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Autore: mystery_koopa    09/10/2020    6 recensioni
Nient'altro che la flashfic "Mani e Mente" riletta dal punto di vista opposto, sempre a metà strada tra autobiografia e immaginazione. A volte, immedesimarci in un'altra persona e capire come ci vede è ancora più doloroso che vivere tutto sulla propria pelle.
Da maneggiare con cura e non interpretare letteralmente.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Mani e Mente'
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Mani e Mente
(A.)
 
Le tue mani erano gelide, di vetro, sfiorando i tasti del pianoforte: le note risuonavano deboli, come se dolorosamente prodotte da una lacrima. Tremavi. Ascoltandole, non avrei mai immaginato che potesse trattarsi di te.
(Proprio tu, che non avevi mai avuto timore di nessun concerto, sembravi paralizzato).
La pioggia scendeva leggera, era autunno, forse inverno, non ricordo. Non potevano essere i minimi spifferi provenienti dalle finestre, o il riscaldamento malfunzionante, a causarti quello che stavi vivendo. Ed era così strano il modo in cui eravamo insieme… pareva che tu non esistessi.
(Ero solo, indossando la mia maschera anche mentre tu avevi lo sguardo perso nel vuoto. A volte non mi interessava nemmeno sapere se mi avresti visto).

Eppure ti sentivo ancora amarmi, anche quando il calore che una volta era in te sembrava definitivamente scomparso. Ricordavo la tua espressione ogni volta che ti avevo baciato sul collo, ma in quel momento sentii solo gelo, pur mantenendomi lontano. Finii velocemente il pranzo e mi allontanai: nel momento in cui suonò la campanella mi girai per guardarti, eri ancora immobile.

 
*

Con la testa appoggiata alla vetrata potevo sentire i tuoi passi sulle scale, contando gli scricchiolii prodotti dai gradini. Il caffè doveva essere pronto e la montagna, d’estate, sembrava il Paradiso.
Non avrei potuto essere più felice, pensai: poi ricordai ciò che ti stavo facendo, che le mie parole dolci e malinconiche non erano altro che il distante testo di una canzone.
(Ti sentii sospirare, soffocare l’inizio di un pianto. Era tutto vero o nella mia testa, mentre il suono reale restava intrappolato all’interno dai vetri serrati?)
Sentii la tua mano sfiorarmi e rientrai, sembravi emozionato. Non riuscivo nemmeno a guardarti negli occhi.
Erano passati mesi, eppure eri ancora lì, consapevole di ciò che pensavo e che avevo sempre pensato, ma incapace di fare quell’ultimo passo nella direzione opposta.
Erano passati mesi, ma non sorridevi più, e nei tuoi occhi leggevo solo amarezza.
(Siamo sempre stati troppo razionali).

Consapevole.
Illuso.
 
Perdendomi nella contemplazione dell’erba appena tagliata mi fermai per un istante, lasciandoti procedere lungo il sentiero. Ho sempre amato il vento freddo, anche tu: quando tutti erano avvolti in pesanti piumoni io stavo a maniche corte, tu con una felpa. Non avevi freddo, ma lo eri: mesi fa, quando dopo una mia parola i tuoi occhi brillavano di felicità come non mai o si spegnevano.
(Mi ricordai di quella mattina d’autunno, o forse d’inverno: quella mattina insignificante, come noi, del resto. Mi sono sempre chiesto a chi potesse importare qualcosa di me, cieco di fronte a ogni possibile risposta… tranne che te. Non capivo come facessi a provare dei sentimenti per me, così lontano da ogni tuo ideale: ti compativo, ma non ero in grado di darti ciò che avresti desiderato di più.)

 
Non chiedevi tanto.
Non chiedevo nulla, eppure avevo.
Avrei preferito illudermi.
 
Non è contraddittorio desiderare di essere indimenticabile e al tempo stesso di essere dimenticato da chiunque, per chi vive nel mezzo. Solo ora capisco quanto freddo hai sentito.
 
 
  
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