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Autore: Genziana_91    19/10/2020    5 recensioni
L'iscrizione sulla statua del famoso Guerriero di Capestrano (VI secolo a.C.) riporta: "Aninis mi fece fare, bella statua, per il re Nevio Pompuledio". Chi era Nevio Pompuledio? Come è diventato re? E di chi è la altrettanto enigmatica statua che lo accompagna, la Signora di Capestrano?
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Antichità
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‘I Pompuledii non hanno paura’
 
I menhir degli antichi tumuli si stagliavano dritti come guerrieri. Alti e impassibili, guardavano il paesaggio attorno a loro mutare stagione dopo stagione, orgogliosi mementi di qualche antica impresa. Lì, tra quelle antiche pietre e nel turbinio del nevischio, gli spiriti degli antenati si aggiravano, inquieti. Ultime ombre di un passato dimenticato, guardavano i confini e segnavano la terra dei loro figli, la rendevano inalienabile. I confini appartenevano ai morti e nessuno era pazzo a sufficienza da sfidarli, tranne Nevio.

Idiota, pensò Vesullia.

Le tracce del bivacco erano chiare come le acque dell’Ombro. Persino un cieco le avrebbe viste da lontano. I resti di un fuoco erano stati dissimulati da terra smossa e neve, ma le impronte a terra tradivano fino all’ultimo uomo del gruppo. I giovani guerrieri erano sempre i più incauti. Credevano di essere immortali, ma le donne a casa sapevano la verità. Nel sudore degli allenamenti e nella grande sala di Pompo si narravano leggende di eroi valorosi che avevano sfidato gli spiriti e il fato. Ma tra le donne, nelle lunghe ore al telaio, le leggende diventavano storie di uomini e troppo spesso gli uomini muoiono.

Nevio e i suoi non potevano aver lasciato quel posto all’ombra dei tumuli di Incerulae prima di quella mattina. Vesullia si aggirò tra le tombe, cercando di non lasciare tracce, il più possibile leggera sui sassi e sulla neve fresca. Vetio non avrà avuto problemi a seguire Anco e i suoi, sorrise la ragazza mentre tra le impronte più recenti dei suoi compaesani intravedeva a tratti i segni di un passaggio precedente. Vetio era bravo a leggere le piste, ma a quanto pare non altrettanto a coprirle. Vesullia era stata in grado di seguirle fino a lì senza problemi, nonostante non fosse una cacciatrice, tra vallate e pendii. Per fortuna la neve aveva cominciato a cadere sostenuta e a piccoli fiocchi compatti solo dopo il sorgere del sole.
Tuttavia, qualcosa in quel disordine di terra, neve e rami spezzati la mise in allarme.

Fu forse un fruscio tra gli alberi circostanti, uno svolazzo improvviso, un fremito eccitato tra gli spiriti di quel luogo. Vesullia li poteva sentire radunarsi attorno a lei, ma non ne comprendeva il motivo. Si guardò attorno inquieta, cercando un segno che le dicesse cosa stesse accadendo, ma il silenzio immacolato del bosco fu l’unica risposta. Poi lo sentì: minuscolo, impercettibile, un fiato nel gelo mattutino.

Scattò. Cominciò a correre come se gli spiriti stessi le stessero addosso e li vide chiaramente: cinque, forse sei uomini uscirono allo scoperto cercando di chiuderle le vie di uscita. La ragazza balzò in avanti con il cuore che le pompava feroce contro il petto, la neve gelida che le pungeva il viso e la vista ormai ridotta ad un’unica imperativa necessità: evitare di cadere. Saltò tra rocce e tronchi, a mala pena consapevole delle urla e dei richiami degli uomini attorno a lei. Si aspettava delle frecce che non arrivarono, ma non si fermò. Continuò a correre senza pensare, senza fermarsi, finchè non sentì le gambe bruciare come ciocchi nel fuoco e allora si infilò in una cavità sotto un grande albero morto. Sta per collassare, pensò con distacco. Le radici, ormai quasi del tutto sradicate, creavano un riparo dalla vista e dalla neve, mentre il tronco e i rami pendevano ormai senza vita verso il declivio roccioso.
Attorno a lei il bosco era di nuovo silenzioso. Respirò e si vergognò di aver avuto paura. I Populedii non hanno paura, le sembrò di sentire suo padre lì in quel momento. Rimase lì a prendere fiato per un po’, nascosta tra i rami morti e i viticci di rampicanti parassiti. Ascoltò il bosco, il rumore della neve che cadeva, gli animali alle prese con la loro lotta quotidiana alla sopravvivenza. Si era quasi decisa a lasciare il suo nascondiglio, quando udì delle voci maschili attutite dalla nevicata farsi sempre più vicine. Non capiva cosa dicessero, troppo lontani e il loro dialetto troppo stretto perché potesse comprenderli chiaramente, ma capì che si lanciavano richiami: stavano battendo il bosco, cercandola. La neve, una cortina di sfumature di bianco e grigio, riempiva l’aria, sempre più fitta e intensa.

Si azzardò a lasciare il proprio nascondiglio, sperando di confondersi tra le ombre del bosco e seppe subito che era stato un errore. Dopo qualche momento le voci si fecero più concitate e vicine. Il cerchio di uomini le si stava progressivamente stringendo attorno, chiudendola verso il declivio, ma il vento freddo le pungeva la pelle scoperta e la neve in faccia le impediva di vedere con chiarezza. Cercò di correre, ma le folate di vento facevano troppa resistenza. Sentì lo stomaco chiudersi in una morsa di angoscia. Era stata sciocca, come suo fratello. Come aveva potuto essere così sciocca? Gli uomini erano sempre più vicini, li sentiva chiuderle la fuga da ogni lato. Il respiro le si fece corto mentre cercava di scacciare la morsa alla gola che le impediva di respirare, di pensare, di muoversi. Si accasciò a terra. Sentì la neve bagnarle i primi strati delle braghe, il gelo infilarsi tra le pieghe dei vestiti. Le voci erano ormai sopra di lei ma la ragazza non sentiva più nulla. Le mancava l’aria e il petto bruciava nonostante il vento gelido.

Boccheggiò, poi venne il buio.
   
 
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