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Autore: Gaia Bessie    02/10/2020    2 recensioni
Fred Weasley è sepolto sotto un campo di papaveri che arrossiscono su una collina dietro la Tana.
(Fred/Asteria | Angst | Storia Partecipante al Contest "Seasons Die One After Another II edizione" di Laila_Dahl sul forum di Efp)
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Fred Weasley, George Weasley | Coppie: Astoria/Fred
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Unflavoured'
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Attezione: questa storia è un Missing Moment di una mia precedente One-shot (e, di conseguenza, il prequel di una mia futura long) Unsalted, ma può comunque essere letta come una storia indipendente, basta solamente tenere a mente che Scorpius Malfoy soffre di bulimia. La tematica non è comunque trattata nella presente storia, quindi i lettori sensibili in merito possono considerarsi salvi al 90%.
Infine, prima della lettura, vi segnalo che la parte iniziale e quella finale della storia (quelle in corsivo, per intenderci) provengono da Unsalted.

 


«Tu non mi servi» rispose, freddo. «Cosa hai mai fatto, di utile? Ti sei sposata per ripiego. E nemmeno sei stata capace di tenertelo stretto, tuo marito».
Sicuramente avrebbe voluto continuare ma sua madre, per la prima volta da quando era venuto al mondo, lo guardò con indicibile freddezza, che per un attimo Scorpius si chiese se, quella caratteristica che aveva marcato la sua somiglianza con il padre, non l’avesse invece ereditata dalla madre, al pari dei capelli biondi, o della bocca sottile.
Fece per continuare il proprio discorso, provava un piacere insano anche soltanto pensando di poterla ferire, di poter nominare quel nome che, suo padre, aveva bandito da ogni discussione. Ma, quando fece per pronunciare un’altra frase, sua madre lo sorprese nuovamente.
Perché lei, la piccola, composta e pacata Asteria Greengrass-Malfoy, nonostante gli occhi velati di pianto, gli diede uno schiaffo. Quel rumore secco rimbombò nella testa di Scorpius, frastornandolo, facendogli perdere le parole.
 
 
Unheared
 
Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
Ma son mille papaveri rossi


 
Lights go down
You try to not make a sound
Hearts collide
We still have plenty of time
I'm like a child, a boy young man of 23
And I believe in us ‘cause you believe in me
Believe in me
And I'll wait for you in the dark
(…)
So, come close, and I’ll scream
Oh, just let me be me
And I fail to see
The dark skies are all that's well inside me
 
 
Fred Weasley è sepolto sotto un campo di papaveri che arrossiscono su una collina dietro la Tana: è stata un’idea di Hermione, abbellire le tombe dei caduti con quei fiori, e adesso Fred riposa di un sonno oppiaceo, con petali rossi che fan da corona a una testa del medesimo colore.
C’è silenzio, lì su, persino quando sua madre piange. Forse, se emettesse un qualunque suono, spezzerebbe quell’incanto di irrealtà che circonda la collina come l’ennesimo e inutile incantesimo. È uno schiaffo, la morte di Fred, uno schiaffo alla comunità magica, ancor prima che una ferita al cuore della famiglia Weasley, è il segno incontrovertibile che, la Guerra, forse nessuno l’ha vinta per davvero.
C’è silenzio, in cima alla collina – e una donna si rispecchia in esso, come potesse vedercisi attraverso, nell’ennesimo specchio rotto di quell’esistenza altrettanto frantumata – e Asteria Greengrass-Malfoy non riesce a spezzarlo né con le parole, né con uno sguardo. La notte, nessuno ha il coraggio d’arrampicarsi sopra quel pendio scosceso: lì sopra, mormorano i bambini, vi dimora uno spettro.
Ha i capelli incolori come un fantasma, senza essere altrettanto inconsistente, e si lamenta e urla muto alla luna come se ancora sentisse la vita scollarsi dalle sue ossa. Ha un viso familiare, gli occhi rossi come papaveri e le mani scosse da un perenne tremolio.
Lei lo guarda, e negli occhi dimora un urlo senza voce che le rompe le ossa in sussurri, e silenziosamente lo supplica: ti prego, portami via con te. Ma lo spettro non sembra in grado di udirla e, allora, si rivela l’ennesimo fantasma sbagliato.
Perché Asteria gli tende la mano, quasi come fosse disposta a sparire con lui nel campo di papaveri, ma niente la sfiora, nemmeno un alito di vento.  
 
***
 
«Asteria» la voce di George è stanca, come se i papaveri l’avessero drenata da ogni energia, per crescere più rigogliosi. «Non pensavo di trovarti qui».
Lei lo guarda, e ha gli occhi appannati di lacrime come mille mari in tempesta. E, forse, è davvero tempesta ciò che le si agita dentro, in una pioggia inestinguibile che le inzuppa il cuore. Asteria lo guarda e non riesce a sorridergli, ma gli tende la mano, come fosse uno spettro.
«George» mormora, come faticasse a pronunciare quel nome. «Io…».
«Pensavo avessi smesso, di venire qui» risponde lui, piano. «Sono passati anni, d’altronde e tu… hai cambiato vita».
«E basta davvero, per cancellarsi la memoria?» domanda Asteria, inclinando il capo. «Io… il mio matrimonio è finito, George. Ma non basta, per tornare indietro».
Lui guarda in alto, il cielo è trapuntato di stelle e, la luce, è solamente l’ennesimo schiaffo a una vita fatta d’ombre. «Immagino di no» concorda. «Ma vorrei che bastasse».
Asteria sorride, in un’espressione che le deforma il viso, squarciandolo a metà: in mezzo ai papaveri, la vita – e forse persino la morte – è anch’essa una ferita e Fred, che sotto di loro vaga senza meta tra le rocce e la terra smossa, ha i capelli colorati dal sangue.
A George non avrà mai il coraggio di confessarlo ma, su quella collina illuminata dalla luce lunare, lo sta cercando ancora. Uno spettro bagnato di pioggia ma che, però, non cerca mai un posto dove ripararsi, uno spettro intangibile come un ricordo e insondabile come un pensiero estraneo.
Lui vorrebbe domandarle se anche lei è lì perché non riesce a smettere di cercarlo: perché la morte non è solamente nel cuore delle persone, ma è persino nelle cose. E Fred è nei papaveri rossi, nella pioggia che incessantemente l’innaffia, forse persino nei suoi fratelli. Ma George, che lo cerca disperatamente e disperatamente lo supplica di farsi trovare, non l’ha mai scorto, a vagare tra i fiori frustati dal vento.
Pensi che sia in grado di sentirmi, vorrebbe domandare Asteria, che prega Fred come si supplica una divinità che è cieca, muta e sorda. O che non esiste più, perché il potere di una divinità si misura con le azioni e, azioni, Fred ha smesso di compierne. Nessun miracolo, per lei, nessuno spettro che le sfiori la nuca in una tacita carezza.
«Mi dispiace» mormora George, improvvisamente. «Per il tuo matrimonio. Credevo che Malfoy ti rendesse felice».
Ma cosa sarà mai, la felicità, se non un pieno che maschera un vuoto incolmabile: Asteria guarda George e vorrebbe piangere ma, ormai, le lacrime le si sono congelate nell’aria notturna. Sono divenute taglientissimi pezzi di vetro che le feriscono il viso, incollati sulla pelle e appena dietro.
«Per un po’, lo ha fatto» ammette, tossendo via quelle parole come fossero grumi di terra e sabbia. «Ma… alla fine dei giochi, conterà sempre e solo il passato».
«Parliamo di Malfoy, Asteria» risponde George, con un tono forzatamente divertito. «Cosa ti aspettavi?».
Un amore da favola, pensa lei. Qualcuno in grado di limare i vetri nella sua mente, in grado di non ferirla più a ogni respiro. Ma, con il passare degli anni, Draco aveva dimostrato quell’insofferenza nei confronti del suo passato che, alla fine, gliel’aveva reso insopportabile. E, delle favole, era rimasto solamente il mostro e l’insoddisfazione, il bisogno di una magia che svegliasse il principe azzurro e lo riportasse da lei.
Dovevo sposare te, vorrebbe dirgli, ma lo ferirebbe comunque. E anche con lui, che favola avrebbe potuto esserci, che speranze potevano sussistere in un campo di papaveri che fa da tomba, a quella speranza.
«Non avevo aspettative da deludere» risponde, mentendo. «Io… era per amore di Scorpius, che sono rimasta».
Le tremano le mani, strette tra di loro, nel pronunciare il nome di suo figlio: nel petto, nascosta dietro il cuore e i polmoni, germoglia l’esigenza di confessare a George che, adesso, potrebbe aver perso persino l’amore di suo figlio.
«Spero stia bene» commenta George, cauto. «Rose… è sempre più a pezzi, ultimamente».
Asteria lo guarda e, sotto le stelle, è semplicemente disperata. «Gli ho dato uno schiaffo» sussurra. «Io… non era mai successo prima, ma…».
«È un ragazzo, ha solamente diciassette anni» risponde lui, calmo. «Non penso gli farà male, Asteria, non martoriarti in questo modo».
«Sta così male, George» sussurra lei, con il viso che lentamente si riga di lacrime. «E io gli ho dato uno schiaffo».
Una goccia di pioggia le cade sulla spalla: forse, persino Fred sta piangendo.
 
***
 
L’alba sulla collina è solamente l’ennesimo cerchio di sole sbiadito, che non riscalda: Asteria trema, stretta in un golfino rosa pallido, i capelli biondi come quella medesima luce che l’investe, frastornandola. I papaveri le colorano le gambe, abbracciandole, impedendole di tremare su quella terra vestita, ma fredda.
Quella mattina – lo sa di una certezza che è fredda e, al contrario della terra che la ospita, nuda – la preside McGrannitt le suggerirà velatamente di parlare con Scorpius, di portarlo a casa con sé, di farlo curare dagli spettri che gl’infestano la mente. E, forse, persino il cuore.
Quella mattina, dovrà varcare l’ostilità di suo figlio per chiedergli – no, per supplicarlo – di lasciarsi trascinare fuori da quella mente contorta e bucata che lo spinge a desiderarsi diverso. Vuoto, forse, dove invece è pieno fino a scoppiare: e se scoppiasse, Scorpius, riverserebbe su sua madre tutto l’odio e il rancore che ha accumulato nella sua breve esistenza, se scoppiasse inonderebbe la vita di Asteria dell’ennesima pioggia di sangue.
Devi andare, pare sussurrarle quel vento che le accarezza dolcemente i capelli. Vai da lui.
Ma Asteria scuote il capo e, controluce, è solamente l’ennesima nuvola in una giornata di sole, in quell’alba rosa e imperfetta che le permette di confondersi con il cielo.
«Non posso» mormora, lei, a uno spettro che non ha mai visto. «Io non so, non lo so, come tirarlo fuori di lì».
Alza lo sguardo e uno spettro, che ha gli occhi che sono solamente altri papaveri in quel campo infinito, l’accarezza con un’occhiata e una mano inconsistente. L’ha toccata, cogliendola come un petalo e uno scroscio di pioggia, le ha sfiorato il viso come fosse ancora lì, al suo fianco, a permetterle di crescere.
Fred le sorride – e ha l’aria stralunata e perplessa di chi non comprende la morte, nel medesimo modo in cui Scorpius Malfoy fatica a comprendere la vita – e lei torna nuovamente a essere la ragazzina quattordicenne innamorata dell’amore, di fronte a quel ragazzo in grado di morderle il cuore con una singola occhiata. Le azzanna l’anima, quella mancanza, vederselo di fronte e non poterlo sfiorare.
Perché è inconsistente, la morte, così come potrebbe esserlo la vita: e Fred è intangibile come un brandello di pensiero, ma la riesce ancora a sfiorare con una tale profondità da farla tremare.
«Io ci provo, te lo giuro» sussurra lei, torcendosi le dita. Non se n’è resa conto, ma non ha smesso di portare la fede. «Ma come faccio a scuoterlo via di lì?».
Fred scuote il capo e, per un momento, è ancora vivo e Asteria pensa che, se solamente ne avesse il coraggio, potrebbe tendere la mano e prendere la sua. Chissà se la porterebbe con sé, in quel luogo in cui i papaveri appassiscono, in cui la luna è così vicina da poterla toccare con la punta delle dita: un luogo privo di preoccupazioni, dove non dovrebbe preoccuparsi di essere ferita da suo figlio, o da Draco.
Fred scuote la testa, lentamente: controluce, sembra quasi che sia ancora a colori, con i capelli rossi come l’ennesimo dolorosissimo tramonto. In piedi di fianco a lei, sembra quasi che la stia proponendo di oltrepassare il velo, di seguirlo in quel mondo sconosciuto e spettrale da cui proviene.
Asteria si alza in piedi, la gonna le fruscia lungo le cosce, scoprendole leggermente le caviglie. Basterebbe un passo soltanto, per sparire in una nube di fumo.
Vieni, seguimi sembra gridare Fred, che già s’è avviato tra i campi. Incrociarne lo sguardo è solamente l’ennesimo schiaffo in piena faccia, che le rimbomba nel cervello, frastornandola.
«Io…» mormora, come scuotendosi da un lungo sogno. «Non posso».
Sta pensando a suo figlio, Asteria, a quel bambino fragile come una foglia secca che ha detto prima mamma e poi papà, che si è aggrappato alla sua gonna per tutta l’infanzia. A quel ragazzo che s’è sfilacciato e lacerato scavandosi dentro con le sue stesse dita, vomitando via il rancore nei confronti di suo padre e, nonostante tutto, di sua madre.
Scorpius non dice più mamma ma, nel suo cuore, Asteria è ancora la giovane donna che lo prendeva in braccio, durante lunghe notti insonni.
Fred la guarda ed è deluso, come lei stessa lo ha immaginato alla vigilia del proprio matrimonio con Malfoy.
«Io ti amo ancora» mormora. «Ma non posso lasciare morire mio figlio, per venire con te».
Lui non sembra averla udita.
 
***
 
Le manca, il coraggio necessario per percorrere un corridoio ed aprire una porta: Scorpius è in infermeria ma, Asteria, non possiede abbastanza forza per vederlo. Perché suo figlio, quel bambino minuscolo con le unghie simili a conchiglie, nel sapere che lei ha lasciato casa, la loro famiglia, suo padre, ha urlato così tanto da sciogliere l’incantesimo di guarigione che gli teneva insieme la trachea. Ha urlato, ha vomitato, e s’è scavato la gola così in profondità da lacerarsi dall’interno: non ha sentito il sapore delle proprie lacrime sciape, Scorpius, perché il sangue gli ha invaso il palato e le corde vocali. E, sua madre, non ha abbastanza coraggio per vederlo mentre boccheggia e deve, ancora una volta, reimparare a far passare l’aria dalla gola.
Una parte di lei – quella di cui si vergogna maggiormente – sta gridando, inudita, che è stanca, stanca, stanca. Che non può salvarlo da sola, Scorpius, e lei è solamente l’ennesima madre ferita a morte dal figlio.
E Scorpius cade. Si lancia giù da ogni precipizio che la vita gli offre e, nella sua folle caduta, cerca di trascinare con sé tutti coloro che sono talmente folli e sconsiderati da amarlo. Ha qualcosa, nella testa, che lo spinge a odiare ferocemente tutti coloro che tengono a lui, che lo riempiono d’amore: ma, probabilmente, il problema è esattamente quello. Che Scorpius brama il vuoto in un mondo che gli concede solamente dei pieni.
Vorrebbe semplicemente andar via, sua madre, per non dover combattere lei al posto di Scorpius che, di lottare per la propria vita, pare non avere intenzione. Ma, quando finalmente Asteria alza lo sguardo, lui è lì.
Fred ha lasciato la propria collina, i papaveri talmente rossi da essere solamente l’ennesima ferita, per seguirla in quella spirale di dolore che è Scorpius. Lei vorrebbe parlare, dire qualcosa, ma non le vengono le parole.
«Sei tornato» sussurra, senza avere il coraggio di sfiorarlo.
Lui la guarda e sorride, il rosso dei suoi occhi sta pian piano scolorando nell’antico castano: è vivido come un sogno e, se provasse a sfiorarlo, Asteria scoprirebbe che sarebbe un’azione dolorosa come svegliarsi di soprassalto.
«Cosa devo fare?» gli sussurra, indicando la porta dell’infermeria con un cenno del capo. «Non penso che mi permetterà mai di aiutarlo».
La risposta non arriva, ma Fred sta osservando un preciso punto del corridoio. Così, Asteria alza lo sguardo, disorientata: Rose Weasley la sta guardando e anche a lei tremano le mani.
 
***
 
«Io vorrei tenerti con me» la notte è solamente l’ennesimo sussurro che si perde in un oceano di silenzio artefatto. «Ma non posso… tu… devo lasciarti andare».
Ma, mentre pronuncia queste parole, non ne è convinta nemmeno lei e, per un attimo, si ritrova a pregare che Fred non le abbia udite. Ma lui le restituisce uno sguardo triste e avvilito, di nuovo rosso ed esausto.
Non posso lasciarti, sembra dire. Hai ancora bisogno di me.
E lei, che ha sofferto quella mancanza come le mancherebbe l’aria sott’acqua, non può non pensare che, sì, lei ha bisogno di lui. Ha bisogno di sentirlo vicino ancora per un po’, prima di decidersi a dirgli addio, prima di realizzare che non potrà più nemmeno ricercarlo nei suoi ricordi – perché, anche lì, Fred Weasley appassirà come l’ennesimo banale tulipano.
Ma, mentre lui la guarda e ha gli occhi arrossati di pianto e sangue, Asteria non riesce a convincersi che, un giorno, dovrà dirgli addio per davvero. Che non la sfiorerà più, attraversandole il petto e il cuore come fosse lei, quella inconsistente. Che non potrà più immaginare come sia, esser toccata da lui, né Fred potrà provare a sfidare la morte e accarezzarle i capelli, permettendole di sognare che sia tutto dolorosamente reale.
Lo so, sembra dire Fred, ma non farlo. Perché vero – certo che lo è – i fiori sfioriscono, ma non diventano inutili. E lei avrà sempre nell’anima un pot-pourri di Fred, dei petali secchi di papavero che le daranno oblio, forse, ma non dimenticanza.
Ci sarà sempre una parte di lei che riuscirà a tenerlo con sé, aggrappandosi a quei ricordi come s’aggrappa spasmodicamente all’idea di poter tirar suo figlio via da sé stesso, e nemmeno il tempo riuscirà a sbiadire quella disperata voglia di ricordarlo. Perché Fred è sepolto sotto un campo di grano e papaveri, ma nessuno è riuscito a dimenticarselo: ed è forse questa, l’essenza degli spettri, l’alternanza tra memoria e dimenticanza.
Mentre le sfiora il viso, attraversando la mandibola con quelle mani incorporee, Fred muove le labbra quasi come volesse dire qualcosa. Asteria sorride, quasi come l’avesse compreso – ma la realtà, dura e dolorosa, è che il destino di un fantasma è rimanere perennemente inascoltato.
 
***
 
L’ha colpita con la forza di uno schiaffo, quella consapevolezza, che è giunto il momento di lasciarlo scivolare via – di raccoglierne i petali secchi, sperando di conservarne il profumo sulla propria pelle.
Su un campo che sanguina fiori rossissimi, Fred respira silenziosamente sottoterra e lei, che respira rumorosamente il profumo sonnolento dei papaveri, può solamente immaginarselo, il rumore del fiato che infrange l’aria gelida dell’alba.
«Pensavo non saresti più venuta» George avanza a fatica, tra le spighe di grano e i fiori. «Hermione mi ha raccontato che lavori con lei, che… che sei felice, a tuo modo».
E che hai dimenticato, vorrebbe dirle, che hai finalmente dimenticato. Che non ti ferisce più, il tempo, perché hai imparato ad afferrarlo dal suo lato meno tagliente.
Asteria sorride, leggera come una farfalla. «Come avrei potuto?» domanda, osservando la terra sotto i propri piedi. «Lui… lui è sempre con me».
George alza la mano, quasi come volesse sfiorarle il braccio ma, guardando di fronte a sé, si ritrae come scottato. Lo vede anche lui, quello spettro che le gira attorno, sfiorandole ora il viso, ora il cuore?
Lo percepisce anche lui, quel grido muto che gl’increspa le labbra spettrali, che colpisce silenziosamente con la violenza di uno schiaffo – lo stesso che Asteria rimpiange con tutta sé stessa di aver dato a suo figlio? – e che potrebbe farlo barcollare.
«Devi lasciarlo andare» le sussurra, sottovoce. «Non puoi continuare a tenerlo con te, anche se lui… se lui lo vuole».
Asteria vorrebbe urlare, battere i piedi e tagliare la testa ai tulipani. «Non posso» mormora, infine. «Io… chi mi resterebbe, senza di lui?».
George sorride, in una maniera che lo rende dolorosamente identico al suo gemello.
«Tuo figlio, che ha bisogno di te» risponde, placidamente. «Hermione è letteralmente pazza di te e poi… avresti me».
Asteria sorride dolcemente. Se si guardasse attorno, scoprirebbe che lo spettro di Fred è sparito.
 
***
 
«Signora Malfoy» balbettò Rose, sorpresa. «Io… cosa… cosa ci fa qui?».
«Passavo a prendere il baule di Scorpius» spiegò Asteria, scrollando le spalle. «E ho colto l’occasione per venire a fare una chiacchierata. Ho parlato con tua madre, ieri, al Ministero, e mi ha detto che non te la passi molto bene, qui».
«Al Ministero?» domandò la ragazza, perplessa. «Cosa ha fatto…?».
L’ex signora Malfoy rise, in un delicato scampanellio. «Oh, no, non era per Scorpius, lui sta bene» lo disse con una felicità tale che anche Rose si ritrovò a sorridere. «Io lavoro lì, adesso. Sono solamente una segretaria, ma almeno riesco a pagare le cure di Scorpius senza dover chiedere a Draco».
«Oh» mormorò Rose, con sollievo. «Sono contenta che Scorpius stia meglio».
 
 
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per vedere
Vedere gli occhi di un uomo che muore
(Fabrizio De André – La guerra di Piero)

 
 
And I'll wait for you in the dark
Arms outstretched comforting lover
My bones may be falling apart
But you'll help put me back together
(Jamie Campbell Bower – Waiting)

 

Alcune necessarie note d'autore:

Salve a tutti e grazie per aver letto questa storia, che per me è un doppio ritorno: un ritorno ad Unsalted, che è una storia a cui tengo parecchio, e un ritorno alla Fred/Asteria (e, chi mi conosce già, può capire quanto ciò significhi per me).
Prima di lasciarvi chiudere questa pagina, vorrei fare alcune precisazioni: ovviamente questa storia - come un'altra che ho scritto di recente, perché mi rubo le idee da sola - è basata sul presupposto che vi sia una differenza sostanziale tra spettro (morto e muto) e fantasma (più vivo, ma comunque morto, e chiacchierone); inoltre, vi sono alcune necessarie citazioni da esplicitare:

Quando parlo si sogno oppiaceo, mi riferivo ovviamente ai papaveri da oppio, mentre invece il fatto che i papaveri appassiscano dopo essere stati raccolti non è una mia invenzione.
Credo sia tutto.
Grazie ancora per essere arrivati fin qua giù.

Gaia
   
 
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