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Autore: Severa Crouch    30/09/2020    5 recensioni
Raccolta eterogenea di drabble (D), Flash fic (FF), One-shot (OS) dedicate ai membri dell'Ordine della Fenice sia durante la prima che la seconda guerra magica. Un tentativo di uscire dalla comfort zone mangiamortesca e fare un salto dall'altro lato della barricata.
“Chi ha fatto queste bruciature pensa che io sia un mostro,” commentò senza distogliere lo sguardo da quella macchia, mentre i capelli sfumavano dal rosa al castano di Andromeda.
“Lo pensa anche di me.”
Si erano scambiati uno sguardo e Remus avrebbe voluto dirle che lei non era un mostro, che era bellissima anche quando le spuntava il becco da papera o i suoi capelli assumevano colori improbabili. Avrebbe voluto dirle che il suo sorriso era ciò che rendeva la vita tollerabile tra quelle mura angoscianti e che la luce nei suoi occhi era più magnetica di quella della luna.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Ordine della Fenice, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Dopo la II guerra magica/Pace
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Mostri

Remus Lupin/Ninfadora Tonks

 

Non sapeva nemmeno come aveva fatto a trovarsi in quella stanza.

Stava vagando in attesa dell’arrivo di Severus, mentre al piano di sotto Molly urlava contro i figli, quei gemelli che gli ricordavano troppo lui, Sirius e James una vita fa.

Sirius.

Si era trovato davanti a quell’arazzo con il nome del suo migliore amico bruciato.

“L’ha fatto la mia dolce mammina,” aveva commentato sarcastico e Remus aveva letto l’amarezza nel suo volto.

“Ecco dove sei finito.”

La voce di Ninfadora arrivò dietro di lui, riportandolo a un presente in cui quella dannata guerra minacciava di ucciderli tutti. La vide guardare l’arazzo e mordersi un labbro mentre fissava un’altra bruciatura, quella con il nome di Andromeda Black, sua madre.

“Chi ha fatto queste bruciature pensa che io sia un mostro,” commentò senza distogliere lo sguardo da quella macchia, mentre i capelli sfumavano dal rosa al castano di Andromeda.

“Lo pensa anche di me.”

Si erano scambiati uno sguardo e Remus avrebbe voluto dirle che lei non era un mostro, che era bellissima anche quando le spuntava il becco da papera o i suoi capelli assumevano colori improbabili. Avrebbe voluto dirle che il suo sorriso era ciò che rendeva la vita tollerabile tra quelle mura angoscianti e che la luce nei suoi occhi era più magnetica di quella della luna.

Remus avrebbe voluto dirle che sono le scelte compiute a determinare la mostruosità di una creatura, non il sangue, o la maledizione che scorre nelle vene, che i veri mostri sono coloro che si arrogano il diritto di decidere se sei meritevole di vivere sulla base dell’appartenenza a una categoria: Lupo Mannaro, Mezzosangue, Sanguemarcio.

“I veri mostri sono i nomi che sono rimasti su questo arazzo,” mormorò, quasi sottovoce, con un sorriso timido, calpestando tutti i pensieri che si affollavano nella sua mente e si convertivano in sensazioni, emozioni, parole.

Era sbagliato, era pericoloso, era folle.

Lei era troppo bella, troppo giovane, troppo vitale e non meritava di essere sporcata.

Mandò giù quelle parole, che cercavano di uscire dalla sua gola, come disperati che tentano di scalare le pareti ripide di un pozzo. Come ogni volta che arrivava al punto di avvertire le emozioni trasformarsi in parole, ogni volta che le sopprimeva, una per una, sentendole precipitare in gola, giù, lungo le pareti dell’esofago e crollare sullo stomaco, schiacciandolo con un tonfo. Si meritava la gola arsa dai graffi di quelle parole che si artigliavano per non precipitare e a dispetto della sua volontà lottavano per uscire. Si meritava i nervi a fior di pelle e i denti che martoriavano le sue labbra.

C’era una parte di lui non riusciva a fare a meno di pensare che, forse, avessero ragione loro, quelli dell’arazzo, e che lui fosse un mostro. Troppo pericoloso.

La voce di Severus nell’atrio lo riportò al presente, mettendo fine a quella lotta con sé stesso che lo lasciava sempre più debole, con la sensazione che un giorno quelle parole sarebbero uscite. Non oggi, però.

(496 parole)

 

 

 

Ciao a tutti!

Apro l’ennesima raccolta eterogenea di flash, one-shot, drabble e quello che sarà, a causa (o per merito, lascio a voi ogni giudizio) del gruppo Facebook Caffè e Calderotti che ha deciso di farci scrivere tantissimo regalando prompt meravigliosi e ispirazione a non finire. Questa volta la dedichiamo alle storie dall’altro lato della barricata, ovvero ai membri dell’Ordine della Fenice.

Questa volta, è colpa di BlueBell che mi ha lasciato questo prompt meraviglioso di uno scrittore che amo follemente e mi ha fatto uscire dalla mia comfort zone mangiamortesca per farmi entrare nei panni lisi di Remus. In realtà è da luglio che provo a entrare in quelli di Tonks, ma non ci riesco e alla fine è stato Remus a dirmi, lascia parlare me e io non so dire di no a Remus. A Sirius sì, a James anche, a Peter così così, ma lui gioca anche tra i Mangiamorte, quindi non conta, ma insomma, chi può resistere agli occhi da cucciolo di Remus? Io non ci riesco e quindi eccomi qua a dar voce (mi rendo conto che è assolutamente improprio l’uso di questa espressione) a… beh… ai silenzi di Remus.

Personaggi: Remus Lupin, Ninfadora Tonks.

Prompt: “C’erano delle cose che volevo dirgli. Ma sapevo che gli avrebbero fatto male. Così le seppellii e lasciai che facessero male solo a me” Safron Foer.

 

Se vi piace, lasciate pure un feedback, anche un prompt se volete (tanto, oramai, sono disposta a fillare qualsiasi cosa, anche una Molly/Sirius (e non scherzo).

Alla prossima.

Sev

   
 
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