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Autore: H0sh1    17/10/2020    1 recensioni
Prefettura di Chiba, Tōkyō, gennaio 1943.
La Guerra del Pacifico è esplosa da due anni e i veterani sono stati richiamati per combattere, lasciandosi alle spalle ciò che di più prezioso hanno costruito con il tempo.
Kobayashi Rie, fortemente legata alla figura paterna, custodisce gelosamente le lettere che il genitore, ogni mese, le spedisce dal fronte: l'unico modo attraverso il quale sentirlo ancora vicino.
In un giorno di pioggia, tuttavia, il contatto viene reciso per sempre.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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雨の歌- Il canto della pioggia

分裂- Scissione

La tempesta infuria fuori di casa: il suo impeto trafigge il silenzio, scuote la vetrata sottile. In lontananza, riconosco il fulgido splendore di un fulmine e, poco dopo, il rombo del tuono di cui si è fatto annunciatore; le goccioline di pioggia, piccine, cadono e si abbattono fitte sulla finestra.

Anche il cielo, come il mio cuore, si sta struggendo.

Adoro la pioggia, amo il profumo che porta con sé, assieme con il silenzio e la quiete che calano sulla città, l'unico frangente nel quale la vita, frettolosa, sembra affievolirsi un po'. Anche in questo momento, rannicchiata sul letto, tra le lenzuola, riesco a notarlo tra la foschia: la luce dei fari delle auto, giù in strada, si rifrange attraverso le stille, creando un sinistro alone gialligno; chi è stato colto impreparato dallo sfogo della volta celeste corre a perdifiato, infagottato nel cappotto, cercando riparo sotto i balconi delle case e dall'acqua alzata dalle macchine che passano.

Ditemi, padre, anche lì da voi il cielo piange?

«Rie.»

D'un tratto, una voce sottile, spezzata da tempo, rompe la mia contemplazione. Ho avuto un leggero sussulto quando l'ho udita; la mano è ancora ferma sul cuore, il quale ha perso un battito per via della sorpresa. «Scusami, non volevo.» torna a parlare nuovamente, avendo notando il mio scossone. 

Tiro un sospiro per placare la corsa del cuore, lascio che un mezzo sorriso, forzato, mi si allarghi sul viso: «Non fate quella faccia, madre, non preoccupatevi. Avete bisogno di qualcosa?»

«No, cara. Solo, il pranzo è in tavola.» mi risponde, dall'altro capo della stanza.

Anche lei, come me, prova a metter su un sorriso, fingendo che tutto stia seguendo la propria normalità, ma sappiamo entrambe che, dietro di esso, non vi è nulla di vero. La realtà è che, insistentemente, ci ostiniamo da tempo a nascondere la polvere sotto il tappeto.

«Va bene, arrivo subito.»

Con passo felpato, mi lascia nuovamente sola e, per un ultimo, effimero attimo, torno ad osservare il cielo plumbeo, il quale ha iniziato a piangere di meno.

Sono passati tre mesi, padre, tre mesi senza alcuna risposta. Siete impegnato? Mi piace pensarlo, sapete? È sempre meglio che credere vi sia successo qualcosa.

Solo Buddha sa se avete davvero ricevuto le mie ultime, disperate lettere, se le avete lette.

Sento gli occhi pizzicare, non riesco a bloccare per tempo le lacrime salate che va a percorrere le gote; impedire al dolore atroce, nato al solo pensiero, di stringere lì dove una volta risiedeva la gioia, ora abitata solo dal vuoto. Il tormento ha attaccato nuovamente, come se una mano invisibile avesse trafitto il mio animo con un tizzone ardente.

Vorrei solo sapere se state bene, se avrò mai la possibilità di rivedervi.

Anche il più piccolo degli sforzi, di recente, mi richiede ormai assai fatica, persino alzarmi dal letto. Nel farlo, la bambolina che riposa sul cuscino si accascia su un lato, mi guarda con i suoi vuoti occhi neri e la sua solita espressione allegra.

La scruto e il senso di malinconia mi assale più forte; il tizzo infuocato penetra più in profondità, avvicinandosi sempre più vicino all'aridità portata dall'oblio. Torno sui miei passi, mi siedo sul bordo del letto e la prendo in mano. La osservo per alcuni secondi, ma poi mi rialzo e la rimetto al suo posto. La sua sola vista mi provoca strazio.

Ogni cosa che vi riguarda, padre, provoca uno strazio che non so come combattere.

Mi lascio la stanza buia alle spalle e scendo al piano inferiore, lì dove la mamma mi sta attendendo, già seduta al tavolo. Imbocco l'entrata della piccola cucina e prendo il mio posto, di fronte a lei. Anche i suoi occhi sono spenti, proprio come quelli di Milly, e penso che non potrebbe essere diversamente: la luce che li irradiava gli è stata strappata via anni fa.

«Buon appetito.»

Le bacchette sono allora libere di cozzare contro le scodelle di ceramica, il rumore che accompagna una pigra chiacchierata sulla mattinata. Lei dice di aver incontrato la signora Fuijī a fare compere, questa mattina, che sembra essere invecchiata di colpo, come Urashima quando ha aperto la scatola.*

Agguanto un boccone di pesce grigliato e la mamma prende un sorso d'acqua mentre io, di contro, le racconto più o meno quello che è successo a scuola: nulla di che, una giornata tranquilla, come tutte quelle che l'hanno preceduta.

«Grazie per il pasto.»

Alla fine di tutto, rassettiamo assieme la cucina, nel silenzio che è inesorabilmente calato, dopo che tutto ciò che avevamo da dire è stato espresso. Sciacquiamo le scodelle, le asciughiamo e le rimettiamo al proprio posto.

Risalgo di nuovo in camera, riprendo il mio posto sul letto, accanto alla finestra, dove posso tornare a perdermi nella pace portata dalla pioggia. Il cielo non ha smesso di piangere, anche se, ora, sembra essersi placato ulteriormente. Stesa sulle lenzuola, fresche di bucato, osservo le sue lacrime farsi a gara verso il basso, lungo la vetrata della finestra.

Ancora, mi chiedo quando avrà fine questa guerra.

Quando potrò riabbracciarvi, sentire di nuovo il vostro calore? Quando questo vuoto nel petto lascerà spazio ad una ritrovata gioia?

Vorrei mi deste una risposta, avere la certezza che, presto, tornerete a casa.

Prego Buddha ogni notte, affinché almeno questi pensieri possano arrivarvi e toccarvi.

Un trillo lontano, alto, interrompe il mio flusso di preghiera: sembra essere il campanello di casa. Che Buddha abbia prestato ascolto alle mie suppliche?

Questa volta alzarmi dal letto non mi richiede poi così fatica, grazie alla curiosità e alla speranza che hanno bussato alle porte del vuoto: dato l'orario, non può essere altri che il signor Oogawa con la posta. 

Scendo le scale frettolosamente e, quando vedo la mamma alla porta, intenta a parlare con il postino e prender da lui una busta, sento gli occhi inumidirsi di gioia.

Quella, sono sicura, è vostra.

E l'oblio, per un breve attimo, torna a riempirsi di quella serenità ormai persa da tempo. Scendo allora l'ultimo gradino, scuoto la mano e dono un sorriso come saluto al signor Oogawa il quale noto, tuttavia, non lo accoglie con la sua solita giovialità. Anzi, i suoi occhi castani sono velati, leggermente arrossati, come se si fosse lasciato andare in un pianto dirotto.

Non capisco cosa stia succedendo. 

Mi volto di scatto verso mia madre, che ha già aperto la busta e sta leggendo il contenuto. E mi sento raggelare quando, d'un tratto, sbianca e ricade al suolo. 

Con il cuore in gola, mi gettò al suo fianco - il panico me la serra -, ma riesco a tenerlo sotto controllo. Ho dovuto imparare a soggiogarlo. Le alzo la testa e la poso sulla mie gambe, mentre sento il signor Oogawa, sulla porta, chiamare l'aiuto dei vicini di casa.

Le prendo una mano nelle mie: è così fredda.

Sono vostre notizie, sono arrivate! Ma, allora, perché tutti sembrano cadere a pezzi?

State bene... vero?

È qui.

È arrivata. La lettera, padre, è qui. È arrivata.

Buddha deve avermi ascoltato, se il signor Oogawa è giunto qui, oggi. E, allora, perché il cielo ha ripreso a piangere più forte?

* * *

*Urashima Taro: personaggio della letteratura giapponese il quale, una volta aperta la scatola donatagli dalla regina del regno sottomarino che egli ha visitato, invecchia di colpo di trecento anni.
   
 
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