Crossover
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Autore: Registe    03/10/2020    3 recensioni
Quarta storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
La guerra tra l'Impero Galattico e la famiglia demoniaca si è conclusa, ma non senza un costo. Vi è una cicatrice profonda che attraversa mondi e persone, le cambia, rimane indelebile a marchiare i frammenti di tutti coloro che hanno la fortuna di essere ancora vivi. Qualcuno decide che è il momento giusto per partire, cercare di recuperare qualcuno che si è perso. Qualcuno decide di dimenticare tutto e lasciarsi il passato alle spalle.
Qualcun altro decide invece di raccogliere i frammenti di una vita intera e metterli di nuovo insieme, forse nella speranza che lo specchio rifletta qualcosa di diverso.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Film, Libri, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 9 - I bassifondi







Bassifondi di Coruscant








Dieci livelli più in basso, in mezzo a un dedalo di piattaforme buie, strette e corrose dalla ruggine, la sua salvatrice misteriosa iniziò a barcollare.
Vexen riconobbe subito i segni del crollo improvviso di adrenalina. Una volta lasciati alle spalle gli ululati rabbiosi delle sirene, la notte dei bassifondi di Coruscant si era richiusa su di loro come un mantello protettivo, celandoli alla vista degli inseguitori. Pian piano si erano potuti permettere di rallentare l’andatura e riprendere a respirare con calma. Avevano osato concedersi la speranza di essere al sicuro. Almeno per il momento.
A quel punto, però, la stanchezza della fuga e del combattimento era piombata tutta insieme sulle loro spalle, impietosa come un macigno. Vexen se l’era cavata con tutti i muscoli indolenziti e qualche livido che già sentiva affiorare in diversi punti sotto i vestiti. La donna misteriosa, invece, aveva iniziato a stringere la mano intorno alla spalla sinistra in modo preoccupante, e i suoi passi si erano fatti sempre più irregolari e sbilanciati su un lato. La flebile luce al neon nei vicoli non gli permetteva di determinarlo con chiarezza, ma poteva scommettere che almeno due colpi di blaster l’avessero raggiunta.
“Dovrei dare un’occhiata a quelle ferite” borbottò, gettando occhiate nervose a destra e a sinistra.
Non gli piaceva affatto l’idea che lei potesse svenire di colpo, nel bel mezzo della notte e di quei vicoli sconosciuti e chiaramente pericolosi. Era troppo esausto per portarla sulle spalle, e senza la sua guida non aveva la più pallida idea di dove trovare un luogo sicuro dove recuperare le forze e riorganizzarsi.
“Sei un medico? È il mio giorno fortunato.”
Non avrebbe saputo attribuire un’età o una specie a quella voce. Morbida, con qualche punta squillante, ma non la voce di una ragazzina, almeno secondo gli standard umani. Tirando a indovinare avrebbe detto una donna intorno alla quarantina, sempre ammesso che non appartenesse a qualche specie umanoide particolarmente longeva. Ciò che invece percepiva con preoccupante chiarezza era il dolore soffocato tra i denti, che il tono ironico non riusciva del tutto a camuffare.
“Puoi dirlo forte. Manca ancora molto?”
“Rilassati. Ci siamo quasi.”
Gli fece cenno di seguirlo lungo una serie di scalini in duracciaio che costeggiavano la facciata fatiscente di un grattacielo. Secondo la sua guida, che si muoveva con estrema sicurezza in quel labirinto spettrale, non c’erano ascensori più in basso del diciassettesimo livello, almeno nel settore in cui si trovavano. Passarono accanto a una serie di finestre immerse nel buio, alcune delle quali avevano gli infissi divelti o le vetrate sbarrate da assi di plastacciaio. Una era direttamente sfondata, come il foro di un grosso proiettile sul fianco scarno del grattacielo, e Vexen si sporse per dare un’occhiata tra le ombre fitte nell’interno. Aveva l’aria di un magazzino polveroso e abbandonato, ma prima che potesse indagare meglio un’improvvisa zaffata di puzza nauseabonda lo costrinse a ritirarsi e a seppellire il naso ancora più a fondo nella sciarpa. Cercò di non farsi suggestionare dal pensiero che gli ricordasse terribilmente l’odore di un cadavere lasciato troppo a lungo a decomporsi.
Coruscant aveva cambiato completamente volto nei suoi livelli più bassi. L’illuminazione al neon era nettamente più fioca se paragonata allo sfavillio trionfale dei piani alti, come se laggiù arrivassero solo i rimasugli di tutta l’energia prodotta dalle migliaia di centrali termoelettriche e termonucleari del pianeta. E le ombre, si sa, attirano ratti e spettri di ogni tipo. Per la prima volta dal suo arrivo sul pianeta, Vexen aveva visto senzatetto di ogni specie accasciati ai bordi delle piattaforme, riversi nella sporcizia a fissare le cime dei grattacieli con i loro occhi vitrei, arrossati da chissà quale mix di alcool e sostanze stupefacenti.
Quanto agli abitanti dei bassifondi in grado di intendere e di volere, non gli avevano fatto certo un’impressione migliore. All’altezza del decimo livello avevano superato rapidamente quello che sembrava un piccolo quartiere dei divertimenti, ovvero una serie di locali sgangherati e stipati l’uno sull’altro da cui proveniva una cacofonia di urla sguaiate e musica ad alto volume, il tutto sospeso in una nebbiolina dalla chiara origine sintetica che galleggiava pigramente in un mare di neon colorati. In un’ipotetica scala di pericolosità che andava da “sonni tranquilli” a “Saïx in berserk”, avrebbe collocato il livello medio degli avventori su un onesto “Nucleo Nero a rischio scongelamento”. La consapevolezza di essere l’unica creatura nel raggio di miglia priva di un’arma di qualsiasi tipo visibile sulla propria persona lo aveva fatto sentire notevolmente a disagio. Aveva attraversato il quartiere praticamente appiccicato al gomito della sua accompagnatrice, nella speranza che l’aspetto minaccioso del fucile di lei scoraggiasse eventuali malintenzionati.
Un ulteriore particolare aveva attirato la sua attenzione. Molti abitanti dei bassifondi sfoggiavano dei tatuaggi sui polsi o gli avambracci, ma anche su tentacoli e lekku, per le specie che li possedevano. Vexen avrebbe catalogato il fenomeno come semplice moda locale, se non fosse che continuava ad imbattersi nelle stesse combinazioni di motivi geometrici disegnate sulla pelle di gran parte delle creature che oltrepassavano. Aveva interrogato la sua guida in proposito. Lei aveva atteso di superare la calca e arrivare in una zona poco frequentata prima di rispondergli.
“Sono i simboli dei Sindacati” liquidò la faccenda con un’alzata di spalle, come se quelle poche parole si spiegassero da sé.
“Immagino che tu non ti riferisca a… sindacati dei lavoratori, suppongo.”
La donna si era voltata per un attimo e sotto al cappuccio Vexen aveva visto ancora una volta quei curiosi occhi color ambra spalancarsi in un chiaro moto di sorpresa.
“Mi riferisco a sindacati criminali” spiegò pazientemente, come si fa con un bambino. “Coruscant sarà anche la capitale dell’Impero, ma i bassifondi sono territorio dei Sindacati. Ecco perché qui la polizia non ci inseguirà.”
La donna aveva allungato il passo, e Vexen non aveva potuto fare altro che ingoiare le centinaia di obiezioni che gli erano affiorate sulle labbra e continuare a seguirla. Si chiese se anche lei facesse parte di un’organizzazione criminale. Aveva poca importanza: al momento aveva troppo bisogno di lei per farsi prendere da scrupoli o timori inutili.
Non sapeva dire che ora della notte fosse quando finalmente la donna si fermò davanti a quella che Vexen scambiò dapprima per un’officina di riparazioni. Solo dopo una seconda occhiata si rese conto che lo speeder arrugginito esposto accanto all’ingresso aveva semplicemente la funzione di decorazione: l’intera facciata dello stabile era ricoperta da un’accozzaglia di pezzi di carrozzeria, arti di droidi, fusibili, celle energetiche esaurite e ossidate e componenti di motori. C’era persino quello che sembrava un vecchio modello di blaster, montato in modo sorprendentemente creativo su un lato della porta, a guisa di maniglia. L’insegna al neon, sormontata dalla testa di un droide protocollare dallo sguardo spento, fisso nel vuoto della notte, riportava una scritta sghemba che riassumeva perfettamente il pensiero di Vexen riguardo quel posto:
La Discarica”.
La sua accompagnatrice, esausta, si aggrappò alla maniglia-blaster e spinse la porta crollandoci praticamente contro con il proprio peso. Vexen la seguì all’interno, richiudendosi la porta alle spalle.
Si ritrovarono in una saletta soffocante, le cui pareti facevano mostra di un collage di parti meccaniche del tutto analogo a quello esposto all’esterno, solo notevolmente più polveroso. Dietro un bancone ricavato dalla carrozzeria di uno speeder della polizia di Coruscant, una vecchia mirialan dall’aria sonnolenta sollevò appena lo sguardo da un datapad e li apostrofò in tono strascicato: “Spiacente, non abbiamo camere libere.”
“Sono io, zia Layla.”
Reggendosi con una mano sul bancone, la donna si sfilò il cappuccio e abbassò il passamontagna per farsi riconoscere dalla sua interlocutrice. Qualche passo dietro di lei, Vexen vide una cascata di capelli violetti ricaderle lungo la schiena e, nella luce soffusa che permeava l’ambiente, distinse con chiarezza il foro da colpo di blaster all’altezza della scapola sinistra.
“Garantisco io per il mio ospite. Metti pure sul conto.”
Anche la mirialan dovette accorgersi delle sue ferite, perché il suo viso passò in pochi istanti dalla gioia a un’espressione da chioccia preoccupata: “Freki, tesoro, ma come ti sei ridotta! In che guaio sei andata a cacciarti questa volta? Te lo dico sempre che dovresti essere più prudente… sei una donna forte ma a volte non riesco proprio a capire perché ti ostini a… “
“Non è niente zia Layla, solo qualche graffio!” Freki – finalmente la donna misteriosa aveva un nome – agitò la mano cercando di arginare il profluvio di parole della vecchia signora. Vexen pensò istintivamente alle raccomandazioni ansiogene di Camus e si sentì solidale con lei.
“Rimanda la ramanzina a domani, ti prego. Adesso ho davvero bisogno di riposare.”
“Ma certo, cara, ma certo… fammi sapere però se hai bisogno di qualcosa. Ho ancora dell’infuso di haloi in caldo se vuoi, e Due Code qualche ora fa ha portato degli ottimi… “
La voce chioccia di zia Layla li rincorse lungo tutta la rampa di scale che conduceva al piano superiore, evidentemente incurante di non avere più degli interlocutori. La vecchia mirialan lo aveva degnato a stento di uno sguardo, né gli aveva domandato documenti o anche solo le generalità. Non che a Vexen la cosa dispiacesse particolarmente.
Freki ebbe bisogno del suo aiuto per salire gli ultimi gradini. Ora poteva vederla bene in viso: aveva la pelle azzurra come quella di molti Twi’lek, ma a differenza di questi ultimi dalla sua testa non partiva una coppia di lekku, bensì normalissimi capelli, quasi rasati sul lato sinistro e lasciati crescere lunghi fino alle spalle sul destro. Sotto gli occhi e sul mento la pelle era solcata da sottili strisce di un giallo brillante, ma Vexen non riusciva a capire se si trattasse di tatuaggi o di una caratteristica peculiare della sua specie, che non riconosceva. I suoi tratti somatici, in ogni caso, non erano troppo diversi da quelli degli umani.
Viste le premesse aveva temuto che anche le stanze di quella peculiare locanda fossero invase da paccottiglia meccanica di ogni tipo, perciò rimase notevolmente sorpreso quando Freki aprì la porta in fondo al corridoio e gli fece strada in una comunissima e anonima camera rivestita di carta da parati a fiorellini, con due letti e un piccolo bagno incassato in un angolo. Era persino abbastanza pulita. L’unico tocco esotico era rappresentato dalle lampade sui comodini, ricavate da due teste di droidi da battaglia. Quando Freki ne accese una, gli occhi del droide sfarfallarono per qualche secondo e diffusero nella stanza una piacevole luce calda e delicata. Poi la donna slacciò la tracolla del pesante fucile che portava sulle spalle e si lasciò cadere sul letto più vicino, respirando pesantemente. Adesso non aveva neanche più la forza di mascherare il dolore o la stanchezza. Era pallidissima, con la pelle del viso imperlata da un velo di sudore. Vexen posò a terra lo zaino, lo aprì e si affrettò a recuperare la tracolla di cuoio con la sua attrezzatura medica.
Lasciò che lui si occupasse delle sue ferite senza un lamento o una protesta. Lo ammonì soltanto di non sedarla o somministrarle calmanti o antidolorifici che le avrebbero fatto perdere lucidità.
Malgrado la testa gli esplodesse per le mille domande ancora senza risposta, Vexen fu grato per quel momento di quiete e silenzio. Applicare i punti, suturare e disinfettare le ferite, srotolare le strisce di garza inspirando il loro buon profumo sterile di pulito: erano tutti gesti che ormai compieva con la certezza serena dell'automatismo, e che avevano il potere di calmarlo e di schiarirgli la mente. Lo aiutavano a ricordare che esistevano ancora situazioni su cui era in grado esercitare controllo e dominio assoluti. 
La donna di nome Freki si decise a rivolgergli di nuovo la parola solo quando ogni bruciatura di blaster fu stata accuratamente ripulita e fasciata. Ciò che disse, tuttavia, non contribuì assolutamente a dissipare la nube di dubbi e incertezze in cui lo scienziato navigava. Semmai la rese ancora più cupa e fitta.
"I tramonti di Coruscant sono meravigliosi."
C'era qualcosa nel tono estremamente distaccato in cui aveva pronunciato le parole - oltre all'ovvia constatazione che il tramonto era già passato da un pezzo, anzi, ormai non doveva mancare molto all'alba - che fece suonare una selva di campanelli d'allarme nel cervello di Vexen. Non poteva dire di avere familiarità con le procedure di riconoscimento dei Sindacati criminali, ma quella frase criptica e totalmente avulsa da ogni contesto aveva tutta l'aria di una password o di un codice segreto tra membri di una banda. 
Uno di cui ovviamente Vexen non conosceva la risposta. 
Contemplò quasi con indifferenza il pensiero della donna che gli scaricava il fucile laser nella testa dopo aver ascoltato la sua risposta sbagliata. La verità era che, arrivato a quel punto della nottata e della futile ricerca di Zexion, l'idea non gli incuteva neanche un decimo della paura che normalmente avrebbe provato. Aprì la bocca per rispondere e non si stupì nemmeno di udire la sua stessa risata, amara e traboccante di sarcasmo.
"Forse avresti dovuto chiedermelo prima di metterti a fare il cecchino con la polizia di Coruscant."
Lei si voltò di scatto, gli occhi che lampeggiavano come pugnali. Sarebbe apparsa minacciosa, se una fitta di dolore non le avesse improvvisamente stravolto i lineamenti percorsi da striature dorate. Vexen indietreggiò di un paio di passi, stringendo dietro la schiena la fiala di sonnifero che aveva estratto dallo zaino poco prima, mentre medicava la sua salvatrice.
Il cuore gli batteva forsennatamente e un'ultima scarica di adrenalina lo percorse dalla testa ai piedi. Una parte di lui sperava che lei lo costringesse a usare quel sonnifero, a frantumarle la fiala dritta in mezzo agli occhi. Una parte di lui sarebbe esplosa se non avesse sfogato contro qualcuno tutta la rabbia e la frustrazione di quella notte da incubo. 
Tuttavia, quando parlò di nuovo, si sforzò di far trasparire nella voce ogni oncia di ragionevolezza che ancora gli sembrava di possedere. 
"È evidente che non sono la persona che stavi cercando. Tuttavia… mi sembra altrettanto evidente che né io né te siamo grandi estimatori dell'Impero. Io per il trattamento che mi stavano riservando le autorità locali, e tu… beh, non mi sembra che abbia esitato troppo a irrompere sulla scena sparando a qualsiasi cosa si muovesse. Mi hai salvato dall'arresto e forse da qualcosa di peggio. Io ti ho salvata dal morire di infezione per quelle ferite. Direi che siamo pari. Le nostre strade possono separarsi senza rancori."
Sentiva la voce secca e il palato arido, ma proseguì il discorso fino alla fine. I bulbi oculari gli bruciavano come se qualcuno gli avesse appiccato un falò in mezzo al cranio.
"Da parte mia, puoi stare certa che non rivelerò a nessuno del nostro incontro. Sarà come se non ci fossimo mai visti."
Freki rimase in silenzio anche dopo che lui ebbe finito di parlare, e Vexen si rese conto che lo stava soppesando. Si era di nuovo seduta sul letto, e lo scrutava con la testa lievemente inclinata su un lato. Probabilmente stava decidendo quale livello di minaccia rappresentasse per lei e la sua missione, qualunque essa fosse.
Quando infine la donna sorrise, Vexen non ebbe la minima idea di come interpretare quel segnale. Rafforzò la presa sulla fiala di sonnifero, trattenendo il respiro.
"Sei più sveglio di quel che credessi, te lo concedo." Il suo tono era sorprendentemente conciliante e, se non fosse stato così esausto, Vexen avrebbe giurato di cogliervi persino una scintilla di ammirazione. La donna fece un gesto ampio con il braccio, indicando la stanza e il secondo letto: "Rimani qui per stanotte. Non sono così ingrata da sbattere fuori il medico che mi ha curata, e da come ti guardavi intorno mentre venivamo qui non credo che troveresti facilmente un altro rifugio nei Bassifondi."
Era chiaramente una trappola. Freki avrebbe chiaramente tentato di strangolarlo nel sonno non appena avesse chiuso gli occhi. 
Chiaramente. 
Ma Vexen era stremato e disperato e non aveva idea di dove andare, perciò le rispose di sì.



I suoi propositi di dormire con un occhio aperto fallirono miseramente di fronte alla stanchezza che soverchiava ogni fibra del suo essere.
Al risveglio impiegò qualche minuto solo per scollare le palpebre dagli occhi. Gli sembrava che fossero state saldate con il piombo fuso. Si tirò su dal letto con movimenti lenti e impastati, come un animale che riprende confidenza con i propri arti dopo lunghi mesi di letargo. Si passò una mano lungo il viso e cercò di mettere a fuoco l'ambiente intorno a sé.
La stanza era vuota. Il letto di Freki era disfatto, ma sia il fucile che le bisacce che la donna portava con sé non si vedevano da nessuna parte.
Non mi ha strangolato del sonno. Direi che è già un grande successo.
La stanza non aveva finestre, perciò non c'era modo di capire che ore fossero. Dall'esterno non giungeva alcun suono o indicazione di pericoli imminenti, e Vexen dovette combattere la tentazione di seppellire nuovamente la testa nel cuscino e dormire per altre venti ore filate.
 Emettendo un gemito incoerente allungò la mano verso lo zaino sul pavimento  - doveva essere davvero crollato se non aveva pensato neanche a metterselo sotto la testa o il braccio mentre dormiva - e frugò alla ricerca dell'olopad con l'intenzione di consultare l'orologio impostato automaticamente sul display.
Le tre righe che balenarono al centro dello schermo ebbero l'effetto di una secchiata d'acqua bollente in piena faccia.

53 chiamate senza risposta 
26 messaggi non letti
14 messaggi audio da ascoltare 

 
Gli eventi della sera precedente iniziarono a srotolarsi uno dopo l'altro davanti alla lente d'ingrandimento del suo cervello, e di colpo Vexen ricordò il messaggio per Camus che aveva iniziato a registrare poco prima che il suo volto e le sue false generalità venissero proiettati in mondovisione sulla facciata di ogni grattacielo del settore.
Adesso, a dodici ore di distanza dalla sua richiesta d'aiuto (aveva davvero dormito così tanto?), il sacerdote doveva come minimo crederlo morto con un foro di blaster in fronte o rinchiuso sul fondo di un carcere imperiale di massima sicurezza. 
Sempre se non si era imbarcato in fretta e furia alla volta di Coruscant con tutta l'intenzione di commettere qualche sciocchezza. 
Trattenendo il respiro, digitò in fretta un breve messaggio: "Sto bene. Scusa se ti ho fatto preoccupare. Ti contatto io più tardi."
Sbattè le palpebre ancora appesantite dal sonno e fissò lo schermo per qualche secondo. Cancellò la seconda frase, poi premette il comando d'invio aggredendo i cristalli liquidi dello schermo con la punta del dito.
Camus meritava una risposta più esauriente, ma per il momento non aveva la lucidità per fare meglio di così.
Si era appena costretto a scartare una delle insipide barrette proteiche trovate nell'appartamento di Zexion quando la porta si aprì di scatto e Freki fece il suo ingresso nella stanza.
"Il tempo di mangiare e vado via subito" borbottò Vexen, ma subito dopo si accorse che l'espressione di lei sembrava sollevata. Aveva il respiro leggermente affannato, come se avesse corso nel timore di non ritrovarlo più in camera al suo ritorno. 
"Ho una proposta da farti."
Dritta al punto, saltando qualsiasi tipo di convenevole. Malgrado tutto, Vexen apprezzò. Era evidente che a nessuno dei due importava realmente sapere come stesse l'altro. Erano sopravvissuti, avevano dormito bene ed erano chiaramente di nuovo in salute. Non c'era davvero bisogno di scambiarsi cortesie inutili. 
Freki si richiuse la porta alle spalle e si sedette sul proprio letto, allinenando una gamba lungo il bordo e lasciando penzolare l'altra a terra. Non indossava più il completo nero da giustiziere mascherato della sera precedente, ma dei pratici abiti da viaggio non troppo diversi dai suoi: pantaloni e stivali, una giacca di pelle imbottita con parecchie tasche e una cintura sul cui fianco spiccava la fondina di un blaster. Vexen era pronto a scommettere che portasse almeno altre due armi nascoste sulla sua persona.
"Come hai dedotto ieri sera, non sono esattamente una sostenitrice dell'Impero. Dovevo incontrare altri nemici dell'Impero in questo settore, e tu sei apparso vicinissimo alle coordinate dell'appuntamento, in fuga e circondato dalla polizia di Coruscant. Ecco perché ho pensato che fossi una delle persone che cercavo."
Spiegava in tono pragmatico, senza far affiorare alcun sentimento o giudizio nella voce. Eppure l’idea di aver quasi rischiato la vita per portare in salvo la persona sbagliata non doveva certo averla messa nel migliore degli umori. Vexen annuì brevemente alle sue parole, senza interromperla.
“Per farla breve: sto ancora cercando queste persone, e l’aiuto di qualcuno che non abbia simpatie imperiali potrebbe farmi molto comodo. Soprattutto se quel qualcuno è anche un medico ed è capace di evadere da un appartamento creando un buco nella parete in pochi secondi e senza armi pesanti.”
La vide sorridere divertita di fronte all’evidente stupore stampato nel suo sguardo. “Sta su tutti i notiziari della superficie” si strinse nelle spalle con noncuranza, gettando con una mano i capelli dietro le spalle. “Non è più esattamente un segreto. Così come il fatto che non ti chiami davvero Arjen Summerwind.”
Lo studiava di nuovo con quello sguardo indagatore della sera precedente, il collo lievemente inclinato da un lato. Si massaggiava la nuca, pensierosa, e Vexen intuì la domanda implicita nel suo atteggiamento.
Non le diede subito la soddisfazione di una risposta.
“E per quale motivo pensi che avrei interesse a collaborare con te?” domandò invece, con aria di sfida. La barretta proteica giaceva momentaneamente abbandonata al suo fianco, sul copriletto che odorava appena di stantio.
Freki si strinse nuovamente nelle spalle. “Per lo stesso motivo per cui hai accettato di dormire qui, o perché stamattina ti ho ritrovato esattamente dove ti avevo lasciato. Perché non sai dove andare. Perché, per quanto tu possa essere astuto e pieno di risorse, non hai idea di come muoverti nei Bassifondi senza farti piantare una vibrolama nella schiena alla prima parola fuori posto. E perché se provi a mettere il naso al di sopra del ventesimo livello gli imperiali ti saranno di nuovo addosso come un branco di gundark in calore.”
Avrebbe potuto infondere un velo di minaccia nelle sue parole, ma non ne aveva bisogno. Le bastava enunciare i fatti nel suo consueto tono pragmatico. Sapevano entrambi che aveva perfettamente ragione.
Vexen si lasciò sfuggire un sospiro, chiedendosi quali variabili fossero sfuggite al suo controllo e quando, e come avesse fatto a cadere così in basso. Letteralmente e metaforicamente.
Infine esalò una sorta di grugnito sofferente, come se qualcuno gli stesse estraendo le parole di bocca con un paio di tenaglie.
“Puoi chiamarmi Even.”

 
 




“Polizia mineraria di Onoam, allontanatevi da quelle casse!”
La voce scosse l’interno e sembrò far vibrare tutte le pareti. Dall’alto si sentì una lunga serie di sibili in veloce sequenza e nell’arco di pochi secondi la miniera si riempì di assaltatori che scesero con i loro jet pack a razzo. Erano almeno una decina, e tutti armati. Gea ed i suoi minatori si guardarono intorno, spaventati, e tutti fecero un passo indietro. Dai cunicoli emersero gli assaltatori che Zexion aveva visto poco prima e si misero sull’attenti.
Uno dei soldati si avvicinò alle casse e vi passò davanti un sensore. “Comandante, sono i materiali che cercavamo”.
“Eccellente” fece quello, riconoscibile dalle mostrine rosse contro la superficie dell’armatura bianca. “Fate scendere i droidi e riportate tutto in superficie”.
Non occorrevano i suoi poteri per percepire le sensazioni dei minatori. Si alzò quello che prima era un brusio, ma che subito dopo divenne un vociare chiassoso che prese a rimbombare quando dal ventre della miniera si affacciò un altro manipolo di lavoratori, ancora coperti di polvere e con i caschi luminosi accesi. Persino un paio di droidi da carico si fermarono per assistere.
Gea però si fece avanti, sputò per terra e si portò davanti al primo assaltatore a vista “Voi qui non portate via un bel niente. Sono materiali della miniera”.
“Questi materiali ed il loro velivolo sono sequestrati per decreto del Governatore Saruman per violazione dello spazio commerciale del sistema di Naboo. Abbiamo il compito di ritirare il contenuto di queste casse e …”
“Chiedo scusa, comandante”.
Zexion, nonostante la polvere ed il mal di testa causato dalla presenza di tutte quelle persone, prese un respiro profondo e si staccò dal resto della calca; la delegata dei minatori gli scoccò uno sguardo a metà tra il dubbioso ed il grato. Senza dubbio gli abiti formali che indossava lo rendevano ben riconoscibile rispetto ai lavoratori, e si recò dal comandante con i propri documenti bene in evidenza. L’assaltatore li passò sullo stesso scanner usato per valutare le casse ed il loro contenuto, e nell’aria comparve l’olografia con il volto di Zexion e la proiezione dei suoi dati. “Ienzo Whiteflame, MinoTech Inc. Sono il responsabile del convoglio ESPL6 e del suo contenuto. Siamo entrati nello spazio del sistema di Naboo con regolare autorizzazione, può controllarla a bordo della mia nave, se desidera”.
Il soldato, dubbioso, gli restituì i documenti. Nel suo odore era celato un sottile dispiacere.
Forse aspettava solo di cogliere con le mani nel sacco un qualche terrorista ribelle e non, al contrario, un privato cittadino con tutti i dati in regola.
“Abbiamo già ispezionato la sua nave, signor Whiteflame. E non ci sono tracce della sua registrazione all’ufficio dazi; la sua nave è entrata nel nostro settore dichiarando di non avere alcuna attività commerciale in corso, mentre questi materiali dichiarano il contrario”.
Il ragazzo roteò gli occhi al cielo. “Si tratta di una donazione spontanea della MinoTech Inc. allo stabilimento minerario di Onoam. Non è stato coinvolto l’ufficio dazi perché si tratta di una transazione libera, comandante. Ovviamente ho tutta la documentazione del passaggio dei beni con me”.
Si costrinse a rimanere immobile anche quando due assaltatori si avvicinarono per perquisirlo. Fece per dare loro il chip di autenticazione fornito dai Servizi, ma quelli preferirono bloccargli entrambe le mani e prenderglielo con la forza dall’olopad che teneva a tracolla. Da dietro sentì qualcuno dei lavoratori protestare e per tutta risposta i soldati sollevarono i blaster e li portarono ad altezza uomo; Zexion contò oltre una trentina di minatori, ma tutti male in arnese mentre le armature degli assaltatori risplendevano di azzurrino sotto le flebili luci della miniera, segno che avevano almeno due livelli di scudi deflettori alzati. Il Governatore Saruman, era chiaro, non badava a spese quando si trattava di sicurezza.
I secondi sembrarono interminabili mentre i dati caricati sul pad venivano scaricati nel lettore del comandante. Sul suo schermo comparve la copia digitale del documento con il logo della compagnia, così come la lunga serie di firme che attestavano il passaggio di proprietà dei beni; i Servizi, pensò, realizzavano dei documenti falsi così perfetti che avrebbero potuto far passare gli originali come imitazioni. L’uomo prese a scorrere il contenuto del documento, ma a metà della visione spense tutto con un gesto di stizza. “Signor Whiteflame, ci sono due cose a cui non credo. La prima è al Cavaliere del Drago” fece “La seconda è alle donazioni spontanee da parte di colossi dell’industria”.
“Quello a cui lei crede non è …”
“Io preferisco più pensare che questa merce sia stata rubata, signor Whiteflame. E che lei sia un volgare contrabbandiere con dei vestiti migliori della media!”
“Le sue insinuazioni sono …”
I due soldati che avevano appena terminato la perquisizione si avvicinarono e lo presero per le braccia. Provò a divincolarsi, e per tutta risposta quelli strinsero la presa e lo tirarono indietro; uno di loro estrasse un taser a impulsi e Zexion si fermò. Non aveva alcuna intenzione di dargli l’occasione di usarlo.
Il comandante gli fu quasi addosso. Lo superava di una testa intera, e sotto il visore dell’elmo non era nemmeno possibile vederne lo sguardo.
Cosa che per il ragazzo non era un problema. A quella distanza gli odori dell’uomo erano forti e chiari abbastanza da farsi sentire fin dentro il suo stomaco; i minatori, al contrario, si trasformarono in un vortice di sentimenti amari che anche in mezzo alle polveri dei metalli, al sudore ed ai liquidi di purificazione dell’aria gli scivolarono tra i polmoni pungenti come delle spine. Dava loro le spalle, ma avrebbe potuto descrivere l’espressione dei loro visi senza sbagliare. Con la coda dell’occhio vide un paio di soldati farsi avanti e respingere qualcuno dalla folla che stava cercando di venire nella sua direzione. “Quelle che lei chiama insinuazioni, signor Whiteflame, sono le decisioni prese da un comandante di pattuglia nel pieno esercizio delle sue funzioni. Pertanto è pregato di seguirci senza opporre resistenza nei blocchi di detenzioni minerari finché la sua posizione non sarà chiarita del tutto” aggiunse, spegnendo il pad. “E nel frattempo quelle merci contrabbandate verranno requisite fino a nuovo ordine”.
Il brusio che ne seguì rimbombò per tutte le miniere, e stavolta il ragazzo fu sicuro di sentire più di un blaster a cui veniva sganciata la sicura del grilletto. Gea tirò un’imprecazione in grado di polverizzare anche una classa d’acciaio e più di un paio di uomini si mossero verso di lei. Dall’alto scesero un paio di droidi sonda ed iniziarono a scansionare i presenti per registrarne i dati ed alcuni minatori si fecero indietro all’istante per timore di essere segnalati ai supervisori. Zexion non oppose alcuna resistenza e si fece trascinare dagli assaltatori verso uno dei cunicoli, guidato solo dalle loro spinte e da una luce che si faceva sempre più fioca ad ogni suo passo.
La prima parte del piano era stata un successo.
  
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