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Autore: Ghostro    20/10/2020    2 recensioni
Symon Argent è un giovane e ricco uomo d'affari all'apice della sua carriera.
Dal momento che questo genere di personaggio è abusato all'inverosimile, l'ho fatto morire e ficcato a forza in una storia fantasy che lo vedrà confrontarsi con il suo passato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ancora non lo so'
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Varcai la soglia dell'Hotel Day Plaza, l'albergo più lussuoso di New York, in perfetto orario. Come sempre mi diressi all'ultimo piano. Si affacciava verso il mare e la Statua della Libertà, una visione paradisiaca. Soprattutto al tramonto, quando il sole calante illuminava le acque donandole colori aurei e splendenti. Avevo sempre amato osservarlo dalla vetrata del mio grattacielo, scrutare il placido scuotersi delle onde e i raggi del sole riflettersi su di esse; solo in quei momenti ero capace di staccare dalla frenetica routine e dalla miriade lecchini e opportunisti che infestavano le mie giornate.
  Anche quella sera i miei occhi spaziavano in quell'oceano di tranquillità. Finché non sopraggiunse la notte. E il mio genio si accese; come le luci del grattacielo, di un argento luminoso ed etereo, accompagnato dalla sfumatura smeraldina dei vari faretti al neon sparsi lungo l'edificio.
  Era stato semplice il mio ragionamento, geniale per i miei collaboratori; e come poteva essere altrimenti? Quel gregge di capre al pascolo amava farsi sorprendere, stupire, e da buon pastore quale sapevo indirizzare le folle verso il mio brillante albergo, un faro in mezzo al grigiore dei palazzi limitrofi; sin dal primo giorno una folla di curiosi si era avvicinata per apprezzarne la bellezza, la magnificenza, e assaporare anche solo per un istante la sensazione di trovarsi al centro del mondo. Un effimero assaggio della mia vita: presto sarebbero tornarti al grigio delle loro, insignificanti, trascorse a struggersi di ciò che non potevano sperare di possedere.
 
Le porte dell'ascensore si aprirono lentamente ed entrai nell'attico: il mio personale ufficio e zona di ristoro.
  Subito un rumore di tacchi attirò la mia attenzione. «Buonasera, signor Argent» salutò Esmera. La segretaria mi affiancò goffamente, affrettando il passo per stare dietro alla mia andatura sicura e veloce.
  «Cos'abbiamo in programma stasera?» Ero già stanco di essere seguito da quella donna di terza categoria.
  Si aggiustò goffamente la montatura spessa, prima di prender parola: «All'una esatta avrà un appuntamento con il signor Jacobs, per dettare i termini della nuova fornitura di...»
  «Va' avanti.»
  «Alle due dovrà tagliare il nastro per l'inaugurazione della nuova sala da ballo e...» Sfogliò le note più e più volte. «Ah, sì! C'è la cena di mezzanotte con lo staff.»
  Mi fermai all’improvviso, appena prima di varcare la porta del mio studio. «Cena con lo staff? Chi l'ha organizzata?»
  Esmera si strinse nelle spalle, come se di colpo avesse avuto voglia di sparire. «Ecco... Ho p-pensato che cenare con i suoi dipendenti avrebbe potuto...»
  «Cosa?» sbottai, fissandola severo negli occhi grigi.
  La donna li abbassò mesta, torturandosi le dita. «Mettervi in buona luce…»
  Assottigliai lo sguardo. «Angeletti, in quest'albergo non si accettano perdigiorno, né persone che non sappiano gestire il proprio lavoro senza l'approvazione del capo. Non sono tenuto a dimostrare niente, piuttosto voi: dovete darmi prova che non siete uno spreco del mio denaro e della mia pazienza. E ad ogni modo, non ho certo intenzione di sprecarlo con della plebaglia» asserii sprezzante. «Potete fare questa cena, da soli. Detrarrò il costo dalle vostre paghe. Attenti: sono cari i prezzi in questo posto.»
  La rossa strinse il foglio con la scaletta al petto, torturandosi il labbro inferiore con i denti. «M-Ma certo, signor Argent. M-Mi scusi se le ho fatto perder tempo» esalò Esmera, prima di girare i tacchi e tornare alla sua scrivania.
  Scossi la testa allucinato ed entrai nel mio ufficio sbattendo la porta, rimarcando il mio sdegno.
 
«Svetlana» mormorai soave, non appena volsi lo sguardo verso l'interno della stanza.
  Seduta elegante e sfacciata sul divano dello studio, di un beige cangiante alla luce del tramonto, le gambe accavallate, la mia socia mi fissava con il suo solito sorriso malizioso e birichino. «Sorpresa!» esclamò con accento russo, e un bagliore di divertimento negli occhi chiari.
  «Magnifica come sempre» ossequiai mentre mi avvicinavo. Le presi gentilmente una mano tra le mie e ne baciai il dorso; le sfuggì un risolino compiaciuto che tentò di celare posando l'altra sulle labbra.
  Si alzò con una fluidità invidiabile e posò le mani sul mio viso. «Ti stavo aspettando» sussurrò gioviale, prima che le nostre bocche si unissero in una sola.
  Risposi prontamente al bacio, le mie mani vagarono su fianchi sinuosi e sodi, e continuai a baciarla, spingendola fino a sedere sul bordo della scrivania. Le nostre labbra si separarono con uno schiocco.
  «Questa sì che è una calda accoglienza.»
  Lei sorrise a trentadue denti e piegò leggermente la testa. «Ho pensato che ti sentissi solo... Vuoi un po’ di compagnia?» chiese con fare da innocente scolaretta.
  Stavolta fui io a ghignare. «La parte della verginella non ti si addice per niente, mia cara.» – Abbiamo commesso ben più di qualche misero peccatuccio, in quest'ufficio. –
  «Dici? Ma a vuoi uomini piace...»
  «Io non sono come gli altri uomini» ribattei prontamente.
  «Arie: te ne dai tante.» Spostò la mano sul cavallo dei pantaloni e strinse lievemente. «Tutti gli uomini ragionano con questo, nessuno escluso.»
  – Eppure nessuno ama giocarci più di te, nemmeno il sottoscritto. –
  Come se avesse letto i miei pensieri, mi lanciò un'occhiata languida e irriverente. «Prima il dovere, Symon» annunciò, allentando la tensione sessuale che era nata tra noi.
  «Non è una visita di piacere, dopotutto.»
  "Ma lo è! L'unica cosa che preferisci al sesso è il suono della tua voce ed io so come ti piace usarla.» Quel commento mi fece sghignazzare.
  «Sai sempre come prendermi…» Mi avviavo verso l'armadietto a muro.
  Afferrai un bicchiere e una bottiglia di Bourbon; bevvi avidamente dopo averlo riempito fino a metà, assaporando quel fuoco liquido che lentamente scendeva sino allo mio stomaco. Poi mi girai e diedi un'occhiata alla bellissima donna che aveva preso posto sulla sedia di pelle candida. Stava adocchiando la stanza con curiosità. Portava i capelli biondi tagliati a caschetto, le sue forme sensuali erano evidenziate da un tailleur nero senza spalline, con una vertiginosa scollatura sul petto; in parte velata da un tessuto scuro e trasparente che risaliva dai bordi e si chiudeva attorno all'esile collo. Un viso dai tratti predatori, affilati; il sogno di ogni plebeo, una intelligente e sexy realtà che solo pochi uomini al mondo avrebbero potuto godere. Io ero solo uno dei pochi privilegiati, anzi l'unico, che poteva attrarla; e sarebbe sempre tornata.
  Eppure nemmeno una simile bellezza poteva avermi, io non ero il trofeo di nessuno: aver attratto il mio interesse per tanto tempo era l’unica conquista che avrebbe ottenuto, e se la sarebbe dovuta tenere stretta con fierezza; ben poche donne erano state capaci di compiere quello che a conti fatti era un prodigio.
  «Dunque?» iniziai, togliendomi la giacca e poggiandola sullo schienale della mia sedia.
  «La catena di alberghi che rappresento vorrebbe rilevare la tua attività. Hai intensione di espandersi ed entrare nel mercato americano. Non devo certo spiegare che questo è uno degli alberghi più popolari e costosi della città, i cui introiti sono di gran lunga maggiori, nell'insieme, del nostro migliore articolo a Dubai.»
  «Fammi capire bene: da semplice socio in affari, vorresti diventare il mio capo?» domandai sarcastico.
  «No, vorremo che tu diventassi Socio Anziano della nostra catena. Abbiamo bisogno di uno come te al timone. Saresti uno dei soci di maggioranza e vedresti i tuoi attuali guadagni triplicarsi, come minimo.» Mi prese le mani tra le sue, carezzandone il dorso con i pollici. «Diverresti uno degli uomini più ricchi del mondo, Symon. Ville, palazzi, alberghi in tutto il globo, e... potremo vederci più spesso, cambiare il panorama che si vede oltre la finestra…» concluse suadente. «Da socia di poco conto, come sono ora, i nostri incontri sono così rari e infrequenti» aggiunse con una sottile nota di tristezza.
  – Già, è un vero peccato – pensai acido.
  Restai in silenzio per diversi minuti, per cercare di reprimere l'irritazione e affidarmi al mio intelletto. Quando pensai di essermi calmato a dovere, le risposi sinceramente: «Mi offri soldi, ma io ne possiedo in abbondanza. Mi alletti con un potere che dovrei dividere con altri, mentre qui sono re. Un comune amministratore di quella catena di catapecchie che chiamate alberghi. Dulcis in fundo, cerchi di corrompermi allietando la mia vista con il tuo corpo stupendo e quell'abito peccaminoso.» Sorrisi affabile. «Ma di puttanelle come te ne posso trovare a ogni angolo della strada.»
  Ricevetti un sonoro schiaffo sulla guancia; ma non mutai la mia espressione irriverente, non ce n’era ragion. «C'è un motivo, se sei solo una socia di poco conto: nessuno, nessuno, può dirmi cosa fare.» Mi alzai in piedi, ignorando il bruciore sul viso. «Sono migliore di qualsiasi altro in questo settore, mi sono creato la mia fortuna da solo, e in poco tempo. Un risultato che voi inetti non raggiungereste in una vita, e puoi star certa che ben presto della tua catena elemosinante di stamberghe non si sentirà più parlare. Né in America né nel resto del mondo. D’altronde, se sei disposta a scendere così in basso per convincermi, credo che tu lo sappia già.»
  Posai l'indice sul bottone del telefono fisso.
  «Sì, signor Argent» rispose Esmera.
  «Avvisa la sicurezza che un rifiuto è sfuggito al loro controllo. La prossima volta che qualcuno s'infila nel mio ufficio di nascosto, senza che tu faccia buona guardia, mi troverò un'altra segretaria.» Tolsi il dito prima che potesse rispondere, tornado a osservare la mia ex socia.
  «Sei solo un folle e un arrogante bastardo» sibilò Svetlana. Si alzò, racimolando ciò che restava del suo orgoglio e la sua borsetta da diecimila dollari, assieme al soprabito. «Non finisce qui. Ti avverto, Symon: se non sei con noi, sei contro di noi. Demoliremo questo cosiddetto hotel pezzo per pezzo. Ti distruggeremo» mi avvisò, prima di andarsene inviperita.
  – Staremo a vedere. –.
  Mi aveva fatto una bella sorpresa. Avrei ripagato e presto quella cortesia. Premetti di nuovo quel pulsante. «Esmera, portami...»
  Non feci in tempo a finire la frase che la segretaria aveva già varcato la soglia del mio ufficio.
  Posò alcuni fogli sulla scrivania. «Proprietà, bonifici, conti. Tutto ciò che Svetlana ha dovuto dichiarare prima di entrare in società, più alcune ricerche personali che ho svolto sui membri del consiglio della Gato Hotel Group.»
  La osservai di sbieco. Raccolsi il primo plico. «Non te li ho mai chiesti» dissi distrattamente, mentre ne osservavo il contenuto.
  «Sapevo che li avrebbe voluti visionare da quando ho ricevuto la notifica del volo di Svetlana. Prima o poi sarebbe successo, no? Era per questo che l'ha fatta controllare da quando è entrata in affari nella sua attività, no?»
  – Davvero notevole – pensai, mentre prendevo atto che le sue indagini erano dettagliate e morbosamente minuziose.
  Finito di leggere, mi accorsi che era rimasta in piedi dinnanzi a me, in silenzio. «Vuoi un applauso per caso? Mi hai fatto risparmiare qualche minuto, ma non per questo ti permetto di perdere tempo. Fuori dai piedi.»
  Allarmata, la segretaria fece un passo indietro. «M-mi scusi, signor Argent. T-Tornerò alle mie mansioni» mormorò, sottovoce, prima di girare i tacchi.
  Scossi la testa un paio di volte e mi rimisi a esaminare i segreti di quella russa. Dal volto predatorio e angelico... ma dal cuore assolutamente diabolico.
 
Trascorsi il resto della notte tra documenti e sporadiche uscite per fumare.
  Con un sospiro esausto mi poggiai allo schienale della sedia, la testa poggiata pigramente sul morbido rivestimento di pelle nera, rivolta verso il soffitto. Il mio sguardo spaziò sulle spesse mattonelle argentate, i faretti al neon che emettevano una luce tenue e soffusa. Fuori era ancora buio. Le luci della città da quell'altezza sembravano piccole lucciole sospese nel vuoto, come se il tempo si fosse fermato per non permettere al sole di sorgere e far cessare quello spettacolo. La stanchezza iniziava a farsi sentire, quelle luci brillanti diventavano sfocate, eteree. Dovetti strofinarmi gli occhi per mettere a fuoco. Eppure il sonno iniziò a prendere il sopravvento, un caldo torpore sciolse i miei muscoli tesi; la fatica e il peso di quella scoperta iniziavano a chiedere pegno e offuscare il mio senno.
  Nel dormiveglia mi accorsi che la porta si era aperta, portando con se un aroma forte e intenso, che mi inebriò le narici.
  «Signor Argent?» disse una voce. «Signor Argent?» ripeté. «Sym.»
  Era Esmera. Le risposi biascicando: «Che ore sono?»
  «Le quattro del mattino» m'informò. Annuii lievemente. «L-Le ho portato del caffè.»
  «Entra e chiudi la porta» mormorai assonnato.
  Fece immediatamente quanto chiesto, poi si sedette, posando la tazza fumante sulla scrivania. A stento trovai la forza per tendere il braccio e afferrarla, per sorseggiare quella bevanda tiepida al punto giusto, come piaceva a me.
  Il mio cervello si era anche preso una pausa, ma tornai presto concentrato quando notai quella rossa che a stento stava trattenendo una risata. «Ti diverto, per caso?»
  «Una macchia di caffè è finita sulla giacca» confessò in imbarazzo.
  Ero troppo assonnato per darci peso; in un altro momento avrei dato di matto. Lei lo sapeva bene. Si diresse verso l'armadio, a lato della porta, e prese una nuova camicia bianca dal cassetto delle scorte.
  «Posso aiutarla?» domandò imbarazzata.
  Non risposi, non ne avevo le forze. Lo interpretò come un invito a proseguire. Percorse il parquet a passo leggero, fino al bracciolo della mia sedia. Iniziò a sbottonarmi e togliermi la camicia; non riuscivo a mettere a fuoco, ma per un istante mi parve che di cogliere che avesse deglutito impercettibilmente alla vista del mio petto allenato e scolpito, frutto di tante ore passate in palestra.
L'apparenza era tutto, in ogni campo; sorrisi impercettibilmente, compiaciuto dell'effetto che sapevo di dimostrare.
  Esmera scosse la testa come se avesse cercato di tornare alla realtà dopo un bellissimo sogno a occhi aperti. Iniziò a infilarmi il nuovo indumento con estrema professionalità e attenzione.
  «Sai sempre cosa fare, e quando. Dal giorno in cui sei diventata la mia segretaria hai svolto il tuo compito con una professionalità che non avevo mai visto prima. Sembra che tu mi conosca da tempo.»
  Lei sorrise timidamente. «Ma io la conosco bene, signor Argent. Da tanto tempo» esalò, con una voce così soffocata che pensai di essermelo immaginato.
  Annuii: in quel momento ero talmente assorto che avrei potuto venderle l'intero hotel, se me l'avesse chiesto. «Hai svolto un ottimo lavoro con quelle ricerche. Sei stata scaltra, e abile» lodai, facendola arrossire e sgranare gli occhi. Tutti sapevano quanto fossi avaro di complimenti; maledetto sonno...
  «G-Grazie.» Si chiuse in un silenzio imbarazzato, finendo di vestirmi senza più aprir bocca.
  Quando si sporse per sistemarmi il colletto, i miei occhi si trovarono davanti il suo petto. Dove notai uno strano oggetto luccicante. Senza freni inibitori, alzai la mano e lo raccolsi, per esaminarlo da vicino: era un ciondolo a forma di serpente, le scaglie di un verde smeraldo e d’argento. «Cos'è?»
  «Ah, questo...!» Lo riprese gentilmente e lo esaminò rigirandoselo tra le mani. «La mia famiglia è originaria di un paese nella Cina Settentrionale. Shé chéng è il nome del villaggio dove hanno dimorato i miei avi.»
  «Non sembri cinese.»
  «Siamo americani da generazioni, ormai, noi Angeletti. Credo di avere più sangue italiano che orientale» affermò, assumendo un'espressione malinconica. «Ci sono giorni in cui mi sento attratta da questo ciondolo, non posso non indossarlo."
  «Cosa rappresenta?»
  Lei percorse con l'indice le scaglie dell'animale, iniziando a parlare distrattamente: «A Shé chéng il serpente è considerato sacro, un simbolo di rinascita e di vita.» Mi mostrò le scaglie multicolore. «Queste simboleggiano due aspetti della rinascita: l'argento corrisponde alla muta del serpente, il dolore e la sofferenza che il defunto ha causato alle altre anime o a sé stesso, ciò che si è lasciato alle spalle. Il verde... è la nuova pelle, ciò che rimane.» Gli occhi grigi di Esmera incontrarono i miei. Per un attimo rimasi folgorato dalla sfumatura smeraldina nelle sue iridi; non l’avevo mai notata. «Il male che infliggiamo agli altri fa sanguinare non solo i loro corpi, ma anche il nostro spirito. Dopo una vita trascorsa nell'oscurità, la nostra anima sarà consumata. E cosa resterà, quando si separerà dal corpo? Solo il nostro io interiore, la nostra nuova pelle, ma sarà così logorata che, rinati, saremo troppo fragili per sopravvivere nel nuovo mondo. Nella prossima vita patiremo tutto il dolore che in questa abbiamo causato.»
  «Mi stai dicendo che se farò il cattivo nella prossima vita sarò uno sfigato?»
  «P-Più o meno. Sì. Ma esistono degli spiriti protettori che intervengono nei modi più disparati per riportarci sulla retta via. Seguirli o meno rimane una nostra scelta» rispose la mia segretaria, prima di sorridere e scuotere la testa imbarazzata. «Mi scusi, signor Argent. Siamo nel duemilauno e non dovremmo più credere a certe sciocchezze. Lisciò le mie spalle per pianare le ultime pieghe, poi si allontanò, mettendo fine a quello strano discorso.
  «Fatto. Cosa faremo con Svetlana?»
  «Da quando siamo passati al noi?» Il caffè che finalmente stava iniziando a fare effetto, liberandomi dallo stordimento.
  «Oh, m-mi scusi! È che se lei perde il posto, i-insomma, lo perdo anch'io e... Sto parlando troppo… vero?»
  La fissai con fare ammonitorio, prima di aprire il cassetto della scrivania e raccogliere una pennetta; gliela lanciai, l'afferrò al volo solo dopo aver mancato la presa per ben due volte. «Lì ci sono le copie di tutto ciò che hai raccolto. Conservale, potrebbero servirmi.»
  «Qualcosa d’interessante?»
Sorrisi affabile. «La nostra cara amichetta russa non ci ha proprio informati di tutto, riguardo le sue amicizie. Ho scoperto che la sua compagnia compra alberghi di lusso in tutto il mondo, come copertura
  «E quali sarebbero le loro attività di punta?» chiese allarmata.
  «Denaro sporco, droga, chissà. D'altronde, quale posto migliore per smerciare se non dentro le proprie mura?»
  Esmera si torturò le dita. «Andrà alla polizia?»
  Risi di gusto. «No, assolutamente no. Userò i documenti in mio possesso come vantaggio. È più comodo tenere i propri avversari per il guinzaglio, piuttosto che lontani a meditare vendetta.»
  «Ma...» Già aggrottai le sopracciglia. «Signor Argent, è avventato ciò che vuole fare. Se questa gente commercia droga o ricicla denaro sporco, non accetterà i suoi ricatti. Potrebbero esserci delle conseguenze.» Scosse la testa e aumentò la stretta sulla pennetta. «È troppo pericoloso, potrebbe...»
  «Angeletti» vociai, alzandomi bruscamente dalla sedia. «Tu farai come ti ho detto e ne resterai fuori, capito? Prova solo ad avvicinarti alla polizia e considerati licenziata!»
  «La prego…» tentò nuovamente.
  Ma la fermai subito. «Fuori! E fa’ come ti dico!.»
  La rossa deglutì per ricacciare indietro le lacrime. Tremante, si affrettò verso l'uscita.
  – Dire a me cosa fare… – Feci un verso di stizza.
 
Il telefono squillò tre volte prima che Svetlana si decidesse a rispondere. «Cosa vuoi?»
  Mossi qualche passo verso la vetrata a muro e aggiustai la cravatta: un riflesso involontario, avevo sempre faticato a tenere a bada durante le trattative. «So cosa fanno i tuoi presunti soci. Vi consiglierei di costruire anche un bordello nei piani sottostanti dei vostri stabili, già che ci siete. Saresti la perfetta ape regina, se capisci cos'intendo…»
  La russa tacque per un istante. «Un modo pittoresco per riferirmi che sei andato alla polizia?»
  «No, sto per riferirti che se volete continuare le vostre... attività», sottolineai con particolare scherno, «dovrete sparire da questo continente.»
  «Aspetta… Tu, vorresti ricattarci?»
  Sorrisi crudele. «Piccola, ricattare è una parola troppo forte. Io lo chiamerei “scambio di favori”.»
  «Cosa vorresti che facessimo, dimmi?»
  «Su una cosa ti do ragione: un solo hotel non è abbastanza per me. Voglio creare una catena d'alberghi… e un sostengo economico, anzi, una donazione, non sarebbe male. Una sola, e chiuderò la bocca per sempre.»
  Svetlana rise di gusto. «Oh, Symon. Vorresti essere pagato? Ma questo è un ricatto… Ti facevo una persona più attenta alla retorica.»
  «Non mi serve l’influenza della mala, né i vostri soldi. Quello che voglio è eliminare la concorrenza; e magari accelerare i tempi di qualche progetto in cantiere con un po’ di liquidità extra, perché no? E per quanto riguarda le informazioni, non hai forse incontrato ieri sera un famoso Signore della Droga locale? Hai fatto male i tuoi conti, pupa. Mi aspetto cento milioni sul mio fondo estero entro le nove del mattino. Credo che la polizia sarà lieta di ricevere certe informazioni.»
  La russa ringhiò frustrata. «Va bene.»
  – Un gioco da ragazzi, baby. –
  Raccolsi la giacca. Quella nottata era stata davvero proficua. Dopo una bella dormita mi sarei sentito più leggero... e decisamente più ricco.
 
  Stavo tornando a casa a bordo della mia Mercedes argentata, quando mi trovai di fronte a uno spettacolo irritante: un vecchio e un automobilista stavano litigando in mezzo alla strada. Mancava qualche chilometro e sarei potuto affondare nel mio morbido materasso, e scivolare nel sonno, e quei due me lo stavano impedendo.
  Passarono diversi minuti, nei quali una rabbia cocente stava iniziava a prendere possesso di me; i miei occhi iniziavano a lamentare tic nervosi.
  Poco dopo, persi definitivamente la pazienza. «Ehi!» gridai iracondo, scendendo dalla macchina e raggiungendoli in pochi passi. «Andate a litigare altrove! C'è gente che vuole dormire.»
  Distrattamente, percepii l’aprirsi della portiera posteriore dell'anonima auto blu. I due mi fissarono senza fiatare.
  «Vi è presa una paresi?»
  «Signor Argent?» chiese professionale alle mie spalle.
  «Che...?!» Mi voltai, giusto in tempo per vedere un ago conficcarsi nel mio collo e uno strano liquido verde fluire nella pelle.
  «Svetlana vi manda i suoi saluti» asserì l'uomo sconosciuto, che finse di prendermi il volto con una mano.
  Qualcosa si fermò, in me. Caddi senza forze sull'asfalto e strinsi il petto all'altezza del cuore; come se un pianoforte mi stesse schiacciando, una forza maggiore che mi toglieva il respiro. Il mio volto divenne paonazzo, le vene si gonfiarono e divennero fin troppo evidenti, gli occhi quasi fuoriuscirono dalle orbite. Gracchiai qualcosa, cercai di afferrare il vuoto sopra di me mentre la testa si accasciava al suolo. Ma ero solo: non c'erano passanti a cui chiedere aiuto, il mio cellulare era troppo lontano; iniziai a tremare di paura, a rendermi conto che stavo per morire.
  Quando capii che era giunta la mia, ora calde lacrime bagnarono il mio viso.
  Spirai...
   
 
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