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Autore: Picci_picci    03/10/2020    3 recensioni
Sono passati mesi da quando Ladybug e Chat Noir non si vedono più. Solo una muta promessa li unisce: non scordarsi mai l’uno dell’altra. Vanno avanti nel loro presente, ma continuano a vivere nel passato e nel loro ricordo. Marinette, ormai, è a tutti gli effetti la stagista personale di Gabriel Agreste, praticamente il Diavolo veste Agreste nella realtà, e Adrien sta tornando da Londra per imparare a gestire l’azienda di famiglia.
Cosa mai può andare storto?
Tutto, se ci troviamo alla maison Agreste.
Mettetevi comodi e preparatevi a leggere una storia basata sulle tre cose indispensabili di Parigi: Amore, Tacchi alti e...là Tour Eiffel.
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"Perché l'amore è il peggiore dei mostri: ferisce, abbandona, ti rende pazzo, triste ed euforico allo stesso tempo. Ma è anche l'unica cosa bella che abbiamo in questa vita."
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'L’amour'
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Marinette uscì dalla metro diretta alla maison nella sua tuta rosso fuoco con maniche a tre quarti e pantaloni a palazzo...non sarebbe di certo passata inosservata. I capelli sciolti le solleticavano il volto e i piedi stavano iniziando una protesta, visto che anche oggi aveva scelto di indossare le Louboutin nere. Com’è che diceva sua madre quando era piccola? Ah, sì: chi bella vuole apparire, un po’ deve soffrire. 
Ma nel suo caso: se per Agreste vuoi lavorare, allora i tuoi piedi dovrai torturare. La borsa a tracolla nera completava il look e Tikki stava là, comodamente seduta. Passeggiando vide il suo riflesso davanti alla vetrina e tutto quel rosso e nero le ricordarono Ladybug. Da quanto non si trasformava? Da quanto non vedeva il suo chaton? Sospirò, e con più energia di prima, continuò a camminare.
Quando varcò la porta a vetri dell’edificio Agreste, l’occhio le cadde sull’orologio e strabuzzò gli occhi. Lei era una ritardataria nata, letteralmente visto che i suoi genitori avevano dovuto aspettare tre giorni in più del previsto perché lei non voleva venire al mondo, e chiunque lo sapeva. Poteva capitare che arrivasse puntuale, ma stavolta era diverso. 
Non era nè di ritardo né puntuale.

Era in anticipo. Di ben dieci minuti.

Ancora frastornata da ciò, entrò dentro l’ascensore e le porte si chiusero immediatamente dopo di lei.

***

Quando il Gorilla gli aprì la porta della macchina, dovette di nuovo abituarsi alla vista della Maison Agreste. Su un edificio parigino risalente alla belle époque, svettava la scritta in nero a caratteri cubitali ‘Agreste’ e già, dalle porte a vetri, vedeva il lussuoso e moderno mobilio. La maison era uno dei posti più belli di Parigi, dove antico e moderno si univano in una perfetta armonia e un perfetto equilibrio.

“Vogliamo andare?”, chiese suo padre dietro di lui.

Annuì e, insieme, entrarono.

Suo padre a passo di marcia si diresse verso l’ascensore, mentre lui si fermò a salutare la segretaria Corianne. Gli era sempre stata simpatica quella bionda signora dell'onnipresente tailleur nero, e forse era dovuto ai dolci che gli regalava quando era piccolo.

Quando si girò per prendere l’ascensore, il suo cuore iniziò a battere forte.

Con la coda dell’occhio aveva visto un lampo rosso dai capelli blu notte. La sua lady.

Corse verso il macchinario, e verso di lei, ma non fu abbastanza veloce, perché le porte di chiusero prima, portando via suo padre e la ragazza.

***

“In anticipo? Devo preoccuparmi, Marinette? È successo qualcosa di grave?”

Con lo sguardo tra l’indignato e il mortificato, guardò il suo capo, “è così incredibile che io sia in anticipo per mio volere e non per una misteriosa forza mistica?”

Gabriel la guardò con un sopracciglio alzato.

“Va bene, ha ragione. Sinceramente, anche io sono sconvolta da me stessa.”

“Speriamo che questa sia la prima di molte volte. Vorrei evitare di licenziare la mia migliore stagista per dei ritardi.”

“Ma..”, la risposta le morì in gola, “miglior stagista?”, chiese con un sorriso da folle.

“Chi l’ha detto?”

“Lei.”

“Avrai sentito male.”

Lo sapeva. Lo aveva sognato. Che figuraa, perché doveva sempre commettere questi errori? Dov’era la buca nel terreno in cui sprofondare?!
Le porte dell’ascensore si aprirono con un ding che la riscosse dai suoi pensieri.
Con le guance leggermente arrossate, che facevano pendant con la sua tuta, Marinette guardò di sottecchi Monsieur.
Lui, in risposta, le fece l’occhiolino.
Aspetta, cosa?! Le cose erano due: o stamattina sua madre le aveva messo degli allucinogeni nel cappuccino o non si era sognata nulla. Qualcosa nel profondo del cuore, e Tikki dal profondo della sua borsa, le fecero credere alla seconda ipotesi.

La miglior stagista di Gabriel Agreste.

Chiamate il 118, ragazza parigina in iperventilazione!

“Marinette?”

“Sì!”, rispose lei con voce troppo stridula per essere normale.

“Va in magazzino e porta questi”, le disse Gabriel porgendogli dei fogli, prima di entrare in ufficio.

“Certo, subito.”

Ancora con la borsa in spalla, rientrò in ascensore per scendere. Quello che tutti chiamavano magazzino, poteva essere tutto tranne che un magazzino. Era un enorme stanza, in realtà tutto il terzo piano, dove sistemati in appositi appendiabiti si trovavano tutti gli abiti utilizzati per gli shooting fotografici. Sullo stesso scaffale si poteva trovare un vestito da sera, degno dei migliori red carpet, e una normalissima t-shirt; o ancora, delle decoltè tacco quindici centimetri accanto a delle sneakers da uomo. Qualsiasi cosa tu volessi, lì dentro c’era. Era l’armadio delle meraviglie che chiunque avrebbe voluto.

“Zuccherino, come mai oggi così...come dire, sgargiante?”, questa era la voce che l’aveva accolta lì anche il primo giorno.

Paul Fillem, Paul per gli amici. Alto un metro e settantacinque, abbronzato trecentosessantacinque giorni su trecentosessantacinque, riccio e moro con gli occhi azzurri. Bello come il sole. Gay dichiarato, tanto creare una strage di cuori in maison.

“Bonjour, Paul”, disse Marinette camminando verso la postazione dell’amico. Eh sì, se doveva chiamare amico qualcuno all’interno della maison, quello era sicuramente Paul. Con i suoi modi strambi e le sue perle di saggezza, che di saggezza non avevano niente, trovava sempre il modo di tirarla su di morale.

“Monsieur, ti manda queste”, continuò lei, dandogli i fogli.

Lui li prese e li scrutò con aria attenta: se c’era qualcosa in cui era serio, era il suo lavoro.

“Capisco”, disse posando i fogli da parte, “tra poco arriveranno altri vestiti e devo fare posto.”

“Ma ci entreranno?”, quel magazzino era già stipato di vestiti, come potevano mettercene altri?

“Devono entrarci, è il mio lavoro. Gabriel Agreste potrà anche essere il mastino della maison, ma qui dentro”, disse allargando le braccia come ad abbracciare la stanza, “il re sono io.”

“Mi scusi, direttore”, rispose Marinette con un sorriso mettendosi a sedere davanti al bancone dell’ingresso e dando le spalle a l’ascensore.

“Re, prego.”

“Scordatelo.”

Poi, fu come se a Paul si fosse accesa una lampadina, e si sporse dall’altro lato del bancone per raccontarle l’ultimo nuovo pettegolezzo.

“Lo sai?”, chiese con tono carico di aspettativa.

“Ma sapere cosa, se sto sempre rinchiusa in quell’ufficio? Sei tu quello che mi tiene aggiornata sui pettegolezzi, quindi spara”, disse lei mettendosi comoda e ordinando un caffè alla stagista di Paul.

“Bene”, disse lui poggiando tutti e due i palmi sul bancone.

“Si dice che Adrien Agreste sia tornato.”

Marinette lo guardò annoiata, era questo il grande scoop?

“Allora, non dici niente?”, esclamò lui deluso per la reazione, o non reazione, dell’amica.

“Che dire? Lo sapevo?”

“E non mi hai detto nulla?!”, esclamò offeso portandosi una mano al petto. Dio, come era teatrale.

“Paul, ti sei scordato il fatto che io sono andata a scuola insieme ad Adrien? Ovvio che lo sapessi, siamo rimasti in buoni rapporti.”

Lui annuì, dando ragione all’amica.

“Ma questa, non la puoi sapere.”

“Cosa?”, domandò lei sorseggiando il suo caffè.

“Dicono che Adrien sia tornato dopo aver finito il master di economia a Londra, per gestire le finanze della maison e, in un futuro, prendere il posto del padre.”

Marinette sputò tutto il caffè che aveva in bocca.

“Cosa?!”

“Oh, questa era la reazione che volevo.”

“Ripeto: cosa?!”

“Hai sentito benissimo, zuccherino.”

“Adrien come mio..capo.”

Sì, okay che la sua mega cotta le era passata, ma c’era un limite a tutto.

“Parlando di altro”, come poteva voler parlare di altro?, “come stanno le cose su, ai piani alti?”

“Non ne parliamo”, gli rispose Marinette, sconsolata, “siamo vicini alla sfilata e monsieur sta dando il tormento a tutti.”

“Il buon vecchio e caro Agreste, non cambia mai.”

“Se un giorno finirò all’inferno troverò lui come torturatore, mi sveglierà alle undici e quarantacinque di notte per chiedermi delle cartelline”, disse poggiando i gomiti sul bancone e prendendosi la testa fra le mani.

“Bellezza.”

“Paul, non è che se mi dici che sono bella, sto automaticamente bene.”

Lui le alzò la testa con due dita per guardarla negli occhi, “infatti non dicevo a te. Sarai anche bella, ma non sei il mio tipo. Dicevo a lui”, disse guardando con un sorriso da rimorchio davanti a lui.

Marinette si girò e ciò che vide la mandò in tilt, tanto da rovesciare il caffè sul bancone.

“Ma cos’hai oggi contro questo caffè, me lo dici?”

Le parole di Paul la svegliarono dalla catalessi, “mi dispiace”, esclamò mortificata scendendo dallo sgabello.

“Non provare a pulire”, disse Paul in modo minaccioso, “se sporchi quella tuta, ti denuncio alla polizia della moda.”

“Ma..”

“Stai lontana, la mia stagista pulirà il macello.”

Lei annuì, mortificata.

Una risata dietro di lei, le ricordò chi aveva assistito alla scena. Si girò imbarazzata e incontrò gli occhi ridenti di Adrien.

“È bello vedere come certe cose non cambiano mai.”

“Se intendi la mia goffaggine, non posso darti torto.”

Lui si avvicinò a lei di qualche passo. Cavolo, quanto era diventato alto?! Con i tacchi, lei riusciva ad arrivargli al mento. La zazzera di capelli biondi era un po’ più lunga, aveva un velo di barba del giorno prima, ma che nonostante ciò gli stava di incanto. Per non parlare dei suoi muscoli… Quell’uomo doveva essere illegale.

“Ciao, Marinette.”

“Ciao, Adrien.”

Poi lui l’abbraccio. Il suo profumo le invase i sensi: Gabriel, profumo della maison Agreste uscito cinque anni fa. Si era scordata quanto gli donava quel profumo.

Inspirò profondamente e poi si staccò, doveva rimanere lucida, santo cielo!

Adrien la guardò in quegli occhi celesti, il bel volto incorniciato dai capelli corvini...e quella tuta! Quella tuta lo stava mandando fuori di testa. Marinette gli ricordava così tanto la sua lady che si lasciò sfuggire un “sei bellissima.”

Lei arrossì, tanto da diventare un tutt’uno con la tuta.

Lui, di riflesso, si imbarazzò e gli si imporporarono le guance.

“Come mai da queste parti?”, le chiese, cercando di annullare quell’imbarazzo che si era creato.

Lei lo guardò con gli occhioni grandi spalancati e la testa inclinata di lato, poi, come resasi conto della domanda che le aveva posto, si ridestò, “sono la stagista di tuo padre.”

“Sei tu la fantomatica stagista?!”

Le orecchie di Marinette arrossirono e, incapace di parlare, annuì.

“Volevo farti i miei complimenti”, esclamò lui con un sorriso.

“Per cosa? Per avere il capo più inflessibile che conosca?”

Questo era il lato nuovo che aveva scoperto di Marinette, pensò Adrien. Quel lato un po’ sfacciato, ironico e determinato che aveva avuto il piacere di conoscere solo un anno fa, ma di cui si era totalmente innamorato. Figuratamente, non letteralmente innamorato.

Adrien rise, “per quello ti faccio gli auguri. Mio padre sa essere tosto, ne so qualcosa. Ti faccio i complimenti per essere riuscita a colpire così tanto mio padre, non è semplice entrare nelle sue grazie.”

“Me ne sono accorta.”

Continuarono a guardarsi negli occhi a nemmeno venti centimetri di distanza, fermi sul posto, non muovendo un muscolo.

“Che carini, fate il gioco del silenzio come all’asilo? Posso giocare?”

Marinette si girò e vide Paul che la guardava eccitato.

“Mi spiace, ma devo andare. Mio padre mi reclama”, si scusò Adrien.

“Certo, capisco. Io arrivo subito.”

Adrien annuì e si voltò per sparire negli ascensori.

Paul si sporse da dietro Marinette, “se sei interessato, chiamami!”

Prima che le porte dell’ascensore si chiusero, Adrien si grattò dietro la testa mettendo su un sorriso imbarazzato.

“Paul!”, esclamò la ragazza, colpendo l’amico sul braccio con una manata, solo dopo che Adrien se ne era definitivamente andato.

“Che c’è? Lo hai visto? È un figo pazzesco!”

“L’ho visto anche troppo bene”, sussurrò Marinette con aria sognante. Per l’amor del cielo, Marinette, non di nuovo!

“Devo tornare su da Gabriel.”

“Certo, fuggi pure.”

Marinette si girò con un sopracciglio alzato, “cosa?”

“Te lo spiego quando cresci e i tuoi ormoni smettono di agitarsi.”

“I miei ormoni sono perfettamente calmi”, sì, certo, come no.

Paul alzò una mano svolazzandola per aria, come se non fosse importante. 

Impotente, anche sui suoi ormoni, Marinette tornò nel suo ufficio.

“Monsieur la cerca.”

“Buongiorno anche a te, Natalie.”

Ma la segretaria continuò imperterrita il suo lavoro.

Andò verso la porta bianca e, come di rito, bussò due volte, aspettando un invito ad entrare.

“Monsieur, mi aveva chiama...ta?”

Lo sguardo di Marinette si calamitò sulla figura di Adrien, in piedi dietro il padre. Con la camicia bianca arrotolata fino ai gomiti e i primi due bottoni lasciati aperti, i pantaloni cargo e le scarpe da tennis dal taglio elegante... quello davanti a lei era un uomo.

“Sì, ho bisogno che tu faccia alcune cose per me. Prendi appunti.”

“Certamente”, rispose lei prendendo la penna dalla tasca del pantalone e un'agenda dalla mensola dell’ufficio. Ormai era diventata una routine lasciare agende o blocchi di appunti in giro per l’ufficio; non si poteva mai sapere quando monsieur volesse qualcosa, bisognava sempre esseri pronti a tutto.

“Innanzi tutto, vai in sartoria e controlla i modelli, se qualcosa non ti torna, appuntati tutto e vieni a riferire a me. Poi, dovresti andare a portare questo fascicolo agli uffici di Vogue, mi raccomando è top secret, quindi discrezione. Visto che sei fuori ufficio, passa anche dalla lavanderia e ritira i due abiti a nome Agreste.”

“Scusi”, disse Marinette interrompendolo, “ma non ha una segretaria per questo?”

“Ho anche una stagista.”

“Giusto.”

“Come dicevo prima di essere interrotto, dopo la lavanderia fermati alla pasticceria dei tuoi genitori e prendimi quei macarons che mi piacciono tanto e i croissant dell’ultima volta.”

“E quali sono?”

“Quelli dell’altra volta.”

“Descrizione esaustiva, devo dire”, rispose lei continuando ad annotarsi tutto.

Quando alzò lo sguardo vide Gabriel che la guardava con un sopracciglio alzato.

“Mi scusi.”

Gabriel abbassò lo sguardo per vedere le ultime carte.

“Però, tutti i torti non li ho.”

Alla battuta di Marinette, lo stilista la guardò con tanto d’occhi.

“Fatemi capire”, si intromise Adrien, “tra voi due è sempre così?”

Marinette arrossì e chi rispose fu Gabriel, “ogni volta, sfortunatamente.”

“Penso che in realtà ti piaccia.”

Un’occhiataccia colpì Adrien in pieno e lui alzò le mani in segno di resa e un ghigno furbo sul volto.

Quel ghigno. I capelli biondi sbarazzini. Gli occhi verdi.

Chaton.

Un dolore al cuore colpì Marinette, tanto che rimase immobile con gli occhi sgranati. Vedeva i due Agreste che parlavano, ma non sentiva le loro voci. Si risvegliò solo quando sentì il peso di una mano sul suo viso.

Voltò lo sguardo e incontrò quello verde di Adrien, “stai bene, Marinette?”

Lei lo guardò e dopo qualche secondo di silenzio si allontanò di un passo, lasciando che la mano del biondo scivolasse lungo il suo volto fino a cadere lungo il fianco del suo proprietario.

“Sì…”, ripeté con voce più ferma, “sì.”

Si voltò verso il suo capo chiudendo l’agenda, “sarà meglio che vada, ho molto da fare.”

Gabriel guardò incuriosito il comportamento dei due.

“Certo, vai”, e Marinette si congedò con un cenno del capo, e finché lei non uscì dalla porta, lo sguardo di Adrien rimase calamitato alla sua figura.

Ah, l’amour.

Angolo autrice
Che dire? Questo è il nuovo capitolo e penso si noterà molto l'atmosfera del "Diavolo Veste Prada", perdonatemi ma è uno dei film che adoro. Complice di questa atmosfera parigina è la nuova seire tv con Lily Collins "Emily in Paris", che ho letteralmente divorato. Se avete un po' di tempo libero e non sapete cosa fare, vi consiglio di guardarla. Ringrazio ancora tutti voi che mi supportate, vi adoro! Spero di non aver deluso le aspettative con questo nuovo capitolo.
Cassie

 
   
 
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