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Autore: _Niente_Paura_    10/10/2020    2 recensioni
La foto era sbiadita ed ingiallita nel tempo, presentava alcune macchie marroni che altro non erano che chiazze di sangue rappreso. L'uomo in foto era alto con uno sguardo severo e dei lineamenti duri, ma aveva l'aria di uno che t'avrebbe protetto per sempre
Questa storia partecipa al contest "Season Die One After Another" indetto da Laila_Dhal sul forum di EFP
Genere: Avventura, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akainu, Altro Personaggio
Note: Kidfic | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Non è facile essere un genitore, nè tanto meno un figlio'
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L'uomo della fotografia

Erano passati anni da quell'attacco spaventoso da parte dei pirati. Non ricordava nulla Raquel di quella terribile giornata, ma aveva con sé una foto con una lettera dietro, per ricordarle che forse c'era ancora qualcuno che la potesse amare in questo mondo.
La piccola aveva appena otto anni, dei lunghi capelli marroni ed una carnagione olivastra. Il volto, sebbene fosse quello d'una bambina, presentava già dei tratti aguzzi e marcati. Gli occhi erano di un marrone tendente al violaceo e spesso erano ben aperti, pronti a catturar il singolo movimento d'ogni cosa. Era molto schiva la bambina, quasi mai s'avvicinava agli altri o anche alle sorelle che gestivano l'orfanotrofio. L'avevano soprannominata il gatto randagio, poiché non era poi così tanto diversa da un gatto di strada, sempre sull'attenti, il pelo un po' trascurato ed estremamente diffidente.
Solo la notte s'addolciva un po', quando nessuno poteva vederla. Tirò fuori una foto sollevando poco il materasso, osservò il pezzo di carta ingiallito e sorrise osservando un volto maschile.
Non sapeva quale fosse il volto di sua madre, o quale fosse la sua voce, ma le bastavano quelle poche parole scritte sul retro di una foto in bianco e nero ed il volto di suo padre.
Aveva passato infinite notti a rileggere quelle dolci parole, ad osservare quell'incantevole calligrafia ed il volto dell'uomo che doveva essere suo padre.


“Ciao *****,
Sono io, la tua mamma. Vedi la foto sul retro? Lui è tuo padre ****** e sicuramente ti starà cercando. Appena *********** a cercare a tua volta, lui lavora nella *********tare, non dovrebbe essere difficile incontrarlo.
Ti voglio bene bambina mia, ricordatelo sempre”


La carta bianca era ormai ingiallita, e gli schizzi di sangue erano divenuti ormai marroni. Alcune parole non erano leggibili, poiché con ogni probabilità la donna mentre incideva quelle parole, lei stava versando tutte le sue lacrime. L'uomo in foto era alto con uno sguardo severo e dei lineamenti duri, ma aveva l'aria di uno che t'avrebbe protetto per sempre.
Ripose la foto sotto il cuscino, poi chiuse gli occhi, lasciandosi andare in un lungo sonno ristoratore.
Il giorno seguente, dopo aver scrutato l'orizzonte al mattino, gli balenò un idea in mente. Perchè non scappare via?
Era stufa di quel posto deprimente, aveva uno spiraglio di luce e non intendeva lasciarselo fuggire. Infondo non aveva nulla da perdere, era una bambina di sei anni, e si sa che quando si vuol adottare un bambino si sceglie sempre quello più piccolo.
Così la ragazzina cercò un modo di fuggire, si mise in disparte, lontana dagli altri bambini. Le braccia conserte, gli occhi vispi che scrutavano l'ambiente in cerca d'una via di fuga.
Sebbene gli altri bambini cercassero di convincerla a giocare o parlare, quella giornata lei non ne volle sapere, non che solitamente fosse socievole.
Divenne sera e poi notte, così fu l'ora di andar a dormire. Quando spensero le luci si mise sull'attenti la bambina ed attese circa due ore, che le parvero un eternità.
Sgusciò via dal letto, cercando di sollevare la coperta e mettervi al di sotto un mucchio di sassi raccolti il pomeriggio.
Con estrema calma si avvicinò alla porta, mentre il fiato sembrò volerle scappar via, ma riuscì comunque a rimaner silenziosa ed uscire dalla stanza senza alcun cigolio alla porta.
Chiuse con estrema accuratezza la porta e notò con estremo piacere che il corridoio era buio, ed in lontananza non si sentiva alcuna voce.
Controllò se la foto fosse ancora al suo posto, e dopo aver verificato la sua presenza continuò con estrema cautela l'avanzata verso l'uscita.
S'infilò in cucina e dopo aver ispezionato l'intero locale un sorriso le comparve in viso, poco più in là v'era la sacca della spesa e due sfilatini di pane. Inutile dire che Raquel non esitò neanche un attimo a prenderlo, ma ecco che sentì dei rumori e s'infilò con una velocità impressionante dentro uno sportello. Dallo spiraglio notò la luce accendersi e dei passi che s'avvicinavano, cercò di far il meno rumore possibile e di mantenere il sangue freddo, in fondo perchè mai qualcuno avrebbe dovuto aprire uno sportello dove c'erano solo prodotti per pulire le superfici?
Infatti sentì il rumore dell'acqua scorrere e poi la stessa acqua venir bevuta dalla persona lì presente, dopo di che s'allontanò spegnendo la luce e chiudendo la porta.
Così fuggì , correndo a più non posso mentre teneva stretta la borsa Il cuore le batteva a mille, mai come prima d'allora s'era sentita così libera.
Si precipitò al porto, con la speranza di trovare un mezzo di trasporto. Rimase delusa trovando semplicemente una bagnarola ed un battello strapieno. Che stupida! Doveva considerarlo come fuggire dall'isola, mica pensava di trovare magicamente un passaggio?
Fortuna che il suo piccolo cervellino si mise in moto. Si avvicinò con cautela al battello, cercando di non farsi vedere dal personale. Valutò per alcuni attimi di spacciarsi per uno dei figli dei passeggeri, ma guardò il riflesso nell'acqua e quel che vide era il riflesso di una stracciona, non poteva mischiarsi fra quella gente.
Strabuzzò gli occhi all'improvviso, una catasta di valige che stavano per essere imbarcate era belle che incustodite.
Si avvicinò cauta, lasciandosi avvolgere dall'ombra, aprì una valigia abbastanza capiente e sfilò via un paio di vestiti gettandoli nel mare, poi s'infilò velocemente nella valigia chiudendola, ma forandola per far trapelare un po' d'aria.
Appena arrivata dentro la stiva aprì la valigia, traendo un enorme respiro.


Dopo aver attentamente esaminato i contenuti delle valige, Raquel riuscì ad ottenere un aspetto quasi normale, e fu sorpresa nel vedersi così sistemata. Osserva il suo riflesso attraverso la lastra metallica che divideva a metà il pavimento della stiva, e restò rannicchiata per un bel po', fino a quando non sentì lo scrosciare delle chiavi e quindi si nascose immediatamente tra i bagagli.
Raquel non capiva bene il dialogo fra i due uomini, ma era ben chiaro che fossero nella stiva e stessero prendendo delle valige. Con il cuore in mano si sporse, anche se di poco, e con la coda nell'occhio notò una figura maschile effettivamente portar fuori le valige.
Con ogni probabilità erano quasi giunti a destinazione, ed ora doveva fuggire dalla stiva. La porta che prima era rimasta chiusa ora finalmente era aperta, e cercando di non farsi notare sgattaiolò via. Ci impiegò una decina di minuti, minuti che però parevano interminabili. Appena raggiunse l'uscio della porta in punta di piedi, s'appiattì contro il muro per poi continuare lungo il corridoio.
– Ragazzina! Cosa ci fai tu qui! – una voce rombante gli arrivò d'improvviso addosso ed un ombra la coprì interamente. Alzò il viso Raquel, ed intercettò la figura alta e statuaria dell'uomo – Non ho voglia di stare dietro ai mocciosi! Va' da tua madre – Raquel scrollò le spalle e non se lo fece dire due volte, ed a gambe levate scappò via andando a disperdersi nella folla.


Era giorno ed era lontana dall'orfanotrofio e da quell'isola, solo che non aveva la più pallida idea di dove fosse. Il viaggio era durato qualche giorno, non lo sapeva con certezza, dopo aver visto tramontare il sole due volte aveva deciso di lasciar correre.
Così la bambina si ritrovò nel porto di quest'isola, e non le restò che chiedere informazioni. Dopo svariati tentativi falliti, finalmente qualcuno le diede retta. Era un passeggero della nave, s'era fermato incuriosito da Raquel, uno scricciolo senza alcun adulto al seguito
– Ti sei persa? – chiese questo osservando la piccola
– No – Scosse il capo velocemente lei, poi incalzò – Dovevo trovare mio nonno, mi volevo assicurare che fossi nell'isola giusta –
– Qui siamo a Pitsbourg – disse l'adulto sorridendole
– Sì! È proprio questa, grazie! –
– Aspetta! Ti accompagno da tuo nonno – gli occhi della bambina si sgranarono, ed in men che non si dica sgusciò via come un agile gatto e si disperse tra la folla, sotto gli occhi attoniti dell'uomo assai stranito.
Dopo una breve corsa si sedette, tirò fuori la foto e sbuffò. Dove cavolo avrebbe dovuto cercare quest'uomo? Era assai improbabile che chiedendo in giro qualcuno lo avrebbe riconosciuto, infondo non aveva idea di chi fossero i suoi, se fossero originari di questo mare … non sapeva assolutamente nulla, se non il volto di suo padre e che la stava cercando, forse.
Passò un bel po' di tempo seduta, pensando sul da farsi, quando finalmente un po' di coraggio le risalì.
Lesse le poche righe dietro la foto, cercò di capire le parole sfumate a causa di macchie marroni di sangue rappreso da tempo, e tra i caratteri riuscì ad intercettare la parola Marina. Che suo padre fosse un Marine? Era l'unica pista, perchè non seguirla?
Quando mostrò il volto ad alcuni di loro, tutti ebbero delle reazioni strane ed inaspettate, chi rideva, chi s'inorridiva, ma comunque nessuno forniva risposte. Quel che però capì, è che l'uomo ritratto in foto era un personaggio in vista nella Marina.


Gli anni passarono, aveva circa nove anni e viveva alla giornata. Divenuta sempre più schiva, la ragazza ormai non si fidava più del corpo militare, gettò la spugna nel cercare quel volto, tanto che importanza aveva? Se l'era sempre cavata da sola e così avrebbe fatto per il resto della sua vita.
Osservò il mare e delle navi della marina prendere il largo, si alzò ed andò via dal molo, ma fu bloccata per la spalla da qualcuno. Tempo di voltarsi e vide dietro di lei un uomo assai alto, mai visto prima d'ora, doveva essere un ufficiale della marina in,o almeno questo credeva lei osservando i suoi abiti eleganti e la giacca con scritto giustizia.
– Ragazzina, sei tu quella che chiedeva di un uomo nella foto? – chiese questo con voce rombante
– Ecco … – un attimo d'esitazione da parte di Raquel, la quale non sapeva che rispondere
– Credo proprio di sì, sei proprio la sua fotocopia – rise di gusto questo, poi ritornò ad adocchiare la bambina con uno sguardo impietosito. Era alta per la sua età, ma si vedeva chiaramente come fosse malnutrita, come fosse poco curata – Sai, mi sono sempre chiesto cosa lo avesse reso così triste. Non è mai stato un chiacchierone, ma almeno due parole le spicciava – Scrollò le spalle l'ufficiale, poi afferrò il mento di Raquel, la quale cercò di sfuggire bruscamente da quel contatto. Guardinga come una gatta s'era fatta indietro ed osservava l'uomo con tutti i sensi ben tesi
– Allora, andiamo? Ti porto dal tuo papà – ma la ragazza scosse la testa in segno di diniego, annuì l'uomo e con molta cautela s'avvicinò a lei, come fosse un animaletto impaurito – Come mai non vuoi andare? – ma non ottenne alcuna risposta da parte di quegli occhi sgranati.
– Se non verrai con me, verrà tuo padre e fidati che non è molto comprensivo –
– E perchè mai dovresti dirglielo? –
– Perchè sei una bambina lasciata sola per strada e lui è tuo padre, se proprio non vuole averti con sé ti porterà in un orfanotrofio … non puoi vivere così –
– No! Mai! – urlò la bambina aprendo le fauci e lasciando cadere sul volto qualche lacrima, e così dicendo corse via lo scricciolo, ma inutile dire che la strada le fu sbarrata dall'uomo, il quale la trascinò per la mano fin dentro la nave.
Il naso arrossato, gli occhi gonfi e la bocca spalancata che annaspava con fatica aria. Raquel era sommersa dalle lacrime, proprio non riusciva a smettere di piangere. Scalciava e scalpitava, mentre l'uomo la trascinava fin dentro una stanza, poi chiuse la porta. Quando sentì il click della serratura, fu come ricevere una botta secca alla nuca, gli occhi fissi sulla porta e la bocca dischiusa, la bambina restò ferma così per un paio di minuti, come se qualcosa si fosse rotto dentro di lei, poi scoppiò nuovamente a piangere.
Spintoni contro la porta, calci e graffi con le unghie fino a consumarsele, e nonostante quel fracasso, chi stava dietro quella porta non s'era scomposto minimamente.
Stanca si lasciò andare contro il muro e si sedette incastrando la testa tra le gambe, non ebbe la forza di piangere più, né tanto meno di urlare o strepitare, restò in silenzio per tutto il tempo. Mangiava qualcosa, beveva di tanto in tanto, ma non faceva altro se non le funzioni primarie. Era una ragazzina problematica e non si stava presentando nei migliori dei modi a suo padre, ed oramai s'era rassegnata di essere spedita in orfanotrofio … e chissà se sarebbe riuscita a scappar da lì.


Quando arrivò a Marineford era stremata, gli occhi incavati e le gambe a stento si reggevano in piedi, ma nonostante questo, continuava ad avere quel portamento fiero ed impettito. Dritta la schiena, ed alto il mento. Lo sguardo malfidente, gli occhi sgranati come quelli di un animale notturno, le labbra serrate in un'espressione piatta.
Non si fece pregare due volte quando le fu detto di camminare, neanche ci fu bisogno di trascinarla per la mano, e negli occhi non v'era traccia di alcuna lacrima. Ciò stranì l'ufficiale, il quale osservò la ragazzina stranito
– Ragazzina, ma come ti chiami ? –
– Raquel – risponde lei secca ed atona, annuisce l'ufficiale ,poi cala nuovamente il silenzio, ma solo per qualche istante
– Io sono il viceammiraglio Toshio – disse l'ufficiale cercando di simulare un po' di burberità che però si notava non facesse parte della sua indole.
Fu scortata fin dinanzi una casa assai grande, o almeno lo era per gli standard di Raquel. Si avvicinò timidamente alla porta robusta in legno e bussò dolcemente. Spazientito il vice Toshio battè forte il pugno alla porta e dopo di ciò si udì il suono di una sedia spostata e dei passi.
La porta si aprì e dinanzi loro i era un uomo assai alto dai lineamenti duri da un'espressione seccata. Alzando lo sguardo, lo squadrò per bene Raquel e constatò che effettivamente fosse lui l'uomo della foto e della lettera, invecchiato di qualche anno, ma pur sempre lui.
Gli occhi di questo si spostarono dal vice allo scricciolo che teneva tra le mani la foto, mugugnò qualcosa poi fece cenno d'entrare alla bambina
– Signor Akainu, la bambina è un po' problematica, sicuro di volerla … ecco … tenere? – Il signor Toshio s'era fatto piccolo piccolo, e le parole d'improvviso cominciarono a tremargli dalla bocca. Sakazuki lo squadrò dalla testa ai piedi, poi con la solita espressione infastidita gli rispose
– Da un orfana quale atteggiamento si aspetta? Certo che la tengo, è mia figlia, non posso tradire il mio sangue – e detto ciò chiuse la porta in faccia all'uomo, anche più infastidito di prima.
Quando si voltò vide dietro di lui quella ragazzina, la quale non s'era mossa di un millimetro e l'osservava con gli occhi sgranati
– Quello diceva che sei problematica, che hai fatto? – chiese l'uomo statuario avanzando verso di lei. Le labbra della ragazza restarono serrate, mentre continuava a fissarlo con uno sguardo vigile
– Allora? Si risponde ad una domanda! – ma ancora nulla da parte di Raquel, tant'è che Sakazuki l'afferrò per il mento, anche se quella cercò d'opporsi invano – Ho capito, fai la muta? Ottimo, farò lo stesso fin quando non ti decidi a parlare – lasciò andare dolcemente il mento, poi si diresse nella sala da pranzo.
Lo seguì a ruota la ragazza, osservando come quella casa effettivamente fosse abbastanza sfarzosa. Quel che doveva essere suo padre si sedette al tavolo, continuando quello che era un solitario. Si avvicinò a sua volta Raquel, osservando la partita.
– Hoshi, sai giocare a carte? – disse il padre continuando a giocare
– Non mi chiamo Hoshi – rispose secca lei
– Tua madre ti ha messo questo nome, poi non so se te lo ricordi o meno – si voltò verso la figlia, cercando di capir qualcosa su di lei, come si sentisse
– Mia madre non so che faccia abbia, i miei primi ricordi sono in orfanotrofio –
– Ma tua madre non ti ha lasciato un qualcosa di scritto? Una lettera credo, almeno questo mi hanno riferito quando ti hanno scoperta –
Tirò fuori la foto e glie la porse. La prese immediatamente Sakazuki, e cominciò a studiarla in ogni suo singolo dettaglio.
Accarezzò con il dito le macchie marroni ed abbozzò un leggero sorriso.
– Raquel è il nome che mi hanno dato in orfanotrofio, ma penso che Hoshi mi piaccia di più – continuò la bambina mentre cominciò a giocare al posto del padre.
Sakazuki si voltò verso di lei, posò la foto e le sorrise, anche se timidamente.
– Volevate sapere perchè ero stata definita problematica vero? – chiese lei mentre spostava le carte nel gioco – Avevo paura di finire in orfanotrofio un'altra volta. Preferisco star sola al mondo fuori, che dentro una simile catapecchia –
L'uomo era in totale silenzio ed ascoltava con estrema attenzione le parole della figlia da poco ritrovata
– Ora che sono qui, dopo che avete detto quelle parole, io non so come sentirmi – Si voltò verso il padre con gli occhi asciutti e stanchi – Padre, vi ho cercato per così tanto tempo, ed adesso che voi siete qui … non sento nulla –
– Passerà – rispose il padre.


7 anni dopo ….


“Egregio Sig. Padre,


Sono passati anni da quando venni per la prima volta in casa vostra e voi mi accoglieste con la massima gentilezza e premura.
Mi avete preso con voi e siamo divenuti una famiglia. Certo, la figura materna è un qualcosa che mi mancherà per sempre, ma voi mi bastate, siete stato ciò che mi è sempre servito.
Adesso è arrivato il turno di ricambiare, vi renderò fiero e vi ripagherò per tutto quello che mi avete dato.
Ho deciso di allontanarmi da Marineford ed intraprendere la carriera militare lontano da voi e dalla vostra fama, perchè voglio farmi da sola, non voglio agevolazioni di alcun tipo.
Tornerò, e quando mi rivedrete potrete essere fiero di me e di ciò che sono diventata.
Vi offro i miei capelli come tributo, non li farò ricrescere fin quando non vi porterò onore.
Vi voglio bene


Sempre vostra


Hoshi (Raquel)”

Oramai era una donna, scrisse la lettera e la mise piegata sulla sua scrivania con sopra la sua lunga treccia tagliata. Quando Sakazuki lesse quelle righe eleganti rise, osservò la treccia tagliata e quella calligrafia sottile ed elegante. Quasi non riusciva a crederci che qualcuno l'amasse per davvero.
   
 
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