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Autore: E niente    02/10/2020    1 recensioni
Dovevano essere pochi giorni, invece Nico si ritrovò a passare più tempo del previsto nell'infermeria del Campo Mezzosangue. D'altronde, la battaglia contro le forze di Gea era stata sfiancante, per non parlare dei numerosi salti nell'ombra, trasportando Reyna, il coach Hedge e l'immensa Athena Parthenos dal Mediterraneo fino all'America. Il dottore voleva per lui una guarigione completa. "Come se fosse facile, per un malato terminale!" pensava Nico. Ma Will sapeva quel che faceva.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cecil, Lou Ellen, Nico/Will
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Cura




Sei giorni. Sei.
Dovevano essere tre, ma il dottore era stato chiaro:
«Non sei ancora tornato intero. Se esci di qui rischi grosso.»
Nico lo guardò scettico.
«Vuoi vagare nel campo sottoforma di ombra per tutta la vita? Ti conviene ascoltarmi senza tante lamentele.»
«Non mi sto lamentando» mormorò Nico.
Ed era vero. Mica gli dispiaceva di stare lì ancora qualche giorno.
Era in infermeria da quando Will gli aveva caldamente consigliato - perentoriamente ordinato - di ricoverarsi e sottostare alle sue cure. E a Nico andava bene, più che bene, ad essere onesti.
«L'ho visto quel sopracciglio alzato, Mister Smorfia. Non provare a mentirmi. Stai ancora cercando di oppormi resistenza» disse Will.
Lo sguardo duro e il tono severo non dovevano avere l'effetto di mettere in subbuglio le viscere di Nico. Quella reazione non era normale. Non era nemmeno normale che, nonostante il cipiglio, il volto di Will fosse così luminoso e attraente da fargli perdere di vista tutto quello che lo circondava.
«Il sopracciglio è un riflesso spontaneo. Condivido questa stanza con troppe persone tutte insieme, da troppi giorni» rispose Nico scuotendo la testa. «Il satiro qui dietro non la smette di belare. Quell'altro suona di continuo non so quale motivo infernale con quel maledetto flauto…»
«È Viva Forever, delle Spice Girls» precisò Will.
Nico lo guardò inorridito.
«Non è questo il punto, comunque. Pretendi che rimanga qui in questa stanza per tutto questo tempo senza nemmeno lamentarmi un po'? Non ti sembra di chiedere un po' troppo da un figlio di Ade che è stato nel Tartaro, e chiuso in una giara, e in Albania…»
«Ancora con questa storia del figlio di Ade! Sei veramente duro di comprendonio!» esclamò Will.
Nico boccheggiò. Si riprese in tempo, prima che Will continuasse a parlare. Aveva fretta di spiegarsi, una volta per tutte. E non voleva essere interrotto.
«Tu pretendi che io sia normale. Non posso esserlo, e lo sai.»
Will soffiò come un toro inferocito, pronto a caricare.
«Okay. Con questo paziente ci vogliono le maniere forti» disse, afferrandogli il polso.
Nico fu tirato in piedi e trascinato fuori dalla stanza con i lettini, verso una saletta a parte dell'infermeria.
Lì c'erano armadietti con scorte di nettare e ambrosia, e chissà quali altri intrugli, tra impacchi e medicamenti vari, che potevano risultare utili ai figli di Apollo e ai loro pazienti.
«Siediti» ordinò il dottore, spingendo Nico verso un lettino rialzato.
«Cosa hai intenzione di farmi?»
«Una bella ramanzina!» rispose Will, con le mani sui fianchi. L'ennesima ramanzina, pensò Nico.
«Smettila di comportarti da vittima. Smettila di isolarti, smettila di non parlare di quello che pensi, o di come ti senti. Smettila di sentirti inadeguato. Smettila di pensare che nessuno ti può capire. Sei in cura da me a posta, ancora non ci arrivi?»
Non era la prima volta. Era da quando lo conosceva che Solace gli faceva discorsi di quel tipo. E in un certo senso Nico non si sarebbe mai stancato di sentirsi dire quelle cose. Lo facevano sentire così accettato, accolto, amato. Ma non erano abbastanza a fugare la sua convinzione più profonda e più radicata nella sua testa: quella di essere, sempre e comunque, solo.
«Ok, Will, tutte queste cose me le hai già dette, ma…» brontolò Nico, mentre il cuore continuava a battergli forte. Sarà stato che finalmente era da solo con il suo dottore preferito, o che gli era così vicino che il suo camice gli sfiorava le ginocchia. Oppure era solo l'ansia di star toccando un discorso tanto delicato con qualcuno, per la prima volta.
«Non ti ho mai chiesto di essere normale» rispose celere Will alla sua domanda implicita. «Tu sei unico nel tuo genere, e questo è chiaro. Sei un paziente con bisogni diversi dagli altri.»
Nico credette di morire. Will era arrivato dritto al punto senza nemmeno il bisogno di nominare di nuovo il suo genitore divino. Non ne faceva una colpa, non parlava di diagnosi. Parlava di "terapia". Parlava di "bisogni diversi".
Non gli sarebbe bastato certo un po' di nettare, né l'illusione di poter essere trattato come tutti gli altri, per guarire. Ma Will lo sapeva. Lui era un paziente speciale.
Il pensiero lo fece sorridere.
«Ti sto dando filo da torcere, ammettilo» gli rispose Nico, mentre un ghigno gli deformava il volto.
Qualcun altro sarebbe stato intimorito dalla sua espressione facciale. I figli di Ade sanno essere terrificanti quando cercano di esprimersi, e Nico era il rappresentante migliore della categoria.
Ma Will aveva tutt'altra intenzione che scappare di lì a gambe levate. Gli afferrò di nuovo il polso con due dita. Nico ipotizzò che gli stesse auscultando il battito. Si agitò ancor di più. Era impossibile frenare il suo cuore, ormai.
«Credo che tu sia pronto per una medicina un po' più forte.»
Will aveva una voce ferma e uno sguardo deciso. Come cavolo facesse, Nico non lo sapeva proprio. Le sue spalle furono afferrate saldamente proprio come le sue labbra. Per la prima volta, Nico condivise molto più che un contatto fisico.
Non era la presa ferrea di Reyna che lo trascinava in salvo, non era il braccio di Jason attorno alle sue spalle, né il batticinque di Annabeth. Non era nemmeno l'abbraccio di Hazel, o il ricordo dell'affetto di sua madre. Non era come qualche giorno prima, durante la battaglia contro i mostri di Gea, quando Will lo sorreggeva per il fianco e quel contatto gli stava dando l'orticaria.
Non era orticaria. Avrebbe dovuto capirlo subito.
Un bacio, e Nico si sentiva più vivo che mai. Non aveva mai pensato che avrebbe sperimentato una sensazione del genere. Lui, un figlio di Ade. Will. Vita.
«Oh, per tutti i porcellini.»
Un colpo di tosse esagerato interruppe l'idillio che Nico stava vivendo. Non sia mai che le sue gioie durassero per più di cinque secondi.
Lou Ellen e Cecil erano sulla porta, immobili e scioccati.
Will si scostò dal tenebroso viso del suo paziente e si voltò verso l'odiosa, irritante e inconcepibile interruzione all'ingresso della stanza.
«Ho da fare. Non vi serve niente di così urgente, adesso» affermò con calma, ma il suo era più un ordine. Sembrava che il potere della voce ammaliatrice non fosse un'esclusiva di Piper, dopotutto.
L'imperativo di Will costrinse Cecil a risvegliarsi della catatonia.
«S-sì, hai ragione» disse, con voce roca. Scosse Lou Ellen e la trascinò via. Poi ritornò indietro. «Scusate. Fate come se… emh… sì.» Cecil fu colpito in pieno dallo sguardo omicida del figlio del dio della Morte. Poi fece l'unica cosa giusta, prima di andarsene: chiuse la porta.
Will e Nico si guardarono. Fu un lungo momento in cui Nico passò dalla stizza all'imbarazzo. Oh, quante emozioni che stava provando, e come si sentiva scombussolato!
«Serve ancora, o ti sei ripreso?» chiese Will, rinsaldando la presa sulle sue spalle.
«Sento che potrei evocare un intero corpo di ballo» rispose Nico. Vedeva già nella sua testa gli scheletri danzanti. Poteva benissimo evocarli anche dal suo stomaco, se non dal terreno.
«Sarebbe uno spettacolo affascinante» annuì Will. «E, se dopo sei stanco, sappiamo come farti recuperare le forze.»
Un sorriso malizioso e smagliante colpì in pieno Nico. Oh, dei.
«Rimarrai in cura a tempo indeterminato, Di Angelo» sentenziò il dottore.
Nico deglutì con piacere, prima di tuffarsi sulla sua personale ambrosia.





   
 
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