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Autore: veronica85    14/10/2020    2 recensioni
Dopo essere scampata per pura fortuna all'assassino delle streghe, Ivy decide di non seguire la strada consigliatale e di portare Ana con sé da un'altra parte, alla ricerca di una nuova vita. Henry, invece, sta partendo per New York, dopo aver aiutato Weaver col caso del Candy Killer. Incontrandosi nell'ultimo posto che avrebbero potuto immaginare, troveranno finalmente il modo di chiarire le cose o fra loro resterà sempre più di qualcosa in sospeso?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anastasia Tremaine, Henry Mills, Ivy Belfrey/Drizella Tremaine
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi, anche oggi in feroce ritardo, a postare questo capitolo per il Writober.. Questa storia non vuole essere affatto breve infatti avrà due capitoli e comprenderà ben due prompt xd. Uno legato a questo capitolo e uno al successivo. Si tratta di una What If, ambientata dopo la 7x15 che esplora la possibilità che Henry segua il suo progetto iniziale decidendo di andare a New York, mentre Ivy e Anastasia non prendono il portale, non tornano alla NEF e cambiano semplicemente Stato, restando nel mondo reale.
» "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
» Prompt: Esilio
» N° parole: 2388


Se c’era una cosa che Ivy sapeva con certezza era che non poteva restare a Seattle ancora a lungo. Farlo avrebbe significato mettere in pericolo sua sorella e non aveva intenzione di permetterlo ancora. Doveva tenerla al sicuro e, sebbene inizialmente, avesse creduto che la cosa migliore fosse tornare alla Nuova Foresta Incantata e alla loro dimora erano stati sufficienti pochi istanti per farle realizzare che quella scelta non era loro concessa, non ancora. Quello sarebbe stato il primo posto dove le avrebbero cercate, poco ma sicuro. Gothel non era sufficientemente potente da aprire un portale senza un fagiolo magico o altri mezzi, ma poteva manipolare qualcuno per fare il lavoro al posto suo, come aveva manipolato lei e Gretel spingendole ad uccidersi a vicenda. Dio, cos’aveva avuto nel cervello in quegli ultimi anni? Come aveva potuto essere così stupida? Scosse la testa nel tentativo di lasciar andare quei pensieri: doveva concentrarsi. Aveva ignorato i consigli di Regina e di quello stregone da strapazzo e non poteva contare su altri che su se stessa… all’infuori di Ana. E poi, guardandosi intorno… si era resa conto che quel mondo non era affatto come quello dal quale provenivano lei e sua sorella. Dove diavolo le aveva spedite quella sottospecie di stregone woodoo? Lei e Ana si erano guardate e avevano scosso la testa contemporaneamente: non andava. Non avevano il tempo di adattarsi ad un nuovo mondo, non quando dovevano nascondersi. Come avrebbero potuto farlo bene in un posto di cui non conoscevano i pericoli, i luoghi, in cui ogni faccia poteva essere quella di qualcuno da cui guardarsi? Per questo avevano preso una decisione che a qualcuno avrebbe potuto sembrare segno di ingratitudine: avevano atteso un paio d’ore, il tempo sufficiente perché Regina e il suo spasimante tornassero da dove erano venuti. Dopodiché si erano riprese per mano: la magia di Ana era dannatamente potente, soprattutto da quando aveva assorbito anche la sua, al punto che era riuscita a replicare, solo tenendo le mani della sorella tra le proprie, le proprietà del fagiolo magico e riaprire il portale. Si erano assicurate che non ci fosse più nessuno, dopodiché erano sgattaiolate a casa e avevano messo quattro cose in valigia, il minimo indispensabile alla sopravvivenza. Ed ora si trovavano al Tacoma Airport, intenzionate a imbarcarsi su un qualsiasi volo. Magari sarebbero andate a New York, poi avrebbero noleggiato un’auto e avrebbero preso un nuovo volo da qualche altro aeroporto. Aprì il suo portatile: avrebbe fatto passare il tempo cercando la destinazione migliore, senza scocciarsi a chiedere a nessuno.
 
Anastasia si guardava intorno estasiata e, come una bambina piccola, passava rapidamente da un punto all’altro, alla continua scoperta di cose nuove, anche se non sempre piacevoli. Era rimasta, ad esempio, sconvolta dalle sedie a rotelle e, al contrario, affascinata dalle immagini che si muovevano dentro la scatola di metallo (televisione, sua madre le aveva detto che si chiamava televisione e gliel’aveva ripetuto anche Driz… Ivy). Ma la cosa più strana di tutte era il suo nuovo giocattolo: Ivy le aveva spiegato che si chiamava cellulare e che non era un vero giocattolo, ma che serviva, in realtà, per poter parlare con le persone che ne avevano uno simile, senza bisogno di essere una di fronte all’altra. Le aveva detto che quello che aveva era stato della mamma e che, se avesse voluto, in seguito gliene avrebbe preso uno solo suo, ma a lei non importava: le piaceva avere qualcosa che fosse stato della mamma e gliela ricordasse, erano state insieme così poco dopo il suo risveglio… Ricacciò indietro le lacrime: non doveva piangere, sapeva perché la mamma non c’era più, aveva preteso che Drizy (Ivy, maledizione Ana, devi chiamarla Ivy finché restate qui, si rimproverò) le raccontasse tutto ed aveva capito. Sua madre era stata così egoista, pretendendo di svegliarla fregandosene di chiunque altro, vivendo la sua intera vita in funzione del suo fantasma. E per quanto le fosse grata di non essersi arresa, Anastasia sapeva che non avrebbe mai potuto perdonarla se avesse saputo che la sua sopravvivenza sarebbe stata causa della morte di sua nipote o peggio della sua adorata sorella. In realtà, non riusciva neanche ad accettare di aver perso sua madre, forse sarebbe stato meglio se non si fosse mai risvegliata e basta. Scosse la testa: Ivy l’avrebbe rimproverata di certo se l’avesse sentita parlare così. Doveva smettere di pensare e continuare il suo giro. Era tutto così interessante, non aveva tempo di essere triste, voleva scoprire sempre più cose e approfittare del fatto che, come aveva detto Ivy, lì fossero al sicuro e nessuno le conoscesse.
Né lei né Ivy avrebbero potuto prevedere ciò che sarebbe successo di lì a pochi minuti: Henry era appena entrato in aeroporto, dopo aver aiutato Weaver con il suo libro e, dopo aver superato - come loro- i controlli di routine, si apprestava a chiedere un biglietto per il primo volo disponibile per New York.
 
Ivy si era alzata proprio in quel momento, dopo aver individuato il volo che le interessava: sarebbe partito di lì a tre ore, avevano ancora un sacco di tempo da far trascorrere. Doveva recuperare Ana e fare i biglietti, poi magari avrebbero trovato un modo per passare il tempo fino alla partenza. Estrasse il cellulare, componendo il numero della sorella: «Spero che tu non ti sia persa… riesci a raggiungermi dove eravamo all’inizio? Ho trovato un aereo, vieni a fare i biglietti con me? Così impari una cosa nuova... ok, ti aspetto, allora.  Chiamami se non ti ricordi la strada, ok?». Sorrise, richiudendo, smorzando le proteste della sorella che sosteneva di non essere più una bambina e di essere capace di tornare indietro senza problemi. Si sedette, attendendola e lasciando che i suoi pensieri vagassero liberamente: qualcuno avrebbe potuto pensare che il suo fosse un esilio e forse lo era. Ma si trattava di un esilio volontario, che si era autoimposta per ricominciare da capo, buttarsi tutto alle spalle e dimenticare tutti gli errori che aveva commesso… specialmente con Henry. Scosse la testa: a mente fredda si era vergognata come una ladra del bacio che gli aveva rubato. Non aveva smesso di amarlo, quello sarebbe stato ancora difficile ma aveva capito che non poteva costringere gli altri a ricambiare i suoi sentimenti e quello era il motivo per cui avrebbe tanto voluto chiedergli scusa… oltre che per essere stata la causa di quasi tutti i suoi mali, beninteso. Nel frattempo, Ana l’aveva raggiunta e insieme si erano dirette alla biglietteria, a cui Ivy aveva chiesto due biglietti sul primo volo per New York che le erano stati consegnati comunicandole che il volo sarebbe partito di lì a tre ore. Fece quindi per allontanarsi, prendendo la mano di Anastasia, quando una voce che ripeteva la sua stessa richiesta la riscosse: non era possibile, stava diventando un’ossessione, ora sentiva la voce di Henry anche lì! Si voltò, intenzionata ad imporre al suo cervello di smetterla di cercarlo ovunque e farla impazzire ma… l’uomo che si girò in quell’esatto momento era, innegabilmente, Henry Mills!
Rimase gelata sul posto, sorda ai richiami di sua sorella rimasta perplessa dalla sua reazione, mentre Henry, stupito quanto lei, si avvicinava: «Ivy? Anche tu vuoi prendere un aereo?»
«He… Henry, che ci fai tu qui?» Non era possibile! Più cercava di scappare da lui, più se lo ritrovava intorno! Doveva esserci una qualche congiura in atto contro di lei, non c’era altra spiegazione! E ormai non poteva neanche fingere di non averlo visto, non dopo che gli aveva risposto e aveva dimostrato di averlo riconosciuto. Strinse la mano di sua sorella, immobile al suo fianco cercando in lei quella forza che al momento sembrava averla abbandonata. Anastasia, dal canto suo, guardava dall’uno all’altra, incerta: evidentemente sua sorella conosceva quel tipo, ma allo stesso tempo stringeva la sua mano come se ne andasse della sua vita e volesse scappare il più lontano possibile di lì.
«Devo andare a New York, ho un colloquio di lavoro e se andrà bene compreranno i miei podcast. E tu? Dove sei diretta? E questa ragazzina che è con te?» si informò, notando Anastasia per la prima volta.
«Non sono una…» scattò Anastasia, inviperita. Ma come si permetteva quel tipo di rivolgersi così? Chi lo conosceva? Lei no di certo. E sua sorella stava pure zitta! Le rivolse un’occhiataccia: eppure non ricordava di averle fatto sbattere la testa da bambina, ma era l’unica spiegazione plausibile per tutte le stronzate che l’aveva vista fare da quando si era risvegliata.
Drizy le strinse la mano e lei sbuffò, tentando di calmarsi e concentrarsi sulla conversazione che stava avvenendo accanto a lei.
«Ti ho parlato di lei l’ultima volta che ci siamo visti: lei è Anastasia, mia sorella, quella che stavo cercando quando ti sei offerto di darmi una mano» Idiota! Perché aveva rivangato quella serata! Avevano lasciato un discorso in sospeso, quella volta e se lui avesse collegato, conoscendolo, non l’avrebbe più mollata.
La comprensione illuminò il volto del suo interlocutore: «L’hai ritrovata, allora! Mi fa davvero piacere! È bello che siate riuscite a riunirvi. Anche se… non avevo capito che fosse più piccola di te. Da come ne parlavi, sembrava foste coetanee o che la minore fossi tu… ma lascia perdere, probabilmente sono io che ho capito male»
«Ah… sì.. è probabile… di sicuro…» Quanto si era lasciata andare con lui? Con nessuno mai si era mai aperta in quel  modo: che aveva quell’uomo per farle perdere il controllo in quel modo? Quella era la prova definitiva: se voleva ritrovare il suo equilibrio doveva andarsene il più velocemente possibile, mettere la maggior distanza possibile tra loro e dimenticarlo. Se fosse esistito un incantesimo che l’avesse aiutata a raggiungere quello scopo l’avrebbe usato immediatamente su se stessa, incurante delle conseguenze.
«A proposito di quella sera…» cominciò Henry che nel frattempo aveva fatto mente locale e rammentato il loro ultimo incontro «non credi di dovermi una spiegazione? Perché sei scappata in quel modo? E perché non hai risposto al telefono? Ero preoccupato, accidenti!»
«Ma.. voi due siete fidanzati?» interloquì Anastasia, perplessa: l’atteggiamento era proprio quello di due che avevano qualcosa in sospeso, come se ci fosse del non detto che non volevano far conoscere ad altri… di due che stavano insieme o volevano starci… o qualcosa di simile.
«No!» risposero entrambi contemporaneamente, ma sua sorella era diventata rossa in viso e aveva abbassato lo sguardo, segno che doveva davvero esserci del “non detto” o comunque una questione in sospeso tra loro… poteva provarci quanto voleva, ma Drizy non era capace di mentire, non a lei, almeno. Quel tipo, invece, era un’altra storia, che non vedeva l’ora di ascoltare e appena fossero state sole avrebbe stressato Drizy finché non avesse tirato fuori tutto. O forse non avrebbe avuto bisogno di aspettare così tanto, dopotutto.
«Non siamo fidanzati, ma tra me e tua sorella è rimasto un discorso in sospeso. E poiché non risponde al telefono da giorni, ho temuto che le fosse successo qualcosa, visto che in questo periodo a Seattle gira un assassino che ha già fatto due vittime… ma evidentemente lei preferisce essere ignorata, per cui, perdonatemi, signore, torno alle mie faccende. Arrivederci» concluse lo scrittore andando a cercare un posto in cui sedersi.
Dal canto suo, Ivy era allibita: davvero si aspettava che gli rispondesse? Dopo il modo in cui si erano salutati? E lei che credeva che Henry fosse diverso dagli altri! Invece era solo un altro maschio che non capiva un accidente, proprio come tutti quelli della sua specie! E ora anche sua sorella la fissava come se fosse scema.
«Che hai da fissare? Sputa il rospo e piantala di giudicare!» sbottò, innervosita.
«Quel tipo ti piace». Secca, lapidaria, una sentenza irrevocabile che non aveva alcun bisogno di conferme. Anastasia era certa della sua conclusione e l’espressione che comparve per solo pochi istanti negli occhi e sul viso di sua sorella le disse anche quello che non aveva già intuito. «Ed è evidente che le ultime cose che ti ha detto ti sono dispiaciute: perché non glielo dici e chiarite? In fondo, lo hai detto tu: abbiamo ancora più di un’ora prima della partenza, avete tutto il tempo».
«Non hai sentito? Lui ha già preso la sua decisione. E comunque, che bisogno c’è di fargli cambiare idea? Noi stiamo partendo e anche lui, non lo rivedrò mai più… e se anche succedesse… per quella volta avrà di certo recuperato la memoria, mi odierà e starà strisciando ai piedi di Ella, la sua mogliettina adorata, quindi che senso ha?»
Anastasia sbuffò, alzando gli occhi al cielo, esasperata. «Povera me, ma ti senti quando parli o hai definitivamente scollegato il cervello? Comincio seriamente a pensare che in questi ultimi anni tu sia diventata completamente idiota, sul serio.» Si interruppe per un istante, facendo un respiro profondo nel tentativo di calmarsi: stava già facendo una mezza scenata, anche se si era premurata di tenere il tono basso i suoi gesti e le sue espressioni non lasciavano dubbi, ci mancava solo che qualcuno venisse a interromperle.
«Ce n’è bisogno per te, perché altrimenti passerai tutto il tuo tempo a pensare a come avete chiuso male e a come ti piacerebbe rimediare. E a tormentarti perché non puoi più farlo. E  vivrai questa partenza come un esilio e ti peserà da morire».
«Beh, e chi ti dice che per me  non lo sia? Ma me lo merito dopo tutto quello che ho fatto, anzi, mi meriterei che anche tu te ne andassi dopo come mi sono comportata.»
Anastasia scosse la testa, prendendo tra le sue le mani della sorella: «Ti ricordi? Cecelia, la madre di Ella, diceva che tutte meritiamo una seconda possibilità. La detti alla mamma quando tornò dopo sei anni, come potrei non darla a te, soprattutto in una situazione come questa?» Anastasia strinse le mani della sorella, cercando di infonderle coraggio.
«Prenditi qualche minuto se ne hai bisogno, ma poi vai a parlargli e chiudi questa storia, d’accordo?»
Ivy tirò un profondo sospiro, annuendo. «Hai ragione. Non ha senso continuare a comportarsi così. Seguirò il tuo consiglio. Devo solo… trovare le parole giuste.. almeno per cominciare.»
E così dicendo, si sedette nel primo posto libero, con la testa tra le mani e la sorella accanto, alla ricerca del modo giusto per cominciare il discorso più difficile della sua vita.
   
 
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