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Autore: Alexa_02    19/10/2020    0 recensioni
Eveline Morgan ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare. È intelligente, bellissima, ha una famiglia ricca, una migliore amica stupenda e tutti i ragazzi che vuole. Al ritorno da una festa però, il destino le fa lo sgambetto e tutto ciò che pensava di possedere si dissolve. Al suo risveglio in ospedale, le cose non sono più come le ricordava.
Evie non è più come si ricordava.
È tutto cambiato, in lei c'è qualcosa che non va e la sua famiglia se ne rende subito conto. In casa e nelle loro vite perfette, non c'è più posto per il mostro che è diventata. Eveline viene così spedita al Campbell Accademy, una scuola per persone speciali che possono comprenderla e aiutarla. Sembra l'epilogo di una storia sfortuna ma, come scoprirà presto, la storia è appena cominciata.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Chapter 1
 
La bomboletta di vernice spray produce un suono metallico, che riempie il parcheggio buio.
«Muoviti, Evie» sibila Logan, appoggiato alla portiera dell’auto. Uno strano gorgoglio gli scivola fuori dalla bocca, mentre accartoccia un'altra lattina di birra. È almeno la quarta che si scola nel giro di dieci minuti.
Mi è venuto a prendere sotto casa un'ora prima e, dopo le consuete capriole sul sedile posteriore della sua Jeep, gli è venuta voglia di comprare da bere, della vernice e di cercare qualcosa da imbrattare. Non è una delle migliori idee che abbia mai avuto, ma è illegale e divertente, quindi adatto a scacciare la noia.
Trovare modi diversi per combattere la monotonia è diventato il mio pallino fisso ultimamente.
Tolgo il tappo di plastica e continuo a scrivere. «Dai tempo all’artista» ribatto seccata.
Naturalmente, il suo mini-cervello si è già stufato dell’idea precedentemente sviluppata e vuole fare altro. Sbuffa e arranca verso di me, strisciando sull'asfalto. «Mi sono rotto di aspettare». La sua mano umidiccia mi risale sotto la maglietta. «Ho voglia di un altro giro sulla giostra di Evie».
Il tepore della sua pelle si scontra contro il freddo glaciale della mia, facendomi sussultare. È ancora parecchio strano percepire la differenza di temperatura tra me e le altre persone.
Logan ci aveva fatto caso solo la prima volta che ci eravamo rivisti dopo l'incidente, poi non ne aveva fatto più parola. Gli piace il mio corpo, del resto non gli interessa.
«Dai, Evie…». Il suo alito al sapore di birra mi solletica l'orecchio. Il battito del suo cuore mi rimbomba nelle orecchie. È difficile cercare di ignorare qualcuno se i tuoi sensi si sono quadruplicati.
Mi sfiora il bordo del reggiseno e prova a farci scorrere le dita sotto. Per quanto sia divertente il sesso con lui, in questo momento il suo tocco mi dà solo fastidio.
Gli allontano la mano cercando di non risultare astiosa. «Dopo» gli sfioro le labbra con un bacio «Ora voglio finire il lavoro». 
Sbuffa sonoramente, ma si allontana. «Cerca di fare in fretta».
L'ultima volta che ha insistito dopo un deciso no, l'ho spinto così forte che è volato per terra, da allora si ferma alla prima negazione. A mia discolpa, in quel momento, non ero ancora in grado di dosare la mia nuova forza e lui mi ha innervosito, quindi se l'è un po' cercata.
Apre l'ennesima lattina di birra e la tracanna senza prendere fiato. Col cavolo che guida lui al ritorno, sono già quasi morta una volta, non voglio ripetere l'esperienza.
Ignoro la puzza di alcol che emana e mi concentro sul mio capolavoro. La vernice delle volanti della polizia è un'ottima base per i graffiti, non me lo aspettavo. Il dragone rosso sta venendo davvero bene, chissà perché non lo abbiamo fatto prima.
«Eveline, dai, andiamo. Voglio fare altro» farfuglia Logan scuotendo la lattina in cerca delle ultime gocce.
«Ho quasi finito, promesso. Manca l'ultimo tocco» gli faccio un sorrisetto e comincio a scrivere. Muovo velocemente la bomboletta per concludere l'ultima parola, ma il colpo della porta di servizio dell'edificio ci fa sobbalzare entrambi e la A finisce per avere una gamba più lunga dell'altra.
Ci appiattiamo rapidamente contro l'asfalto. Il cuore di Logan accelera come un cavallo vicino al traguardo e inizia a respirare con affanno, saturando l'aria con un misto di birra e cibo del fast food. La puzza del suo alito viene subito sovrastata da un altro odore acre, un aroma che mi fa gorgogliare lo stomaco. La paura che emana mi attira, mi infervora, ma soprattutto mi fa venire una fame del diavolo. Mi guarda spaventato e questo non attenua la voglia incontrollabile di divorarlo che mi ribolle dentro.
Stringo le labbra per nascondere le zanne che si sono risvegliate irrequiete e tengo lo sguardo basso per celare il cambiamento del colore degli occhi.
Due altri battiti cardiaci vengono intercettati dal mio radar sovrannaturale. Dall'effluvio di polvere da sparo e dal tintinnare delle manette, sono sicura che siano due poliziotti. E siccome qui l'unica volante nel parcheggio è quella su cui ho appena disegnato, direi proprio che stanno venendo da questa parte.
«Dobbiamo andarcene» bisbiglio a Logan.
Lui annuisce e comincia a indietreggiare verso la fila opposta di macchine, dov'è parcheggiata la sua jeep. Potrei alzarmi e correre via, nessuno mi vedrebbe e nessuno potrebbe raggiungere la mia velocità, ma non voglio lasciare Logan nella merda e non voglio dovergli spiegare come ho fatto a darmela a gambe così rapidamente.
Strisciamo come due vermi, Logan respira come se avesse un attacco d'asma e io non respiro proprio. I due poliziotti ridacchiano e si avvicinano sempre di più. La mia giacca di pelle preferita si rovina mentre gratto i gomiti con forza contro l'asfalto.
Ci siamo quasi, dobbiamo solo entrare in macchina e nasconderci. Andrà tutto bene. Per una volta deve andare tutto bene, giusto? Insomma, è una questione di percentuale. Su nove volte che ci hanno beccato, la decima deve essere quella in cui riusciamo a svignarcela.
Deve essere così.
Ma forse è solo una questione di culo, perché la situazione si capovolge in un attimo. Logan, non vedendo un cavolo al buio, inciampa in un bottiglia abbandonata e sbatte il suo enorme testone contro una decapottabile, facendo scattare l’antifurto. In meno di un secondo, i poliziotti ci sono addosso e ci puntano le torce contro.
«Beccati» ridacchia uno.
Già, beccati.
Di nuovo.        
 
I due poliziotti gongolano mentre ci spingono all’interno della volante. Accendono la sirena e ci ammanettano, come se la cosa in qualche modo potesse spaventarci. Non è il mio primo rodeo e loro non hanno idea di chi hanno appena arrestato. Devono essere dei novellini.
«Per cosa siamo in arresto esattamente?» domando seccata, verso quello con i baffi che non sta guidando.
Mi lancia un'occhiata divertita. «Non mi sembra di averti dato il permesso di parlare».
«Non ci avete letto i nostri diritti, quindi o siete degli idioti o non siamo in arresto» puntualizzo «In entrambi i casi, tutto questo non è legale. Lasciateci andare, non abbiamo fatto nulla».
Quello biondo alla guida mi squadra attraverso lo specchietto retrovisore. «Abbiamo una saputella a bordo, eh?» ridacchia e stringe con sicurezza il volante «Danni a proprietà pubblica e ubriachezza molesta, per questo siete in arresto. Scommetto che il tuo ragazzo non ha ventun anni, vero?».
«Non sono il suo ragazzo» mette in chiaro Logan, strascicando le parole e ondeggiando pericolosamente.
«Stai zitto» gli bisbiglio spingendolo di nuovo contro il sedile e poi rigirandomi verso gli agenti «In ogni caso, non mi avete letto i miei diritti».
«E chi confermerà questa tua versione?» mi chiede il baffuto «Il tuo non-ragazzo ubriaco fradicio?». Il poliziotto baffuto puzza di marcio, ma proprio di morte, come se dentro di lui qualcosa andasse a male. È lo stesso odore di un'animale malato. «Non avete prove che abbiamo commesso un crimine».
«Il tuo amico puzza come una distilleria» afferma il biondo.
Che argomentazione patetica. «Devi sentire come puzza il tuo di amico» ribatto arricciando il naso.  
Il baffo si china leggermente per annusarsi l'ascella e scuote la testa schifato dall'odore che gli riempie il naso. Il biondo ingrana la marcia e alza un sacchetto delle prove. «Poi abbiamo questa» la bomboletta di vernice rossa ballonzola quando lui scuote la busta.
Merda. «Non è mia».
«Invece scommetto che ci sono le tue belle impronte sopra» insinua il baffone guardandomi male. Il commento sulla puzza deve averlo infastidito parecchio.
«È una prova circostanziale» ribatto piccata «Posso anche averla toccata, ma non significa che l'abbia usata».
Il baffone fischia sarcastico. «Wow, chi è tuo padre? L'ispettore Barnaby?».
Logan si fa avanti muovendo la nuvola alcolica che gli ristagna intorno. «No!» incespica «Suo padre è il sindaco Morgan, vero Evie?».
Gli mollo una gomitata più forte del necessario. «Chiudi quella bocca».
I due sbirri si lanciano un'occhiata e non rispondono più alle mie domande. Per quanto mi lamenti o faccia l'impertinente, loro smettono di calcolarmi.
Ci fanno smontare dalla macchina con un po' troppa irruenza e ci trascinano nel distretto. Lo sceriffo Miller alza lo sguardo dalle sue parole crociate e mi inchioda al linoleum della stazione con il suo cipiglio incazzato. Sbuffa e scuote la testa come un bufalo nervoso. «Eveline. Di nuovo».
«Sceriffo» inclino la testa e gli sorrido beffarda.
Fa un cenno con il suo bel capello verso la sala interrogatori e alza la cornetta del telefono per avvisare il suo vecchio amico di poker, che sua figlia è di nuovo in manette.
Il baffone mi trascina nella stanza e mi fa sedere su un'orrenda seggiolina di metallo. Mi incatena una mano al tavolo e ridacchia, facendo ondeggiare la pancia. «Non vedo l'ora di vedere il tuo paparino che sculaccia quel bel culetto viziato, come si deve».
Gli piacerebbe toccare un culo come il mio una volta nella vita. «Facciamo una scommessa» mi guarda «Scommettiamo che quando il mio papino arriva qui, quello che verrà sculacciato sarai tu e io me ne andrò via come se nulla fosse?».
Il suo sguardo vacilla tra l'incertezza e il fastidio. «Certo, come no» si gratta i baffoni e fa per andarsene.
«Ho sete» gli comunico.
Ride di gusto. «E credi che mi interessi?».
Gli afferro il braccio così in fretta che nemmeno se ne accorge. Mi fissa negli occhi sorpreso e cade alla perfezione nella trappola «Ho. Sete.». Il suo povero cervello sottosviluppato non riesce minimamente a contrastare i miei poteri di persuasione e lo fa annuire come un automa. «Ti porto dell'acqua».
«Thè, per favore» specifico.
Lui agita il capoccione «Ti porto del thè». Si incammina ondeggiando verso la macchinetta delle bevande come un bravo soldatino.
Alcune volte, molto di rado, essere un mostro porta i suoi vantaggi.




Papà varca la soglia della sala interrogatori in vestaglia, babbucce e incazzato come una iena con un petardo nel culo. Mi guarda con così tanta rabbia che potrebbe incenerirmi insieme a tutta la stanza. Il baffone entra dopo di lui e mi libera dalle manette. Gli scocco un sorrisetto presuntuoso che lo fa sbuffare infastidito. Cosa ti avevo detto?
Papà non mi lascia gongolare, fa un rapido gesto con la testa e mi intima di uscire. Lo seguo in silenzio e insieme saliamo in macchina dove ci aspetta la mamma.
Durante il tragitto lei non dice una parola, si limita a fissare la radio e papà fa lo stesso con la strada. Nemmeno una sillaba, niente discorsi sulle responsabilità o sulle proprie scelte. Il loro silenzio è assordante, più pesante di mille parole.
È la sesta volta che mi arrestano, ma grazie alla posizione di papà non succede mai nulla. Il sindaco di questa stupida città può fare tutto quello ciò che vuole, soprattutto nascondere sotto la sabbia i casini della sua problematica figlia adolescente. Ormai è diventato un esperto.
Non c'è più neanche gusto a finire nei guai, non ci sono mai ripercussioni. Sono stufa marcia essere Eveline Morgan, la figlia del grande e carismatico sindaco, Leroy Morgan. È come girare con un cartello appeso al collo. Troppi standard da rispettare e troppe aspettative che alla fine finisco sempre per deludere.
Tutti mi chiedono in continuazione perché non sono come Holly, la mia perfetta sorella maggiore. Perché non sono così educata, così di classe.
Beh, ci sono molte cose che io sono e che lei non è.
Entriamo in casa e mi spediscono in camera mia senza dire una parola. Mi chiudo la porta alle spalle e ci scivolo contro. La pancia mi brontola affamata, infrangendo il silenzio stoico della casa. Mi trascino fino all'armadio, spalanco le ante e afferro la maniglia dell’emoteca. Mio padre l’ha fatta istallare sei mesi fa, dopo la miracolosa guarigione.
Dopo l'incidente, nulla è più stato come prima.
Il sangue di sconosciuti, ignari del fatto che il sindaco abbia pagato un dottore per consegnargli delle sacche sottobanco, mi fissa sfidandomi a mostrarmi perciò che sono veramente.
L'odore pungente di metallo mi fa venire l'acquolina. È come se sentissi di nuovo l'aroma spaventato di Logan. Ne afferrò una e richiudo lo sportello. Mi infilo in bagno e chiudo la porta a chiave. La mia famiglia conosce molto bene la mia condizione, è stato mio padre a trovare un modo di procurami il sangue, ma non voglio che nessuno mi veda mentre mi nutro. Non che ci sia il pericolo che piombino nella mia stanza per vedere come sto, ma preferisco non rischiare.
Mi chino sul lavabo e sguaino le zanne. Mordo la sacca con forza come se fosse il collo di qualche animale ferito. Il sangue freddo mi sgorga in gola facendomi mugolare di piacere. È come se tutti i tessuti del mio corpo si tonificassero, come se il mio cervello ingranasse una marcia in più. Come se finalmente potessi respirare di nuovo.
È la sensazione migliore del pianeta.
Quando la sacca è vuota e il mio stomaco è pieno, mi tiro raddrizzo e mi guardo allo specchio. Il riflesso sbiadito, come se mi osservassi attraverso un velo di nebbia, mi fissa di rimando. Il mento sporco di sangue, i canini retrattili in bella vista e gli occhi solitamente azzurri, neri come l'oscurità più profonda mi ricordano perché ho coperto ogni altro specchio in camera.
Non ho bisogno che qualcosa mi ricordi che sono un mostro.
 
Rientro dalla finestra all’alba, dopo aver passato la notte sul tetto di casa a fissare le stelle. Un altro gioioso lato della mia maledizione, oltre alla continua voglia di sangue, è la mancanza quasi totale di sonno. Il mio corpo non ha più bisogno di dormire, il plasma di cui mi nutro mi tiene sveglia e vigile come dieci tazze di caffè forte.
Mi do una ripulita, infilo dei jeans, una maglia e scendo a controllare la situazione genitori.
La casa è deserta. Non ci suoni e soprattutto non ci sono battiti cardiaci. Mi hanno lasciata da sola a fare i conti con il loro silenzio accusatore.
Meraviglioso.
Non me ne starò di certo seduta qui a fare nulla. Frugo nella borsa alla ricerca del cellulare, ma non c'è. Guardo ovunque, ma non lo trovo. Sono spariti anche il portatile e il tablet. Non ho nessun modo di chiamare Logan o uno dei ragazzi per aiutarmi ad evadere.
Le chiavi della macchina me le hanno tolte due arresti fa e tutti le mie carte di credito sono state bloccate. Sono incastrata qui con i miei pensieri e con questo orrendo silenzio.
Mi raggomitolo ai piedi delle scale e ascolto la paura sussurrarmi apprensiva all'orecchio.
 
Verso mezzogiorno inoltrato, il resto della famiglia varca la soglia avvolta da un pesante odore di fritto.
Rimango rannicchiata sulle scale mentre si inoltrano in casa. Papà ha una macchiolina di salsa sulla cravatta e mamma ha una salviettina per lavarsi le mani che le sbuca dalla tasca. Holly mi passa accanto strizzata nel suo bel vestitino e nelle sue perle ereditate dalla nonna, e mi regala una smorfia schifata. Dura un secondo, ma ormai sono diventata parecchio brava con i dettagli.
Le ho sempre fatto un po' pena e anche un po' schifo, ma da quando sa che non sono più umana mi guarda come se non vedesse sua sorella, ma solo una bestiaccia da spiaccicare. Non la biasimo, la prima persona che ho attaccato in preda alla fame è stata proprio lei. Stava solo controllando che stessi bene e io ho provato a morderla. Capisco perché mi disprezza.
Holly sale verso la sua stanza sbattendo le ballerine di marca sul legno e chiude la porta della sua camera con forza. Sebbene questa sceneggiata così plateale, riesco ancora a sentire un suo respiro condensarsi all'inizio delle scale. Origliare le conversazioni è uno dei suoi migliori talenti.
Mamma mi lancia un'occhiata fugace mentre si torce nervosamente le mani. Brutto segno.
«Avete mangiato senza di me» affermo. Beh, anche io ho già mangiato, ma la cosa è un po' diversa.
I miei genitori mi guardano e poi si scambiano uno sguardo carico di significato. Papà si schiarisce la gola «Sediamoci, Eveline» mormora indicando il divano in soggiorno.
Li seguo e ci sediamo. Papà tiene in braccio un plico bianco con uno strano logo sopra. «Non sappiamo più cosa fare con te, Eveline. Ieri sera ti hanno arrestata per la sesta volta in meno di sei mesi» asserisce papà, burbero «Non abbiamo intenzione di continuare così».
«Noi ti amiamo moltissimo e abbiamo dovuto prendere una decisione per il tuo bene» mormora mamma, cercando di trattenere le lacrime. Papà le stringe la mano con dolcezza «La tua nuova...» corruga la fronte «...situazione ti ha cambiata in un modo che noi non possiamo concepire, perciò abbiamo trovato un posto in cui ti possono aiutare e in cui ti possono capire» infila la mano nel plico e tira fuori una brochure «Un mio contatto conosce una famiglia importante che manda la figlia in questa scuola per persone...particolari, proprio come te». Mi passa i fogli e fisso la locandina.
Accademia Campbell. Istituto per ragazzi speciali.
Sotto la scritta c'è la foto di un gruppo di ragazzi sorridenti e perfetti, infilati in delle divise orrende.
«Non capisco» bofonchio «L'estate è quasi finita, tra poco ritornerò a scuola dai miei amici. Non voglio andare in questa stupida accademia».
Papà sbuffa sonoramente. «È l'unica alternativa, non ti facciamo tornare a scuola tra i ragazzi normali».
«Normali? Pensi che io non sia normale?» guaisco, facendo definitivamente piangere la mamma.
Papà come sempre ignora le mie domande e continua per la sua strada. «Non c'è nulla di cui discutere, la decisione è già stata presa. Parti stasera» asserisce fermo, stringendo la mano di sua moglie con forza.
«Non ci vado in quello stupido collegio! Solo perché ho combinato qualche cazzata decidete di sbarazzarvi di me?» strillo balzando in piedi.
«Qualche?!» tuona papà «Sei arresti, Eveline! Sei arresti che ho dovuto coprire!».
«Nessuno te lo ha chiesto» sbraito.
«L'ho fatto per te, per assicurarti un futuro brillante!».
«No! Lo hai fatto per assicurare a te stesso un futuro brillante» grido. Sento in canini muoversi, sollecitati dalla forte rabbia «La verità è che sono un peso per te e per la tua fottuta campagna elettorale».
«Modera il linguaggio, signorina» ringhia massaggiandosi la fronte.
«A ridosso delle elezioni mi stai scaricando il più lontano possibile dai riflettori, perché hai paura che i tuoi elettori vedano che razza di mostro terrificante è tua figlia!».
«No, Evie...» singhiozza la mamma stropicciandosi la faccia.
«Si, hai ragione» conferma papà «Non voglio che il mondo sappia cosa sei diventata, non lo sopporterei».
Mamma spalanca le labbra più ferita di quanto lo sia io. Ne ero già a conoscenza, ma non credevo che sentirlo ad alta voce potesse fare così male. Caccio via le lacrime sbattendo con forze le palpebre «Va bene» farfuglio «Andrò in questa stupida accademia, tanto qui non sono ben voluta».
«Vai a fare le valige» mi porge il plico «Qui c'è tutto quello che devi sapere».
Lo afferro e mi avvio verso le scale.
«Evie…» singhiozza la mamma.
Papà le sfiora la testa. «Lasciala andare, starà meglio tra persone come lei».
Salgo le scale alla velocità della luce, mi infilo in camera e sbatto la porta con così tanta forza che si crepa a metà, esattamente come il mio cuore.


Infilò tutti i miei vestiti in delle valige, tutti i miei oggetti personali in delle scatole e le cose di prima necessità nella borsa. Essendo ancora troppo presto, mi metto a sfogliare il pacco dell'accademia. Oltre alla brochure c'è una lettera di iscrizione, il libro della storia della scuola e un fascicolo delle regole alto almeno due dita. La collocazione dell'istituto è segreta al resto del mondo per mantenere gli studenti al sicuro. A quanto pare l'accademia raccoglie tutti i tipi di creature più bizzarre del mondo, come streghe, fate e lupi mannari.
Cosa?
Ci deve essere un errore. Insomma, tutta quella roba non esiste, sono solo leggende del folklore. Però, in teoria anche i vampiri non dovrebbero esistere, eppure io sono qui.
Smetto di interrogarmi sull'esistenza dei folletti degli gnomi e mi fiondo nella doccia, mollando i fogli sul letto. Infilo dei jeans, una canottiera, un maglioncino largo e delle sneakers.
Prima di lasciare per sempre la mia stanza le lancio un'ultima occhiata. Sembra tutto così finto, come se questa stanza non fosse mai stata mia, ma di un'altra Eveline.
Forse è meglio se vado via, questo non è più il posto per me.
   
 
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