Iniziativa: Looktober 2020 di LandeDiFandom
Prompt: 2. Cappotto
02. Mai farsi prestare il cappotto
All’interno dell’abitacolo
dell’automobile l’aria era frizzante non per
l’inverno alle porte, ma per l’euforia che
sprizzava la coppia presa dagli ultimi saluti. ***
«Mi dispiace» fu tutto ciò che Persefone
riuscì a dirgli non appena rispose alla telefonata. ***
A tavola regnava tombale silenzio e ciò che le aveva detto
Ade passò in secondo piano. ***
Sapeva per certo – grazie a una veloce telefonata
all’ufficio di Ade – che lui era rincasato subito
dopo la riunione programmata.
Persefone aveva preso gusto nel riempire il volto di Ade di tanti
piccoli e affettuosi baci, con il benestare di lui che faticava a
tenere su l’espressione corrucciata, suo marchio di fabbrica.
Forse era questa la causa della gaiezza di lei che, ad ogni piccolo
sorriso che riusciva a fargli spuntare, lo premiava con un nuovo
sciocco di labbra.
Era una piccola tentatrice, poiché più si teneva
alla larga dalla sua bocca, più lui spasimava per averla.
E, quando l’ebbe, Ade capì che era giunto il
momento di lasciarla tornare a casa. Non poteva continuare a sperare in
una dilatazione temporale impossibile, né di mettere in moto
e portarla via a sua madre.
Demetra neppure sapeva di quella relazione. Persefone era stata chiara:
glielo avrebbe detto al momento giusto, ma Ade sospettava che, in
realtà, non riuscisse mai a trovare il coraggio. Poteva
capire il non rivelare nulla all’inizio, durante i primi
mesi, le prime uscite, quando si iniziava a conoscersi e a capire cosa
si volesse; il segreto era anche stuzzicante e fatto di sguardi
complici e languidi alle cene di famiglia, di nascosto ai parenti
altrettanto ignari.
Ma erano trascorsi più di sei mesi, i festeggiamenti per il
primo anniversario si avvicinavano, e a parte qualche suo collaboratore
stretto o amica di Persefone, nessun altro era a conoscenza della loro
frequentazione.
Fuori, tuttavia, lontani dagli occhi e dalle bocche pettegole di
fratelli e sorelle, cugini e cugine, cognati e cognate, si erano
concessi di non pensare al rischio di venire scoperti.
Probabilmente, Persefone confidava anche in quello per rivelare tutto a
Demetra: se qualcuno li avesse visti e sarebbe andato a spifferare
tutto alla madre, lei sarebbe stata costretta a svuotare il sacco. Nel
mentre, come gli confidò quando venne fuori
l’argomento, la stava preparando con la scusa di frequenti
uscite con gli amici.
Ade la osservò sistemarsi il cappotto, chiuderlo per cercare
di farlo stare più aderente, ma era troppo grande per lei:
la taglia era la propria, era un cappotto da uomo, e lei ci navigava
letteralmente dentro. Tuttavia, non poteva lasciarla uscire al freddo
con la giacca leggera che si era portata dietro per trascorrere il
finesettimana da lui, approfittando del viaggio di lavoro di Demetra.
Il tempo era ancora ballerino e, se sabato e domenica il sole era stato
benevolmente caldo, quel lunedì si preannunciava freddo
già da metà mattinata: il cielo era grigio e
prometteva pioggia.
Persefone lo salutò con un ultimo bacio e un cenno della
mano quando gli passò davanti per attraversare la strada.
Era così felice che quasi non prestò attenzione
alle macchine che potevano arrivare, ma camminò in fretta e
leggera, crogiolandosi nel profumo di Ade emanato dal morbido e caldo
cappotto.
Quei due giorni, quasi tre, che avevano trascorso insieme erano
sì volati via in un soffio, ma magnificamente, e adesso gli
sarebbe rimasto solo il ricordo di quelle briciole di
quotidianità domestica che avevano provato: il fare la spesa
e cucinare, portare fuori Cerbero, guardare la televisione o un film,
condividere il bagno e fare la doccia insieme.
Persefone era così distratta dal riportare alla mente ogni
singolo dettaglio di quei momenti che non si accorse della porta che si
aprì con un semplice giro di chiave; impreparata alla vista
che si trovò davanti, si sentì mancare
l’aria e crollare il piccolo mondo perfetto in cui stava
vivendo.
«M-Mamma?!» squittì, quasi avesse visto
il suo fantasma.
Ma Demetra era reale e corse ad abbracciarla. «Oh,
dèi del cielo! Dove sei stata?! Hai dormito fuori! Sei forse
impazzita? Ho chiamato tuo padre e sta arrivando di corsa».
Persefone gelò sul posto. «Cosa? Perché
l’hai chiamato? Ero…», ma non
riuscì a dirlo.
Non poteva. Era lo scenario peggiore che avesse immaginato per
rivelarle la relazione con Ade.
«Mamma, calmati, ti prego! Sono qui, sto bene. Non
è successo niente», tentò di
tranquillizzarla.
«Pensavo che ti avessero rapita!»
strillò Demetra. «Stavo per chiamare la
polizia!»
Persefone si divincolò dalla sua stretta e la
scrollò dalle spalle. «Mamma! Nessuno mi ha
rapita».
Quelle parole e il poterla vedere e toccare parvero calmare la madre
che si lasciò condurre verso il salotto.
Una volta seduta sul divano e con una bella tazza di tè
bollente tra le mani, Demetra sembrava non aver passato lo spavento e
lo shock, ma continuava a singhiozzare piano. Persefone le era accanto,
accarezzandole la schiena e confortandola con mormorii. Temeva il
momento in cui sarebbe arrivato Zeus: significava doverle mentire di
nuovo, ma non poteva svelare tutto anche a lui.
Doveva affrontare un problema alla volta.
«Lo dicevo, io, che non dovevo partire! Oh, ma
perché l’ho fatto?» si lamentava Demetra.
«Era importante che tu andassi a vedere le colture,
mamma» replicò lei con un sospiro, omise di
aggiungere che fosse ormai una giovane donna in carriera, e non una
bambina di cinque anni.
«No, invece! Non dovevo lasciarti a casa da sola»
piagnucolò.
Persefone sbuffò e il campanello scelse quel momento per
suonare.
Alla porta vi era Ermes, suo fratellastro, che, non appena la vide, la salutò
calorosamente. «So che non sono chi aspettavate, ma Zeus
aveva da fare. E noto che sei ancora tutta intera, Persie. Direi che il
mio compito è concluso» disse e, così
com’era venuto, si volatilizzò.
«Quel disgraziato di tuo padre!» berciò
Demetra alla porta chiusa. «Non si smuove neanche quando si
tratta di sua figlia! Oh, ma mi sentirà la prossima
volta!»
Vedendole cambiare bersaglio, Persefone esalò dal sollievo e
si apprestò ad allontanarsi discretamente per poter
rifugiarsi in camera.
«Tesoro».
Si voltò sorpresa dal tono freddo che aveva utilizzato per
chiamarla, ma avrebbe voluto non farlo: Demetra stava osservando
confusa e preoccupata il cappotto di Ade che lei aveva abbandonato per
la fretta sul bracciolo del divano.
Ingoiò l’imprecazione e sperò che la
lasciasse spiegare.
Ade prese un respiro. «Ho appena finito di parlare con
Zeus».
«Che-?!» grugnì, sconfortata dalla
velocità con cui viaggiavano le notizie in famiglia.
«Dimmi che non ti ha proibito di uscire dalla tua stanza fino
a nuovo ordine».
Lo divertì. «No. È questo che ha fatto
Demetra?»
«Per il momento, sì» brontolò
lei. «Neanche avessi quattordici anni!»
Il silenzio la impensierì.
«Tu avresti voluto dirglielo subito»
mormorò.
Ade ci mise un po’ a replicare. «Non
l’avrebbe presa bene in nessun caso, ma…»
«Fare le cose di nascosto è sempre una pessima
idea» concluse al posto suo.
Lui affermò con un sospiro, ma decise di essere sincero.
«Avrei preferito rapirti sul serio, piuttosto che incorrere
nella sua ira».
Deliziata, Persefone si mangiò un sorriso mentre cambiava
posizione contro il cuscino del letto.
Per un po’, nessuno dei due proferì altro,
ascoltando ognuno il respiro tranquillo dell’altro.
«Toglimi una curiosità»
attaccò Ade, perplesso. «Sei già
scappata di casa, o hai rubato un telefono, o cosa ti sei inventata per
riuscire a chiamarmi?»
Lei scoppiò a ridere. «No, non posso scappare!
Devo parlarle, non mi ha lasciato il tempo di fare nulla. Ha dato
così di matto che sono arrivati i vicini». Sapeva
che non era giusto deriderne, ma la scena era stata davvero assurda.
«Era così furiosa che si è dimenticata
di confiscarmi il cellulare».
Il divertimento non venne condiviso e se ne preoccupò.
«Ade?»
«Persefone», la voce con cui pronunciò
il suo nome era nervosa. «Quando la affronterai, se hai
bisogno di aiuto, potresti trovarlo nella tasca del cappotto che ti ho
prestato».
Prima che lei potesse chiedergli spiegazioni, lui aveva già
riattaccato. Così, saltò giù dal letto
come una molla, ma l’adrenalina scemò non appena
si ricordò che il famoso cappotto era rimasto nel salotto e
fino all’ora di pranzo non poteva raggiungerlo.
Dato che ricontattarlo sarebbe stato inutile – aveva
un’importante riunione ai piani alti e non voleva
infastidirlo più del dovuto –, la
curiosità la divorò per tutto il tempo.
Ad ogni boccone, Persefone osservava di sottecchi sua madre che
seguitava a ignorarla. L’ultima cosa che le aveva detto era
stato un urlato: “Io so cosa è meglio per te! E
Ade non lo è!”.
Arrivata al dolce, la cheesecake ai frutti di bosco che tanto le
piaceva, decise che, se fosse andata avanti così, non
sarebbe riuscita più a uscire da quella situazione,
né a ricucire il loro rapporto.
«Mamma, domani lavoro… Non puoi tenermi rinchiusa
per sempre. E viviamo nella stessa casa… Prima o poi, dovrai
parlarmi».
Demetra la fulminò con lo sguardo, ma non rispose.
«Ho venti anni, ormai. Siamo entrambe adulte, non
credi?» Tentò di nuovo.
«Un’adulta non avrebbe raccontato bugie e nascosto
una relazione, Persefone».
Oh, finalmente!
Sebbene l’avesse chiamata per nome e quello era un
pessimo
segno.
«Volevo dirtelo, credimi. Non volevo lo scoprissi
così».
Demetra doveva aver smaltito un po’ di rabbia,
poiché cominciò a prestarle ascolto.
«Ah, bene! Quando volevi dirmelo? Quando ti avrebbe
abbandonata, incinta?» replicò, velenosa.
Persefone si adirò, basita. «Mamma! Non
l’avrebbe mai fatto! Che idea hai di lui?»
«Oh, perfetto! Ci sei pure andata a letto!»
Non stava succedendo davvero! Quella conversazione
era surreale, un
incubo.
Avrebbe voluto sprofondare dalla vergogna, ma c’era una cosa
che aveva messo in chiaro lei stessa: era un’adulta e poteva
gestire sua madre. Anzi, probabilmente, avrebbe dovuto farlo
già da qualche anno.
«È più vecchio di te»
sputò Demetra, come fosse un insulto.
«Com’è riuscito a sedurti? Con i soldi?
Mi sembra che viviamo agiatamente e non ti ho fatto mai mancare niente,
no?»
Persefone decise di ignorare il commento. «Mamma, potresti
prendere in considerazione – soltanto un momento –
che lui mi piaccia? Che io lo ami?»
In risposta, ricevette uno scuotimento di testa. «No, non
posso. Non riesco a pensare che possa piacerti Ade… Ade, per
l’amor del cielo! Cosa non andava in Apollo? È
perfetto! E non ha il doppio dei tuoi anni!»
«Cosa non va in Ade, invece?!»
Avevano alzato la voce entrambe pur di far valere le loro ragioni:
così non sarebbero andate da nessuna parte. Per calmarsi,
Persefone inspirò ed espirò lentamente.
«Sono io a non capire cosa, a parte la differenza di
età, non ti vada giù di lui. Ha una laurea e
almeno due Master, ha una posizione lavorativa non indifferente e lo
stesso Zeus lo prende in considerazione nelle decisioni importanti
riguardo la compagnia. È onesto, serio, è giusto
e generoso, è divertente, si preoccupa per me e…
Mi ama, mamma» sussurrò. «Non dovrebbe
bastarti questo?»
Demetra sospirò pesantemente. «Sei così
ingenua, figlia mia. Se bastasse soltanto l’amore a questo
mondo, non ti avrei di certo cresciuta da sola».
Persefone ammutolì.
«Ade è sempre stato la pecora nera della
famiglia». La madre distolse lo sguardo, perdendosi nei
ricordi. «L’hai visto anche tu: non interagisce con
nessuno, parla solo se richiesto, guarda tutti dall’alto con
la presunzione di avere sempre ragione. È un atteggiamento
che non porta molte simpatie», s’interruppe per
recuperare il nocciolo di ciò che voleva dirle.
«Ha avuto non una, ma ben due relazioni con le sue
ex-segretarie, Leuce e Menta».
La giovane si morse il labbro inferiore, a disagio: ne era a conoscenza
e credeva di essere l’unica. Non le faceva piacere sentirlo
da sua madre. Era strano e un po’ nauseante.
Certo, Ade aveva messo in chiaro come le due donne fossero state
più compagne di letto che di vita. E che quello che provava
per lei era ben diverso… Tuttavia, ogni volta che ci
pensava, la gelosia le rodeva il fegato.
«Di sicuro ti avrà detto che sei speciale, ma sono
solo parole. Chi ti assicura che un giorno non si stancherà?
C’è troppa differenza tra voi e lui è
un uomo ambizioso: se troverà una preda migliore, ti
lascerà».
Le sue parole gelide ed affilate la ferirono più di quanto
avesse immaginato. Persefone si alzò lentamente,
annichilita: non voleva scoppiare a piangere davanti a lei.
«Ti ho appena detto che lo amo. Come puoi dirmi questo? Io mi
fido di lui e mi fido di te, mamma. Perché non riesci ad
essere dalla mia parte?»
Demetra le riservò uno sguardo mortalmente serio.
«Ti sto dicendo le cose come stanno, Persefone. Ade non
è l’uomo che pensi di conoscere».
Persefone tirò su con il naso e le guance si rigarono delle
lacrime che non riuscì a trattenere.
«Mi dispiace, ma sei tu, e tutto il resto della famiglia, a
non sapere chi sia Ade. Siete stati voi ad averlo allontanato con il
vostro pregiudizio». Cercò di asciugarsi le scie
bagnate con il dorso delle mani. «Potresti pensare a questo,
no? Se ti fa tanto schifo il pensiero di tua figlia che se la fa con
uno che potrebbe essere suo padre».
Uscì senza aspettare la risposta di Demetra e, passando
davanti al salotto, vide il cappotto di Ade dove l’avevano
lasciato. Lo portò con sé in camera e si chiuse
nuovamente dentro – volontariamente, questa volta.
Era furiosa e ferita. Non era così stupida da credere che
Demetra avrebbe accolto la notizia a braccia aperte, ma aveva sperato
in una reazione più conciliante.
Al contrario, si era impuntata e non avrebbe cambiato opinione. Ne era
certa: sua madre non sarebbe mai stata capace di accettarlo.
Persefone urlò a denti stretti tutta la frustrazione che le
si era accumulata dentro e, chetata, virò sulla
rassegnazione: dato che non aveva minimamente intenzione di troncare la
relazione con Ade, avrebbe dovuto abituarsi a combattere con la madre
ad ogni occasione.
Per pensare ad altro, indossò il cappotto di lui e si
buttò sul letto a peso morto. Colpì il materasso,
ma qualcosa le urtò contro la gamba e, infastidita, si
scostò per vedere cosa avesse dimenticato sul copriletto.
Nulla.
E, allora, si ricordò di ciò che lui gli aveva
detto qualche ora prima.
C’era qualcosa nella tasca!
In fretta introdusse una mano nell’apertura. Sotto
le dita
percepì gli spigoli di quella che scoprì essere
una scatolina. La portò davanti agli occhi sgranati, con il
cuore che batteva impazzito.
No.
No. No. No. No. No.
Tremando, sollevò piano il coperchio, giusto per gettare un
occhio dentro e darsi della stupida per aver pensato che
fosse…
Invece, era proprio quello. Era un anello.
Persefone trattenne il respiro in un singulto e la richiuse di scatto.
La testa parve scoppiarle dalla velocità con cui ripeteva
tanti piccoli “oh, mio dio” in successione
continua, ancora e ancora.
Alla fine, comprese che era un’idiota. Era una grandissima
idiota a stare lì, a pensare a tutto e a niente, finanche a
credere che sua madre avesse ragione e Ade era troppo maturo per lei.
Eppure…
Non credeva che lui le avesse prestato quel cappotto appositamente,
affinché trovasse l’anello.
Doveva andare da lui.
In un batter d’occhio si sistemò e
vestì decentemente, afferrò giacca e borsa, e il
cappotto che doveva tornargli.
«Mamma, sto uscendo! È urgente!»
urlò, correndo fuori dalla stanza.
Demetra corse e la raggiunse per fermarla prima che sparisse nel gelo
della sera.
«Persefone!» tuonò. «Non
credere che il nostro discorso sia finito! Dove stai andando?»
«Da Ade. Per favore, è importante» la
pregò.
Demetra tentennò dinanzi la sua disperazione, ma era ancora
troppo tesa e nervosa e non l’avrebbe lasciata fuggire
così facilmente.
«Tornerò, te lo prometto. Non sto
scappando» aggiunse.
Entrambe sapevano che Persefone non avrebbe disubbidito, nonostante
tutto, e forse fu questo a convincerla, o qualcosa che lesse nei suoi
occhi.
La donna distolse lo sguardo per non realizzare quanto sua figlia fosse
diventata grande e indipendente. «Ti aspetterò,
allora» sibilò, come se le stesse costando la vita.
Persefone ebbe voglia di abbracciarla, ma non era il momento di perdere
tempo né di giocare con il fuoco: ci avrebbe pensato dopo a
lei. Si limitò ad annuire con un cenno ed uscì.
In auto, Persefone fu costretta, a causa del traffico cittadino e della
distanza tra casa propria e quella di Ade, a riflettere su
ciò che era successo. Il matrimonio era un argomento molto
gettonato tra le chiacchiere con le amiche, c’era chi lo
desiderava e chi non voleva proprio saperne. Per questo,
nell’immediato si era allarmata per le libertà che
avrebbe perso e si era chiesta se Ade avrebbe iniziato a voler sapere
tutto di lei, dove e con chi si trovasse.
Però, non riusciva a immaginarselo come un marito
soffocante. Era sì un uomo vecchio stampo, ma
l’aveva sempre rispettata.
Loro erano per lo più complici – e un estraneo
avrebbe riso a questa definizione. E capitava, talvolta, che cadessero
vittime delle loro età o che faticassero a comprendersi
– era normale, era giusto così. Nonostante
ciò, riuscivano a completarsi a vicenda: lei gli mostrava la
sua visione spensierata del mondo e lui la fredda logica che serviva ad
ancorarla alla realtà.
Persefone sbuffò d’impazienza quando
parcheggiò davanti casa di Ade e scese
dall’automobile. Non voleva pensarci un minuto di
più, aveva voglia di vederlo e chiedergli spiegazioni.
Ma, non appena lui le aprì, gli saltò
letteralmente addosso, placcandolo e facendolo cadere rovinosamente a
terra.
«Tu sei pazzo!» Persefone non sapeva se ridere o
piangere e Cerbero non l’aiutava con il suo abbaiare e
saltellare festoso, credendo che stessero giocando. «Cosa ti
è saltato in mente? Non l’hai fatto di
proposito!»
Ade realizzò immediatamente cosa fosse successo, mentre si
massaggiava il sedere dolorante. «No, certo che no. Mi sono
ricordato dell’anello nel cappotto durante la
riunione».
Lei ansimò per il sollievo e sfregò il volto
contro la sua maglia, mentre le accarezzava dolcemente i capelli.
«L’ho comprato qualche giorno fa e mi sembrava un
buon posto come nascondiglio, dato che quel cappotto non lo indosso
più». Ade s’interruppe per calmare anche
Cerbero, coccolandolo. «Non avevo intenzione di chiedertelo
adesso e neppure così».
Persefone era al settimo cielo e si sporse per baciarlo con ardore,
rischiando di fargli sbattere, per la seconda volta, la schiena a terra.
«Sei scappata di casa?» le domandò con
preoccupazione, quando lo lasciò libero di respirare.
Si affrettò a negare con la testa. «Mia madre lo
sa, che sono qui. Mi sta aspettando a casa».
L’espressione di Ade fu tutto un programma:
sbiancò allibito, aspettandosi di veder piombare addosso a
lui, da un momento all’altro, Demetra come una Furia, pronta
a ridurlo in cenere.
«È la verità»,
ridacchiò lei.
L’uomo si passò una mano sul volto, sudando
freddo. «Faresti meglio a tornare, allora»
commentò, nervoso.
«Hai davvero paura di mia madre»
constatò Persefone, divertita.
«No» borbottò.
«Oh, sì, invece». Lo colpì al
braccio con un buffetto giocoso. «Cosa farai quando ci
sposeremo?»
Dallo stomaco di Ade si levarono farfalle. «Ah, ci
sposiamo?» sogghignò, tronfio.
Persefone gli allacciò le braccia al collo, sorridendo con
furbizia. «Un giorno. Quando me lo chiederai. Quando
arriverà il momento giusto».