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Autore: Calime    02/10/2020    1 recensioni
[Modern!AU + Age gap]
1) Quel party che Ade voleva snobbare - Se avesse avuto parecchi anni di meno – magari fosse stato un suo coetaneo –, Ade sarebbe arrossito per la vergogna di essere stato smascherato.
7) Il segno - C’era di mezzo una donna. Ade aveva una donna, per forza.
11) Waiting for Superman - «Senti, facciamo così: ti accompagno io a casa» le propose.
12) Distrazioni - Certo, poteva anche esserselo sognato – e solo gli dèi sapevano quanto e cosa, come, chi, sognasse ogni notte –, eppure ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
20) Più prezioso dell'oro - «Non vi pagheranno il riscatto» mormorò, poi, mettendo in chiaro quello che, probabilmente, sapeva bene anche lui.
23) Una giovane e impulsiva stagista - Ade alzò un angolo delle labbra, divertito. «Non risale alla scorsa settimana la tua ultima ramanzina?»
24) Insonnia - «È ancora presto»
25) Popolarità - Fu un gemito strozzato e Persefone alzò gli occhi su Ade, allarmata.
26) Creare la giusta atmosfera - «Così è troppo semplice» sbuffò.
Raccolta di storie scritte per l'iniziativa del Looktober 2020 di LandeDiFandom.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Persefone
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Looktober 2020'
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Iniziativa: Looktober 2020 di LandeDiFandom
Prompt: 2. Cappotto








02. Mai farsi prestare il cappotto




All’interno dell’abitacolo dell’automobile l’aria era frizzante non per l’inverno alle porte, ma per l’euforia che sprizzava la coppia presa dagli ultimi saluti.
Persefone aveva preso gusto nel riempire il volto di Ade di tanti piccoli e affettuosi baci, con il benestare di lui che faticava a tenere su l’espressione corrucciata, suo marchio di fabbrica. Forse era questa la causa della gaiezza di lei che, ad ogni piccolo sorriso che riusciva a fargli spuntare, lo premiava con un nuovo sciocco di labbra.
Era una piccola tentatrice, poiché più si teneva alla larga dalla sua bocca, più lui spasimava per averla.
E, quando l’ebbe, Ade capì che era giunto il momento di lasciarla tornare a casa. Non poteva continuare a sperare in una dilatazione temporale impossibile, né di mettere in moto e portarla via a sua madre.
Demetra neppure sapeva di quella relazione. Persefone era stata chiara: glielo avrebbe detto al momento giusto, ma Ade sospettava che, in realtà, non riuscisse mai a trovare il coraggio. Poteva capire il non rivelare nulla all’inizio, durante i primi mesi, le prime uscite, quando si iniziava a conoscersi e a capire cosa si volesse; il segreto era anche stuzzicante e fatto di sguardi complici e languidi alle cene di famiglia, di nascosto ai parenti altrettanto ignari.
Ma erano trascorsi più di sei mesi, i festeggiamenti per il primo anniversario si avvicinavano, e a parte qualche suo collaboratore stretto o amica di Persefone, nessun altro era a conoscenza della loro frequentazione.
Fuori, tuttavia, lontani dagli occhi e dalle bocche pettegole di fratelli e sorelle, cugini e cugine, cognati e cognate, si erano concessi di non pensare al rischio di venire scoperti.
Probabilmente, Persefone confidava anche in quello per rivelare tutto a Demetra: se qualcuno li avesse visti e sarebbe andato a spifferare tutto alla madre, lei sarebbe stata costretta a svuotare il sacco. Nel mentre, come gli confidò quando venne fuori l’argomento, la stava preparando con la scusa di frequenti uscite con gli amici.
Ade la osservò sistemarsi il cappotto, chiuderlo per cercare di farlo stare più aderente, ma era troppo grande per lei: la taglia era la propria, era un cappotto da uomo, e lei ci navigava letteralmente dentro. Tuttavia, non poteva lasciarla uscire al freddo con la giacca leggera che si era portata dietro per trascorrere il finesettimana da lui, approfittando del viaggio di lavoro di Demetra.
Il tempo era ancora ballerino e, se sabato e domenica il sole era stato benevolmente caldo, quel lunedì si preannunciava freddo già da metà mattinata: il cielo era grigio e prometteva pioggia.
Persefone lo salutò con un ultimo bacio e un cenno della mano quando gli passò davanti per attraversare la strada. Era così felice che quasi non prestò attenzione alle macchine che potevano arrivare, ma camminò in fretta e leggera, crogiolandosi nel profumo di Ade emanato dal morbido e caldo cappotto.
Quei due giorni, quasi tre, che avevano trascorso insieme erano sì volati via in un soffio, ma magnificamente, e adesso gli sarebbe rimasto solo il ricordo di quelle briciole di quotidianità domestica che avevano provato: il fare la spesa e cucinare, portare fuori Cerbero, guardare la televisione o un film, condividere il bagno e fare la doccia insieme.
Persefone era così distratta dal riportare alla mente ogni singolo dettaglio di quei momenti che non si accorse della porta che si aprì con un semplice giro di chiave; impreparata alla vista che si trovò davanti, si sentì mancare l’aria e crollare il piccolo mondo perfetto in cui stava vivendo.
«M-Mamma?!» squittì, quasi avesse visto il suo fantasma.
Ma Demetra era reale e corse ad abbracciarla. «Oh, dèi del cielo! Dove sei stata?! Hai dormito fuori! Sei forse impazzita? Ho chiamato tuo padre e sta arrivando di corsa».
Persefone gelò sul posto. «Cosa? Perché l’hai chiamato? Ero…», ma non riuscì a dirlo.
Non poteva. Era lo scenario peggiore che avesse immaginato per rivelarle la relazione con Ade.
«Mamma, calmati, ti prego! Sono qui, sto bene. Non è successo niente», tentò di tranquillizzarla.
«Pensavo che ti avessero rapita!» strillò Demetra. «Stavo per chiamare la polizia!»
Persefone si divincolò dalla sua stretta e la scrollò dalle spalle. «Mamma! Nessuno mi ha rapita».
Quelle parole e il poterla vedere e toccare parvero calmare la madre che si lasciò condurre verso il salotto.
Una volta seduta sul divano e con una bella tazza di tè bollente tra le mani, Demetra sembrava non aver passato lo spavento e lo shock, ma continuava a singhiozzare piano. Persefone le era accanto, accarezzandole la schiena e confortandola con mormorii. Temeva il momento in cui sarebbe arrivato Zeus: significava doverle mentire di nuovo, ma non poteva svelare tutto anche a lui.
Doveva affrontare un problema alla volta.
«Lo dicevo, io, che non dovevo partire! Oh, ma perché l’ho fatto?» si lamentava Demetra.
«Era importante che tu andassi a vedere le colture, mamma» replicò lei con un sospiro, omise di aggiungere che fosse ormai una giovane donna in carriera, e non una bambina di cinque anni.
«No, invece! Non dovevo lasciarti a casa da sola» piagnucolò.
Persefone sbuffò e il campanello scelse quel momento per suonare.
Alla porta vi era Ermes, suo fratellastro, che, non appena la vide, la salutò calorosamente. «So che non sono chi aspettavate, ma Zeus aveva da fare. E noto che sei ancora tutta intera, Persie. Direi che il mio compito è concluso» disse e, così com’era venuto, si volatilizzò.
«Quel disgraziato di tuo padre!» berciò Demetra alla porta chiusa. «Non si smuove neanche quando si tratta di sua figlia! Oh, ma mi sentirà la prossima volta!»
Vedendole cambiare bersaglio, Persefone esalò dal sollievo e si apprestò ad allontanarsi discretamente per poter rifugiarsi in camera.
«Tesoro».
Si voltò sorpresa dal tono freddo che aveva utilizzato per chiamarla, ma avrebbe voluto non farlo: Demetra stava osservando confusa e preoccupata il cappotto di Ade che lei aveva abbandonato per la fretta sul bracciolo del divano.
Ingoiò l’imprecazione e sperò che la lasciasse spiegare.

***

«Mi dispiace» fu tutto ciò che Persefone riuscì a dirgli non appena rispose alla telefonata.
Ade prese un respiro. «Ho appena finito di parlare con Zeus».
«Che-?!» grugnì, sconfortata dalla velocità con cui viaggiavano le notizie in famiglia. «Dimmi che non ti ha proibito di uscire dalla tua stanza fino a nuovo ordine».
Lo divertì. «No. È questo che ha fatto Demetra?»
«Per il momento, sì» brontolò lei. «Neanche avessi quattordici anni!»
Il silenzio la impensierì.
«Tu avresti voluto dirglielo subito» mormorò.
Ade ci mise un po’ a replicare. «Non l’avrebbe presa bene in nessun caso, ma…»
«Fare le cose di nascosto è sempre una pessima idea» concluse al posto suo.
Lui affermò con un sospiro, ma decise di essere sincero. «Avrei preferito rapirti sul serio, piuttosto che incorrere nella sua ira».
Deliziata, Persefone si mangiò un sorriso mentre cambiava posizione contro il cuscino del letto.
Per un po’, nessuno dei due proferì altro, ascoltando ognuno il respiro tranquillo dell’altro.
«Toglimi una curiosità» attaccò Ade, perplesso. «Sei già scappata di casa, o hai rubato un telefono, o cosa ti sei inventata per riuscire a chiamarmi?»
Lei scoppiò a ridere. «No, non posso scappare! Devo parlarle, non mi ha lasciato il tempo di fare nulla. Ha dato così di matto che sono arrivati i vicini». Sapeva che non era giusto deriderne, ma la scena era stata davvero assurda. «Era così furiosa che si è dimenticata di confiscarmi il cellulare».
Il divertimento non venne condiviso e se ne preoccupò. «Ade?»
«Persefone», la voce con cui pronunciò il suo nome era nervosa. «Quando la affronterai, se hai bisogno di aiuto, potresti trovarlo nella tasca del cappotto che ti ho prestato».
Prima che lei potesse chiedergli spiegazioni, lui aveva già riattaccato. Così, saltò giù dal letto come una molla, ma l’adrenalina scemò non appena si ricordò che il famoso cappotto era rimasto nel salotto e fino all’ora di pranzo non poteva raggiungerlo.
Dato che ricontattarlo sarebbe stato inutile – aveva un’importante riunione ai piani alti e non voleva infastidirlo più del dovuto –, la curiosità la divorò per tutto il tempo.

***

A tavola regnava tombale silenzio e ciò che le aveva detto Ade passò in secondo piano.
Ad ogni boccone, Persefone osservava di sottecchi sua madre che seguitava a ignorarla. L’ultima cosa che le aveva detto era stato un urlato: “Io so cosa è meglio per te! E Ade non lo è!”.
Arrivata al dolce, la cheesecake ai frutti di bosco che tanto le piaceva, decise che, se fosse andata avanti così, non sarebbe riuscita più a uscire da quella situazione, né a ricucire il loro rapporto.
«Mamma, domani lavoro… Non puoi tenermi rinchiusa per sempre. E viviamo nella stessa casa… Prima o poi, dovrai parlarmi».
Demetra la fulminò con lo sguardo, ma non rispose.
«Ho venti anni, ormai. Siamo entrambe adulte, non credi?» Tentò di nuovo.
«Un’adulta non avrebbe raccontato bugie e nascosto una relazione, Persefone».
Oh, finalmente!
Sebbene l’avesse chiamata per nome e quello era un pessimo segno.
«Volevo dirtelo, credimi. Non volevo lo scoprissi così».
Demetra doveva aver smaltito un po’ di rabbia, poiché cominciò a prestarle ascolto. «Ah, bene! Quando volevi dirmelo? Quando ti avrebbe abbandonata, incinta?» replicò, velenosa.
Persefone si adirò, basita. «Mamma! Non l’avrebbe mai fatto! Che idea hai di lui?»
«Oh, perfetto! Ci sei pure andata a letto!»
Non stava succedendo davvero! Quella conversazione era surreale, un incubo.
Avrebbe voluto sprofondare dalla vergogna, ma c’era una cosa che aveva messo in chiaro lei stessa: era un’adulta e poteva gestire sua madre. Anzi, probabilmente, avrebbe dovuto farlo già da qualche anno.
«È più vecchio di te» sputò Demetra, come fosse un insulto. «Com’è riuscito a sedurti? Con i soldi? Mi sembra che viviamo agiatamente e non ti ho fatto mai mancare niente, no?»
Persefone decise di ignorare il commento. «Mamma, potresti prendere in considerazione – soltanto un momento – che lui mi piaccia? Che io lo ami?»
In risposta, ricevette uno scuotimento di testa. «No, non posso. Non riesco a pensare che possa piacerti Ade… Ade, per l’amor del cielo! Cosa non andava in Apollo? È perfetto! E non ha il doppio dei tuoi anni!»
«Cosa non va in Ade, invece?!»
Avevano alzato la voce entrambe pur di far valere le loro ragioni: così non sarebbero andate da nessuna parte. Per calmarsi, Persefone inspirò ed espirò lentamente.
«Sono io a non capire cosa, a parte la differenza di età, non ti vada giù di lui. Ha una laurea e almeno due Master, ha una posizione lavorativa non indifferente e lo stesso Zeus lo prende in considerazione nelle decisioni importanti riguardo la compagnia. È onesto, serio, è giusto e generoso, è divertente, si preoccupa per me e… Mi ama, mamma» sussurrò. «Non dovrebbe bastarti questo?»
Demetra sospirò pesantemente. «Sei così ingenua, figlia mia. Se bastasse soltanto l’amore a questo mondo, non ti avrei di certo cresciuta da sola».
Persefone ammutolì.
«Ade è sempre stato la pecora nera della famiglia». La madre distolse lo sguardo, perdendosi nei ricordi. «L’hai visto anche tu: non interagisce con nessuno, parla solo se richiesto, guarda tutti dall’alto con la presunzione di avere sempre ragione. È un atteggiamento che non porta molte simpatie», s’interruppe per recuperare il nocciolo di ciò che voleva dirle. «Ha avuto non una, ma ben due relazioni con le sue ex-segretarie, Leuce e Menta».
La giovane si morse il labbro inferiore, a disagio: ne era a conoscenza e credeva di essere l’unica. Non le faceva piacere sentirlo da sua madre. Era strano e un po’ nauseante.
Certo, Ade aveva messo in chiaro come le due donne fossero state più compagne di letto che di vita. E che quello che provava per lei era ben diverso… Tuttavia, ogni volta che ci pensava, la gelosia le rodeva il fegato.
«Di sicuro ti avrà detto che sei speciale, ma sono solo parole. Chi ti assicura che un giorno non si stancherà? C’è troppa differenza tra voi e lui è un uomo ambizioso: se troverà una preda migliore, ti lascerà».
Le sue parole gelide ed affilate la ferirono più di quanto avesse immaginato. Persefone si alzò lentamente, annichilita: non voleva scoppiare a piangere davanti a lei.
«Ti ho appena detto che lo amo. Come puoi dirmi questo? Io mi fido di lui e mi fido di te, mamma. Perché non riesci ad essere dalla mia parte?»
Demetra le riservò uno sguardo mortalmente serio. «Ti sto dicendo le cose come stanno, Persefone. Ade non è l’uomo che pensi di conoscere».
Persefone tirò su con il naso e le guance si rigarono delle lacrime che non riuscì a trattenere.
«Mi dispiace, ma sei tu, e tutto il resto della famiglia, a non sapere chi sia Ade. Siete stati voi ad averlo allontanato con il vostro pregiudizio». Cercò di asciugarsi le scie bagnate con il dorso delle mani. «Potresti pensare a questo, no? Se ti fa tanto schifo il pensiero di tua figlia che se la fa con uno che potrebbe essere suo padre».
Uscì senza aspettare la risposta di Demetra e, passando davanti al salotto, vide il cappotto di Ade dove l’avevano lasciato. Lo portò con sé in camera e si chiuse nuovamente dentro – volontariamente, questa volta.
Era furiosa e ferita. Non era così stupida da credere che Demetra avrebbe accolto la notizia a braccia aperte, ma aveva sperato in una reazione più conciliante.
Al contrario, si era impuntata e non avrebbe cambiato opinione. Ne era certa: sua madre non sarebbe mai stata capace di accettarlo.
Persefone urlò a denti stretti tutta la frustrazione che le si era accumulata dentro e, chetata, virò sulla rassegnazione: dato che non aveva minimamente intenzione di troncare la relazione con Ade, avrebbe dovuto abituarsi a combattere con la madre ad ogni occasione.
Per pensare ad altro, indossò il cappotto di lui e si buttò sul letto a peso morto. Colpì il materasso, ma qualcosa le urtò contro la gamba e, infastidita, si scostò per vedere cosa avesse dimenticato sul copriletto.
Nulla.
E, allora, si ricordò di ciò che lui gli aveva detto qualche ora prima.
C’era qualcosa nella tasca!
In fretta introdusse una mano nell’apertura. Sotto le dita percepì gli spigoli di quella che scoprì essere una scatolina. La portò davanti agli occhi sgranati, con il cuore che batteva impazzito.
No.
No. No. No. No. No.
Tremando, sollevò piano il coperchio, giusto per gettare un occhio dentro e darsi della stupida per aver pensato che fosse…
Invece, era proprio quello. Era un anello.
Persefone trattenne il respiro in un singulto e la richiuse di scatto. La testa parve scoppiarle dalla velocità con cui ripeteva tanti piccoli “oh, mio dio” in successione continua, ancora e ancora.
Alla fine, comprese che era un’idiota. Era una grandissima idiota a stare lì, a pensare a tutto e a niente, finanche a credere che sua madre avesse ragione e Ade era troppo maturo per lei.
Eppure…
Non credeva che lui le avesse prestato quel cappotto appositamente, affinché trovasse l’anello.
Doveva andare da lui.
In un batter d’occhio si sistemò e vestì decentemente, afferrò giacca e borsa, e il cappotto che doveva tornargli.
«Mamma, sto uscendo! È urgente!» urlò, correndo fuori dalla stanza.
Demetra corse e la raggiunse per fermarla prima che sparisse nel gelo della sera.
«Persefone!» tuonò. «Non credere che il nostro discorso sia finito! Dove stai andando?»
«Da Ade. Per favore, è importante» la pregò.
Demetra tentennò dinanzi la sua disperazione, ma era ancora troppo tesa e nervosa e non l’avrebbe lasciata fuggire così facilmente.
«Tornerò, te lo prometto. Non sto scappando» aggiunse.
Entrambe sapevano che Persefone non avrebbe disubbidito, nonostante tutto, e forse fu questo a convincerla, o qualcosa che lesse nei suoi occhi.
La donna distolse lo sguardo per non realizzare quanto sua figlia fosse diventata grande e indipendente. «Ti aspetterò, allora» sibilò, come se le stesse costando la vita.
Persefone ebbe voglia di abbracciarla, ma non era il momento di perdere tempo né di giocare con il fuoco: ci avrebbe pensato dopo a lei. Si limitò ad annuire con un cenno ed uscì.

***

Sapeva per certo – grazie a una veloce telefonata all’ufficio di Ade – che lui era rincasato subito dopo la riunione programmata.
In auto, Persefone fu costretta, a causa del traffico cittadino e della distanza tra casa propria e quella di Ade, a riflettere su ciò che era successo. Il matrimonio era un argomento molto gettonato tra le chiacchiere con le amiche, c’era chi lo desiderava e chi non voleva proprio saperne. Per questo, nell’immediato si era allarmata per le libertà che avrebbe perso e si era chiesta se Ade avrebbe iniziato a voler sapere tutto di lei, dove e con chi si trovasse.
Però, non riusciva a immaginarselo come un marito soffocante. Era sì un uomo vecchio stampo, ma l’aveva sempre rispettata.
Loro erano per lo più complici – e un estraneo avrebbe riso a questa definizione. E capitava, talvolta, che cadessero vittime delle loro età o che faticassero a comprendersi – era normale, era giusto così. Nonostante ciò, riuscivano a completarsi a vicenda: lei gli mostrava la sua visione spensierata del mondo e lui la fredda logica che serviva ad ancorarla alla realtà.
Persefone sbuffò d’impazienza quando parcheggiò davanti casa di Ade e scese dall’automobile. Non voleva pensarci un minuto di più, aveva voglia di vederlo e chiedergli spiegazioni.
Ma, non appena lui le aprì, gli saltò letteralmente addosso, placcandolo e facendolo cadere rovinosamente a terra.
«Tu sei pazzo!» Persefone non sapeva se ridere o piangere e Cerbero non l’aiutava con il suo abbaiare e saltellare festoso, credendo che stessero giocando. «Cosa ti è saltato in mente? Non l’hai fatto di proposito!»
Ade realizzò immediatamente cosa fosse successo, mentre si massaggiava il sedere dolorante. «No, certo che no. Mi sono ricordato dell’anello nel cappotto durante la riunione».
Lei ansimò per il sollievo e sfregò il volto contro la sua maglia, mentre le accarezzava dolcemente i capelli.
«L’ho comprato qualche giorno fa e mi sembrava un buon posto come nascondiglio, dato che quel cappotto non lo indosso più». Ade s’interruppe per calmare anche Cerbero, coccolandolo. «Non avevo intenzione di chiedertelo adesso e neppure così».
Persefone era al settimo cielo e si sporse per baciarlo con ardore, rischiando di fargli sbattere, per la seconda volta, la schiena a terra.
«Sei scappata di casa?» le domandò con preoccupazione, quando lo lasciò libero di respirare.
Si affrettò a negare con la testa. «Mia madre lo sa, che sono qui. Mi sta aspettando a casa».
L’espressione di Ade fu tutto un programma: sbiancò allibito, aspettandosi di veder piombare addosso a lui, da un momento all’altro, Demetra come una Furia, pronta a ridurlo in cenere.
«È la verità», ridacchiò lei.
L’uomo si passò una mano sul volto, sudando freddo. «Faresti meglio a tornare, allora» commentò, nervoso.
«Hai davvero paura di mia madre» constatò Persefone, divertita.
«No» borbottò.
«Oh, sì, invece». Lo colpì al braccio con un buffetto giocoso. «Cosa farai quando ci sposeremo?»
Dallo stomaco di Ade si levarono farfalle. «Ah, ci sposiamo?» sogghignò, tronfio.
Persefone gli allacciò le braccia al collo, sorridendo con furbizia. «Un giorno. Quando me lo chiederai. Quando arriverà il momento giusto».







   
 
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