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Autore: Tenar80    27/09/2020    3 recensioni
Victoria non dovrebbe essere una ragazza. Ha superato le selezioni per entrare nelle Ali Nere, il corpo militare d'élite che combatte contro gli angeli. Nell'Impero, un mondo steampunk dal sapore vittoriano, quella non è proprio un'occupazione adatta a una ragazza, per di più una trovatella. Ma Victoria è e rimane una ragazza...
Questo è il primo racconto della saga "L'assedio degli angeli – Preludi"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'assedio degli angeli – preludi'
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Benvenuti nel multiverso steampunk quantistico de «L’assedio degli angeli».

Detto così è molto più complicato di quanto non sia in realtà. In effetti la definizione «steampunk quantistico» l’ho trovata in un articolo di una rivista scientifica, mi è piaciuta e l’ho rubata, senza troppa cognizione di causa.

Il mondo in cui state per inoltrarvi è dominato da un impero di stampo vittoriano. Il problema è che questa dimensione confina con (almeno) un’altra, abitato da creature alate chiamate angeli e tutt’altro che amichevoli. A difendere l’impero c’è un manipolo di soldati, le Ali Nere, in grado di penetrare nella dimensione angelica grazie a speciali tute. Infine, nella popolazione umana è presente una certa percentuale di individui che presenta tratti angelici o demoniaci, questi sono definiti «impuri» e possono essere solo schiavi.

Come spesso accade, nella mia mente da un’idea ne nascono mille altre quindi, per chi vorrà inoltrarsi, qui inizia una lunga storia. La prima fase di questo progetto prevede quattro racconto. Ciascuno prende il nome dal mese in cui è ambientato e ha per protagonista un personaggio diverso. Loro quattro saranno poi i protagonisti di una fic più lunga che al momento è del tutto plottata ma non non ancora scritta. Per il momento vi presento Victoria, anche se per vedere da vicino un angelo ci sarà da aspettare un po’…

Infine, questo progetto era nato originariamente come AU dell’anime Yuri on Ice, ma visto che alla fine dell’originale sono rimasti due nomi e giusto l’aspetto di alcuni personaggi, ha trovato casa qui. Spero che trovi anche qualche lettore.

 

    Racconto di Fiorile

 

    – Cosa ve ne pare, miss Victoria?

    La ragazza non seppe cosa rispondere, mentre la cameriera che le aveva acconciato i capelli si sistemava dietro di lei con un piccolo specchio portatile in modo che potesse ammirarne l’operato in quello più grande che aveva di fronte.

    – Qualcosa non le piace? – domandò di nuovo la cameriera impura.

    – No… No, davvero – disse Victoria, per tranquillizzarla.

    La pettinatura era splendida. 

    Il problema era che la ragazza dello specchio non era lei. Era una giovane dama pronta a debutta in società. I capelli chiarissimi erano stati arricciati in boccoli morbidi che le incorniciavano l’ovale chiaro del viso, in cui ciglia altrettanto chiare ombreggiavano occhi celesti. Lo stesso colore veniva ripreso dall’abito che stava indossando. Era accollato, come si addiceva a una ragazza che ancora non aveva compiuto quattordici anni, ma minuti ricami blu ne impreziosivano il tessuto. Victoria aveva l’impressione di guardare nello specchio una bambola raffinata a cui qualcuno, per scherzo, aveva dato le sue sembianze. Con un movimento sbagliato avrebbe rotto quell’artificio di porcellana. Poi con i cocci avrebbe finito per tagliarsi anche lei.

    – Victoria Moroziva – mormorò tra sé. 

    Era quello il nome della bambola. Non il suo.

    Il problema era che anche il suo nome, l’unica cosa che aveva davvero posseduto per moltissimo tempo, Victoria Soilbeir, non indicava più davvero lei stessa. 

 

***

 

    Due anni prima Victoria era seduta sulla cima della collina, col proprio cappello di paglia calato sulla testa per non farsi scottare la pelle troppo delicata dal sole già caldo degli ultimi giorni di Fiorile. Non era mai stata tanto arrabbiata con se stessa.

    Una delle cose belle, forse l’unica, della Casa per bambini bisognosi di Santa Prospera, era che si trovava nel punto esatto in cui la capitale da metropoli si faceva campagna. Dalla collina Victoria vedeva le fabbriche e le ciminiere che separavano l’orfanotrofio dal centro cittadino e poi, lontanissima, molto più alta di quella su cui era seduta, l’altura sulla cui sommità stava il palazzo imperiale. Nonostante la foschia perenne creata dal fumo delle industrie, se aguzzava lo sguardo la ragazzina poteva scorgere la cupola bianca e, con un po’ di immaginazione, il riflesso dorato della statua della Vittoria che vi stava in cima. Chissà, se fosse stata davvero fortunata nel giro di qualche decade sarebbe finita a fare la cameriera in una delle ville dalle cui finestre la Vittoria Imperiale si vedeva nitidamente. Chissà, col nome che portava, avrebbe dovuto fare amicizia almeno con la statua.

    Il fatto era che per la prima volta in vita sua il suo corpo l’aveva tradita. Senza alcun segno premonitore, senza che ad esempio i suoi seni si fossero degnati di assumere una forma vagamente femminile, aveva preso a sanguinare. E a Santa Prospera, dove la prosperità stava tutta e solo nel nome della santa, alle ragazze che diventavano donne si faceva una bella festa, le si regalava una gonna, invece che le più pratiche braghe in tela grigia che indossavano tutti, un nastro per acconciare i capelli che finalmente potevano lasciar crescere e le si mandava via il prima possibile «per preservarne la rispettabilità». Che era un modo carino per dire che lì non c’era abbastanza suore e abbastanza spazi per tenere le orfanelle ben separate dagli orfanelli e mandare a servizio una ragazza già incinta, magari di soli tredici o quattordici anni, non era certo una buona pubblicità per le altre. Quindi entro un mese sarebbe finita a fare le pulizie in qualche casa o la sguattera in cucina, perché di diventare sarta non se ne parlava neanche e col suo carattere era assai improbabile che fosse instradata verso una scuola religiosa femminile per diventare un domani istitutrice o segretaria. Sospirò e si strinse con le mani le caviglie che spuntavano dai pantaloni che in pochissimo si erano fatti troppo corti. 

    Quella mattina, quando se n’era accorta, aveva rubato le bende per proteggere la biancheria alla sua vicina di brandina, Anila, che aveva tredici anni e già un contratto firmato come cameriera e avrebbe lasciato l’istituto il primo di Pratile. Ma non era un segreto che si potesse mantenere a lungo. Prese un soffione e lo distrusse nel proprio pugno. Non era pronta. E non era colpa sua. Era il suo corpo che non aveva collaborato. Tara aveva quasi due anni più di lei e ancora non aveva sanguinato. Però aveva le tette, due inequivocabili tette, e quei peli scuri sotto le ascelle. I ragazzi, quando passava, la guardavano in un certo modo, persino Robert, e di colpo anche a lei piaceva farsi guardare. Voleva sempre parlare di ragazzi insieme alle altre e non la seguiva più nelle sue scorribande. Victoria, invece, adesso che era cresciuta di due spanne buone quasi di colpo, poteva passare per un ragazzo ancora più di prima. Ancora più di prima, batteva Robert nella corsa o nell’arrampicata. Non aveva tette, non aveva ciglia, non aveva sedere. Quella subitanea fine dell’infanzia era un tradimento bello e buono.

    Alzò la testa di scatto, sentendo un fruscio diverso dell’erba. C’era Tara che correva ansimando su per la collina e si sbracciava per attirare l’attenzione. Come poteva peggiorare ancora quella giornata? Che cos’è che aveva dimenticato di fare? Era quasi certa di non avere quel pomeriggio il turno in cucina. Aveva pulito lei la camerata quella mattina, giusto? 

 

    – Victoria, ti cercano tutti! – rantolò Tara, quando Victoria l’ebbe raggiunta.

    Con lo spuntare delle tette Tara aveva perso la capacità di correre. Colpa, senza dubbio, di quell’improvviso peso davanti.

    – Non picchio nessuno da quattro giorni, non è colpa mia – Victoria mise le mani davanti.

    Meglio prevenire.

    – No, Victoria, non capisci. Hai passato la selezione! Ti vuole la superiora!

    – Quale selezione?

    – Quella selezione!

    Quella selezione.

    Quella a cui lei non avrebbe dovuto partecipare. Perché le ragazze non partecipano a una selezione annuale per un’accademia militare, certo. Invece ogni Primo di Ventoso i ragazzi di dodici anni più vigorosi di Santa Prospera andavano alla selezione per l’accademia delle Ali Nere. Lei che era nata a fine anno ne aveva ancora undici, ma Robert l’aveva sfidata a farlo. Bisognava pur stabilire in qualche modo chi dei due fosse il migliore. E quindi quella mattina si era presentata come se non avesse avuto sei mesi buoni di svantaggio e un sesso sbagliato e Madre Carola, Victoria non avrebbe saputo dire perché, aveva solo aggiunto il suo nome alla lista, scrivendolo come quello di tutti gli altri, V. Soilber, candidato numero 2835. E solo con quel numero l’aveva chiamata l’ufficiale in divisa nera e oro che per due giorni l’aveva fatta correre, saltare, strisciare, aveva testato la sua resistenza al dolore, la sua capacità di orientarsi ad occhi chiusi e le aveva fatto fare persino dei maledetti esercizi di matematica.

    – Robert è passato? – chiese, inebetita.

    – Victoria! Sono le Ali Nere. Nessuno di Santa Prospera ha mai passato la selezione da, che so, due secoli?

    – Ma era solo una cosa tra me e Robert, mandano sempre la classifica finale…

    – La madre superiora e madre Carola si sono quasi accapigliate. La superiora voleva espellerti per aver partecipato, ma madre Carola ha spulciato non so che documenti. Sono un corpo speciale, le Ali Nere. Pare si siano dimenticati di scrivere da qualche parte che le ragazze non possono partecipare alla selezione.

    Perché, era evidente, a nessuno mai sarebbe venuto in mente di farlo.

 

    Quella sera ci fu un attacco angelico.

    Nulla di così strano. Sulla capitale ce n’era almeno uno ogni due mesi. Quella volta alcuni lampi di energia caddero abbastanza vicini da far decidere alla superiora di far scendere tutti nei rifugi. Come sempre, Victoria fu una delle ultime, insieme a Robert, a mettersi in salvo, dopo aver controllato che nessuno fosse rimasto nelle camerate o nei bagni. Questa volta, però, la ragazzina scese le scale con una calma diversa. Non le piaceva il rifugio. Aveva sempre paura che un crollo ostruisse l’apertura. Rimanere rinchiusi, al buio, con i bambini più piccoli che piangevano fino a che l’aria non si fosse esaurita era stato per anni il suo incubo ricorrente. Quella sera, però, mentre sopra di loro l’edificio tremava, Victoria non poteva che pensare alle Ali Nere, i soldati che in quel momento stavano difendendo la capitale. Fronteggiavano gli angeli nella loro dimensione, con ali di nemici uccisi collegate ai loro corpi e combattevano i mostri da pari. Tutti i bambini, da sempre, nell’Impero giocavano ad Ali Nere contro angeli malvagi e nessuno mai voleva fare l’angelo. Le Ali Nere erano il simbolo dell’Impero. Loro non erano come le nazioni che subivano le devastazioni come un male inevitabile e neppure come Ji’Quin, che immolava cento vite l’anno per alimentare la barriera anti angelo. Loro combattevano. Tutti i bambini sognavano di diventare Ali Nere. Le bambine, al massimo, di essere salvate da un soldato delle Ali Nere. Quella sera Victoria, si concesse due segreti. Non dire a nessuno, ancora, di essere diventata donna e sognare.

   
 
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