittirlo. «Lo vedrà Tony, per ora. Dopo avremo un colloquio io e Maria, da soli. È un lui?», domandò suo padre, sfumando in un tono scettico.

Tony non riuscì a reprimere l’istinto di accigliarsi, a quella domanda. Che interesse aveva, nel conoscere il genere della persona che si trovava dietro quella porta? Era la sua Anima Gemella, e non era mai stato un problema, nella sua famiglia, quel dettaglio insignificante che, nemmeno a lui che era il diretto interessato, aveva preoccupato più di tanto. No. Tony era più spaventato all’idea che, quella persona, fosse destinata a lui per tutta la vita. Una prospettiva agghiacciante, che gli faceva mancare l’aria nei polmoni. 

«Un lui, sì, signor Stark.» Jarvis annuì lentamente. «Ti annuncio, Tony», concluse, e fu quasi un sollievo sentire, nel tono di voce del maggiordomo, una nota di disapprovazione nei riguardi del discorso di suo padre. Anche se sembrava esserci altro.

«Che problema ti stai ponendo?», domandò a suo padre, quando Jarvis sparì dietro la porta. 

«Che sei l’unico figlio che abbiamo, e che se non è una donna, non potrai generare un erede. Ecco qual è il problema, Tony», rispose, spiccio, dando poca importanza a ciò che realmente preoccupava lui. 

Sei patetico, avrebbe voluto dirgli, ma non lo fece per pietà e perché Jarvis, infine, tornò e lo intimò che poteva entrare nel salotto. Maria gli fece un cenno di incoraggiamento con le mani, sorridendo. Una dolcezza che le apparteneva di certo, ma che a volte Tony aveva l’impressione che tenesse dentro di sé, per paura che suo marito potesse giudicarla. La riteneva debole, a volte, eppure riusciva a comprenderla e, a volte, a dispiacersi per la sorte che le era toccata. Suo padre annuì, semplicemente, con la mascella indurita e le braccia incrociate al petto. Fai del tuo meglio, dicevano i suoi occhi e Tony era sempre stato bravo, a fare tutto il contrario di ciò che il suo vecchio si aspettava da lui. 

Entrò nella stanza e Jarvis chiuse velocemente la porta. Lo lasciò solo, nel rimbombo di quella sala arredata con mobili antichi, brutti, e spenti. L’eco del suo cuore gli rimbalzò nella testa, e il suo sguardo vagò tremolante – come le sue mani – per tutta la stanza, fino a soffermarsi su una figura seduta sul divano Luigi XIII, con le dita strette tra loro e gli occhi rivolti verso il tavolinetto di fronte a lui. Capelli castani, corti. Una camicia a quadri sotto ad un maglione blu. Jeans scoloriti e scarpe da ginnastica consumate sui talloni. Un paio di occhi castani che si alzarono immediatamente sui suoi, quando si avvicinò lentamente e muto. 

«Ah!», esclamò quello, alzandosi in piedi di scatto e Tony ebbe l’impressione che avesse quasi perso l’equilibrio, nel fare quel movimento così brusco. «Io… io… ehi! Ehi, ciao!», continuò, cominciando a cercare una collocazione alle mani che prima batté leggermente tra loro, poi le infilò nelle tasche posteriori dei pantaloni e, infine, in quelle anteriori, dove rimasero. 

«Ehi», mormorò Tony, non sapendo bene cosa dire e come comportarsi. Sapeva solo che era confuso, tanto quanto quel giovane che gli si era appena parato davanti, ad una distanza che sembrava di sicurezza, comunque, ma che aveva però invaso il suo spazio vitale. Paradossalmente non lo innervosì.

«Io… io sono Peter. Peter Parker!», asserì, e sfoggiò un sorriso tremulo e imbarazzato, mentre gli mostrava la mano. Aveva ancora la manica del maglione arrotolata fino al gomito, siccome aveva mostrato il segno alle domestiche e alla sicurezza. Tony lo vide immediatamente ed ebbe un tuffo al cuore. Lo fissò con tanta intensità, che Peter Parker ritrasse la mano e nascose subito il segno, in imbarazzo. 

«Tony», disse, assorto, mentre lo studiava da capo a piedi e quello sembrava voler sprofondare nel pavimento, dove i suoi occhi si adagiarono, per nove, interminabili secondi, che Tony si ritrovò a contare. «Se lo nascondi non posso capire se è uguale o no.»

L’altro ragazzo alzò la testa; si umettò le labbra e poi fece un passo verso di lui; quasi inciampò sui suoi piedi, nervoso. Tony ebbe quasi l’istinto di indietreggiare, di fronte a quello sconosciuto. Un pensiero che gli arrovellava la testa, mentre quello si alzava di nuovo la manica, ma che non riusciva ancora a razionalizzare davvero.

«Ecco. Ci ho messo un po’ a decidermi a venire. Non ero certo fosse identico ma… mia zia dice che lo è, e pure il mio migliore amico. Insomma, loro se lo sono studiato un po’, sicuramente meglio di quanto abbia fatto io… e, be’, dimmi tu.»

Tony non aveva bisogno di guardarsi allo specchio, per controllare quello che aveva già riconosciuto come il simbolo identico, spiccicato, a quello che aveva sul collo. Lo conosceva a memoria. Lo guardava ogni sera, prima di andare a dormire, chiedendosi, con lunghi sospiri ammaccati, quanta verità c’era nel destino e quanto uno stupido simbolo potesse contare, nella vita di due persone. 

Non abbastanza, pensava ogni volta e lo pensava anche ora. 

«È lui. È identico. È… il ragno», «Il ragno.» Lo dissero all’unisono e, non appena quel suono breve si spense, scese il silenzio e ci furono solo sguardi. Niente di più.

«Lo chiami così anche tu?», domandò Tony, poi, quando quel mutismo improvviso aveva iniziato a pesargli sulle labbra. «Perché… be’, è un ragno! Non ho mai avuto dubbi, a riguardo!», farfugliò.

Peter Parker strizzò un sorriso sul viso, mentre alzava le spalle e di nuovo nascondeva il segno sotto al maglione. «Sì, ho sempre pensato che fosse una cosa del genere. Zia May dice che è un esagono con delle righe; lei, però, ha poca fantasia. O forse sono io che ne ho troppa, chi lo sa?», rispose, e gli regalò un’occhiata accesa, genuina, carica ancora di quell’imbarazzo che un po’ condividevano, ma che Tony sapeva di certo celare meglio di lui, dietro la sua facciata.

«Mio padre pensa lo stesso. Più nello specifico, pensa che non ci sia alcun motivo di dare un nome alla forma del simbolo. Mio padre però è un anaffettivo del cazzo, figurati se può vedere oltre quello che ha davanti», ammise lui, e sbuffò. Un gesto che veniva fuori quasi senza pensare, quando parlava del suo vecchio. Quell’uomo era incapace di vedere oltre qualsiasi cosa e fu quel pensiero, ad un certo punto, che un po’ lo preoccupò. Sì rese conto di indossare jeans Armani, un paio di All Stars limited edition di Final Fantasy VII e una maglietta di TinTin, color senape, di D&G. In totale indossava qualcosa come tremila dollari di vestiario, senza contare gli occhiali da vista Parsol, che come minimo erano costati sugli ottocento dollari – per non parlare del Rolex al polso destro, il regalo sobrio dei suoi diciassette anni. Peter, invece, aveva addosso un maglione di nessuna marca, probabilmente. I suoi jeans erano scoloriti dai troppi lavaggi. Le scarpe un po' consumate facevano credere che le indossasse fino alla loro inesorabile fine e, infine, portava un orologio digitale Casio, vecchio di almeno vent’anni. Magari un regalo, o un’eredità, ma di certo non l’ultimo modello. 

Non lo preoccupò il fatto di avere davanti, in effetti, il cittadino medio americano; quello che non arricchiva i marchi di moda, ma si vestiva dove capitava, magari approfittando del black friday. Lo preoccupava il fatto che, malgrado il simbolo, Peter sembrava tutto, fuorché il rampollo di una famiglia agiata, come voleva la tradizione.

«Va tutto bene?», chiese il ragazzo, alzando un sopracciglio, e Tony si rese conto di averlo squadrato da capo a piedi più e più volte, mentre aveva partorito quel ragionamento.

«Più o meno. Sto cercando di capire che accidenti sta succedendo. Ammettiamo che la situazione sia  abbastanza assurda e paradossale. Insomma, destino o non destino, io non ho idea di chi tu sia e non so come comportarmi, perché la dannata società pretende che razionalizzi la cosa e la accetti, senza battere ciglio. Che cazzo, nessuno mi ha insegnato come comportarmi in questa situazione», sbottò, lasciando andare il flusso di parole come se non fosse davvero lui a parlare. Come se la sua testa avesse aperto il filtro del buonsenso e lo avesse privato della facoltà di darsi un freno. Lo indicò con un gesto teatrale, poi rilassò le spalle, sbuffò e si prese la pelle tra le sopracciglia tra pollice e indice. Chiuse gli occhi, convinto che presto gli sarebbe scoppiato un gran mal di testa. 

«Lo capisco. Mi… mi sento allo stesso modo. Non ero nemmeno sicuro di voler venire e se l’ho fatto è solo perché mi hanno praticamente minacciato di portarmi qui con la forza, se non l’avessi fatto di mia spontanea volontà. Intendo i miei amici e mia zia», ammise Peter, e sospirò anche lui, afflitto. «Hanno passato le ultime settimane a convincermi a venire, ma nessuno ha pensato di consigliarmi come comportarmi. Nemmeno a te, immagino.»

«Figurati! Come se importasse loro qualcosa, di quello che penso io! Se solo ci avessi provato, mio padre mi avrebbe risposto con un sonoro: sto lavorando, Tony! Ci sono cose più importanti! Certo, più importanti di questa situazione di merda dove mi sono ritrovato e che non volevo affrontare!», esclamò, poi strinse le labbra, quando si rese conto di quanto cattiva poteva essere stata quell’affermazione. Peter non gli riservò alcuna espressione facciale, ma seppe di averlo ferito. Dopotutto erano entrambi vittime di qualcosa che era in programma per loro da sempre, da quando erano venuti al mondo, e nessuno dei due aveva colpa di niente e non avevano alcun potere di cambiare le cose. Nemmeno suo padre, o la zia di cui gli aveva parlato. Solo il destino. Lui, sempre, e basta. «Intendevo dire ch-» 

«È okay, non preoccuparti. È la realtà e non l’abbiamo scelta, no? Io non ci ho mai creduto veramente, a questa cosa, anche se ho vissuto con due Anime Gemella che si sono amate davvero…», ammise Peter, e abbassò lo sguardo. Iniziò a giocherellare col suo orologio, nervoso, ma era stato sincero. In quel racconto, poi, c’era molto più di quanto volesse esprimere, e Tony l’aveva capito.

«Tua zia e tuo zio?», chiese, anche se non aveva ancora compreso la dinamica della famiglia di Peter. Forse non viveva con i genitori perché studiava a New York, ma era di qualche altro posto? 

L’altro annuì, e sorrise leggermente, velato di malinconia. «Sì, loro. Sono sempre stati molto uniti, e molto… zuccherosi, a volte quasi insopportabili! Poi mio zio ha avuto un tumore e… è morto qualche anno fa. Il simbolo di zia May è rimasto, però. Pensavo sparisse, dopo la morte dell’altro», disse e l’ultima informazione sembrava più un modo per alleggerire quella verità, e non dare modo a Tony di compatirlo.

«Capisco… mi dispiace. Però sembravano affiatati, da come ne parli. I miei si odiano da che ricordi», sbuffò via, mentre la mente iniziava a concepire pensieri contrastanti sull’amore e, più nello specifico, sul futuro. «Peter, tu non vieni da una buona famiglia, vero? Intendo… sei…»

«Un poveraccio?», lo interruppe e rise. «Non proprio, ma non navighiamo nell’oro come voi, ecco. E questo, insomma, mi pare di capire che è un gran bel problema, per la tua famiglia.» 

«Non è mai successo che qualcuno che non fosse ricco si imparentasse con uno di noi. No, non che io sappia. Non so se è un problema, per me non lo sarebbe ma… mio padre è uno che trova un problema ad ogni soluzione, perciò figurati. Vuole che mi sistemi e basta. A lui interessa che mandi avanti il nome della famiglia, dignitosamente. Ma, insomma, guardami! Potrei mai?» 

«Be’, io lascerei in mano le redini a qualcuno che ha le scarpe di Final Fantasy VII! È un cult, un gioco che andrebbe giocato dal mondo intero e… mi fido, di solito, di chi ama dei bei prodotti!», sorrise Peter, e indicò le sue Allstars, con un guizzo divertito che alleggerì leggermente quella tensione che si era creata, dopo tutte quelle paturnie. «Amo quel gioco.» 

«Anche io», rispose Tony, laconico, e gli puntò gli occhi addosso, spaesato. «Penso abbia la storia più figa che sia mai stata concepita in decenni di videogame.» 

«E ha il villain più bello e dannato di tutti! Non si può negare, è un dato di fatto!»  

Potrei sposarti, qui, ora, se dici una cosa del genere, pensò Tony, mentre sbuffava via una risata e guardava altrove, convinto dell’assurdità di quella conversazione appena intrapresa. Un gioco in comune non voleva dire niente, eppure aveva già sciolto più ghiaccio di quanto il suo cuore potesse credere. 

«Ti piacciono i videogame retrò, dunque.»

«Videogame in generale, ma i retrò sono di certo i miei preferiti. Poi ho un amore sconfinato per Star Wars. Ho messo da parte i soldi per anni, per potermi comprare il lego della Morte Nera», rispose Peter, con un certo orgoglio, puntandosi addosso un indice, quasi borioso. Tony alzò le sopracciglia, con una certa approvazione, mentre pensava che in camera sua c’era la collezione intera dei Lego Limited Edition della saga. Regali che si era fatto da solo, senza dover risparmiare privandosi di qualcosa. Sentì una fitta al fianco, pensando ai sacrifici che le persone normali facevano, per togliersi certi sfizi. Evitò di dirglielo, solo per non mortificarlo. Lo ammirava, in un certo senso e, in un certo qual modo, lo invidiava pure per la vita semplice che conduceva. Lui aveva sì e no due amici; tutti e due suoi compagni di scuola. Le uniche due persone in grado di sopportarlo, a quanto pareva. Steve a volte ci rinunciava, a capirlo. Bruce era più comprensivo, ma a volte si arrabbiava e gli rimproverava certi modi di fare, che non sempre approvava...

«Abbiamo scoperto qualcosa in comune.»  

«È un buon inizio, no?», sbottò Peter, poi tossì leggermente. «Tony… posso chiamarti così?»

«Certo che puoi! In che altro modo mi vuoi chiamare? È il mio nome!»

L'altro rise, mostrando la dentatura dritta. «Non siamo costretti a stare insieme come coppia. Possiamo… essere amici, o almeno provarci!» 

«Non avrebbe senso, Peter», rispose, subito. Guardò di nuovo altrove e sospirò aria al catrame dal naso. Infilò le mani nelle tasche, e alzò le spalle. «Non ti permetteranno mai di frequentarmi. Né come anima gemella, né come amico, né come chissà che altra cosa. Non accadrà niente di tutto questo. Non sei… abbastanza come noi

«Ricco?», replicò Peter, con un mezzo sbuffo divertito. 

Abietto, pensò Tony, ma non lo disse. Annuì poco convinto, poi gli si avvicinò, facendo un solo, pesantissimo passo avanti. 

Abbassò la voce. «Non dipende da me. Mio padre non mi permette di frequentare persone al di fuori della nostra cerchia; oltretutto vuole che gli dia un erede, prima o poi, e noi due...»

«Te l’ho detto, non è necessario per forza stare insieme, no? Mi piaci ma… non mi piaci a quel modo. Insomma, ti conosco da cinque minuti, come potrei mai interessarmi a qualcuno in solo cinque minuti di conversazione?»

«Sono d'accordo, ma… non cambia le cose.»

«Tony, non c'è amore, non c'è traccia di sentimento. Non c'è chimica, non c'è attrazione fisica, non c'è niente di tutto questo ma…», esordì Peter, poi la sua voce si fece microscopica. «Dimmi che lo senti anche tu.» Si morse le labbra e gli occhi gli si illuminarono di speranza.

Cosa? Quell'irrefrenabile desiderio di non smettere un solo istante di parlare con lui? Sì, lo sentiva. Aprì bocca per parlare; era difficile ammettere che sì, aveva compreso benissimo cosa intendesse dire. Balbettò un paio di frasi sconnesse, poi sentì bussare alla porta ed entrambi trasalirono. Solo in quel momento Tony si rese conto di quanto intensamente si erano guardati, prima di quel fatto. Ebbe paura. Di Peter e si se stesso.

«Tony, avete parlato abbastanza. Lasciaci parlare con lui.» Era la voce di suo padre, che bussò ancora un paio di volte, spazientito. Tony girò il viso verso la porta e, frustrato, strinse i denti fino a farsi male alla mascella. Tornò a guardare Peter che ricambiò, confuso.

«No. Non lo sento. Non sento niente di niente.» Mentì, e l’altro distolse lo sguardo, mesto, prima di abbassarlo sulle proprie scarpe da ginnastica, con le labbra arricciate dalla delusione. Lo aveva ferito, di certo. Mortificato. Non avrebbe voluto e non tanto perché Peter era la sua Anima Gemella, ma perché quel ragazzo non aveva fatto niente di male, a parte presentarsi lì – nemmeno  di sua spontanea volontà, lo avevano costretto sua zia e il suo migliore amico –, mostrare loro il simbolo che li accomunava, per poi scoprire che aveva fatto quel viaggio totalmente a vuoto. Suo padre lo avrebbe cacciato, gli avrebbe detto che, Anima Gemella o no, le loro classi sociali erano troppo diverse e questo, insensatamente, li avrebbe divisi. 

«Capisco.» Fu la laconica, triste risposta di Peter, e a Tony fece male il cuore. Esitò un istante, incapace di mettere chiarezza nella testa e dire qualcosa che avrebbe potuto dare a quel ragazzo una sola speranza. Non serviva. Non sarebbe servito a niente. Si voltò e raggiunse la porta. Quando uscì, senza voltarsi, si ritrovò faccia a faccia con suo padre, che gli riservò un’occhiata gelida. Una di quelle che a Tony non facevano più effetto da tempo. Scosse la testa, già troppo consapevole di ciò che sarebbe successo, durante il colloquio con Peter.

Si allontanò. Aveva odiato quel simbolo, e lo odiava ancora; prima per avergli segnato un destino che non aveva chiesto e ora, paradossalmente, per averlo reso incerto.

 

Fine Capitolo I
 


 

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Torte | Pasticceria Cappelli Parma
Carissimo pubblico del Sabato Notte! 
Ed è così che esordisco, un po' come se fossi Gigi Marzullo che vi tiene compagnia mentre non riuscite a dormire. Solo che io vi assicuro che sono un po' più caruccia rispetto a Marzullo... 
Ma bando alle ciance, e ciancio alle bande (penso di non dire questa cosa da quando avevo 12 anni, e forse sarebbe stato meglio continuare a tenerla nei meandri dei ricordi... sigh), cos'è questa storia! Ma una Young, ovvio! Molti di voi lo sanno, ma lo ripeto per chi non ne ha ancora letta nessuna, delle mie storie dove ringiovanisco Tony e lo rendo coetaneo di Peter. Amo farlo, amo scriverle e, grazie al Big Bang Italia di quest'anno sono riuscita a portarla a termine, quindi no, non è un lavoro in corso d'opera, non dovrete aspettare millenni per leggere il capitolo dopo! È tutto bello e pronto, e ci accompagnerà per otto settimane. Quindi, ogni venerdì/sabato mattina sintonizzatevi su queste frequenze, se questo primo capitolo vi ha incuiriositi ♥ In più, se questa storia è nata, date la colpa alla mia cosa Shilyss che, tempo fa, mi sfidò con codeste parole "Non te regge a scrive 'na storia basandoti su Rewrite The Stars di The Greatest Showman" (così, in romanaccio) e io ovviamente ho raccolto la sfida e  un anno dopo esatto la storia è qui ** Un altro ringraziamento va a _Lightning_ che mi ha tolto le fisime che mi ero fatta nei riguardi del finale – in particolare su Tony, e lei è la mia Tony-consulente, quindi grazie guascosazza ç.ç
Ovviamente, sia nelle note che nel testo stesso, penso sia chiaro che si tratta di una Soulmate!AU, un altro tipo di storia che amo infinitamente scrivere ♥ Nel mio profilo ne potete leggere alcune, ovviamente sempre su questi due deficienti che ormai sono al mio fianco in ogni momento ♥
Prima di salutarvi volevo ringraziare Fuuma per il bellissimo Banner/gif che ha realizzato per me, claimando il mio lavoro e lasciandomi senza fiato come sempre, siccome ha le manine d'oro a cui, ho già promesso, staccherò amorevolmente ogni falange che le compone! Oltretutto sono con la febbre e altri mali, ed quando l'ho visto mi ha rimesso al mondo, quindi vi prego, ammiratelo e andate a riempirla di Kudos QUI che se li merita un bel po' e sul suo profilo a leggerla, perché se lo merita è_é Io le mando un abbraccio spaccaossa in barba a Conte e i suoi distanziamenti sociali del piffero! TSK! Grazie mille tesoro, mi hai reso la donna più felice del 2020 ç___ç ed è anche grazie a te se questa storia ha un'impaginazione!
Vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo, sempre venerdì notte, e se vi va fatemi sapere cosa ne pensate. Mi farebbe tanto piacere un parere ♥!

 
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La vostra amichevole Miryel di quartiere.

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