Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Insidemydreams    19/10/2020    0 recensioni
Levi faceva sempre quel sogno.
Lontano dalla realtà all'interno della quale ormai viveva, ricordava intensamente il volto di colui che aveva tanto amato. Dipingendolo su bianche tele, il desiderio di poterlo baciare ancora lo tormentava.
Eren faceva sempre quel sogno.
Appartenente ad un mondo crudele, considerato l'unica speranza per salvare l'umanità dalla minaccia dei giganti. Occhi glaciali impressi all'interno dei suoi pensieri, ricordava quell'uomo che in passato chiamava Caporale. Lo stesso che aveva amato...lo stesso che aveva perso.
Perché non sarebbero mai stati in grado di abbandonarsi. Incontrandosi ancora e ancora, superando le barriere del tempo e dello spazio. Innamorandosi nuovamente l'uno dell'altro.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il-tuo-volto-su-un-dipinto

 

LEVI

"L'unica cosa che ci è permesso fare è credere che non rimpiangeremo la scelta che abbiamo fatto".

 

Levi faceva costantemente quel sogno. 

Ricordi lontani, sparsi all'interno della sua mente che pareva essere colma di essi, pur non rimembrandone alcuno. Un sogno senza speranza né futuro, all'interno di un mondo dove la vita era assai crudele. Dove l'umanità combatteva per ottenere la tanto ambita libertà, la stessa che molti avevano visto sfumarsi dinanzi a sé. Come cenere calda, volava distante, troppo lontana per essere catturata anche con un solo dito della mano. Sfuggente come l'ultimo respiro inalato prima di morire. 

E lì, in quella vita passata che era certo di aver vissuto, Levi era un soldato. 

Un combattente, l'uomo più forte dell'umanità come molti lo definivano. Ma lui, all'interno di tutto quel caos, non faceva altro che sentirsi uno fra i tanti. Perché tutti, come lui, bramavano quella disperata libertà dipinta come ali sui loro verdi mantelli. E poi sognava smeraldi penetranti, capaci di rendere insignificante persino la luce del sole, celatasi al di là di quelle mura che si ergevano maestose. Non ricordava il suo nome, ma sapeva fosse importante per il suo cuore. Battiti confusi, lacrime che gli offuscavano la vista ogni volta che egli compariva durante la notte. Talvolta si svegliava nostalgico, consapevole che mai avrebbe potuto incontrarlo nuovamente. Spesso desiderava addormentarsi presto per il semplice fatto di volerlo ammirare ancora e ancora, perché Levi, in quella vita, amava un ragazzino. Lo stesso considerato l'unica speranza all'interno di un mondo tanto crudele. 

''Oi, moccioso. Cosa pensi di fare?''. 

Levi, nonostante il suo tono perennemente infastidito, si preoccupò di vedere quel ragazzino seduto sulle alte mura. Con le gambe a penzoloni, Eren scrutava meravigliato il tramonto di quella sera, prima che il corvino lo richiamasse, facendolo sobbalzare. 

''Caporale! Mi avete spaventato''. 

Rispose, accennando un lieve sorrisino. Si grattò la nuca con fare imbarazzato, illuminato dai raggi del sole che lentamente stavano scomparendo all'orizzonte. Dinanzi a loro si protendeva un'ampia distesa di prato verde, inconsapevoli di ciò che si celasse oltre essa. Levi si avvicinò cauto al ragazzo. Il suo cuore accelerò notevolmente quando gli fu solo ad un passo, ammirando segretamente la sua figura che occupava gran parte dei suoi pensieri. Schioccò infastidito la lingua sul palato, sia perché ormai consapevole di provare degli strani sentimenti nei suoi confronti, sia nell'osservare qualche gigante scontrarsi sulla roccia delle mura. 

''E' bello''. Disse in un sussurro. 

A quelle parole Eren alzò il viso. Rosso come le nuvole illuminate dal sole, fissò Levi visibilmente concentrato ad osservare lui e non ciò che avrebbe dovuto catturare il suo sguardo. Deglutì, ammirando quell'uomo che gli faceva provare strane emozioni. 

''Il tramonto...''. 

Aggiunse il maggiore, scorgendo un piccolo sorriso amareggiato dipingere l'espressione del suo sottoposto. Si sedette poi accanto a lui, così vicino da essere in grado di percepire il suo calmo respiro. Non aveva mai visto Eren così rilassato, nonostante la tragica situazione nella quale si trovassero, talmente docile da non sembrare nemmeno lui. Ricordava bene il loro primo incontro, dentro quell'aula di tribunale per decidere cosa ne sarebbe stata della sua vita. E inevitabilmente aveva fatto ciò che gli era stato indicato, mai avrebbe trasgredito alle regole del Comandante Erwin. Si era sentito un mostro, lo stomaco in subbuglio mentre picchiava violentemente quel giovane che sarebbe diventato, in futuro, la persona più cara a lui. 

''Caporale, se dovessi mai...se dovessi perdere la vita-''.

''Non dirlo nemmeno, Eren. Non lo permetterò. Starò al tuo fianco, come finora ho sempre fatto''. 

Eren sgranò gli occhi, arrossendo lievemente. E Levi non si aspettò di percepire il suo capo posarsi dolcemente sulla sua spalla, ciocche di capelli castani che gli solleticarono il collo. Unì le dita alle sue, mani posate sulla superficie ruvida delle mura si accarezzarono per la millesima volta. Forse, dentro quella crudeltà, desideravano soltanto percepire un po' di felicità. 

''Allora non la perderò di vista nemmeno per un istante. I miei occhi la osserveranno sempre, Caporale''. 

Levi osservò quella tela con malinconia. Ogni volta che prendeva un pennello in mano, inconsciamente, le sue dita tracciavano quei lineamenti che tanto conosceva. Pelle lievemente abbronzata, baciata da quel sole accecante che nei suoi sogni compariva. Capelli fini e castani, mossi dal lieve vento che si scontrava sul suo corpo mentre balzava da un albero all'altro. E quegli occhi, talmente verdi da smorzare il suo respiro. Rappresentava quel soldato in ogni dove, perfino su piccoli pezzi di carta che trovava strappati dentro il cestino di casa sua. Era l'unico modo, in quella vita, per ricordarsi di lui. 

''Levi! Sei in casa?''. 

Il corvino schioccò la lingua con fare scocciato. Non avrebbe mai dovuto dare una copia delle sue chiavi ad Hanji, quella donna capace di farlo innervosire ogni qual volta aprisse bocca. Si conoscevano da anni e, nonostante la detestasse, non avrebbe mai ammesso quanto in realtà le volesse bene. 

''No''.

''Oh, non fare lo spiritoso''. 

Ridacchiò l'amica, dandogli una leggera pacca sulla schiena. Si pentì subito di quel gesto, notando solo dopo il pennello stretto tra le sue dita. Ricevette solamente un'occhiataccia come risposta e fu sollevata nel constatare di non aver rovinato il bel dipinto di Levi. Accennò infine un sorrisino, ammirando quel ragazzo rappresentato sulla tela che ormai ricordava perfino ad occhi chiusi. 

''Che vuoi, occhialuta?''. 

Levi la squadrò, pulendosi le mani con un panno e abbandonando l'oggetto complice del suo lavoro sul piccolo tavolino accanto a lui. 

''Sapere soltanto come stessi. E' da giorni che ignori completamente i miei messaggi, perfino Petra è preoccupata. Cosa frulla dentro la tua testa?''. 

Avrebbe tanto voluto rimanere solo ancora per molto, ma sapeva di non poter fuggire dalle attenzioni dell'amica. Ed era consapevole di starsi comportando in modo alquanto strano, ma la sua vita stava ruotando attorno a quell'unico punto fisso. A quegli occhi e a quei sogni che rimembrava quando la notte calava sovrana. Lo voleva a tal punto da rifugiarsi dentro casa sua, perché riviveva ogni momento trascorso con lui quando la solitudine lo accoglieva a braccia aperte. Distrarsi, lo avrebbe allontanato dalla sua sublime immagine. 

''Forse...sto impazzendo, Hanji. Lo vedo ovunque, mi pare di poter percepire perfino il suo profumo. E mi manca...''. 

Sospirò, sorreggendosi al tavolo della cucina. La donna lo guardò preoccupata, sistemandosi gli occhiali e cercando un semplice modo per aiutare il suo miglior amico. Sapeva che quei sogni lo turbassero sin dai giorni universitari, quando erano semplici matricole e vivevano spensierati. Sapeva anche quanto paressero reali a Levi e, nemmeno lei, ne avrebbe mai dubitato. Gli credeva, convinta che quella che stesse ricordando all'interno dei suoi pensieri fosse la sua vita passata. Era un dono quello, tanto piacevole quanto traumatico. 

''Sono sicura che, da qualche parte del mondo, quel ragazzo esista veramente Levi. E, forse, ricorda anche lui la persona che eri''. 

Chiuso all'interno di una stanza, illuminata solamente dalla fievole luce di una piccola lanterna, beveva silenziosamente il suo tè. Levi non era mai stato quel tipo di soldato che piangeva sulle sue perdite, ma in quel momento faticava a trattenere le lacrime, nonostante le bloccasse con la poca forza che gli era rimasta in corpo. Tante volte aveva vissuto quei momenti, tante volte i suoi occhi grigi avevano potuto osservare le morti dei suoi compagni. Ma quella volta, più di altre, gli tornò in mente il suo passato. Freddo e glaciale come la neve d'inverno, diventato ormai impassibile a tutto quel dolore. La vita era come un flebile sussurro, talvolta troppo fugace per rendersene conto di averla persa. Un tenue colpo alla porta lo distolse dai pensieri, sorpreso nello scorgere poi Eren entrare con il capo chino. 

''Caporale, siete ancora sveglio?''. 

''Non riesco a dormire''. 

Il minore deglutì affranto. Prese poi posto su di una sedia poco distante da lui, non trovando nemmeno un briciolo di coraggio per guardarlo in viso. E forse nemmeno Levi voleva che Eren lo scrutasse in quel pietoso stato. Erano rimasti soltanto loro due dopo quella spedizione al di fuori delle mura, un altro fallimento per la Legione Esplorativa. 

''Se mi fossi trasformato in gigante, forse gli altri sarebbero ancora con noi. Non trovate?''. 

Levi posò lo sguardo sul sottoposto dopo aver udito quelle parole. Lo scorse tremare, stringere le mani in saldi pugni appoggiati sulla superficie legnosa del tavolo. La fronte di Eren era corrucciata, quell'espressione furiosa mai avrebbe abbandonato il suo volto. 

''Hai fatto la tua scelta, moccioso. Giusta o sbagliata che sia, nessuno avrebbe mai potuto prevedere il risultato''. 

Il giovane scosse il capo, contrario a ciò. 

''Come fate a rimanere così impassibile? Possibile che non proviate nemmeno compassione, Caporale?''. 

Eren sbatté bruscamente le mani sul tavolo, alzandosi sotto lo sguardo glaciale dell'uomo. Si avvicinò a egli cauto, giungendo infine dinanzi al suo cospetto. Immobile e colmo di rabbia, non fece a meno di percepire lo sguardo del maggiore vagare totalmente sulla sua figura. 

''La tristezza è un sentimento che ho deciso di vivere da solo. Non credere al semplice sguardo, Eren, perché non potrai mai sapere cosa si cela sotto di esso''. 

Il Caporale non smise nemmeno un secondo di fissare quel giovane sottoposto. Uniti da un destino simile, l'unica cosa che rimaneva a loro era la presenza costante l'uno dell'altro. Seppur rimanendo indifferente, non fece a meno di provare un fremito non appena Eren, trovando un briciolo di coraggio, si sedette sulle sue gambe. Levi non lo sfiorò nemmeno, nonostante il terremoto che persisteva dentro il suo cuore. 

''Se perdessi anche lei, come i miei genitori e i miei amici, cosa potrei mai fare, Caporale? Ha detto che rimarrà sempre al mio fianco, ma nessuno sa quando la morte giungerà''. 

''Pensi che morirò così facilmente?''. 

Domandò lui, cingendogli finalmente la vita con le braccia. Non si era mai spinto così oltre con quel giovane, il primo a fargli provare sentimenti contrastanti. Perché, nonostante lo desiderasse, non faceva a meno di chiedersi se fosse giusto per loro lasciarsi andare. Consapevole del fatto che Eren lo distraesse dai principali obiettivi, mai avrebbe rinunciato a lui. Posò poi la fronte contro la sua, ammirando le sue gote tingersi di rosso a causa di quel contatto troppo ravvicinato. 

''Non mi è mai sfiorato questo pensiero per la testa, Caporale. Ho soltanto paura di non vederla più, perché lei è importante per me''. 

''Quanto importante?''. 

Le mani del corvino presero ad accarezzare le cosce del sottoposto, imbarazzato nonostante fosse stato lui a compiere il primo passo. Udì un lamento lascivo fuoriuscire dalle sue labbra quando con una mano tastò il suo sedere sodo. Mai si sarebbe aspettato di poterlo toccare in quel modo, mai si sarebbe aspettato che Eren glielo concedesse. Ma quanto l'aveva bramato! Assaggiarlo e percepire la sua vicinanza, perché era l'aspetto che li rendeva ancora umani dopotutto.

''Tanto da volerla baciare in questo istante, Caporale Levi''. 

E bastarono quelle parole per far combaciare le loro bocche. Un bacio tormentato e passionale, talmente delirante da renderli quasi privi di fiato. Sapevano entrambi che quello non fosse solo un modo per colmare il grande vuoto dentro i loro cuori. C'era ben altro, sentimenti celati che pian piano stavano uscendo copiosi sulla loro esistenza. L'attrazione palpabile sin dal loro primo incontro, lasciarsi sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbero voluto fare. 

Levi si alzò bruscamente dal letto. La maglietta madida di sudore e profonde occhiaie sotto i suoi occhi, notti insonni trascorse a causa di quei sogni che imprevedibili lo coglievano di sorpresa. Quando fissò la sveglia posata sul comodino, decise ugualmente di alzarsi nonostante fossero solamente le sei di mattina. Decise di farsi un caffè, possibilmente amaro e decaffeinato. Raggiunse infine la sua solita postazione, una fetta biscottata tenuta fra i denti e l'idea costante che tutto quello mai sarebbe finito. Era un tormento, per lui, vivere con la consapevolezza di non poter mai incontrare quel ragazzo che tanto amava. Poteva semplicemente raffigurare il suo bellissimo volto su tele, disegni di egli che tappezzavano le intere pareti del suo studio. Lì dove, accanto all'ampia vetrata che si protendeva sul cortile, tempere e pennelli si mescolavano fra loro. 

Tuttavia, cambiò idea non appena intravide i caldi raggi solari all'orizzonte. Decise quindi di raggiungere il parco non troppo distante dal suo umile appartamento, portando con sé tutto il necessario per poter dipingere. Vestitosi velocemente, fili d'erba vennero schiacciati al suo passaggio. Non vi era nessuno a quell'ora della mattina, solamente qualche corridore desideroso di allenarsi senza il casino della gente. Fu proprio lì, coperto dall'ombra di una grande quercia, che Levi decise di stanziare. Dinanzi a lui i meravigliosi colori della primavera regnavano sovrani all'interno della natura, l'acqua del piccolo laghetto artificiale si mosse leggermente quando un dolce colpo di vento si scontrò contro il suo corpo. E iniziò a disegnare, rapidi schizzi con la matita raffigurarono ciò che vigeva prepotentemente dentro la sua mente. Alte mura, il tramonto di quel sogno e loro due seduti sulla superficie ruvida di essa. Mantelli verdi avvolgevano le loro figure, intente ad osservare l'orizzonte sconosciuto che si estendeva oltre quell'infinità di verde. Levi, nella sua vita passata, sapeva che la morte era l'unica cosa più vicina a loro. Pareva un eufemismo rispetto alla vita attuale, dove la sua quotidianità trascorreva tranquilla. 

Trascorsero ore dal suo arrivo. Il parco gremito di persone che passeggiavano serenamente, respirando l'aria profumata di quella stagione colma di fiori. Udiva le risate giocose di bambini che si rincorrevano, sgridati dalle loro madri non appena incominciarono a lanciarsi contro piccoli sassi. E fu proprio in quel momento, quando meno se lo sarebbe aspettato, che la sua impassibilità venne turbata dalla figura di un giovane che si fermò a pochi passi di fronte a lui. Indossava la divisa di qualche scuola, la cartella in spalle e le mani all'interno delle tasche della sua giacca chiara. La sua visuale ormai impedita venne messa in secondo piano non appena il suo cuore perse un battito. Un sussultò nell'osservare quei capelli castani, illuminati dal sole e scombinati dal lieve venticello. Il pennello che cadde dalla sua mano quando immagini vivide presero a tormentargli i ricordi. Faticava a respirare tant'era l'emozione che stava provando in quell'istante e, come chiamato da una forza invisibile, si alzò dal soffice prato. 

E lì, quando quel giovane ragazzo voltò il viso verso di lui, riconobbe all'istante quell'amore che in passato aveva protetto con tutto sé stesso. Si specchiò dentro i suoi smeraldi, accennando un piccolo sorrisino che gli scaldò il cuore.

''Eren''. 

Sussurrarono le sue labbra, lasciando che il suo istinto facesse poi il resto. 

 

EREN

''Quel giorno l'umanità ricordò il terrore di essere controllata da loro...L'umiliazione di vivere come uccelli in gabbia''. 

 

Eren faceva costantemente quel sogno. 

Conscio del fatto che non fosse solamente finzione, si risvegliava con il volto rigato dalle lacrime ogni volta che il giorno giungeva. L'umanità che in quel mondo era minacciata dai giganti, la consapevolezza di non poter uscire dalle mura l'aveva reso curioso riguardo a ciò che si protendesse oltre esse. Come bestiame, pronto ad essere sterminato, osservava incantato gli uccelli che con le loro grandi ali oltrepassavano facilmente quell'ostacolo. E, in quei sogni ripetitivi che l'avevano reso assente, ricordava perfettamente l'uomo del quale si era innamorato perdutamente. Un semplice sottoposto e il suo Caporale, la speranza dell'umanità e il soldato più forte di essa. La voglia di desiderarsi costantemente all'interno di tutta quella crudeltà che giorno dopo giorno avrebbe atteso la loro morte. 

Capelli corvini, occhi freddi come il ghiaccio avevano avuto modo, in passato, di scuotere il suo cuore coraggioso. 

Nonostante non ricordasse il suo nome, il suo volto rimaneva impresso come indelebile dentro i suoi ricordi. In quei sogni che parevano irraggiungibili, si chiedeva incessantemente se mai avesse potuto rivederlo. L'unica persona che amava, l'unica che mai avrebbe dimenticato. 

''Caporale, è sicuro possiamo?''. 

Eren lo fissò titubante. Quel giorno faceva caldo, l'aria secca e quasi irrespirabile gli fece togliere la giacchetta della sua divisa da soldato. La posò poi accanto ai cavalli, legati ad un albero tramite una spessa corda, giunti sin lì grazie a quei bellissimi animali. 

''E' un mio ordine, moccioso e, come tale, devi farlo''. 

Era raro che avessero il giorno di riposo in comune, spesso troppo occupati per concedersi del tempo da trascorrere insieme. Si trovavano nei pressi del Wall Rose, là dove un piccolo laghetto alimentato dall'acqua continua di una cascata giaceva nascosto tra gli alberi. Eren mai aveva visto quel luogo che pareva tanto incantato, fiducioso nel seguire il Caporale sin lì. Ammetteva che il cuore fosse sobbalzato parecchio quando Levi, sussurrando al suo orecchio per non farsi udire dai loro compagni, gli aveva confidato di voler passare del tempo insieme prima della prossima spedizione. 

''Va bene, Caporale!''. 

Disse con fin troppa enfasi, portandosi il pugno stretto al cuore com'era il loro saluto da soldati. Nonostante fossero intimi, fin troppo per essere un semplice sottoposto e un superiore, Eren non riusciva a non essere così formale nei suoi confronti. E percepì il fastidio del corvino quando, con una fugace occhiata contrariata, schioccò la lingua contro il palato. 

''Te l'ho detto, moccioso. Per te sono Levi quando siamo soli''. 

Eren arrossì lievemente, chinando il capo verso il prato. Decise così di rilassarsi, ricambiando infine il suo sguardo che vagava sulla sua figura poco distante. 

''D'accordo, Levi''.

''Molto meglio''. 

Il Caporale accennò un piccolo sorrisino. Parve quasi una smorfia che altro, ma ad Eren bastò per fargli sussultare il cuore. D'un tratto, sotto i suoi occhi sgranati, Levi si spogliò dei suoi vestiti. Li piegò accuratamente, lasciandoli distanti dall'acqua che in quel frangente bagnava i suoi piedi nudi. Ed il minore non riuscì a non perdersi in lui, visibilmente imbarazzato ma piacevolmente sorpreso nel poterlo osservare in quelle condizioni. Era bello, spesso si sentiva privilegiato perché solo lui, dopo tante attenzioni, era riuscito ad essere il suo primo e unico. Levi non avrebbe desiderato nessun'altro, parole che aveva proferito ad un soffio dalle sue labbra una notte prima di addormentarsi. Si rese solo poi conto in che luogo si trovassero. Aperto dove chiunque avrebbe potuto spiarli. 

''Qualcuno potrebbe vederla!''. 

''Nessuno verrà, Eren. Fidati di me e raggiungimi''. 

Il corvino, ormai immerso fino al busto dentro l'acqua fredda ma piacevole a causa del calore, rimase in attesa del suo arrivo. Eren deglutì, potevano concedersi realmente quella pace? Si tolse la maglietta, i pantaloni, così lentamente da sembrare quasi una tortura per Levi. Sentì il suo sguardo famelico posato sul suo corpo nudo, atletico grazie alla moltitudine di allenamenti. E rabbrividì non appena venne a contatto con quell'acqua talmente pulita da essere cristallina, camminando finché non raggiunse il suo superiore. 

''E' veramente meraviglioso qui, con lei''. 

Sorrise, alzando il viso verso quel cielo coperto in parte dai rami degli alberi. 

''Ci vengo spesso quando devo pensare, quando voglio stare solo...''.

''E' il vostro posto speciale, perché mi avete portato?''. 

Levi lo fissò impassibile, come se quelle parole non lo avessero nemmeno attraversato. Ma si avvicinò a lui, cingendogli possessivamente la vita con le braccia e lasciando piccoli baci umidi sul suo collo. Ghignò non appena sentì Eren fremere a causa di quei tocchi. Quest'ultimo ansimò senza ritegno, aggrappandosi al suo bacino con le gambe e venendo sorretto dalle forti braccia del suo superiore.

''Un luogo speciale per una persona speciale. Cosa credi, moccioso? Ti voglio e lo sai''. 

Sussurrò lascivo sulle sue labbra. Le morse, baciandole poco dopo e percependo le loro virilità svegliarsi a quel contatto. Eren buttò la testa all'indietro, gemendo oscenamente quando Levi entrò in lui dopo averlo torturato abbastanza. Si bearono entrambi dei loro ansimi, di parole oscene che fremettero per uscire dalle loro bocche rosse e piene a causa dei numerosi baci. Vennero poi insieme, macchiando quella limpida acqua del loro seme. Lì dove si amarono nuovamente, lì dove per una volta pensarono a loro stessi e non al mondo crudele che li attendeva spietato. 

''Jaeger! Eren! Si è perso per caso? Sa a che pagina siamo arrivati almeno?''. 

Il docente di storia, Keith Shadis, lo fissò spietatamente. Quasi tutti gli studenti lo temevano, ma Eren era giunto al punto di non volersi mettere troppa pressione a causa di un insegnante il quale, alla fine, era una persona tanto quanto lui. Aveva lo sguardo perso nel vuoto prima che lo richiamasse, immobile dinanzi al suo banco con aria autoritaria. Ammise di non aver ascoltato nemmeno una singola parola del suo discorso, troppo concentrato a rivivere quei ricordi che lo tormentavano incessantemente. Non aveva idea di quando fosse iniziato tutto quello, ma era consapevole però, che là fuori da qualche parte, ci fosse una persona che in una vita passata aveva amato follemente. Bramava in continuazione di incontrarlo, di riabbracciarlo e assaporare il suo odore. 

''Mi dispiace professore, sono distratto oggi''.

''Oggi Jaeger? Solo oggi? Non mi faccia ridere, potrei scrivere un libro sui suoi pessimi voti! Le chiedo la cortesia di prestare attenzione, sarà il primo interrogato la prossima volta''.

Eren sbuffò contrariato, roteando gli occhi al soffitto e incrociando le braccia al petto non appena l'insegnante gli diede le spalle. Non era di certo un asso a scuola, o almeno in storia, ma avrebbe lottato per diplomarsi in quello stesso anno. Quando la campanella dell'intervallo suonò, per sua fortuna, Mikasa e Armin gli si avvicinarono preoccupati. 

''Eren''. 

Lo richiamò sua sorella, posando una mano sul suo volto e costringendolo a guardarla negli occhi. Iridi talmente diverse dai suoi smeraldi i quali, in quel momento, non brillarono affatto. 

''Cosa vuoi, Mikasa?''. 

''Cosa ti turba?''. 

Non poteva nasconderle nulla, fin troppo protettiva nei suoi confronti. Sbuffò sonoramente, facendo spallucce e tornando ad osservare il cielo limpido fuori dalla finestra dell'aula. Non aveva voglia di parlare, soltanto di pensare a quel soldato tanto distante da lui. 

''Riguarda quell'uomo, non è vero?''.

Fu Armin a parlare quella volta. Eren poté udire quella frase nonostante il chiacchiericcio dentro l'aula regnasse sovrano, confondendo le parole. Certo che lo sapevano! Mai avrebbe potuto nascondere ai suoi due migliori amici quella stranezza. Il fatto di essere legato a qualcuno che esisteva solamente all'interno dei suoi ricordi. Quell'uomo era solamente la manifestazione astratta di colui che aveva amato. Nient'altro. Ma perché, allora, un enorme peso giaceva sul suo petto, facendogli mancare costantemente il respiro? 

''Ancora, Eren? E' solo frutto della tua immaginazione!''.

''Non lo è, Mikasa!''. 

Sbatté furioso le mani sul banco, alzandosi bruscamente dalla sedia. L'attenzione dei presenti ricadde su di lui, troppo irritato per poterci fare caso. Guardò la sorella brutalmente, rendendola incapace di proferire altre futili parole. Prese infine la cartella in spalle, avviandosi verso l'uscita dell'aula sotto gli sguardi confusi dei suoi due amici. 

''Dite al professore che mi sono sentito male''. Alzò una mano in segno di saluto.

''Eren!''.

''Lascialo andare, Mikasa. Parleremo più tardi con lui''.

Replicò Armin, bloccando l'amica che tentò di correre in contro al fratello. Pareva l'unico a credere a quei frequenti sogni che Eren faceva durante il giorno e la notte. Perché era certo che mai sarebbe stato così nostalgico se fosse tutta finzione. 

Eren sbuffò scocciato per la millesima volta. Uscito con largo anticipo dall'edificio scolastico, fregandosene delle lezioni che avrebbe perso, decise di non tornare a casa. Sua madre Carla gli avrebbe fatto una ramanzina per giorni interi, ma in quel momento non gli importò nemmeno quello. Camminò sul marciapiede lentamente, la destinazione impressa dentro la mente e la voglia di rimanere solo. 

Sdraiato su di un letto morbido e profumato, Eren sapeva che ben presto sarebbe giunta la sua ora. Secondi, minuti, ore...troppo debole per capire quanto tempo gli rimanesse per vivere. Non aveva potuto osservare il mare, scorgere cosa si protendesse oltre quelle alte mura. Ma, infondo, era conscio del fatto che perfino quella probabilità avrebbe potuto renderlo incapace di proseguire. Talvolta non si sentiva nemmeno umano, un mostro come quelli che giacevano fuori in attesa di divorarli. Tossì nuovamente, sangue che uscì a fiotti dalla sua bocca, macchiando le bianche lenzuola che lo coprivano. 

''Eren''. 

La voce che tanto amava lo richiamò. Levi entrò nella sua stanza con un bicchiere e un panno pulito tra le mani. L'espressione turbata e malinconica di chi stava assistendo ai suoi ultimi giorni. Ed Eren, tra mille altri motivi, era triste di andarsene perché non sarebbe più potuto rimanere a fianco di quell'uomo. Lo stesso che aveva abbandonato il suo ruolo per prendersi cura di lui, vivere insieme gli ultimi momenti prima di scomparire per sempre. Levi non era più lo stesso da quando Eren era diventato troppo debole a causa dei numerosi esperimenti fatti sul suo corpo per testare il suo gigante. Da quando aveva cominciato a perdere troppo sangue e svenire in continuazione, non lasciando nemmeno il tempo alle sue ferite di rimarginarsi da sole.

''Sto bene, non preoccuparti''. 

Sorrise falsamente, trovando la forza di sollevarsi un poco per poter bere l'acqua. Levi non sorrideva più, i suoi occhi costantemente contornati da profonde occhiaie che rendevano il suo aspetto spettrale. Gli accarezzò una guancia, facendolo sentire ancora desiderato com'era da sempre stato. 

''Ti aiuto ad indossare questa''.

Levi, prontamente, aveva preso dal loro armadio un cambio pulito. Aiutando il suo compagno a togliersi la maglietta sporca di sangue, lo osservò con una nostalgia tale da renderlo quasi incapace di proferire alcun suono. Quando fu immacolato, il corvino lo baciò amorevolmente, regalandogli piccoli attimi di felicità. Aveva perfino paura di toccarlo prolungatamente, troppo debole per respirare normalmente. Eren si sentiva letteralmente a pezzi, era giovane, perché proprio a lui era capitato un destino tanto crudele? Voleva vivere, amare Levi e assaporare il lieve tepore della libertà. Così, consapevole ormai della sua morte vicina, osservò l'ex Caporale per fargli un'ultima richiesta.

''Levi, voglio guardare il cielo''. 

Quest'ultimo non fiatò nemmeno, concorde nell'esaudire quel suo desiderio. Eren si sentì sorreggere dalle sue forti braccia, preso in braccio e scortato con cautela verso il giardino. Lì, venne sdraiato sul morbido prato, il capo posato sulle ginocchia di Levi e lo sguardo perso ad osservare quell'infinita distesa celeste. Si beò delle dolci carezze che percorsero i lineamenti del suo viso, tanto tenero il suo ragazzo che gli stava regalando con tutto il cuore gli ultimi istanti di vita. Tuttavia, non appena percepì una lacrima bagnata cadere sulla sua guancia, Eren non fece a meno di rivolgere la triste espressione sul volto del compagno. Non aveva mai visto Levi piangere, si era trattenuto per tutto quel tempo, convinto di non volerlo far preoccupare troppo. 

''Non andartene, ti prego''. 

Eren si morse un labbro, ma non riuscì a bloccare le lacrime che caddero copiose ai lati delle sue tempie. Alzò un braccio verso di lui, posandogli la mano pallida e fredda sul suo volto corrucciato. 

''Se potessi, rimarrei con te per sempre. Mi hai fatto vivere momenti indimenticabili, mi hai fatto provare sensazioni uniche che solamente tu potevi donarmi. Ti sono grato, mio Caporale''. 

''E allora non morire, troveremo una soluzione Eren''. 

Levi lo guardò fiducioso. Si accucciò verso di lui, sfiorando le sue labbra e sussultando non appena percepì il suo flebile respiro. La vita di Eren era appesa ad un filo, tessuto intrecciato che ben presto si sarebbe spezzato a metà. Il sottoposto si lasciò fuggire una debole risata, imprimendo la bocca sulla sua prima di proferire parola. 

''Non penso sia possibile. Però, Levi, sono certo ci incontreremo nuovamente. Supererò il tempo e lo spazio pur di amarti ancora e ancora, in una vita che magari ci permetterà realmente di essere felici''. 

''Ti amo, Eren''. 

''Ti amo, Levi''. 

Furono le sue ultime parole prima di chiudere gli occhi per sempre. Il volto dell'uomo che amava era stata l'ultima meraviglia che aveva potuto ammirare. E lì, sul prato della loro piccola casa, Levi urlò disperatamente il suo nome prima di rendersi conto che mai più avrebbe potuto udire la sua voce. 

Amava quel giardino, gremito di gente a quell'ora tarda della mattina. Camminò per un lungo tratto, la pesante cartella che gli doleva sulle spalle, fino a raggiungere quel piccolo laghetto artificiale. All'interno di tutto quel verde, gli alti grattacieli riuscivano a specchiarsi dentro quella piccola pozza d'acqua limpida. Rimase immobile ad ascoltare il cinguettio degli uccellini, il chiacchiericcio delle persone e di bambini in lontananza che venivano sgridati dalle loro madri. 

E poi, mentre vivide immagini percorsero i suoi ricordi, si voltò indietro, spinto da qualche forza misteriosa. Fu proprio lì, in quel breve frangente, che riuscì a scorgere quegli occhi che costantemente apparivano nei suoi sogni. Freddi come il ghiaccio, grigi come le nubi che si protendevano oltre le mura di quella vita passata. Rivide le loro divise da soldati coprire i corpi di ognuno, quelle ali blu e bianche che caratterizzavano la Legione Esplorativa. La libertà che mai avevano potuto assaporare. Rivide i loro mille baci, le notti trascorse a fare l'amore dentro quella piccola stanza impregnata del loro odore. 

''Eren''. 

Disse lui con occhi sgranati. Un passo, un altro finché i loro corpi non furono talmente vicini da sfiorarsi. 

''Levi''.

Proferì con lo stesso tono di voce. Nostalgico, emozionato come lo erano i loro cuori in quell'istante. Eren si lasciò fuggire dalle labbra un profondo respiro quando Levi posò una mano sulla sua guancia. Tenne ben in mente quel contatto, lo stesso che ricordava nonostante fosse trascorso chissà quanto tempo dall'ultima volta. Gli era mancato, non avrebbe mai dimenticato quello sguardo colmo di amore che lo fissava proprio in quel momento. E non servirono altre parole per lasciarsi andare. Si baciarono con foga, con talmente tanta passione da rendere nullo ciò che stava accadendo attorno a loro. Fu un bacio disperato, sapori che si mescolarono di nuovo e mani che vagarono sulle loro figure in cerca di certezze. Ma erano proprio lì, l'uno dinanzi all'altro dentro quella realtà. Lingue che danzarono, gambe che tremarono e lacrime calde che rigarono i loro visi arrossiti. 

''Dove sei stato per tutto questo tempo?''.

Domandò Levi, posando la sua fronte contro quella del minore. Riprese fiato, intenzionato a non distogliere gli occhi da lui nemmeno per un secondo. 

''Ti cercavo, Levi, ma non riuscivo a trovarti. Non ho mai dubitato che tu fossi reale, perché mi sono ricordato di te in ogni istante. E ti ho promesso, in passato, che ci saremo rivisti''. 

''Lo so, lo so Eren. Questa volta, però, non abbandonarmi. Voglio sapere tutto di te, in questa nuova vita''. 

Eren sorrise, facendosi abbracciare fortemente da quell'uomo che conosceva perfettamente. O almeno, sapeva come fosse il Levi del passato, quello che gli era dinanzi in quel momento sarebbe stata una bellissima scoperta. Ma era sicuro fosse lui, perché l'avrebbe riconosciuto fra mille. 

''E' una promessa, Caporale''. 

Ridacchiò sulle sue labbra, ma non fece in tempo a proferire alto che Levi lo baciò inaspettatamente. In quella vita, dove il mondo era libero, due soldati si erano incontrati nuovamente dopo essersi amati alla follia. Legati dallo stesso destino, quella volta erano certi di rimanere insieme per sempre. 

FINE

   
 
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