Videogiochi > Kingdom Hearts
Segui la storia  |       
Autore: Xion92    06/10/2020    1 recensioni
Post-KH3. Kairi è disperata perché non c’è modo di riportare Sora indietro. Ma quando, poco dopo, Ansem il saggio le rivela la verità sul suo passato, per la ragazza si apre una nuova prospettiva di vita.
Cosa significa veramente essere il capo di un mondo e governarlo? Quanti modi ci sono per farlo, e qual è quello più efficace e accettabile al tempo stesso? Quali pericoli, minacce e congiure attendono un principe? Questa è la storia di tre generazioni di sovrani del Radiant Garden, in cui ognuno di loro, a modo proprio, cerca di portare il regno verso la prosperità. Una storia di governo e di politica, fortemente basata su “Il principe” di Machiavelli.
(Il rating è arancione solo per il capitolo 7, tutto il resto dovrebbe mantenersi sul giallo)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kairi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 14 – Come i capelli rossi influenzano il carattere


Quando Kairi aprì gli occhi la mattina dopo, la prima cosa di cui si rese conto era che Kain si era svincolato dalle sue braccia, si era preso tutte le lenzuola lasciandola scoperta, aveva infilato la testa sotto le coperte fin quasi alla fine del letto e aveva appoggiato i piedi sul cuscino. Quando vide che se li stava ritrovando quasi in faccia, Kairi sobbalzò e diede una pacca sul sedere del bambino attraverso il piumone.

“Kain, come sei messo?”, lo rimproverò con una voce ancora assonnata. “Allora non è vero che la notte non ti muovi.”

Il bambino subito si svegliò e si affrettò a rimettere capo e piedi nell’ordine giusto.

“Scusate, Kairi”, sbadigliò facendo sbucare la testa, con i capelli lunghi tutti arruffati, ed appoggiandola sul cuscino.

“Oggi non ti sei svegliato prima di me?” gli chiese Kairi, curiosa.

“No, nel vostro letto si sta comodi. Quindi ho dormito”, e fece per richiudere gli occhi.

“Non riaddormentarti”, lo scosse Kairi per la spalla. “Sai che c’è oggi? Viene Aqua ad allenarmi.”

“Viene Aqua ad allenarvi…” ripeté Kain in un mormorio. “E chi è Aqua? Quella coi capelli blu con cui avete parlato ieri?”

“Sì. E’ una brava maestra del Keyblade. Mi insegnerà a combattere come si deve.”

“Anche voi avete il Keyblade?”, chiese Kain, che stava iniziando a svegliarsi sul serio.

“Esatto. E tu che arma vorrai usare, quando sarai grande?”, gli chiese Kairi.

“La lancia”, rispose con sicurezza Kain. “Come quella di Dilan. Sapete come si attacca con la lancia, Kairi?”

“No, come?”, chiese lei, incuriosita.

“Dall’alto. Si usa per fare un gran salto, alto mille metri, usando il vento e l’aria, e poi bum!, si cade sul nemico con la punta in giù!”, rispose con entusiasmo il bimbo, ormai completamente sveglio, dando una forte manata sul cuscino per dare l’idea della potenza del colpo.

Kairi sorrise. “Adesso, mille metri mi sembrano un po’ troppi. Però ho capito.”

“I guerrieri che combattono così si chiamano dragoni, sapete? Hanno tutta un’armatura bellissima addosso che sembra un drago. E io sarò come loro. Sarò il primo principe a combattere così!”, affermò orgoglioso lui.

“E come farai con la divisa?” gli chiese ancora Kairi, sempre più divertita.

“Ah… ehm…” fece a quel punto il bambino, trovando un inceppo nelle sue aspirazioni. “Beh, terrò sempre addosso la divisa, e quando dovrò combattere mi cambierò e mi metterò l’armatura! Sì!”, esclamò poi, felice di aver trovato una soluzione.

“Mi sembra che tu abbia le idee già molto chiare”, disse Kairi scompigliandogli ancora di più i capelli. “Ma una semplice spada non ti piacerebbe di più?”

Kain scosse la testa con decisione. “No! Voglio la lancia! Voglio combattere usando il vento!”

“Va bene, vuoi la lancia”, annuì Kairi, alzando gli occhi al soffitto. “Adesso alziamoci e andiamo a mangiare, su.”

Prima di alzarsi dal letto però, Kairi pensò ad una cosa: lei era una persona con il sonno molto leggero a cui bastava un niente per svegliarsi, anche quando era molto stanca. Per questo la sera prima aveva chiesto a Kain se tirava calci, russava o si muoveva mentre dormiva. Invece, stranamente, questa notte, nonostante il bambino avesse vagato per tutto il letto, le avesse strappato le coperte e le avesse addirittura quasi messo i piedi in faccia, lei non si era accorta di nulla. Quando mai aveva avuto il sonno così pesante? Era vero che il giorno prima aveva avuto una giornata molto intensa e piena di novità ed emozioni, ma non era certo la prima volta in vita sua che andava a letto esausta, eppure aveva sempre avuto il sonno leggero. Per lo meno, se si fosse ritrovata nel letto un bimbo irrequieto che si muoveva da tutte le parti si sarebbe svegliata di sicuro. Stanotte invece aveva dormito di un sonno così profondo che nemmeno tutti i movimenti di Kain erano riusciti a disturbarla. Meglio. Almeno la notte seguente – perché era sicura che Kain le avrebbe chiesto ancora di dormire con lei – e quelle successive avrebbe dormito comunque bene nonostante la sua presenza.

Adesso era ora di andare di sotto prima che si svegliassero tutti gli altri: come il giorno prima, voleva dare una mano al personale della cucina per preparare la colazione.

 

A tavola, Kain faceva fatica a stare seduto fermo. Si agitava sulla sedia e scalciava impaziente.

“Dopo viene Aqua! Ci pensate, maestà? Viene ad allenare Kairi! Potrò vedere Kairi che picchia un avversario!” ripeteva senza riuscire a stare zitto.

I presenti mangiavano con una passiva rassegnazione e facendo finta di non sentirlo. Ansem si era seduto di fianco a lui, e ogni volta che Kain esagerava gli mollava uno scappellotto sulla nuca. Kain stava buono per un po’ e poi riattaccava con il suo nastro di parole emozionate.

“Non è che devi farti chissà che idee, Kain, Aqua oggi mi metterà solo alla prova per vedere il mio livello. Non aspettarti la battaglia del secolo”, gli disse Kairi appoggiando sul piatto la sua fetta biscottata con la marmellata.

“E se continui a comportarti così, kupò, la farai solo innervosire”, aggiunse Mog, succhiandosi la zampa sporca di zucchero.

“Kain”, lo richiamò con calma Even. “Vuoi comportarti come uno del tuo rango, o no?”

Quelle poche parole dell’apprendista ebbero l’effetto che tutti i richiami di Ansem, Kairi e Mog non avevano avuto. Appena a Kain tornò in mente che in futuro sarebbe stato un principe, si rimise composto sulla sedia, serio e soffocando la sua agitazione.

“Grazie”, sospirò Ansem, guardando il suo apprendista. “Non sono nemmeno le otto del mattino e già sono stanco. Kain, devi imparare a darti una regolata.”

Kairi, ridacchiando, allungò una mano per prendere un’altra fetta biscottata ricoperta di marmellata dal vassoio al centro della tavola.

“Non state esagerando un po’?”, chiese Ienzo nel frattempo. “Ehi, signorina, parlo con voi.”

“Eh?”, gli chiese Kairi, sorpresa, con la mano tesa. “Esagerando?”

“E’ la dodicesima”, rispose Ienzo, guardandola perplesso.

Ad Ansem, che stava bevendo il caffè, andò la bevanda di traverso e, senza perdere la sua dignità regale, tossì con discrezione nel palmo della mano alcune volte prima di recuperare la sua normale compostezza.

“Figliola, dodici fette? So che ti avevo detto di riprendere a mangiare, ma non esagerare, se ti riempi troppo tutto in una volta poi non riuscirai a muoverti come si deve.”

“Ma non è vero che sono dodici…” protestò Kairi, non troppo convinta, perché non aveva tenuto il conto.

“Invece sì, vi ho osservato e le ho contate”, rispose Ienzo con sicurezza.

“Maestà”, commentò Even con ironia “Vostra figlia ha interiorizzato bene il concetto di rimettere su peso.”

“Ma non devi neanche eccedere nell’altro senso, Kairi”, si raccomandò il vecchio principe. “Se sono già dodici, fai basta, o ti faranno male. Mangerai di più a pranzo.”

“Ma in realtà…” provò a ribattere Kairi, ma quando vide che il suo vecchio padre la fissava con uno sguardo severo che non ammetteva repliche, annuì e lasciò stare la fetta biscottata.

“Ah-ah, Kairi è una mangiona e non lo sapevamo!”, non poté evitare di commentare Kain, perdendo la sua forzata compostezza e battendosi una mano sulla coscia. “Attenta che poi la divisa non vi entra!”

“Tu non ricominciare”, lo ammonì Ansem. “Ci manca solo che non le entrerà la divisa quando sarà ora, gliel’ho fatta fare sulla misura del suo peso forma.”

 

Kairi, pronta e solo con una maglietta e dei pantaloncini addosso, poco prima delle nove si mise davanti al portone del castello ad aspettare, con le guardie dritte accanto a lei, ognuna da una parte. Per la verità quella mattina faceva abbastanza freddo, ma lei era sicura che durante la prossima ora si sarebbe mossa parecchio e si sarebbe scaldata per bene, e quindi non si era preoccupata di vestirsi leggera.

Quando scoccarono le nove, i presenti videro qualcosa che, nel cielo bucava la coltre di nubi grige, e il profilo di Aqua, con la sua armatura argentea addosso e a cavalcioni del suo Keyblade opportunamente trasformato, apparve in un bagliore di luce e in pochi attimi atterrò davanti a Kairi. Aqua smontò dalla sua arma e l’armatura si dissolse.

“Maestra!”, la salutò Kairi con rispetto avvicinandosi, e Aqua la abbracciò stretta in modo affettuoso. “Puntualissima, vedo!”

“Che bello rivederti!”, esclamò la ragazza più grande, stringendola a sua volta. “Certo, non potevo di sicuro arrivare in ritardo per una persona come te! Hai dormito bene stanotte?”

“Sì, ma ero un po’ emozionata per oggi”, annuì Kairi. Si meravigliò di constatare come ormai la differenza di altezza tra loro due non fosse più molta, anzi, ormai Kairi l’aveva praticamente raggiunta.

“Aqua!”, la salutò il vecchio principe, con Kain di fianco a lui, uscendo dal portone, ben vestito, con la giacca color panna a maniche lunghe, le placche d’armatura sulla spalla, la cintura stretta in vita, i pantaloni neri e la sciarpa rossa girata due volte attorno alle spalle. “Che onore ricevervi come ospite!”

“Principe Ansem”, salutò Aqua facendo un rispettoso inchino.

Anche Kain si avvicinò e, come aveva fatto con Kairi due giorni prima, salutò l’ospite prendendole la mano e baciandogliela.

“Oh, ma chi abbiamo qui?”, chiese divertita Aqua, compiaciuta da quel bimbo così rispettoso, chinandosi per avere la testa all’altezza della sua.

“Il futuro principe”, rispose Kairi, lanciando un’occhiata di intesa alla maestra. A lei poteva dirlo, visto che Aqua non faceva parte del popolo di quel mondo e non avrebbe potuto in alcun modo creare dei problemi a Kain.

“Ma allora non c’è dubbio su chi sia la persona più importante fra i presenti”, aggiunse Aqua, e chinò la testa davanti al piccolo. “I miei rispetti, altezza.”

Kain voleva fare lo stoico, ma a quell’inchino si emozionò e girò la testa imbarazzato, con le guance arrossite.

Le due ragazze si misero a ridere, e Aqua chiese a Kairi: “dove pensavi di volerti allenare?”

“Aspetta, Aqua”, la interruppe Ansem. “Kairi ieri sera mi ha detto. Ma non devi preoccuparti, non ho intenzione di lasciarti fare questo servizio gratis.”

“State tranquillo, maestà, è una cosa che faccio con piacere”, rispose Aqua con modestia. “Non voglio denaro da voi, non c’è problema.”

Ansem allora la guardò con rispetto e si inchinò davanti a lei, nonostante fosse il principe regnante di quel mondo. “Sappiate che sarete sempre la benvenuta e sarà per noi un onore ospitarvi ogni volta che vorrete.”

Aqua annuì e si rivolse a Kairi. “Allora?”

“Ma veramente… non so…”, rifletté la più giovane, pensierosa. “Abbiamo dei giardini privati, ma adesso piove. Forse è meglio trovare una stanza dentro il castello.”

“No, invece va benissimo”, assicurò contenta Aqua. “Tieni conto, Kairi, che ti potrà capitare di combattere con qualunque condizione atmosferica. Pioggia, neve, caldo, tutto. Quindi se piove, c’è fango e si scivola, tutto ciò mi permetterà di valutarti con un parametro in più. Sennò sarebbe troppo comodo, non pensi?”

“Oh, certo”, annuì subito Kairi. A questo non aveva pensato. Effettivamente era vero: l’allenamento doveva rispecchiare le vere condizioni di battaglia. Lei non sapeva dove avrebbe combattuto più avanti, quando o contro che nemici. Era il caso quindi di prepararsi a tutto.

“Allora andiamo in uno dei nostri due giardini privati, d’accordo”, assentì, e si girò verso suo padre.

“Tranquilla, figliola, io e i miei apprendisti ci prenderemo una pausa dal lavoro e vi verremo a vedere”, la rassicurò Ansem. “Adesso ti apro il cancello. E tu…”, volse lo sguardo in basso di fianco a sé. “Cerca di non distrarre Kairi. Altrimenti ti riporto dentro”, ammonì Kain.

 

Una volta nel giardino privato della famiglia reale, che era più piccolo di quelli pubblici ma comunque abbastanza grande per poterci svolgere un combattimento, pieno di fango e col terreno scivoloso per l’acqua piovana, Aqua si portò da un lato mettendosi alla massima distanza da Kairi. La pioggia batteva implacabile sulle due ragazze, ma non era molto potente, così che, parlando a voce alta, potevano sentirsi a vicenda. Il vecchio principe, con Kain stretto a sé, e i due apprendisti, stavano in disparte vicino al cancello, al sicuro sotto i loro ombrelli.

Aqua evocò il suo Keyblade, ed anche Kairi richiamò il suo.

“Allora, Kairi”, gridò Aqua dalla sua postazione. “Quello che voglio adesso è che mi attacchi, per vedere a che punto sei.” Poi socchiuse appena gli occhi, in maniera rilassata. “Come sai, essendo donne non possiamo contare molto sulla forza fisica, ecco perché personalmente concentro il mio stile sulla magia, e penso che anche per te…” Mentre parlava in modo tranquillo e noncurante, quasi desse l’impressione di non preoccuparsi per nulla dell’avversaria che aveva di fronte, sentì un veloce rumore dato dallo sguazzo sul fango, ed aprì in tempo gli occhi per vedere Kairi precipitarsi addosso a lei come una scheggia, col Keyblade pronto e un’espressione concentrata e determinata sul viso. Aqua venne presa talmente alla sprovvista che non trovò neanche il tempo di parare: dovette fare uno scatto all’indietro per sfuggire al colpo di Kairi. Evitato quello, si preparò a contrattaccare, ma Kairi non le diede un attimo di tregua e non le lasciò il tempo di organizzarsi. Subito diede un fendente, poi un altro e un altro, che Aqua riuscì ad evitare sempre per un soffio, ma senza comunque riuscire a rispondere. Le combo della futura principessa erano veloci e precise: due colpi erano dati rapidi tenendo l’arma con una mano sola, e per il colpo finale, con una specie di incantesimo, il Keyblade le si staccava dalla mano, quasi dissolvendosi faceva dei cerchi rapidi attorno a lei, potendo potenzialmente colpire tutto ciò che le stava attorno. Solo grazie alla sua grande abilità, Aqua riuscì a schivare e parare tutti quei colpi.

“Va bene, va bene, basta!”, le comandò la più grande dopo un po’ che andava avanti in questo modo.

Kairi obbedì e si fermò, ansimando leggermente e senza alleggerire l’espressione.

“Accidenti”, commentò sorpresa Aqua. “Cosa volevi dimostrare con questo?”

“Non lo so…” rispose Kairi, che si stava calmando. “Non penso nemmeno di averlo fatto in modo del tutto consapevole… ti ho visto lì, sapevo che eri la mia avversaria e dovevo combatterti, e mi sono sentita una grande forza dentro. Scusa se sono partita all’improvviso…”

“No, la colpa è stata mia. Quando è ora di combattere, non bisogna mai chiudere gli occhi. E’ che ti avevo sottovalutata.” La rassicurò Aqua. “Comunque ho visto quella forza che dicevi. Non hai usato nemmeno un incantesimo. Ti trovi meglio a combattere usando la forza fisica? E’ una cosa molto strana… anche se abbiamo uno spirito forte, siamo comunque donne, lo sai.”

“Sì, mi trovo meglio con gli attacchi fisici. E mi sembra che funzionino. Non so perché…” cercò di spiegarsi Kairi.

“Va bene, adesso il perché non è importante. Quello che conta è che trovi uno stile tuo. Se ti trovi meglio con la forza invece che con la magia, va bene lo stesso, basta che sia efficace.”

Kairi fu contenta che la sua nuova maestra non cercasse di forzarla a cambiare il suo stile di combattimento cercando di farlo assomigliare al proprio, ed annuì con rispetto.

“Woah, avete visto? Avete visto tutti?!”, si sentì gridare dal bordo campo in modo eccitato. “Guardate Kairi come mena!”

E a quel punto la voce severa e profonda di Ansem rispondere: “Kain, se non la finisci subito, questo giardino non lo vedi fino a primavera.”

Le due donne risero divertite, e Aqua disse: “vogliamo continuare? Torna al tuo posto. Stavolta non mi farò trovare con la guardia abbassata.”

Kairi annuì e, con la pioggia che continuava a infiltrarsi tra i suoi capelli, offuscandole la vista e inzuppandole i vestiti, si preparò di nuovo, irrigidendo i muscoli e fissando negli occhi la sua avversaria, altrettanto pronta e concentrata. A un guizzo negli occhi di Aqua, Kairi decise di utilizzare l’altra tecnica in cui era abile. Con un veloce movimento della mano, lanciò il Keyblade verso di lei e, quando fu arrivato vicino alla donna più grande, si teletrasportò in un fascio di luce, riapparendo vicino alla sua arma, riafferrandola e menando dei forti colpi.

Aqua, esterrefatta dall’utilizzo di una tale tecnica, benché fosse concentrata non si aspettava una mossa simile, e quindi le ci volle un po’ per potersi riprendere ed iniziare a riuscire a parare. Appena ebbe un attimo di respiro, evocò un campo di forza attorno a sé per allontanare Kairi e riuscire a riorganizzarsi. “Firaga!”, gridò lanciando un incantesimo contro la sua allieva. Kairi riuscì a pararsi in tempo evocando anche lei il medesimo campo di forza di Aqua.

“Sei brava, Kairi… non avevo mai visto niente di simile all’attacco di prima” commentò Aqua, impressionata. Senza fermarsi, lanciò altri tipi di incantesimi elementali contro di lei, e Kairi riuscì a pararli o ad evitarli quasi tutti, sfruttando anche il modo particolare che lei utilizzava per sfuggire ai colpi: scivolare con i piedi, e il terreno fangoso su cui si trovava in questo la aiutava. Non si sentiva in difficoltà: una volta aveva combattuto contro Xehanort, con l’armatura addosso e armato con un gran numero di Keyblade – anche se con l’aiuto di Sora. Cosa poteva mai essere a confronto una piccola lotta con Aqua che voleva solo testare il suo livello e non stava nemmeno usando tutte le techiche che conosceva? Oltretutto la forza fisica e l’agilità erano proprio gli elementi su cui aveva scoperto di poter puntare.

Dopo alcuni minuti, Aqua si fermò. “Pausa!”, gridò. Kairi, obbediente al comando della sua maestra, si fermò anche lei, e rimase a guardarla col fiatone, ma sentendosi forte e sicura di sé. Allora, cosa pensi, Aqua? Si chiese fra sé e sé, ansiosa di sapere il suo giudizio. Mi reputerai capace di difendere il Radiant Garden?

“Ho visto che hai una buona tecnica di attacco e sai anche parare piuttosto bene”, si complimentò Aqua. “Ma adesso voglio vedere come te la cavi con la magia. Mi attaccherai con le magie e basta, senza usare la forza, vediamo se riuscirai a prendermi.”

“In realtà…” obiettò allora Kairi. “Non sono molto brava con la magia, ti avviso. Non è il mio forte, ecco.”

“Questo lo vedremo. Non dobbiamo trascurare nulla.”

Posizionandosi di nuovo al loro posto, al via della più grande Kairi subito scelse una magia elementale. “Firaga!” gridò, sprigionando una forte vampata dalla punta del Keyblade. Aqua, che su questo era ferrata, lanciò un’idroga di potenza maggiore, riuscendo a spegnere le fiamme prima che arrivassero a lei. Subito Kairi, senza darle tregua, lanciò una thundaga, ed Aqua riuscì ad evitare anche quello parando con un campo di forza. Similmente, Kairi le lanciò contro tutte le magie che conosceva, ma Aqua riuscì a schivarle tutte.

“Basta così!”, mise lo stop dopo altri quattro o cinque attacchi. “Sei brava, Kairi! Ovviamente in questo non puoi superarmi, io sono specializzata nelle magie, ma anche i tuoi attacchi sono di alto livello. Perché dubiti delle tue capacità?”

Kairi fu piacevolmente sorpresa da questo giudizio, e allo stesso tempo non seppe cosa rispondere: non era sua abitudine ritenersi sicura su cose in cui era convinta di avere carenze, e non aveva pensato, prima d’ora, che gli attacchi di magie elementali fossero cosa per lei. Era convinta e consapevole della sua potenza fisica e della sua agilità, ma aveva sempre ritenuto la magia come un fattore secondario. Adesso invece Aqua le stava dicendo che era brava anche in quelle, e sentì il suo orgoglio, proprio del suo stato regale, affiorarle nel sangue, sorridendo soddisfatta.

“Credevo… di non essere molto capace in quanto a magia”, cercò di spiegarsi. “Ma forse mi sottovalutavo.”

 “Direi”, annuì Aqua, incoraggiante. “Adesso voglio valutare la tua resistenza fisica. Voglio che per i prossimi minuti eviti gli incantesimi di parata e usi solo la tua velocità per evitarmi. Non dovrai contrattaccare, ma solo sfuggirmi, così le volte che riuscirò a prenderti, potrò farmi un’idea precisa di quanto riesci ad accusare i colpi. Quindi metti via il Keyblade.”

“D’accordo, ci provo”, annuì Kairi. Questa era difficile: la battaglia tremenda che aveva sostenuto contro Xehanort le aveva fatto capire in modo chiaro quali fossero i suoi punti di forza e quali no e, senza possibilità di sbagliare, ricordava bene come la resistenza non fosse esattamente uno di questi. Ma la sua maestra la doveva valutare, quindi non poteva tirarsi indietro. Fece sparire la sua arma e rimase in attesa, concentrata. Aqua subito si avvicinò a lei, dando colpi precisi cercando di centrare diverse parti del suo corpo. Kairi, che era agile, sfruttando il terreno fangoso e scivoloso riuscì ad evitare parecchi colpi, ma sentì comunque alcune botte arrivarle addosso. Prima un braccio, poi la spalla, poi il fianco, la schiena, una gamba… nonostante i colpi fossero forti, riuscì ad accusarli senza cadere a terra, nonostante il tempo di ripresa per lei non fosse così scontato, e anche se le riusciva difficile, cercò di continuare ad evitarli.

“Hai una resistenza discreta”, giudicò alla fine Aqua. “Diciamo sufficiente. Ma è normale per una donna con la tua fisicità. Ci lavoreremo, vedrai che col tempo riuscirai ad accusare ancora di più senza che ti calino le energie. Facciamo un esercizio più leggero, adesso?”

Kairi però non si sentì soddisfatta di quel giudizio che la sua maestra le aveva dato. Forse Aqua aveva ragione quando diceva che lei era più capace di quello che pensava di essere. Con la magia era stato così, perché con la difesa non doveva essere lo stesso? “Ho ancora parecchie energie!”, le rispose, cercando di mostrare che le sue forze non erano affatto calate. “Continuiamo ancora un po’ con questo. Vedrai che ce la faccio.”

“Kairi, non ti sforzare!”, la ammonì Ansem dal bordo campo.

“No, va bene così”, rispose Aqua. “Mi piaci, Kairi, sei davvero coraggiosa e determinata, quando ti rendi conto delle tue capacità. Se proprio vuoi, continuiamo ancora con questa prova.”

Kairi, sorridendo compiaciuta, annuì, preparandosi a proseguire. Sentiva di essere ancora in forze e con energie sufficienti: dopo tutti quei complimenti e la prova indiscutibile della sua abilità, si stava iniziando a sentire più sicura di sé, e non voleva che la sua maestra si facesse un’idea sbagliata, pensando che non avesse abbastanza resistenza.

Evitò ancora con successo parecchi colpi, prendendone comunque qualcuno su punti già toccati in precedenza, ma non se ne curò molto. Poteva sopportarli. Ed infine, approfittando di un suo momento di ripresa da una scivolata, Aqua mollò una spadata tenendo la mano bassa ed orizzontale, centrando il ventre dell’altra ragazza, un punto che prima non era mai stato toccato. Era un colpo forte sì, ma non comunque più potente degli altri che le aveva dato in altre parti, anzi, forse vista la zona delicata, ci aveva messo anche meno potenza.

Ma non appena Kairi sentì il colpo sulla pancia, un forte dolore, che le afferrò le viscere e si propagò per tutto il suo corpo, la fece rimanere paralizzata. Era talmente intenso che i polmoni le si svuotarono senza nemmeno lasciarle la forza per gridare. Sentì i muscoli delle gambe non rispondere più, e cadde riversa sul fianco, nel fango, boccheggiando senza fiato, mentre l’acqua sporca le entrava negli occhi e nella bocca.

“Kairi, scusa!”, sentì gridare allarmata la voce di Aqua. Subito la sua maestra mise via il suo Keyblade e le si avvicinò, abbassandosi per controllarla. “Kairi, come stai? Mi dispiace, non credevo che ti avrei fatto così male…”

Kairi, che aveva il fiato spezzato e non riusciva nemmeno a parlare, istintivamente si strinse il ventre con le braccia quasi sperando di mandare via quel dolore terribile, ma non c’era niente da fare. Era come se qualcosa dentro di lei si fosse schiantato. Sentì il terreno vibrare, qualcuno che correva nel fango, e dopo poco vide i piedi di suo padre, di Kain e degli apprendisti vicino a lei.

“Kairi!” Questo era Ansem. “Kairi, figliola, riesci a dirmi qualcosa?”

“Kairi, Kairi!” gridò Kain, avvicinandosi, buttandosi in ginocchio incurante del fango che gli sporcava i pantaloni e gettandole le braccia al collo. “E’ stato un colpo forte quello, stai bene?” e fece per accarezzarle la pancia, forse nella speranza che avvenisse come quando si aveva un crampo: con un massaggio passava, a lui era capitato tante volte. Ma Kairi, senza sapere nemmeno in modo razionale perché, pur con il dolore che sentiva, riuscì ad allungare un braccio verso di lui ed afferrò la mano del bambino prima che potesse raggiungerle il ventre, allontanandola. Non voleva che nessuno la toccasse lì, e non sapeva spiegarsene la ragione, anche perché sentiva che, dopo i primi attimi tremendi, il dolore lentamente stava iniziando a lenirsi. Poteva anche lasciare che Kain le esprimesse il suo affetto in quella maniera, ma non voleva. Era come se dovesse proteggere qualcosa da chiunque non fosse lei.

“Figliola, adesso stai buona e tranquilla, che ti portiamo in ospedale”, disse Ansem, cercando di mantenere il tono controllato, e si girò verso il cancello per chiamare una delle due guardie.

“No, per una cosa così leggera non servirà”, intervenne Aqua, ed evocò di nuovo il Keyblade, puntandolo verso la ragazza. “Curaga!”, gridò, facendo uscire dalla sua arma un fascio di luce e scintillii verdi.

Kairi sentì che il dolore al ventre le stava velocemente passando, e dopo pochi attimi riuscì senza fatica a sollevarsi. Si tirò su a sedere e lentamente si rimise in piedi, sentendo l’acqua e il fango gocciolarle dai capelli e dai vestiti. Alzò lo sguardo e vide che tutti la stavano guardando con apprensione. Kain si stava tenendo la mano che Kairi gli aveva allontanato con l’altra, con in viso un’espressione così ferita che lei quasi si sentì in colpa, e dovette distogliere gli occhi da lui.

“Stai un po’ meglio?”, le chiese ansioso suo padre. Kairi lo guardò in viso ed annuì. Non stava mentendo per farli smettere di preoccupare. Non sentiva più nessun tipo di dolore, Aqua era stata così brava col suo incantesimo da averla rimessa completamente in sesto.

“E allora perché vi tenete ancora la pancia?”, chiese Ienzo, con voce dubbiosa.

Solo allora Kairi si rese conto che non si era più tolta le braccia dal ventre per tutto quel tempo, e se prima poteva essere giustificabile, perché premere sulla parte dolorante attenuava un po’ il dolore, adesso che si sentiva di nuovo bene non c’era motivo perché continuasse a stringersi la parte che prima le faceva male. Ebbe la stessa sensazione di prima, che istintivamente stesse cercando di proteggere qualcosa di specifico, e questo qualcosa non era lei o una parte del suo corpo. Anche se non era di certo un pensiero cosciente che aveva formulato. Allora si tolse finalmente le mani di dosso, allineandole ai fianchi.

“Grazie, maestra, adesso sto di nuovo bene”, chinò la testa davanti ad Aqua. “Vogliamo… riprendere?”

“Tu oggi non riprendi proprio niente”, le disse perentorio suo padre, con la preoccupazione nella voce. “Non voglio vederti stramazzare di nuovo come è successo prima. Adesso stai tranquilla nel castello e riposati. Riprenderai la prossima volta, sarà Aqua a decidere quando.”

Kairi si stupì di come suo padre mostrasse di essere davvero preoccupato per lei, e decise di non insistere. Forse, a parte quel piccolo incidente, Aqua aveva avuto una chiara dimostrazione delle sue capacità.

“Maestra, è ancora presto, vuoi fermarti un po’ con noi?”, le chiese.

“Volentieri”, annuì Aqua, sorridendo. “Non ho mai visto da dentro il castello del Radiant Garden, sarà un piacere vedere la tua nuova casa.”

“Almeno ci diamo una lavata, che non fa che stiamo con tutto questo fango addosso”, scherzò Kairi, tornata di buon umore.

 

Mentre si avviavano verso l’entrata, Aqua, ora al sicuro sotto l’ombrello retto da Kairi di fianco a lei, alzò gli occhi verso l’imponente costruzione, con sguardo ammirato.

“Certo che questo castello è davvero bizzarro, non trovi? Io ho visto in passato castelli di altri regni, del regno di Aurora, di Biancaneve, di Cenerentola… ma il tuo è di certo il più particolare.”

“Sì”, annuì Kairi. “Con tutte queste guglie e costruzioni strane, quella macina sul davanti… non è qualcosa che si vede in ogni mondo.” Chissà se anche tutto questo era stato voluto da quello strano principe di cui aveva letto la sera prima?

“Ma a modo suo dà una grande idea di potenza. Sembra qualcosa fatto apposta per intimorire chi lo guarda”, commentò Aqua.

Allora Kairi capì che forse l’aspetto del castello aveva quello scopo lì: forse era come una rappresentazione del potere di chi governava, e avere timore davanti a quel castello equivaleva ad avere timore del principe. La politica di quel regno era sempre stata questa, in fondo.

Una volta dentro, Kairi fu felice di accogliere Aqua nella sua camera. Le due donne non avevano molta voglia di stare in compagnia degli altri abitanti del castello: stare un po’ da sole, tra ragazze, avrebbe fatto bene a tutte e due. Kairi, in fondo, si sentiva molto sola in quel gigantesco castello in cui la sua nuova famiglia era composta da uomini molto più grandi di lei e da un bambino piccolo. Sentiva il bisogno di un’amica della sua età, e sperò che Aqua lo capisse.

Dopo essersi lavate e riscaldate a turno nel bagno collegato alla camera di Kairi, la più giovane si sedette sul letto e lasciò la poltrona alla più grande. Kairi era curiosa di conoscere il giudizio che le avrebbe dato la sua maestra. Sperò che il suo stramazzo a terra dell’ultima parte dell’allenamento non influenzasse troppo il suo voto.

“Allora, Kairi”, disse scherzosa Aqua. “Com’è che hai voluto che io ti allenassi? Di cosa pensavi di avere bisogno?”

Kairi era interdetta. Non riusciva a capire cosa significasse quella frase. “Ecco… di tutto?”, azzardò.

Aqua alzò appena lo sguardo al soffitto. “Guarda, ti dico subito che credo di aver compreso perché Xehanort ce l’avesse tanto con te, quella volta.”

Kairi, curiosa anche lei di sapere il motivo, la fissò, attendendo che proseguisse.

“Perché se ti avesse lasciata fare, probabilmente saresti bastata tu per sistemarlo”, sorrise soddisfatta.

Kairi si sentì arrossire e girò il viso, non riuscendo a guardarla. “Non esagerare, maestra… non credo di essere così brava come dici.”

“In realtà non vedo proprio cos’altro potrei insegnarti io che tu non sai. Sì, forse a perfezionare ed affinare qualcosa, ma mi sembra che tu abbia delle basi ottime. Questo è il mio giudizio”, sentenziò la più grande.

Kairi allora la guardò di nuovo apprensiva. Questo stava forse a significare che Aqua non sarebbe più tornata e non sarebbe più stata con lei?

“Ma mi rendo conto che anche delle buone abilità si possano perdere, se non ci si tiene allenati”, continuò la maestra. “Quindi, se per te va bene, verrei qui due volte alla settimana per allenarmi una mattinata con te. Vedrai che in questo modo migliorerai e non ti dimenticherai nulla di tutto quello che sai.”

Kairi si sentì enormemente sollevata. Capì il motivo delle sue parole: in parte era vero ciò che aveva detto, ma sapeva anche che Aqua era una donna dotata di una grande empatia, e di sicuro aveva percepito il senso di solitudine e smarrimento in cui si trovava Kairi, in quel mondo nuovo, e non aveva intenzione di lasciarla sola, senza una figura amica vicino. Perciò, senza riuscire a trattenersi, si avvicinò a lei e la abbracciò al collo, con riconoscenza.

“Grazie, maestra… mi rende davvero felice il tuo giudizio. Facciamo così, allora.”

Anche Aqua la strinse forte di rimando, e Kairi sentì un forte affetto nel suo abbraccio. Era sicura che Aqua non si era mai dimenticata di quando l’aveva incontrata da piccola, le aveva trasmesso la capacità di impugnare il Keyblade e le aveva lanciato l’incantesimo di protezione per difenderla dalle minacce che avrebbero invaso il suo mondo. In qualche modo, quel loro primo incontro le aveva legate, ed era un vincolo che, con buona probabilità, coltivandolo nel modo corretto, sarebbe nel tempo diventato più forte.

Quando Kairi tornò a sedersi, Aqua le chiese come si stesse trovando in quel mondo per lei nuovo, e Kairi, felice di poter raccontare le sue impressioni a qualcuno, le descrisse nei minimi dettagli tutto quello che aveva visto in quei pochi giorni. Le descrisse come le erano sembrati i quartieri, gli abitanti, suo padre e Kain, ed anche i problemi che era riuscita a carpire dalle bocche dei sudditi. Aqua ascoltava interessata, facendo ogni tanto qualche domanda per avere un chiarimento, visto che Kairi aveva tante cose da dire, e passava velocemente da un argomento all’altro senza seguire un ordine preciso.

“Secondo te”, le chiese infine Kairi “faccio bene a voler governare in questo modo? Volendo essere un’amica dei sudditi, e non cercando di mettere loro paura?”

Si sentiva in tensione: l’opinione della sua maestra per lei voleva dire molto, e se anche lei, oltre a suo padre, le avesse dato un’opinione negativa, forse avrebbe sul serio dovuto riconsiderare tutte le decisioni che aveva preso.

“Penso che la tua decisione sia giustissima, Kairi”, annuì Aqua, convinta. “Non sono e non sarò mai una principessa, ma se fossi al posto tuo, farei esattamente come te, seguendo i tuoi ragionamenti. Non si può pensare di governare un popolo mantenendolo nella paura, sarebbe una cosa davvero orribile. I sudditi devono fidarsi di te e sapere che potranno sempre contare su di te. Quindi hai tutto il mio appoggio.”

Kairi sospirò di contentezza. Aqua era d’accordo con lei. Per lei non c’era più nessun dubbio. Avrebbe continuato nel modo che aveva deciso, senza più porsi domande.

“E a te, come vanno le cose a casa?”, si informò poi Kairi. “Terra e Ventus stanno bene?”

“Sì, stanno bene tutti e due, Ventus è diventato grande anche lui e non ha più bisogno di me, ormai. E’ anche per questo che sono contenta di aver trovato un’allieva come te”, le sorrise Aqua, e Kairi ne fu contenta: per quello che sapeva, Aqua aveva sempre avuto un forte istinto materno verso Ventus, e adesso che lui era cresciuto, forse stava trovando in lei un suo sostituto, qualcuno di cui occuparsi in futuro.

“E Terra… beh, ti ho detto, lui e Riku si sono messi in contatto e li ho sentiti un po’ parlare. Sembra che vadano molto d’accordo. Sei proprio sicura di non volermi dire cos’è successo?”, chiese Aqua preoccupata. “Nemmeno Terra ha voluto dirmelo, penso che Riku si sia confidato con lui e sia una cosa che hanno deciso di tenere per loro.”

Kairi ci pensò un po’ su. Confidarsi anche lei con Aqua, come Riku aveva fatto con Terra? Aprirsi confessandole tutto o tenersi questo peso per sé? Alla fine, decise di non dirle nulla. Si sentiva terribilmente in colpa per come erano andate le cose con il suo amico, e parlare di lui e pensarci l’avrebbe fatta stare ancora peggio, senza la possibilità di risolvere comunque niente.

“No, guarda… preferisco di no” mormorò a testa bassa.

Aqua non cercò oltre di convincerla. “Quando vorrai, sai che sono qui. Deciderai tu se parlarmene o meno, in futuro. Io non te lo chiederò di nuovo.”

Kairi si sentì molto sollevata da quelle parole e dalla comprensione che la sua maestra le dimostrava. Forse più avanti le avrebbe spiegato quello che era successo con Riku, ma ora non se la sentiva. Anche se sapeva perfettamente che la colpa del loro litigio era sua, per il momento associava il ragazzo solo a sensazioni negative: la sofferenza perché non si ricordava di Sora, il risentimento per il modo freddo e rabbioso in cui era stata trattata, la consapevolezza che lui adesso aveva preso un’altra strada e con lei non avrebbe più voluto avere a che fare… da una parte Kairi sentiva il desiderio di riappacificarsi con lui, dall’altro non lo voleva più vedere, ne pensare a lui o sentirlo nominare. In realtà, pensava che la spaccatura fra loro due che si era creata non si sarebbe potuta riempire in alcun modo. Doveva accettarlo e tirare avanti: era inutile restare attaccata alla propria vita passata. Solo il ricordo del suo innamorato ancora la faceva guardare indietro. Se non fosse stato per quello, avrebbe volentieri cancellato tutto.

Le due ragazze restarono insieme fino all’ora di pranzo: Kairi le mostrò la sua stanza, facendo attenzione a non farle vedere la lettera che aveva scritto due sere prima a Sora, e dopo che Aqua si fu ambientata rimasero a chiacchierare di cose più leggere: Kairi era molto curiosa verso i mondi che componevano l’universo, qualcuno era riuscita a vederlo insieme a Sora prima che lui sparisse, ma sapeva che ce n’erano molti altri di cui non sospettava nemmeno l’esistenza. Quanto avrebbe voluto visitarli tutti insieme al suo innamorato, se solo lui ci fosse ancora stato. Non potendo farlo, volle sapere da Aqua tutti i dettagli sui vari mondi che lei aveva visitato ormai tredici anni prima, e Kairi ascoltò con grande piacere e trasporto la descrizione di tutti quei paesaggi, quei castelli, quelle persone che la sua maestra aveva aiutato, e tutto quello che aveva fatto nel frattempo per cercare di salvare i suoi amici.

Solo per caso, dopo poco tempo che parlavano, buttò un occhio all’orologio sul comodino.

“E’ quasi ora di pranzo!”, esclamò sorpresa. “Quanto siamo state qui a parlare?”

“Ormai sono due ore”, rispose contenta Aqua. “E’ volato il tempo.”

“Maestra, grazie per essere stata con me, ma adesso devo andare”, le disse Kairi, alzandosi sentendosi di fretta. “Ho promesso a una famiglia del popolo che oggi sarei stata a mangiare da loro.”

“Che cosa bella!”, commentò Aqua. “Vedrai, sarai una principessa fantastica, Kairi. Anch’io vado, Terra e Ventus mi aspettano per pranzo. Noi ci rivediamo fra tre giorni, va bene?”

“Sì”, annuì Kairi. Entrambe le donne erano contente, perché tutte e due avevano trovato nell’altra un soddisfacimento a un bisogno che avevano: Aqua aveva trovato una nuova persona di cui occuparsi, e Kairi aveva trovato una nuova amica con cui poter rilassarsi, essere in sintonia e trovare un attimo di respiro agli impegni del regno.

 

Una volta fuori, le due ragazze si separarono, Aqua partì verso casa sua usando il suo Keyblade come mezzo di trasporto, e Kairi si diresse verso la casa di quella sarta che aveva aiutato il giorno prima, cercando di non correre per evitare di arrivare spettinata e sudata. Cercando di adeguarsi al suo futuro ruolo, mantenne un passo sicuro e dignitoso, pur evitando di lasciar trasparire alcunché che potesse sembrare intimidatorio. Se qualcuno l’avesse incrociata per strada, avrebbe subito capito che la sua futura principessa era una donna sicura di sé e forte, ma che non aveva intenzione di far del male o minacciare nessuno. Visto che però era ora di pranzo e per di più pioveva, non incontrò nessuno, e superò in fretta i vari gruppi di case per ritrovarsi di fronte all’abitazione della famiglia a cui il giorno prima aveva promesso di venire per un pranzo.

Tirò un gran respiro per calmarsi, visto che aveva camminato con passo veloce per tutto il tragitto, e suonò il campanello di fianco all’entrata.

“E’ arrivata, è arrivata!”, sentì gridare due vocette da dentro, e subito dopo la porta si aprì, con il fratello più grande che nel frattempo dava uno spintone a quello più piccolo per poterlo allontanare da lei.

“Buongiorno, bambini!”, li salutò allegra Kairi, piegandosi leggermente sulle ginocchia per mettersi alla loro altezza. “E’ tornata la mamma?”

“Entrate, entrate pure!”, si sentì a quel punto, e Kairi, con i bambini che le facevano spazio tra un inchino e l’altro, entrò nella casetta dopo essersi asciugata le scarpe. “Bambini, fate accomodare la nostra ospite. Scusate, signorina, se non vengo ad accogliervi, sto sorvegliando la zuppa perché non si bruci.”

“Non vi preoccupate”, rispose Kairi, sentendosi in qualche modo contenta: se una futura principessa si presentava a casa di un suddito, ci si aspettava che la padrona di casa mollasse tutto e venisse a fare inchini su inchini, tremabonda e sottomessa, e invece, visto che la donna si era resa conto che da Kairi non c’era da temere, la stava trattando come un’ospite normale, di riguardo sì, ma non certo come ci si aspetterebbe per un reale. Contenta che il concetto di non farsi temere fosse passato, chiese ai piccoli: “allora, avete aiutato la mamma a mettere a posto?”

“Sì, sì, ho fatto tutto io!”, si vantò il più piccolo.

“Brutto bugiardo, non è vero, ho messo a posto io, tu stavi a guardare e basta!”, protestò il grande, e diede un altro spintone al fratello, che si mise a piagnucolare.

“Su, su, non si risolvono queste cose con la violenza”, li ammonì Kairi. “Siete stati bravi tutti e due, ne sono sicura.” Poi guardò dentro una delle stanze che si affacciavano sul breve corridoio, e notò un divano un po’ logoro e un tavolino di legno al centro della stanza. Intorno, c’erano alcuni scaffali con dei libri per bambini e uno scatolone con dei giocattoli che avevano un che di vissuto.

“Questo è il salotto?”

“Sì, e di là c’è la cucina, venite!”, la invitò il più grande e la guidò stando davanti a lei, mentre il piccolo era alla retroguardia.

Kairi vide che c’era un grande tavolo, sempre di legno, al centro della cucina, e in un angolo c’erano i fornelli su cui la sarta che aveva conosciuto il giorno prima stava mescolando la minestra.

“Signorina Kairi!”, la salutò la donna lasciando per un attimo il suo lavoro ed inchinandosi. “E’ quasi pronto. Sedetevi pure, mentre la zuppa si stringe.”

“A capotavola vi dovete mettere!”, disse subito il bimbo piccolo. “Al posto d’onore!”

Kairi guardò la tavola e vide che era stata apparecchiata in modo modesto ma con tutta la cura a cui quella famiglia era possibile. I piatti erano di coccio, con qualche crepa, e le posate erano di semplice stagno, ma il tutto sembrava molto pulito.

“Grazie mille ancora per l’invito, non vedo l’ora di mangiare insieme a voi”, salutò contenta la signora.

“Purtroppo vi dovrete un po’ adattare, signorina, lo so che voi aristocratici non siete abituati ai nostri ambienti…” si scusò in anticipo la donna, portando la minestra sul tavolo.

“Oh, no, al contrario”, si affrettò a fermarla Kairi. “E’ al castello che non mi trovo molto bene. Tutti quei camerieri che servono, e tutti quei cibi raffinati che non si capisce nemmeno che roba è… mi trovo molto meglio in una casa e dei cibi semplici come i vostri.”

I due bambini la guardarono a bocca aperta, ed anche la madre sembrava interdetta come il giorno prima. “Ma il nostro pranzo è davvero molto modesto”, cercò ancora di mettere le mani avanti. “E’ una zuppa di legumi e cereali, e poi ci sono le patate arrosto e le erbe che ho comprato al mercato dei contadini stamattina, passate in padella. Dovete scusarmi, so che non ci crederete, ma di solito preparo solo il primo, a meno che non ci sia una festa. Questo generalmente è il pranzo della domenica…”

“Vi assicuro che va bene”, insisté Kairi. “Sembra molto più appetitoso di quella minestrina che ho mangiato l’altro giorno a pranzo.”

“Però bisogna dire una cosa”, aggiunse il ragazzino, con un certo orgoglio nella voce. “Non sarà un pranzo da ricchi, ma la quantità è tanta. Io e mio fratello non ci alziamo mai con la fame.”

“E questo è quello che conta”, commentò contenta Kairi, scompigliandogli i capelli. “E’ pronto, quindi? Ho veramente molta fame. Sapete, stamattina mi sono allenata nel combattimento…”

Alla famiglia si illuminarono gli occhi a sentire quelle parole, e la sarta invitò Kairi a prendere posto, mentre riempiva di zuppa i piatti.

Guardando gli altri commensali, Kairi non poté fare a meno che in quella stanza mancava qualcosa, o qualcuno.

“Dov’è vostro padre?”, chiese ai bambini.

“Babbo è al lavoro adesso”, spiegò il più grande. “Lavora nel reattore. Fa la pausa pranzo lì. Una volta lui e gli altri operai lavoravano a tempo pieno e c’erano molti più soldi. Adesso il reattore non va quasi più. Lui non è stato licenziato come molti altri, però deve far produrre solo l’energia per le persone ricche, quindi lavora poco e lo pagano poco, e anche noi abbiamo molti meno soldi rispetto a prima…”

“Su, tesoro, non fare la vittima, adesso”, lo rimproverò sua madre. “Noi in questo regno siamo nella fascia media della popolazione, non è proprio il caso di parlare in questo modo davanti alla principessa.”

Kairi non sapeva se sentirsi compiaciuta per il fatto che quella donna riconoscesse già la sua autorità al punto da chiamarla principessa anche se ancora non lo era, o angosciata per il fatto che le avesse detto che la loro famiglia si trovava nella fascia media. Era questo che la fascia media poteva permettersi per pranzo? Una zuppa di legumi e cereali? E che soltanto la madre lavorasse con continuità e il marito arrancasse? Come dovevano essere messi i più poveri, allora?

“Buon appetito a tutti!”, augurò, scacciando i suoi pensieri, ed immerse il cucchiaio nella minestra.

Il sapore di quel cibo era molto diverso da tutto ciò che aveva mangiato finora: era cresciuta in delle isole tropicali e calde, e da loro non erano certo contemplate le zuppe; al castello certe preparazioni erano troppo semplici perché potessero venire servite all’aristocrazia. Ma in quel piatto di zuppa, Kairi ritrovò quel sapore familiare e conviviale, libero da etichette e regole, che aveva caratterizzato la sua vita fino a pochi giorni prima. Ricordò come, nei suoi pasti precedenti, quei cibi raffinati e quasi indefiniti erano arrivati quasi a disgustarla. Questi sapevano di famiglia e di casa, anche se non conosceva quasi quelle persone con cui stava pranzando, e mangiò con gusto il suo piatto, mentre la madre dei bambini la guardava incredula. Evidentemente il vedere un membro della famiglia reale apprezzare così tanto un cibo così modesto era troppo anche per lei.

“Allora, altezza… accennavate prima che vi state allenando nel combattimento?”, chiese con discrezione.

“Sì”, annuì Kairi quando ebbe finito la zuppa. “Potrei averne ancora, se ce n’è? Era davvero buonissima!”

“E come no? La pentola è ancora piena per metà, possiamo tutti riempirci il piatto due volte. Sono davvero felice che vi piaccia”, si complimentò la sarta, affrettandosi a riempirle il piatto di nuovo.

“Dicevo, mi sto allenando perché per me combattere è una cosa fondamentale. Mio padre mi ha detto che non ci sono più Heartless in giro, ma non si può mai sapere, per il futuro. Voglio essere io a combattere in prima persona per proteggervi”, spiegò Kairi.

“Avete sentito, bambini?”, disse ammirata la donna ai figli. “Avete sentito come la nostra principessa tiene a noi?”

“Sì! Siete davvero grande, altezza!” approvarono i due bambini, che nel frattempo avevano finito anche loro la propria porzione.

“A proposito, signora… mi può spiegare come funziona la sicurezza in questo regno? Non lo so, c’è un esercito, qualcosa…?”

“Una volta c’era”, rispose tristemente la donna. “Ma si è sciolto con la caduta nell’oscurità del nostro mondo, e poi non è più stato ripristinato. Sarebbe stato inutile. Nessun soldato avrebbe più obbedito a vostro padre. Potete capire come ci sentiamo sicuri… quei brutti mostri oscuri non sono più apparsi, ma chissà, più avanti… gli unici che fra noi sono in grado di difenderci sono Squall e i suoi amici, ma si contano sulle dita di una mano, quindi immaginate…”

“Certo, capisco”, annuì Kairi. Era uno dei problemi su cui avrebbe presto messo le mani: occorreva un esercito efficiente per quel mondo, sia per dare sicurezza ai cittadini sia nel caso gli Heartless avessero attaccato di nuovo. Ed inoltre era il caso di potenziare anche il sistema di difesa del castello e delle mura. Ci avrebbe riflettuto.

“Per il resto noialtri non ci possiamo lamentare”, continuò la sarta. “Purtroppo a livello pubblico mancano tutti quei supporti che con un normale fluire di soldi sarebbero normali e scontati. Si parla di sanità e di istruzione, ma anche di riparazioni delle case, delle strade, dei servizi… per questi motivi, la povertà aumenta, e di conseguenza i soldi sono sempre di meno. E’ un ciclo chiuso, purtroppo.”

Alla fine i discorsi tornavano sempre lì. Se i sudditi avessero pagato la loro quota, nel tempo e negli anni le cose si sarebbero aggiustate. Certo c’erano altre cose da fare, ma quello era il punto principale. Ma il problema adesso era un altro: se fra due mesi lei fosse diventata principessa, avrebbe avuto il potere di imporre anche lei una tassa ai cittadini. Però già loro in teoria ne avevano una, data da suo padre, e comunque non la pagavano. Se ne avesse decisa lei stessa un’altra forse le cose non sarebbero cambiate. Era davvero quella di obbligare la via più giusta per ottenere qualcosa?

“E voi la pagate la vostra quota di tasse, signora?”, chiese con noncuranza.

“Certo che no”, rispose il ragazzino al posto della madre. “Già dobbiamo sfamarci noi, figuriamoci se facciamo a meno dei soldi per pagare quella stupida tassa.”

La madre lo fulminò con lo sguardo per il linguaggio che aveva usato, e Kairi insisté: “ma da quello che so, la tassa non è uguale per tutti, ma è ridimensionata a seconda del reddito della famiglia. Non vi risulta?”

“Sì, è così”, annuì la donna. “In realtà ne ho discusso, in passato, con mio marito. Penso che, usando solo la razionalità, pagare sarebbe la cosa giusta da fare. Se lo facessimo tutti, il nostro regno potrebbe riprendersi col tempo. Ma mio marito è stato molto più deciso di me: se il nostro principe una volta ci ha abbandonati e ha lasciato che il nostro mondo decadesse nell’oscurità, come possiamo essere certi che quei soldi verranno usati bene? Nel dubbio, comunque ce ne priveremmo, e ci servono. La fiducia va meritata, altezza, e vostro padre non è stato in grado di governare con giudizio questo regno. Quindi ora non può aspettarsi che tutti chinino la testa davanti a lui. Qualunque cosa succeda, il popolo del Radiant Garden sarà in grado di tirare avanti.”

Kairi non fece più domande in proposito, perché aveva già ottenuto la sua risposta: il fatto che i cittadini pagassero non dipendeva dagli obblighi, ma dalla fiducia che provavano verso chi li governava. Non guardavano ai possibili vantaggi che avrebbero avuto per loro, ma al principe e se lo reputassero degno o meno. Una volta principessa, lei non avrebbe imposto loro nulla. Si sarebbe invece meritata la loro fiducia e la loro stima, ed era certa che poi avrebbero preso spontaneamente a pagare. E a quel punto, col tempo, le cose si sarebbero sistemate.

“E che mi dite dei contadini? E’ da loro che vi rifornite per il mangiare, giusto?”

I bambini fecero una smorfia a quella domanda, come se Kairi avesse appena pronunciato una brutta parola.

“Ah…” fece la donna, come se si fosse toccato un argomento un po’ scomodo. “Diciamo che sono quelli che, col loro lavoro, sfamano noi abitanti della capitale.”

“Ma quanti sono?”, chiese Kairi.

“Sono un numero considerevole, forse anche più di noi che abitiamo in città”, rispose la donna, pensierosa. “Le isole sono tante, alcune sono vicine tra loro, altre distanti e remote, anzi, so che ce ne sono alcune, quelle più lontane, i cui abitanti non sono soggetti alle nostre leggi, e vivono solo fra di loro, senza alcun contatto con noi.”

“E quindi sopravvivono coltivando?”

“Per il mangiare fanno tutto da soli, vengono qui solo per vendere i loro prodotti al mercato. Sapete, vivendo ai margini della società, non devono nemmeno pagare le tasse, perché il loro servizio per la collettività già lo fanno, coltivano il mangiare. E d’altra parte fra di loro usano il baratto, non gira soldi nei loro villaggi.”

“E allora perché vengono qui a vendere le cose a voi?”, chiese Kairi, cercando di elaborare il meglio possibile quelle informazioni.

“Perché sulle loro isole non ci sono servizi, di alcun tipo. Né ospedali, né negozi o occupazioni in generale. Il loro unico compito è spaccarsi la schiena nei campi. Perciò se hanno bisogno di qualcosa vengono qui e se la devono pagare, visto che non pagano le tasse a prescindere. Per lo stesso motivo, devono pagare se vogliono farsi curare in ospedale, anche se non molto. Ti parlo in condizioni di normalità, ovviamente. E’ anche il motivo per cui non hanno una tassa da pagare. Perché dovrebbero pagare per qualcosa di cui non possono usufruire, se tanto sulle loro isole non c’è nulla?”

“Ma quindi… come fanno a procurarsi acqua corrente, luce o riscaldamento, se questi sono servizi limitati alla città?”, chiese Kairi, quasi inorridita.

“Fanno senza. Ma non preoccupatevi, altezza, loro sono abituati da secoli a vivere in questo modo primitivo”, cercò di rassicurarla la sarta, che si era accorta del suo stato d’animo. “Questo tipo di vita non gli fa così impressione come a noi. Hanno solo un modo di vivere diverso, tutto qui.”

Kairi a quel punto decise che non poteva, dopo tutte quelle affermazioni, così cariche di noncuranza e mancanza di rispetto, lasciare che la parte di popolo che abitava sulle isole restasse così ai margini. Era ormai chiaro che gli abitanti della città nutrivano un forte disprezzo verso di loro, ed era sua intenzione porvi un rimedio. Forse prima avrebbe dovuto pensare alla situazione della capitale, ma in seguito si sarebbe occupata anche dei contadini.

“C’è da dire però, altezza”, concluse la donna, sospirando “che in questo periodo sono quelli messi meglio. Semplicemente perché non hanno subito nessun cambiamento nel loro modo di vivere. Vivevano in modo primitivo prima, e vivono così ancora adesso. La mancanza di denaro e di servizi nella capitale non li ha toccati molto. Certo, non possono più curarsi in ospedale, dato che per richiedere una cura bisogna pagare salato, e la stessa cosa vale per i negozi da cui si rifornivano, ma per il resto vivono in modo uguale a prima.”

 

Kairi resto ancora per un’ora in quella famiglia, mangiando con gusto insieme a loro le patate e le erbe, ridendo e scherzando coi bambini, come se fosse stata davvero una componente della loro famiglia, e quando fu arrivato il momento di salutarsi, i bambini si attaccarono al suo braccio pregandola:

“tornate, tornate presto a mangiare con noi!”

“Tornerò certamente”, assicurò Kairi. “E’ stato uno dei pranzi migliori cui abbia partecipato. Se non disturbo, ovviamente.”

“Ma vi pare?” si affrettò a dire la madre. “Potete tornare tutte le volte che volete. Anzi, se vi piacciono così tanto i pasti semplici del popolo, ho tante amiche nel quartiere che sono molto curiose al vostro riguardo e, come noi, sarebbero più che felici di ospitarvi a pranzo. Per conoscere meglio la futura principessa, capite.”

“Se lo faranno, ne sarò molto felice!”, assentì Kairi. “Parlate con loro e fatemi sapere. Per me, stare insieme ai miei sudditi e conoscerli uno per uno è il punto da cui bisogna partire.”

“Avete sentito, bambini?”, disse ammirata la donna. “E’ così che un principe degno di questo nome deve parlare. Arrivederci, altezza, vi farò sapere.”

E Kairi si allontanò, sazia e appagata, da quella modesta casa, mentre i bambini si sbracciavano per salutarla, come se fosse stata una loro cugina o una zia.

Quando si fu allontanata, rifletté su che strada prendere: tornare subito al castello o passare prima da sua nonna? Ci mise poco a decidere.

 

“E allora la mia nuova maestra mi ha detto di darle un attacco frontale. Eravamo una di fronte all’altra nel giardino privato, pioveva, era pieno di fango e ci fissavamo. Riesci a visualizzare la scena, nonna?”

“Oh, sì, molto chiaramente”, assentì la vecchietta compiaciuta, mentre beveva il suo the, seduta su una delle due poltrone nel salottino. Erano già due ore che Kairi era lì, seduta anche lei sulla sua poltrona, e parlava e raccontava, ma non si stancava mai della compagnia della sua vecchia parente. Suo padre e il regno potevano aspettare.

“E a quel punto è successa una cosa strana”, continuò Kairi. “Non ho nemmeno aspettato che Aqua mi desse il via. L’ho vista lì, sapevo che era la mia avversaria, ed ho sentito un gran desiderio di lottare venirmi dentro. Quindi sono partita all’attacco senza esitare un attimo. Non capisco proprio cosa mi sia successo…”

“Oh, ma è facile”, rispose la nonna, con l’aria di chi la sapeva lunga. “E’ comprensibile, da chi ha il tuo colore di capelli.”

“Come dici?”, chiese Kairi, perplessa.

“Ma certo, è una cosa che si sa da sempre. Una persona con i capelli rossi ha un’incredibile potenza e ferocia. E questo vale anche per te.”

“Pensi che sia per questo?”, mormorò Kairi. Effettivamente, ora che ci pensava, anche Lea aveva i capelli rossi, ed anche lui era particolarmente feroce nel combattimento. “Ci sono altre persone con i capelli rossi nel nostro mondo, nonna?”

“In passato ce n’erano una o due, ma al momento, nessuno, che io sappia. Di certo sei la prima della famiglia reale ad averli. Ma non hai bisogno di conoscerne altre per essere certa di quello che ti dico. E’ per questo che hai attaccato la tua maestra senza esitare. Voi con i capelli rossi siete speciali. Vedrai, quando combatterai contro quei brutti mostri per difenderci, se dovessero apparire, dimostrerai a tutti quanto potrai essere abile nella lotta”, spiegò la nonna, come se già sapesse in anticipo quello che sarebbe successo più avanti.

Kairi trovava difficile credere ad una spiegazione del genere, nonostante tutto. Come poteva un semplice colore di capelli essere collegato alla ferocia ed alla potenza? D’accordo, forse le storie e le leggende del Radiant Garden dicevano questo, ma c’era comunque un confine tra la realtà e la fantasia che era saggio non superare. Questa volta decise di non dar troppo credito al discorso della nonna, e lo interpretò più come una spiegazione poetica che altro.

 

Kairi rimase da sua nonna ancora un po’, poi fece un altro giro per i quartieri per esplorarli con più calma per conto proprio senza nessun bambino attaccato al braccio, e solo all’ora di cena tornò al castello. Quel posto non le piaceva molto, e preferiva stare il più possibile fuori, anche se pioveva e faceva freddo. Non raccontò a suo padre o agli altri come era andata a pranzo, e si tenne le sue considerazioni per sé. Al vecchio principe bastò sapere che la figlia aveva imparato cose nuove ed era stata bene, e poi non volle sapere altro.

La sera, quando fu ora di andare a dormire, la ragazza, chiusa in camera sua, si sedette alla scrivania e prese un foglio pulito. Il giorno prima era stata talmente occupata che non aveva scritto per niente a Sora, quindi l’avrebbe fatto stasera. Ma in modo diverso: le volte precedenti in cui gli aveva scritto, l’aveva fatto più che altro per se stessa, come per sfogarsi, buttando giù in modo disordinato tutto quello che le veniva in mente, in fretta e furia, senza far caso al modo in cui lo faceva, sentendo amareggiata che il suo amato, in ogni caso, non avrebbe mai potuto davvero leggere quelle parole. Stavolta invece aveva fatto proprio ciò che la nonna le aveva detto: un giorno lo avrebbe certamente rivisto. Forse fra molti anni, ma sarebbe successo. E come poteva pensare di potersi ricordare tutto quello che le sarebbe accaduto in quel lasso di tempo? Sora si meritava di sapere come passava la sua vita e i suoi pensieri, e stavolta Kairi doveva scrivere pensando che, quando Sora fosse tornato, avrebbe letto davvero quello che adesso avrebbe scritto.

Quindi si prese il suo tempo per organizzare i pensieri e fece per iniziare a scrivere sul Radiant Garden, lo svolgimento della giornata, i suoi pensieri e i suoi sentimenti, in modo calmo e con la migliore calligrafia. Ma quando appoggiò la punta della penna sulla carta, sentì un timido bussare alla porta. Capì immediatamente chi era. In realtà si stava chiedendo da qualche minuto quando si sarebbe rifatto vivo. Quando le aveva detto, la sera prima, che sarebbe stato solo per una notte, non ci aveva creduto neppure per un attimo.

“Entra, Kain”, esclamò.

La porta si aprì ed apparve il bambino, in pigiama come la sera prima. “Ecco, Kairi, io pensavo…” iniziò.

“Dai, vieni, vieni, ti ho capito”, gli fece un cenno, condiscendente, e Kain, molto più a suo agio rispetto alla sera prima, si avvicino e balzò sul letto, infilandosi sotto le coperte. Kairi, seduta alla scrivania, dava le spalle al letto, e fu contenta che Kain fosse di nuovo di buon umore: per il fatto che quella mattina gli aveva afferrato la mano e l’aveva allontanata da lei, il piccolo le aveva tenuto il broncio per tutto il resto della giornata, ma ora sembrava essergli passato.

“Tu dormi adesso, Kain. Io devo scrivere  una cosa.”

“Ma io voglio dormire con voi, Kairi”, protestò Kain, contrariato. “Venite anche voi.”

“Dopo, ti ho detto”, ripeté Kairi con pazienza. Lei stava con i sudditi e con gli altri abitanti del castello per tutto il tempo. Ma quella mezz’ora che si ritagliava la sera per scrivere era solo sua, e di Sora. Nemmeno Kain aveva il diritto di interromperla.

Kain allora saltò giù dal letto e le prese il braccio, tirandola leggermente. “Dai, venite a letto. Dai!”, continuò a lagnare.

“Finiscila!” esclamò brusca Kairi, con un tono così imperioso ed arrabbiato che il bambino si ammutolì all’istante. La ragazza si pentì subito, di nuovo, del proprio comportamento. Non le era mai capitato di passare da uno stato di calma ad uno arrabbiato in così poco tempo, e non riusciva nemmeno a spiegarsene la ragione. Era la stessa cosa che era capitata quella mattina, quando aveva allontanato Kain da sé senza alcun motivo. Ed adesso gli aveva urlato contro. Come aveva potuto?

Il bambino si rabbuiò in viso e gli si inumidirono gli occhi, e tornò di corsa sotto le coperte, tirandosele su fin sopra la testa e senza emettere più un suono. Kairi provò un gran senso di vergogna, ma lo stato di confusione in cui si trovava non le permise di scusarsi. Cercando di allontanare il pensiero dalla testa, si concentrò totalmente di nuovo sulla lettera al suo innamorato e a quello che doveva scrivergli e, con la massima attenzione, trascrisse nella sua migliore calligrafia tutto quello che era successo quel giorno e i suoi pensieri, tenendo a mente che un giorno lui tutto questo lo avrebbe letto. Quando ebbe finito, dopo mezz’ora, mise la lettera nel cassetto insieme all’altra che aveva scritto la scorsa giornata e andò a controllare Kain. Nel frattempo si era addormentato, tenendo gli occhi coperti con un braccio nonostante la luce non potesse dargli fastidio, visto che si era coperto completamente. Il suo corpo era irrigidito e il suo respiro irrequieto. Kairi, sentendosi turbata, si sdraiò di fianco a lui e, come per scusarsi, lo tirò a sé abbracciandolo stretto. Solo allora il corpo del bambino si ammorbidì e il suo respiro divenne tranquillo e regolare.

--

…Dicevo che avrei fatto più in fretta e invece, per vari motivi, ci ho messo molto tempo per scrivere e pubblicare questo capitolo. Me ne scuso tanto.

In compenso, adesso è passato il primo periodo di ambientamento di Kairi, ha conosciuto meglio il “clima” del suo regno, suo padre, Kain e ha un’idea solida della situazione generale, quindi dal prossimo capitolo in poi la trama andrà avanti in modo più veloce.

Inoltre, ho finito l’immagine che va bene come cover della storia, l’ho messa in cima al primo capitolo al posto di quella vecchia. Chi ha letto il Principe capirà immediatamente cosa vuol dire quel disegno, ma sarà chiaro comunque a tutti più avanti nella narrazione.

Il concetto dei capelli rossi che influenzano il carattere in termini di ferocia e carattere è una credenza di molte culture, per esempio anche gli antichi Egizi lo credevano. In Italia invece un tempo si credeva che le persone coi capelli rossi fossero figlie del demonio o comunque cattive, un esempio è in Rosso Malpelo: “Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone.”

Forse si noterà una lieve contraddizione tra le capacità combattive di Kairi qui e quella dei primi capitoli. Il fatto è che avevo scritto i primi capitoli quando ancora non era uscito il Re:mind e non si sapeva bene come Kairi combattesse, quindi avevo dato per scontato che fosse non molto brava. Invece poi dal DLC si scopre che è un mostro nel combattimento, e quindi ho adottato definitivamente quella linea lì.

Al prossimo aggiornamento!

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Xion92