Anime & Manga > Rossana/Kodocha
Ricorda la storia  |      
Autore: Deb    03/10/2020    5 recensioni
Questo letto sarà il mio migliore amico per un po’ di tempo, ma non avrò flebo attaccate al braccio, questa volta. Non avrò i miei amici che mi vengono a trovare. Non ci sarà Akito che entrerà nella stanza, senza che io lo riconosca. Perdendo dei ricordi a me importanti.
{Fa parte della serie: "Please" scritta con gabryweasley || Spoiler!DeepClear}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Misako Kurata, Rei Sagami/Robby, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Sana/Akito
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Please'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Fanfiction 01: Pain di Deb
Fanfiction 02: Venomous di gabryweasley
Fanfiction 03: Lost di Deb





Limbo




La mia camera è sempre uguale. Non è cambiata di una virgola. Anche il letto a baldacchino è rimasto lo stesso. È come tornare indietro nel tempo. Non ho più venticinque anni, ne ho undici, e mi ritrovo nella mia camera, e domani ho scuola e vedrò Akito, Tsuyoshi ed Aya.
Deglutisco, sbattendo il cuscino con le mani. Questo letto, ora, mi riporta alla mente ricordi non propriamente felici. Non ero felice in quel periodo, non come lo sono ora, ed ero attanagliata dalla paura, dall’ansia, dall’abbandono. Adesso è diverso. Adesso non ho paura. Anche se le cose potrebbero sembrare le stesse, non mi sento abbandonata. Forse significa che sono maturata.
Mi spoglio ed indosso il pigiama, salgo sul letto con le ginocchia e con calma mi sistemo sotto le coperte.
Questo letto sarà il mio migliore amico per un po’ di tempo, ma non avrò flebo attaccate al braccio, questa volta. Non avrò i miei amici che mi vengono a trovare. Non ci sarà Akito che entrerà nella stanza, senza che io lo riconosca. Perdendo dei ricordi a me importanti.
Ci saremo solo io e mamma, e forse Rei, senza il forse. Sicuramente mi verrà a trovare.
Non importa se lui non ci sarà. Mi accarezzo il ventre più volte, prima di prendere il libro dal comodino. Vero? Bastiamo io e te, no?!
Apro il libro. «C’era una volta, una bambina piccina picciò...» Lei è la mia bimba piccina picciò.
Prematura. Ho avuto paura quando il dottore mi ha detto quella parola, il pugno allo stomaco è arrivato nello stesso istante. «Deve stare assolutamente a riposo».
E quando l’ho ripetuto a mammina, lei lo ha preso alla lettera. Non posso alzarmi se non per andare al bagno, per cenare - quando lei mi dirà che è tutto pronto - o pranzare, e per altri motivi che lei, e solo lei, può decidere se siano importanti o meno.
Lo so che non devo prendere le parole del dottore sotto gamba, lo so che se mi ha detto di stare in assoluto riposo significa che è una cosa importante. Ma…
«Mi annoio, mamma». Mi sventolo con il ventaglio, e la mia espressione più triste si dipinge sul mio volto.
«Leggi un libro, Sana».
«Mi annoio lo stesso».
La mamma si avvicina, mi accarezza una guancia prima di colpirmi con il piko: a tradimento mi tramortisce con il mio cavallo di battaglia. «Quanta cattiveria...» Piagnucolo, massaggiandomi la gota offesa.
«Non fare la frignona! Non lo sei mai stata! Leggi, scrivi, guarda la tv. Ma non devi sottovalutare quello che hai. Niente danze, niente salti…» Alzo gli occhi al cielo, stufa.
«Nemmeno una piccola, piccola danza della vittoria?»
«Sana, non si gioca con la salute».
Questo fa più male del piko. Mi tratta come se fossi una bambina, perché adesso è quello che sembro. Se devo diventare madre, devo poter essere coerente con le mie scelte. Annuisco. Non posso fare la ragazzina, quando quello che potrebbe stare peggio è mio figlio che porto in grembo. Lo devo fare per lui. Devo essere paziente per lui.
Mi porto una mano al ventre, e chiudo gli occhi. «Ti proteggerò».

Riposo. Ripeto nella mia mente questa parola, la faccio mia, come se l’avessi creata io stessa. Riposo. Ho bisogno di riposo. Me lo devo ripetere più e più volte. Per quanto comprenda che sia necessario, che mammina abbia ragione, ci sono dei momenti che vorrei alzarmi ed andare via. Non sono mai stata una persona incline allo stare seduta tutto il giorno a leggere, fare la maglia, o qualsiasi altra cosa nella quale non serva movimento. Ed è dura, è difficilissimo per me, adesso.
Riposo. Inspiro ed espiro. Inspiro ed espiro. Concentrati, Sana.
Apro un occhio, poi l’altro. Controllo l’ora sull’orologio da polso che indosso. Sono passati esattamente un minuto e tre secondi dall’ultima volta che ho controllato. Sospiro.
Guardo ancora l’orologio ed il pensiero raggiunge lui. Mi ha lasciata da sola. Chiudo gli occhi. Gli farò vedere io… Riposo. Riposo. «Gli farò vedere io a quello scemo chi aveva ragione. Riposo, altrimenti il bambino si fa male. Riposo. Accidenti a Hayama!» Alzo un pugno al cielo. «Sempre detto io che avrebbe portato solo guai! Riposo. Non ha portato guai. Assolutamente no, non è che ha portato guai. Il bambino non è un guaio. Lui è il guaio. Cioè… Quello che sta facendo. Il guaio è che mi manca ed è colpa sua. Colpa sua se mi manca perché… perché dovevamo farlo in due...» Non mi ero nemmeno accorta di parlare ad alta voce. Abbraccio le mie stesse ginocchia e continuo a piangere. Soltanto un po’.
«Piango un pochino, così poi mi passa». E ripenso a mio marito, a quando, da bambino, mi aveva regalato il più bello dei sorrisi e la più bella espressione imbarazzata. Già allora mi piaceva tutto di lui. E già allora mi aveva promesso che ci sarebbe sempre stato. Che sarebbe stata la spalla su cui piangere. Ed è già la seconda volta, no, la terza, che piango. Piango senza avere la mia spalla. Quella che lui mi ha promesso.

Sento bisbigliare fuori la porta di camera mia. Scendo dal letto, cauta, per paura che mia madre con il suo super udito mi possa sentire ed entrare in camera, legarmi al letto con le corde, e lasciarmi lì. Da sola. Forse con un computer sopra le gambe dicendo: «Magari puoi scrivere. Scrivi!» Rabbrividisco soltanto al pensiero, anche perché non avrei nulla da raccontare.
Mi acquatto alla porta e cerco di ascoltare. Sono mammina e Rei, mi sembra di intuire.
«Non può contin… così… deve avere un div...»
«Mi… uno script, magari… leggere». Sento qualcos’altro che non capisco, e la gonna del kimono di mammina fruscia un istante, memore del fatto che devo tornare nel letto prima che entri e si accorga che mi sono alzata.
Infatti, poco dopo, la mammina entra in camera, senza bussare, seguita da Rei. Spalanca la porta come fa spesso - se io fossi rimasta lì dietro forse sarei potuta morire - e si avvicina al letto.
«Pensavo ti saresti alzata...» Dice, come se trovarmi nel letto fosse una sorpresa inattesa.
Le sorrido. «Prendo alla lettera quanto detto dal dottore». Ancora sono nella fase dell’aborto spontaneo, se non sto attenta. Mi accarezzo il ventre, sapendo bene, comunque, che ho detto soltanto una mezza verità. Perché alzata, mi sono alzata.
«Beh, ti lascio a Rei».
Parliamo un attimo del più e del meno, poi mi porge uno script. Quello di cui parlava fuori con mamma, probabilmente.
«E questo?» Domando, socchiudendo gli occhi, dubbiosa.
«Il regista ti vorrebbe nella parte della protagonista. È una serie tv. Leggilo». Mi fa stringere i fogli tra le mani. Si è tolto gli occhiali da sole, me ne sono accorta solo ora.
Sospiro. «Penso che mammina ti abbia aggiornato sulla situazione, vero?»
«Sì, Sana. Mi ha detto che devi stare a riposo». Deglutisce, a disagio.
Annuisco. «Come faccio a pensare a recitare, se devo stare a riposo?»
Rei sorride, o almeno cerca di farlo, senza riuscirci del tutto. «Per questo non ti devi preoccupare. Non si gira prima del prossimo anno».
Torturo le pagine del copione. Non si gira fino al prossimo anno… Deglutisco. Ho voglia di leggerlo.
«Gli do un’occhiata e ti faccio sapere, ok?»
«Certo! Salutami Akito». Si alza in piedi e fa per andarsene, si volta, ancora un volta, salutandomi di nuovo.
«Ho deciso io di venire qui». Lo giustifico. Mi dà fastidio l’idea che Rei, o chiunque altro, possa pensare male di lui. «Preferisco stare qua, con mammina. Akito lavora, quindi...» Lascio in sospeso la frase, senza guardarlo negli occhi, osservando un punto indefinito dell’imbottita del letto.
«In qualsiasi momento mi trovi al cellulare».
Annuisco, salutandolo con la mano, e prendendo in mano, per bene, il copione.
Lo divoro nelle ore successive. Lo leggo, e lo rileggo, come se fosse una droga. I miei pensieri, per Akito, per il bambino, per i miei problemi di salute, spariscono fintanto che ho sotto agli occhi quelle parole.
La serie sembra essere promettente. Narrerà le gesta di una detective, ma a differenza del solito cliché della serie tv crime, qui c’è un tocco di soprannaturale. Una detective con poteri magici.
Mi si illuminano gli occhi. Mi piace. Mi piace tanto. Voglio partecipare a questa serie tv.
Porto la mano sul comodino, cercando a tentoni il telefono. Scrivo subito un messaggio a Rei. «Voglio farlo».
Il mio manager mi rimanda emoji di felicità e di festa.
«Cerca detective donna, giovani. Voglio documentarmi un po’... più avanti». Scrivo ancora, toccandomi la pancia. Lo so che adesso non posso muovermi, ma in futuro, tra qualche mese, penso che potrò camminare un pochino, no?! Non dovrò per forza stare qua per tutti i mesi della gravidanza, giusto?

Nei giorni successivi passo il tempo a leggere romanzi gialli, chiedo a mammina se mi cerca delle informazioni, e passiamo così tanto tempo insieme. Non che prima non lo facessimo, ma la vedo, troppo preoccupata. Non è da lei. Non dovrebbe stare in pena per me, ma questa gravidanza è importante per lei quanto lo è per me. Penso sia come una sorta di rivincita. Lei non ha mai avuto la possibilità di portare in grembo la vita - anche se comunque ha avuto un figlia - ed il far star bene me ed il bambino che cresce in me, è una sfida alla quale non può rinunciare. Se dovesse succedere qualcosa a noi due, lei non se lo perdonerebbe mai.
«I gialli non mi piacciono tantissimo come romanzi, li trovo… noiosi. Muore qualcuno, cerchiamo gli indizi, prendiamo il colpevole. Ah, no! Aspetta, non è lui, è quell’altro! Arrestiamo il colpevole. Fine». Fa una pausa. «Anche se il cammino tra la morte e l’arrivo al colpevole può essere appassionante, è sempre tutto scontato».
Sana sorride. «Ma quella che devo fare io è una serie».
Misako si sistema l’acconciatura, prendendo poi Maro-chan sulla mano. «Il concetto è il medesimo. I crime sono sempre crime. Non cambiano. Morte, indizi, arresto». Accarezza Maro-chan, e chiude gli occhi. «E tu… tu invece?»
Sposto la testa di lato. «Io cosa?»
«Hai qualche colpo di scena, oppure è ancora tutto fermo?»
«Tutto fermo. Non l’ho sentito più».
«Capisco». Riporta Maro-chan sulla testa, nella sua tana. «Be’, magari non ti scrive, però non riesce a starti lontano».
Il cuore perde un battito, o forse più di uno. O magari non batte più e sono morta, e non me ne sono ancora accorta. Mi porteranno in ospedale e mi faranno l’autopsia?
Soltanto parlare così, per via ipotetica di Akito mi destabilizza. Non riesco a controllarmi. Non ci sono mai riuscita, quando c’era di mezzo lui.
«Che… che vuoi dire?» Deglutisco, in attesa.
«Forse dormivi. Non te ne sei accorta. Sono tre notti consecutive che passa qui davanti. Si ferma. Guarda verso la tua finestra, aspetta un po’ e riparte. Di corsa».* Risponde, stringendosi nel kimono.
Mi ritornano alla mente altri momenti, altre vite. Altri rapporti. Non stavamo insieme, ancora. O almeno. Lui a parole stava insieme a Fuka, io ero single. Vagava per la città di Tokyo. Era stato sospeso da scuola. Correva tutte le notti per allontanare il malessere. Il dolore. La rabbia. Il senso di colpa.
Si sta ripetendo tutto quanto. Sta correndo per cancellare ogni cosa. Sta correndo per cancellare me. Scuoto la testa. Non è possibile. Non può cancellarmi. «Non può cancellarmi, vero?» Domando, con il cuore in gola, e so che mammina forse non mi capirà, ma so che cercherà di dare una risposta alla mia richiesta.
«Al contrario, Sana. Lui corre per ricordarti. Per esserti vicino, senza esserci davvero. Per stare con te, senza stare davvero con te. Corre, e viene qui, perché non può fare altrimenti. Perché non riesce a fare nient’altro, al momento». Mi accarezza i capelli, mammina, ed io mi rilasso un po’. Soltanto un pochino. Perché se è come dice lei, allora quello che fa è una cosa estremamente carina.
«Dormi qui con me, mammina, stanotte?» Chiedo, cercando di trattenere le lacrime che vorrebbero scorrere lungo le mie guance, appoggiandone una sul palmo della mano di mamma. Lei rimane sempre con me. Tu, Akito, corri per stare con me? Sì. Sarà sicuramente di sì.

* Richiamo alla fanfiction Lost.



Buonsalve! / Eccoci con la quarta shot della serie “Please” scritta da me e gabryweasley!
Quando ho scritto questa shot ero a casa dal lavoro. Dovevo stare a riposo. E mi è venuto alla mente che anche Sana doveva farlo. Ed è uscita Limbo. Non posso dire molto, ma mai titolo fu più azzeccato di questo (come ho detto anche a gabry).
Vorrei ringraziarla tantissimo perché mi sta sempre vicina. È l’amore e la amo ♥
Mi spiace se ancora non ho risposto a tutte le belle recensioni che mi avete lasciato, ma purtroppo non ne ho avuto modo. (Sto facendo l’html della storia dall’ufficio perché altrimenti non potrei nemmeno aggiornare - è venerdì pm adesso)
Risponderò, comunque. Appena ho modo! ♥ Ho preferito però aggiornare!
Spero che la oneshot vi sia piaciuta! Fatemi sapere! ♥
Per la prossima si ripassa la palla a gabry!
Baci
Deb


Fanfiction successiva: Demons di gabryweasley



   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rossana/Kodocha / Vai alla pagina dell'autore: Deb