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Autore: rosy03    13/10/2020    4 recensioni
*Seconda Classificata al Contest "L'Angoscia del Nero" di Anatra.Valeria sul forum di Efp*
#Dal Testo:
La sua mano si ferma per un breve, brevissimo istante, e sul viso compare una smorfia di sofferenza che Ragnarok non riesce a vedere ma che la sua ombra vede eccome. Eccola lì, immobile, nera, lo fissa e non dice niente.
Sta sempre zitta quando c’è Ragnarok.
[...] Lo sente, Crona, lo sente ribollire. Il sangue nero sta cambiando, si sta trasformando dentro di lui, troppo velocemente, troppo violentemente perché riesca a darsi pace. Ragnarok avrebbe dovuto avvertirlo prima che accadesse.
Genere: Angst, Introspettivo, Noir | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Crona, Medusa, Ragnarok
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Rosso & Il Nero

 
 



Il solco creato dal suo dito indice è sempre più profondo.
Su e giù. Giù e su. Crona non sente niente se non la voce di Ragnarok che lo denigra, le sue mani enormi colpirgli ripetutamente la testa mentre lui se ne sta lì, rannicchiato in quell’angolo.
Ha il volto chino, gli occhi vacui. Trascina il dito scheletrico e pallido sul pavimento impolverato, scrostando con le unghie lo sporco e il sangue secco.
«Mi hai sentito, Crona? Perché non hai portato a termine il compito che ti è stato assegnato? Sei solo un vigliacco, un frignone, un sacco di escremento che cammina!» abbaia Ragnarok alle sue spalle.
Lui lo ignora, continuando a muovere il dito su e giù.
Su e giù. Giù e su.
«Mi meraviglio che Medusa non si sia ancora sbarazzata di te
La sua mano si ferma per un breve, brevissimo istante, e sul viso compare una smorfia di sofferenza che Ragnarok non riesce a vedere ma che la sua ombra vede eccome. Eccola lì, immobile, nera, lo fissa e non dice niente.
Sta sempre zitta quando c’è Ragnarok. Lui c’è sempre.
«Oh, sta arrivando.» dice la Spada prima di scomparire all’interno del suo corpo, lì dove deve stare.
Sente la chiave pesante d’ottone girare, la maniglia abbassarsi, la porta aprirsi lentamente con un sinistro cigolio che l’accompagna. C’è Medusa oltre quella forma rettangolare e ha la mascella contratta, le sopracciglia arcuate e le labbra piegate verso il basso. Delusione.
«Hai per caso cambiato idea?» gli chiede.
È fredda come il ghiaccio, è delusa e arrabbiata ma Crona scuote nuovamente la testa. Non ci riuscirà, lo sa già. Non riuscirà a fare quella cosa, non al suo animaletto.
Non vale la pena assaporare l’aria fuori da quella stanza per dei soli miseri secondi, perché poi ce lo rispedirà nuovamente e anche la speranza sarà sparita assieme all’ossigeno.
Medusa annuisce, poi sibila: «Allora resterai qui. Potrai uscire solo quando farai ciò che ti dico.»
Lo lascia di nuovo lì, nel buio, nel nero. Ogni parola, ogni sillaba pronunciata da sua madre, è come una spina lunga e acuminata che gli penetra nel petto ma lui non sa cosa sia questo.
«Questo è dolore.»
Crona solleva gli occhi stanchi e poggia le mani sulle ginocchia, poi, finalmente, parla: «Non capisco.»
«È qualche cosa che ti ferisce. Per cui a volte si piange.»
«Io non piango» dice.
Gli pare quasi di vederla sorridere tristemente. La sua voce, a differenza di quella di Ragnarok o di Medusa è sempre stanca. «No, certo. E come mai?»
Sta zitto, rimane in silenzio.
«Rispondimi, Crona.»
Lui scuote la testa e abbassa lo sguardo mentre il suo indice torna a strofinare contro il pavimento, sporcandolo di nero ogni volta sempre di più.
A questo punto la sua sembra quasi una supplica: «Ti prego, Crona, rispondimi.»
Su e giù. Giù e su.
Su e giù. Giù e su.
Su e giù. Giù e su.
Nero. Nero. Sempre più nero.

 

 

Solo lei. Solo lei riesce a farlo tremare semplicemente pronunciandone il nome.
Questa volta però ce l’ha fatta. Questa volta Medusa gli ha rivolto un muto sorriso, i suoi occhi hanno brillato e lui si sente stranamente bene.
Non sa descriverla, anche perché ciò a cui presta maggiore attenzione è quel lago incantato che si estende sotto la suola delle sue scarpe da bambino.
«Non devi esserne felice.»
Eppure non riesce a non sorridere, Crona.
Sorride mentre il rosso decora la sua stanza, passo dopo passo.
«Non devi.» ripete.
Crona si blocca per un attimo, un brevissimo istante, abbassa gli occhi iniettati di follia e si guarda le mani piccole, pallide e vede che sono sporche. Si fa prendere dal panico perché non è quello il solito colore, non è così che dovrebbe essere. D’un tratto non gli piace più quel rosso tanto brillante, gli sembra orribile e senza pensarci poi molto si stropiccia l’orlo del vestito nel tentativo di farlo sparire.
È inutile. Non vuole andare via.
«Che cos’è?» chiede singhiozzando, in cerca di aiuto. «Che cos’è? Ragnarok?»
Lui appare quasi subito e dà un’occhiata superficiale ai palmi delle sue mani, per poco non si mette a ridere: «Che ti prende? Perché piagnucoli?»
«Non so cosa sia questo.» dice e alza le braccia in alto, atterrito.
«Tu sei completamente pazzo, lasciatelo dire.» lo schernisce prima di sparire nuovamente dentro di lui.
Crona ingoia il singhiozzo e si morde le labbra, d’un tratto la felicità sembra averlo abbandonato. E sa perfettamente chi è stato a fare questo.
«È tutta colpa tua!» grida.
Le mani, le gambe, le spalle, tutto sta tremando. Scuote la testa, Crona, si siede nel suo angolo di stanza preferito ignorando i segni rossi che ha lasciato sgambettando in giro e si porta le ginocchia contro il viso.
Batte convulsivamente i piedi a terra, dondolando prima in avanti e poi indietro.
Avanti e indietro. Indietro e avanti.
Sempre, sempre di più, fino a che l’ombra non compare ed è allora che per la prima volta è lui a rivolgerle la parola: «Perché l’hai fatto? Stavo così bene.»
«Davvero? Stavi bene?»
Crona annuisce rapidamente, non smettendo di dondolare.
«E adesso come stai?»
«Non lo so.»
«È importante saperlo.»
«Non lo so.»
«Dovresti chiedertelo»
«E perché?»
Quando gli risponde sembra quasi delusa dalla domanda: «Come perché? Crona, tu-»
«Basta!» strilla, interrompendo sul nascere qualsiasi altra sua parola.
Lo sente, Crona, lo sente ribollire. Il sangue nero sta cambiando, si sta trasformando dentro di lui, troppo velocemente, troppo violentemente perché riesca a darsi pace. Ragnarok avrebbe dovuto avvertirlo prima che accadesse.
«Basta…» gracchia di nuovo.
L’ombra sospira tristemente, poi annuisce: «D’accordo, Crona.»
E poi sparisce. Come è sparita Medusa. Come è sparito il rosso.
Torna a essere nero. Finalmente, solo nero.

 


 
«Come faccio se mi ritrovo davanti quella ragazza? Non so come devo comportarmi... non ho mai parlato a una ragazza, Ragnarok.»
I suoi vaneggiamenti non sembrano interessargli poi molto, infatti la Spada è troppo impegnata a divorare quelle anime umane appena colte, una dopo l’altra. Le afferra con le sue grandi mani guantate di bianco e le inghiottisce senza remore, goloso.
Come un bambino immerge le dita nella cioccolata.
Eppure lo ha ascoltato, infatti addirittura gli risponde: «Ti fai troppi problemi, Crona. Hai sentito, Medusa, no?»
«Sì, ma lei è-»
Lo interrompe, Ragnarok. Gli afferra la testa e gliela torce all’indietro per poterlo guardare meglio in faccia, dopodiché gli abbia contro: «Niente ma. Smettila di annoiarmi con i tuoi patemi o ti prendo a cazzotti, chiaro?»
Crona annuisce per quel che può, solo quando la Spada decide di lasciarlo andare comincia a ispezionare il luogo. Si trova nuovamente in una chiesa, questa volta però non c’è nessuna ragazza, nessuna persona con una vite nella testa con intenzioni ostili, nessun esperimento da portare a termine.
Si trascina lungo la navata dopo che Ragnarok ha terminato il suo pasto, si dirige verso il portone con sguardo assente.
«Secondo te sono pazzo, Ragnarok?»
Non è lui a rispondergli; la Spada è tornata a essere sangue e la luce sadica della luna fa sì che la sua ombra diventi grande quasi il doppio della sua esile figura.
«Credi di essere pazzo, Crona?»
Gli angoli della bocca si piegano verso il basso in maniera quasi innaturale mentre corruccia le sopracciglia e inclina la testa prima a destra, poi a sinistra.
Destra e sinistra. Sinistra e destra.
Destra e sinistra. Sinistra e destra.
Avanza di un passo.
«Credi di essere pazzo? Perché, Crona?»
Un altro passo.
«Cosa ti fa sentire così?»
Quando il portone si chiude l’ombra svanisce e l’unica cosa che lei e Crona odono chiaramente è il suo sinistro cigolio che li accompagna verso l’oblio.

 


 
Il bisogno di saperlo è forte, più forte dell’ultima volta.
Sarà perché ormai il nero si è mischiato al rosso?[1] Sarà perché l’ombra non ha smesso un attimo di parlargli? Sarà perché Medusa è diventata quasi gentile?
Che cos’è? Perché gli sorride?
Perché lo tratta come un figlio? Perché lo guarda in quel modo?
«Ehi, Ragnarok, secondo te sono pazzo
Perché forse si sta immaginando tutto.
La Spada grugnisce in risposta ma per una volta decide di accontentarlo e dice: «Io non so cosa sia la pazzia, Crona. Non sono mica un essere umano!»
Crona arriccia il naso, confuso. «Neanche io sono un essere umano, Ragnarok. Il mio sangue è nero.» spiega.
Ed è vero. È tutto nero, nerissimo ed è un continuo annegare.
«Mettiti il cuore in pace.»
Ragnarok va via, è contro la sua natura dispotica stare dietro ai vaneggiamenti di un ragazzino.
Crona rimane quindi da solo, sempre lì, rannicchiato nel suo angolo. È seduto accanto a quel solco creato anni addietro, sporco del suo sangue incrostato, per anni ha continuato a strofinare l’indice in quello stesso punto fino a farlo sanguinare.
E poi eccola, di nuovo. Sta per iniziare una nuova tortura.
«Ciao, Crona.»
«Ciao» risponde. Non aggiunge altro.
Così è lei a continuare: «Come ti senti, oggi?»
Non risponde.
«Sei felice?»
Non risponde.
«Sei triste?»
Non risponde.
«Sei arrabbiato?»
Non risponde.
«Perché non mi rispondi?»
Continua a non risponde, Crona.
L’eco di un docile pianto gli risuona nelle orecchie ma non è lui a versare quelle lacrime, non le ha mai versate. Lui non è un essere umano.
«Invece lo sei, Crona. L’unica differenza è che tu sei-»
«Nero.»
L’ombra scuote la testa. «No... Hai solo paura.»
La debole luce della luna entra dalla finestra, per un attimo illumina il volto pallido e scarno di Crona. I suoi occhi sono rossi e spalancati.
«Cosa c’è che non va?»
Questa volta, risponde ma con un’altra domanda: «Sono pazzo?» chiede, perché gli pare impossibile ciò che sta vedendo dinanzi a sé.
Medusa gli sta sorridendo.
Stranamente però è proprio la voce di sua madre quella che sente e un senso di vomito gli risale in gola, bloccato soltanto dalla paura nuda e cruda che prova soltanto quando incrocia i suoi occhi.
«Crona, a volte la pazzia non è altro che la ragione presentata sotto diversa forma. È naturale che tu abbia paura. Tu... devi avere paura, devi divorare ciò che ti spaventa. È facendo in questo modo che creeremo un nuovo mondo.»
L’ombra non dice più niente.
Adesso è solo con Medusa. È lì, davanti a lui. Come? Perché? È così sconvolto che appiattisce la schiena contro il muro e la fissa impallidendo.
«Medusa…» gracchia, incapace di dire nient’altro.
Lei sorride di rimando, un sorriso stranamente sincero per essere stato formato sul volto di una strega quale lei. «Non preoccuparti, Crona.»
«Non farlo.»
Comincia a battere i denti, Crona, e non per il freddo.
«Non andare.»
Poi, tutto d’un tratto, abbassa le spalle e lascia cadere le braccia lungo i fianchi. Si incurva in avanti, la testa molleggia, dopodiché risolleva le mani e le guarda rapito. Il rosso è ancora lì. È lì, è sempre stato lì.
Annuisce, Crona. Annuisce mentre Medusa gli accarezza la testa dolcemente.
«Bravo, bambino mio.»
Gli sembra di stare affogando. Gli sembra di non essere più nella sua stanza, nel suo angolo, al riparo da tutto e da tutti.
Gli sembra di essere immerso dalla testa ai piedi in quel liquido viscoso.
Quello in cui sta lentamente annegando è un mare inquinato di follia, ne può sentire il sapore. Per un attimo quel retrogusto acido sembra guastargli lo stomaco.
Ma poi sorride.

 


 
Il clown che gli è davanti è enorme e spaventoso ed è nero. Totalmente.
«Mangialo! Che aspetti? Mangialo!» gli urla Ragnarok, impazzito.
L’unica voce oltre la sua che ode è quella di sua madre.
Quella voce sibilante.
La lingua biforcuta del serpente gli accarezza la pelle ma non c’è calore, non c’è amore in quel tocco, in quel sussurro. Crona lo osserva, il clown, la sua anima è in subbuglio e non la smette di contorcersi su stessa dalla paura.
C’è di tutto: dolore, rabbia, odio, rimpianto. Crona li vede, li sente mentre tingono la sua anima di nero e il clown che gli è di fronte sogghigna divertito, compiaciuto.
Poi d’un tratto, non sente niente.
Il nulla.
«È questa la pazzia, Ragnarok?»
«Che t’importa? Divoralo! Fa’ presto!» gli urla, soggiogato dalla fame.
Getta un’occhiata dietro di lui, Crona, lo fa per abitudine. Ed eccola lì, la sua ombra. Puntuale come al solito.
Sta piangendo e non dice niente.
Si gira verso di lei, completamente questa volta. E per la seconda volta è lui a parlarle per primo.
Le parole che scivolano via dalle labbra screpolate sono sussurrate, accompagnate da una smorfia allungata e da un paio di occhi vacui e spezzati:

 
«Sai, il mio sangue è nero. Il tuo di che colore è?»
 
 



 













 
[1]: il nero mischiato al rosso, ovvero che al suo sangue (nero) si è mischiato quello delle altre persone che ucciso (rosso).



 
#Prima volta che scrivo qualcosa in questa sezione, mi sento un po’ persa ^^ ma comunque soddisfatta del risultato.

Non so quanto sia stata in grado di rispettare i prompt del Contest ma ho fatto del mio meglio, poi le parole sono venute fuori da sole e io le ho semplicemente seguite... è stata dura, specie perché per tutto il tempo ho cercato di immedesimarmi talmente tanto in Crona che alla fine, per riprendermi dallo shock, ho dovuto ingurgitare tante caramelle.


Comunque.
Sono felice anche solo di poter pubblicare questa storia e poi io adoro Crona in tutte le sue sfumature.


Alla prossima! u.u

rosy

 
 
  
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